Un libro e una mostra per l’impegno civile e culturale d’un protagonista del Novecento abruzzese
Atri, 2 settembre 2022. Poeta, scrittore, pittore, scultore, ebanista, filosofo, studente rivoluzionario tanto da essere costretto alla fuga dall’Università di Napoli perché inseguito dai Borboni per poi essere richiamato dallo stesso rettore, capopolo di una rivolta che vide seimila contadini assaltare e saccheggiare il Comune, indagato quale aggressore a bastonate di un assessore, poi commissario alla Liberazione e primo Sindaco di Atri. Il tutto, senza mai dimenticare quella che era stata la sua prima e più potente passione: la veterinaria.
Giuseppe Verdecchia fu per tutta la vita il “medico degli animali”, più amato di quelle contrade, riuscendo con straordinaria facilità, a passare le mattinate coi contadini preoccupati per la salute di un vitello, i pomeriggi coi ministri, che venivano ad incontrarlo per ascoltare un suo parere e le serate con i più importanti poeti e pittori dell’epoca, coi quali intratteneva frequentazioni artistiche.
«…penetrai nella casa rustica del ruvido zooiatra, quando da una scaletta ripida fui introdotto in una stanzetta dipinta di rosa e, seduto su una scranna, cominciai a vedere… – scrisse Roberto Papini su Il Mondo» del 15 dicembre 1923 – So di non rivelare un grande pittore; ma un pittore di razza e un poeta. Un poeta del paesaggio visto con occhi puri, con una semplicità primitiva, schietta, serena, che i paini della pittura vanno invano a cercare nelle sartorie parigine per tagli di moda. Come s’è fatto pittore? Così, come si nasce, come si vive. Nessuno gli ha insegnato; ha guardato ed ha seguito, là su fra i dirupi e il cielo, l’impulso della sua gelosa passione…»
Quella stessa passione, anzi: quelle stesse passioni che fecero di Giuseppe Verdecchia un protagonista del suo tempo, di quelli che fanno la storia senza accorgersene, solo inseguendo quelle pulsioni ottocentesche per le belle arti e i richiami politici del Primo Novecento.
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