Il nostro calo della crescita
di Guido Puccio
15, gennaio 2023
Anche se da un mese in Italia si parla solo di accise sulla benzina, il rallentamento dell’economia mondiale lascia chiaramente intendere che “il 2023 sarà un anno molto difficile per il mondo” come ha previsto, senza particolare enfasi, l’ottima direttrice del Fondo Monetario Internazionale Kristalina Georgieva.
Le tre più rilevanti grandi aree, USA, Cina e Unione Europea mostrano già segnali univoci anche se per cause diverse.
Negli Stati Uniti la stretta creditizia della banca centrale ha già comportato la flessione del PIL nel trimestre in corso.
Le esportazioni cinesi sono in caduta e per la prima volta dopo quarant’anni la Cina non supererà la media della crescita mondiale. La crisi sanitaria ha già provocato il blocco di numerose attività: la veduta di 500 navi in rada a Shanghai è l’immagine più eloquente.
In Europa la crisi energetica ha provocato sia l’inflazione che la caduta della produzione, con la affannosa corsa dei governi a sussidi e aiuti. Dirà pure qualcosa il fatto che i tedeschi hanno fatto più debito negli ultimi tre anni rispetto a quello degli ultimi cinquanta.
Il nostro Paese, che nel 2022 aveva registrato una ripresa superiore a Germania e Francia, registra già una caduta della produzione industriale per il terzo mese consecutivo(-2,6 per cento). E quando cede l’industria segue tutto il resto.
C’è poi una profezia di facile lettura in una analisi di questi giorni dello stesso Fondo Monetario : quando il rendimento del bond americano a dieci anni è vicino al rendimento dello stesso titolo a tre mesi, si annuncia una recessione. E’ già accaduto quattro volte dal 1992 ad oggi e i dati più recenti ci dicono che questo differenziale oggi è addirittura negativo.
In un contesto così problematico i più importanti dossier del governo italiano restano in lista d’attesa. A cominciare dal PNRR, il massiccio fondo europeo che ci è stato riconosciuto a condizione di fare le riforme e le opere, ben poche in cantiere. I progetti avviati sono limitati e il rischio di perdere le gigantesche risorse finanziarie è ormai reale…
Le riforme del fisco e della concorrenza erano pronte quando il Movimento Cinque Stelle e la Lega hanno fatto la scelta sciagurata di far cadere il governo Draghi, ma con il nuovo esecutivo manco se ne parla.
Per non dire dei dossier sempre aperti e che sono già costati miliardi di euro al contribuente italiano: Alitalia, Tim, Monte Paschi, Ilva di Taranto. Altro che decisioni rapide alla Reagan o Thatcher, tanto per citare i conservatori: al governo si discute incredibilmente se lasciare l’iniziativa al mercato o tornare alla nazionalizzazione. Conservatori alla panna montata direbbe l’avvocato Agnelli.
Certo, la corsa dell’inflazione sembra rallentare ma anche al netto dei costi dell’energia e dei generi alimentati il tasso sarebbe sopra il cinque per cento. Gli aumenti dei prezzi conseguono a offerta più limitata e più costosa perché oltre all’energia le linee di approvvigionamento sono più limitate e più onerose.
C’è poi il problema dei salari che perdono tutti i giorni potere di acquisto e se si vorrà evitare l’incognita delle mobilitazioni sociali qualcosa bisognerà pur fare.
Per ora siamo ancora al rallentamento della crescita, ma la recessione è alle porte e se l’inflazione non si supera ma coesiste con la crisi, ecco i venti taglienti sul sistema economico in grado di fare danni epocali, come è già accaduto.
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