Giorgia Meloni, presidente del consiglio: Il governo italiano è indignato di fronte alla condanna a morte di Mohsen Shekari
Antonio Tajani, ministro degli esteri: La prima condanna a morte di un manifestante dall’inizio delle proteste è un punto di non ritorno. L’Italia e il suo governo esprimono forte condanna.
Chieti, 13 dicembre 2022. Sono passati tre mesi dall’uccisione, il 16 settembre, della studentessa Mahsa Amini. Il regime islamista di Alì Khamenei, con la “polizia morale”, ha già fatto uccidere 500 manifestanti scesi in piazza per reclamare i propri diritti. Il governo italiano ha rotto il silenzio, con dichiarazioni ufficiali, soltanto dopo l’impiccagione del giovane Shekari, reo, secondo la sentenza della magistratura iraniana, di avere bloccato una strada e ferito un ufficiale durante il servizio. L’Unione Europea ha solo affermato che “è contraria alla pena di morte in ogni circostanza”. Negli Stati Uniti il portavoce del dipartimento di Stato si è limitato a definire l’esecuzione di Shekari “una escalation sinistra del regime”.
Parole, solo parole.
Il quotidiano “La Stampa” il 9 dicembre ha lanciato un appello all’ambasciatore in Italia della Repubblica islamica in Iran, al capo della magistratura iraniana e a Tajani, chiedendo:
– l’immediata liberazione della giovane Fahimeh Karimi, madre di tre figli piccoli, che, in prigione da oltre un mese e mezzo, rischia anche lei la condanna a morte, per avere sferrato dei calci a un paramilitare durante le manifestazioni;
– il rispetto dei diritti umani violati dalla Repubblica Islamica: ”Italia e Unione Europea non possono voltarsi dall’altra parte, ma devono esercitare continue e pressanti pressioni per garantire la salvezza e l’incolumità delle migliaia di arrestati nelle proteste di piazza.”
L’appello è già stato firmato da migliaia di persone. Ma le tardive dichiarazioni ufficiali del governo italiano, le deboli manifestazioni di condanna dell’UE e degli USA, e le migliaia di generosi firmatari dell’appello non faranno arretrare il regime iraniano che, per fermare i rivoltosi, definiti “terroristi”, ha già comunicato che moltiplicherà le impiccagioni (la magistratura ha già emesso le sentenze di condanna alla pena capitale per altri cinque individui).
L’impiccagione è un metodo di esecuzione capitale in vigore dal medioevo e tuttora in vigore in 54 Stati, tra cui gli Stati Uniti e la Cina. È stata utilizzata per eseguire la condanna a morte, il 16 ottobre 1946, di dieci nazisti giudicati responsabili dell’olocausto al processo di Norimberga, e per uccidere, il 30 dicembre 2006, il dittatore iracheno Saddam Hussein, soprannominato il “macellaio di Baghdad”, colpevole del genocidio del popolo curdo. Il regime islamico la usa per uccidere i propri cittadini!
Non parole, ma fatti concreti. Bisogna colpire il governo islamico nei propri interessi economici, isolarlo con forti iniziative politiche. Che cosa aspettano le potenze occidentali, che moltiplichi a dismisura le impiccagioni?
Filippo Paziente
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