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GIORNATA INTERNAZIONALE per l’eliminazione della violenza contro le donne

La violenza contro le donne iraniane

di Filippo Paziente

Chieti, 25 novembre 2022. La “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” è stata  istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1999. Fu scelto di celebrarla il  25 novembre, in memoria delle sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa), attiviste politiche della Repubblica Dominicana, barbaramente uccise il 25 novembre 1960,  per ordine del dittatore  Rafael Leònidas Trujillo, soprannominato, per la sua ferocia, la “Tigre dei Caraibi”.

Le donne che, come le sorelle Mirabal, sono attiviste politiche per difendere il proprio popolo oppresso da un regime dittatoriale sono maggiormente vulnerabili ed esposte alla violenza, ma hanno dimostrato e dimostrano di sapere combattere e resistere, fino al sacrificio della vita, per difendere diritti e libertà.

Nel XX e XXI secolo abbiamo conosciuto diverse forme di Resistenza dei popoli schiavizzati da dittatori, per la conquista o la riconquista della libertà :

– la Resistenza militare (di un Paese contro un esercito invasore: la Resistenza dell’Italia occupata dai tedeschi; la Resistenza dei russi contro l’invasione dell’esercito hitleriano; la Resistenza degli ucraini contro Putin…);

– la Resistenza partigiana (combattuta in tutti i Paesi invasi dai nazisti e dai fascisti);

– la Resistenza, contro le forti disuguaglianze sociali ed economiche, delle popolazioni  protagoniste dieci anni fa delle “primavere arabe”;

– la Resistenza del popolo curdo, contro il genocidio scatenato da Saddam Hussein e la repressione militare da parte di Erdogan, per espellerlo dalla Turchia; 

– la Resistenza del popolo afgano, in lotta contro i talebani per i diritti e la democrazia…

A tutte queste resistenze hanno partecipato, e partecipano, anche le donne, subendo violenze. Da più di due mesi assistiamo alla rivolta delle donne iraniane contro la Repubblica Islamica, per rivendicare i propri diritti. É  partita il 16 settembre dalle zone del Kurdistan, nell’Iran nordoccidentale,  dove viveva la ventiduenne studentessa Mahsa Amini, nata da una famiglia curda,  uccisa  perché non indossava correttamente l’hijab (il velo). Zan, Zendegi, Azadi (Donna, Vita, Libertà), lo slogan delle donne curde rivoluzionarie, è diventato lo  slogan delle donne iraniane.

Alì Khomenei, leader supremo del regime islamico, ha affidato il compito di stroncare la rivolta  alla “polizia della sicurezza morale”, il corpo delle forze dell’ordine istituito nel 2005 per arrestare  chi viola il codice di abbigliamento della legge iraniana, basato sull’interpretazione della Sharia.  I poliziotti e le poliziotte  arrestano non solo le donne, ma anche  studenti, giornalisti, attivisti e li sbattono nella famigerata prigione di Evin; caricano, manganellano e sparano,  uccidendo manifestanti di qualsiasi età. Il numero delle vittime cresce di giorno in giorno.

Milioni di persone in molte parti del mondo hanno espresso solidarietà alle ragazze di Teheran. In Italia, però, le manifestazioni di solidarietà  sono deboli. Molte le sindache pronte a compiere il gesto simbolico del taglio di una ciocca di capelli, imitando le iraniane. Hanno espresso solidarietà partiti e associazioni. Ma Giorgia Meloni non ha condannato, a nome del governo, il regime islamico; in un post si è schierata solo personalmente a fianco delle donne iraniane.  Non mi risulta che il Parlamento abbia  solidarizzato con il popolo in rivolta.

Sono le giovani donne iraniane residenti nel nostro Paese a  promuovere e guidare le manifestazioni contro il regime islamico. In un sit-in in Piazza del Campidoglio, una giovane reggeva un cartello su cui erano scritte le seguenti parole:

GLI ESSERI UMANI SONO MEMBRI DI UN TUTTO NELLA CREAZIONE DI UN’UNICA ESSENZA E ANIMA. SE UN MEMBRO È AFFLITTO DAL DOLORE, TUTTI I MEMBRI SOFFRONO. SE NON SAI SENTIRE IL DOLORE UMANO, NON PUOI DEFINIRTI TALE.

Queste parole, tratte da un antico poema persiano, sono incise su un cartello posto all’ingresso della Sala delle Nazioni, presso l’ONU a New York. Leggendole, mi sono venute in mente le parole di Pietro Benedetti, partigiano di Atessa fucilato a Roma nel Forte Bravetta  il 29 aprile 1944; sono contenute nell’ultima lettera scritta ai figli ed esprimono una comune concezione ideale dell’umanità:

“Dell’amore per l’umanità fate una religione e siate sempre solleciti verso i bisogni e le sofferenze dei vostri simili. Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la vita. Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo e, ovunque vi sono vostri simili, quelli sono i vostri fratelli.”

Il popolo iraniano continua a resistere e la rivolta, che ha coinvolto anche gli uomini, dilaga; ma, senza un aiuto concreto,  dopo una disperata resistenza, non si trasformerà in rivoluzione;  sarà repressa nel sangue e morirà, come le numerose “primavere arabe”.  Perché i Paesi occidentali non  interrompono i rapporti economici e politici  col sanguinario  Khomenei e non  comminano contro di lui forti  sanzioni, come quelle contro Putin? Perché il governo italiano non ritira il proprio ambasciatore in Iran?  Perché non interrompe i rapporti commerciali con Khamenei?

Tutte le persone sensibili al dolore del popolo iraniano  e di tutti i popoli oppressi da governi liberticidi, ricordano alle Potenze mondiali e alle Istituzioni internazionali, in questo giorno celebrativo, che hanno il dovere morale di eliminare anche le violenze contro le donne  attiviste politiche e le donne vittime delle guerre, per favorire l’avvento  di una umanità rigenerata,  pacifica e libera.

Foto RaiNews

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