di Eugenio Guccione
13 novembre 2022
La dottrina sociale della Chiesa, in tutti i suoi aspetti, costituisce la fonte primaria, la fonte
ispiratrice del pensiero e dell’azione di Luigi Sturzo. Egli segue, studia e applica la Dottrina Sociale
della Chiesa perché essa si pronuncia sui grandi temi che riguardano la vita degli uomini nella
loro dimensione sociale. Sturzo è pienamente consapevole che la Dottrina Sociale della Chiesa può
essere compresa solo alla luce di tre fondamentali pilastri che la sostengono, ossia: la RAGIONE,
la FEDE e la STORIA. Infatti, la ragione che consente l’attenta e costante riflessione sulla realtà
e sulla natura umana; la fede che grazie alla rivelazione offre la chiave di lettura della dimensione
etica e profondamente umana della realtà sociale; la storia tramite la quale questa realtà sociale
è interpretata nel suo contesto effettivo, arricchito dalla secolare esperienza del passato e
proiettato verso migliori forme di socialità.
Non esistono argomenti delle sue teorie politico-economiche o momenti delle sue molteplici
iniziative sociali che non possano non essere ricondotti al magistero pontificio, tenuto, durante la
sua vita, dai papi regnanti tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX secolo, e,
cioè, da Pio IX, Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII e Giovanni XXIII.
La sua posizione, costantemente integrata dal triplice e attivo ruolo di operatore sociale, di
politico e di politologo, trova un puntuale riscontro nelle due importanti encicliche del suo tempo:
la Rerum novarum del 1891 (Leone XIII), tenuta in gran conto sin dall’inizio della sua attività
sociale, e la Quadragesimo Anno del 1931 (Pio XI) che egli, nei difficili anni dell’esilio, accoglie e
studia come la provvida attenzione della Chiesa alle vicende dell’umanità. Appartiene, proprio al
periodo 1933-1938, una serie di scritti, pubblicati qua e là in riviste straniere e poi raccolti nel
volume Del metodo sociologico (Bologna Zanichelli, 1970), nei quali Sturzo, alla luce delle linee
tracciate dalle due encicliche, elabora un sistema politico-economico valevole per una soluzione
cristiana della grave crisi dell’epoca.
Si può dire che i rimedi, ivi indicati, rimangano in gran parte validi pure per prima crisi che oggi
travaglia la nostra società. E ciò non soltanto per la sorprendente lungimiranza del politologo
siciliano, ma anche perché i popoli occidentali non sono mai usciti dalle difficoltà esplose negli
anni Venti. Anzi, a causa del rifiuto di certi valori d’ordine morale, essi sembrano essersi
impantanati in una via senza sbocco. È significativo, a tal proposito, che le diagnosi e le soluzioni
sturziane, comprese quelle dopo l’esilio, sconosciute o astutamente eluse dai nostri uomini politici,
siano tornate di scottante attualità nel 1981, a ben 22 anni dalla morte del sacerdote calatino, con
la promulgazione della Laborem exercens di Giovanni Paolo II. E, adesso, vengono riprese,
sottolineate e raccomandate nel magistero di papa Francesco, con prevalenza proprio di
quell’amore verso i poveri, che – come è noto – in quel memorabile Sabato Santo del 1895, durante
la benedizione dei tuguri di Roma provocò lo sradicamento del giovane Sturzo dagli studi filosofici
e suscitò in lui la conseguente, decisa conversione all’attività sociale e politica,
che egli, proprio a sostegno dei poveri, considerò impellente per i suoi tempi e integrativa al suo
ministero sacerdotale.
In questi nostri difficili tempi in cui si continua a parlare, sotto la stretta di una grave
emergenza sanitaria, di redditività delle imprese, di rigoroso accertamento dei costi sociali, di
opportuno adeguamento delle spese alle entrate, di senso di responsabilità nel lavoro e nella
direzione dell’impresa, le riflessioni e le raccomandazioni sturziane andrebbero rilanciate. Esse
potrebbero, senza dubbio, offrire utili criteri di orientamento per le nostre classi dirigenti.
Luigi Sturzo accetta e applica gli insegnamenti delle encicliche sociali con la consapevolezza di
chi sa che esse non intendono indicare mezzi e sistemi tecnici per risolvere determinati problemi,
bensì si propongono di salvaguardare i fondamentali diritti dell’uomo e di indicare delle strade
per migliori forme di vita associata. Egli sostiene che, mentre il magistero pontificio afferma in
forma categorica e permanente gli elementi etico-sociali di giustizia e di carità cristiana, i cattolici
sul terreno sperimentale e pratico della organizzazione sono moralmente obbligati a prendere le
iniziative adatte, al momento, per lo sviluppo degli istituti politici e per l’affermazione delle varie
correnti economiche di ciascun Paese o Stato (1).
Sturzo, in pari tempo, rifugge da formule perfettistiche e ritiene che «ogni sistema ha i suoi
pregi e i suoi difetti, e che, nel mondo limitato, mai un sistema è sufficiente a rimediare tutti i mali».
In nessuna epoca, a suo giudizio, sarà possibile trovare un equilibrio economico soddisfacente.
Egli ha un senso realistico delle cose e insiste sulla necessità che bisogna creare gli organi,
sperimentare le funzioni, ricostruire pezzo a pezzo il nuovo edificio economico. Non ha fiducia nei
progetti ideali di Stato. «Chi – egli scrive – crede di avere trovato la ricetta infallibile della futura
organizzazione felice su questo mondo, dove non ci saranno più né miserie, né oppressori, né
profittatori, né disoccupati, o è un illuso o un ciarlatano». Sturzo, in altri termini, non presta fede
alle grandi palingenesi dell’avvenire se non a quelle che siano morali e cristiane. E ribadisce spesso
che nella ricerca e nella realizzazione del bene comune, il primato dell’etica sulla politica e
sull’economia deve essere, a qualsiasi costo, salvaguardato.
Il fondatore del Partito Popolare Italiano, sulla scia della Dottrina Sociale della Chiesa, ritiene
che l’economia è una forma secondaria di socialità ed è in funzione della famiglia e dello Stato,
che, assieme alla religione, sono le forme primarie della società. L’economia, servendo di mezzo
«all’esistenza della vita individuale e sociale, e al naturale sviluppo delle facoltà umane e degli
organismi sociali, non può e non deve sottrarsi alle norme morali». L’organizzazione dell’economia,
comunque, secondo lui, è e rimane un problema centrale degli Stati moderni, che si dibattono fra
la crisi della democrazia e la tendenza alla dittatura. Dipende, infatti, dalla soluzione che si dà al
problema economico se le «libertà saranno mantenute e difese, ovvero combattute e abolite».
Si rifanno direttamente al magistero pontificio le sue teorie sulla dignità del lavoro,
sull’improrogabile riscatto dei lavoratori da una condizione servile, sul giusto salario, sul diritto
all’associazionismo, sulla opportunità dell’azionariato operaio, sulla collaborazione tra capitale e
lavoro («unità morale dell’impresa tra datori di lavoro e operai»), sulla cultura e la pratica del
rischio, sulle responsabilità dello Stato di fronte alle ingiustizie dell’industrialismo capitalistico,
sulla missione della Chiesa nel mondo del lavoro alla luce della giustizia e della carità evangelica.
Tutte queste idee alimentarono in Sturzo un impegno che non solo si circoscrisse alla Dottrina
Sociale della Chiesa, ma anche, attraverso molteplici iniziative, contribuì a darne garanzia di
realizzazione e di efficacia. Ne sono un concreto e ancora valido esempio le varie cooperative
organizzate in giovane età, il programma del Partito Popolare Italiano elaborato nella maturità,
e le riflessioni sociopolitiche ed economiche, sviluppate durante il lungo e sofferto esilio e negli
ultimi anni di vita. E ora, provvidenzialmente, raccolte e pubblicate online in una sessantina di
consistenti volumi, scaricabili gratuitamente presso il sito dell’Istituto Luigi Sturzo di Roma.
Eugenio Guccione
(1) L. Sturzo, La funzione economica dello Stato secondo il «popolarismo», in L. Sturzo, Del metodo
sociologico (1950) – Studi e polemiche di sociologia (1933-1958), Bologna, Zanichelli. 1970, p.
136.
Pubblicato su Servire l’Italia
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