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DONNA, VITA, LIBERTÀ. Il movimento delle donne in Iran

Donna-Vita-Libertà. Tre parole che hanno una storia millenaria

di Saedeh Lorestani

11, dicembre 2022

Donna-Vita-Libertà, lo slogan creato dopo l’uccisione di Mahsa Amini, una ragazza curda di 22 anni di origine iraniana da parte della Polizia della sicurezza morale e dell’hijab della Repubblica islamica, è oggi diventato il più grande messaggio femminista e di liberazione anti – rivoluzione.

La rivoluzione della Repubblica islamica dell’Iran fu vinta 43 anni fa, l’11 febbraio 1979, sotto la guida di Ruhollah Khomeini. Cancellò l’Iran di Mohammad Reza Shah Pahlavi e del figlio Shah Pahlavi, fino ad allora uno dei primi e più importanti paesi del Medio Oriente nel campo dell’industria, dell’innovazione, dell’istruzione, della fornitura di servizi governativi gratuiti agli studenti, del godimento da parte delle donne dei diritti e dei benefici sociali e della loro significativa presenza nell’alta politica, nel sociale, oltre che ad occupare importanti posizioni culturali ed essere presenti sui posti di lavoro.

Con l’inizio del dominio della Repubblica islamica in Iran, sotto la gestione di leader e funzionari di governo non adeguati alla gestione di un paese vasto e ricco di risorse naturali come l’Iran ed esclusivamente dipendenti dalle loro visioni superstizioni religiose, gradualmente le libertà sociali e il riconoscimento dell’individualità delle donne nella società sono stata limitate e l’hijab è diventato obbligatorio. Alle donne è stato tolto ogni potere di scelta mentre le condizioni dell’economia sono peggiorate a causa alla cattiva gestione delle risorse naturali. Le altre minoranze religiose sono state socialmente isolate, private dei diritti fondamentali, escluse dai lavori governativi, negata loro la possibilità di acquistare e di vendere e, come nel caso della minoranza Baha’i, persino, private di istruzione.

Dopo quarantatré anni di governo dittatoriale della Repubblica islamica in Iran, e anni di lotta da parte di giovani consapevoli dell’oppressione e dell’incompetenza della Repubblica islamica, e dopo l’uccisione di Mahsa Amini da parte della Polizia della sicurezza morale e dell’hijab, le donne iraniane hanno iniziato a combattere per propri diritti sociali fondamentali.

Così è nato il movimento per la libertà delle donne. Un movimento che oggi ha avviato un grande processo rivoluzionario degli iraniani contro il dominio dittatoriale della Repubblica islamica e che vede il sostegno della maggioranza del popolo iraniano. Sempre più cresce la consapevolezza che, oggi, in qualsiasi parte del mondo e in qualsiasi società e paese se non impediamo l’oppressione siamo destinati ad assistere al prevalere della dittatura in diverse forme politiche e sociali.

Per molti anni, la Repubblica islamica dell’Iran è stata in grado di assicurarsi la possibilità di governare solo reprimendo le manifestazioni politiche e sociali, giustiziando e imprigionando, inclusi molti scrittori e intellettuali politici, artisti critici, giornalisti, e attivisti politici e impegnati socialmente. Ancora si continua con queste pratiche violente e dittatoriali. Ma sono tre mesi che giovani informati e istruiti, uomini e donne, appartenenti a diverse classi ed etnie dell’Iran, hanno dato vita ad una lotta consapevole attraverso proteste e scioperi diffusi.

La risposta è stata quella dell’uccisione dei manifestanti contro cui sono state utilizzate armi da guerra di ogni genere. Secondo le statistiche ufficiali, fino al 6 dicembre scorso sono state uccise 473 persone, 64 delle quali bambini e adolescenti di età inferiore ai 18 anni, con molti di loro colpiti in pieno viso. Molti i manifestanti, con un numero significativo di studenti, sono stati arrestati e sono adesso in prigione senza poter contare su di un equo processo, senza avere il diritto ad essere difesi da un avvocato e nell’assoluto disprezzo della loro dignità umana, sotto tortura, costretti a confessare. Non possono contare su alcuna regola giudiziaria e rischiano esclusivamente la pena di morte, come sappiamo sia già il caso di 38 di loro. Sfortunatamente, una di queste prime condanne a morte è stata eseguita con un ventitreenne di nome Mohsen Shekari l’8 dicembre, due giorni prima della Giornata internazionale dei diritti umani.

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