Il paradosso del Papa amico, icona della nuova sinistra, addirittura leader mondiale della sinistra, sembra essere parte integrante della crisi in cui si dibatte la sinistra di governo
di Domenico Delle Foglie
22 gennaio 2022
Giusto per non essere fraintesi, è chiaro che le definizioni succitate non sono state né pensate, né coniate, né condivise da Papa Francesco. Piuttosto crediamo che lui segua solo i dettami del Vangelo e non abbia mai avuto voglia di essere identificato in una parte politica, inevitabilmente in rotta di collisione con gli altri soggetti politici, di qualunque matrice essi fossero. Di sicuro, però, alcune sue spinte, innanzitutto quelle a favore dell’accoglienza dei migranti e della salvaguardia dell’ambiente, così come la difesa delle minoranze etniche e il sostegno al protagonismo dei movimenti popolari, sono state immediatamente catalogate nell’agenda di governo della sinistra italiana e mondiale.
Per merito delle sinistre e demerito sostanziale delle altre parti politiche, dai moderati di centro ai riformisti, dai liberali alle nuove destre di governo (in Italia quella rappresentata dalla presidente Giorgia Meloni e dal suo partito, Fratelli d’Italia). Tutti meno attenti a una propria originale declinazione di quei temi che non andasse in linea di collisione con il magistero di Francesco.
Sta di fatto che mai come in questo momento storico, in Italia e in Europa la sinistra di governo è in affanno. Così che appare oggi in tutta la sua nitidezza, una crisi che l’acritico allinearsi alle sollecitazioni di Papa Francesco non ha evitato, anzi può aver persino acuito. Guai, infatti, a usare indiscriminatamente le parole d’ordine di altri, fosse pure una grande autorità morale. L’incapacità di introdurre una vera e originale mediazione politica, tale cioè da offrire una convincente motivazione laica alle scelte che si andavano maturando nelle prassi parlamentari, ha finito con l’erodere costantemente il consenso. Sino al punto limite di vedere il Partito democratico (nato dalla fusione a freddo fra ex comunisti e i cattolici democratici) insidiato proprio a sinistra dai Cinque Stelle.
Ovviamente nella nuova versione di Giuseppe Conte che, a modo suo, soppesa e corteggia il voto cattolico. Soprattutto, raccontano le cronache politiche, in vista di un grande appuntamento di rilievo nazionale, ovvero le elezioni europee del 2024. Occasione nella quale i Cinque Stelle avrebbero intenzione di schierare personaggi cattolici che abbiano manifestato una sostanziale convergenza con il Movimento su due temi decisivi: la scelta pacifista e del disarmo in relazione alla guerra in Ucraina e la difesa del reddito di cittadinanza come strumento indispensabile per la lotta alla povertà.
In attesa di capire se questo innamoramento di Conte nei confronti del mondo cattolico sarà premiato dalle urne, sta di fatto che la questione cattolica riemerge anche nella cosiddetta sinistra di governo, alle prese con una complicatissima rifondazione che passa attraverso il congresso del Pd, chiamato non solo a scegliere il nuovo segretario quanto a definire la propria natura di forza progressista.
Prova di questa riemersione della questione cattolica sono le parole di Goffredo Bettini, considerate un termometro dello stato di salute del Pd, soprattutto dopo il disagio e i malumori manifestati, a più riprese, dai cattolici democratici e in particolare dai cosiddetti “popolari”. In un lungo testo affidato a “Repubblica”, Bettini lamenta “la perdita di un baricentro umanistico” da parte del Pd. Un baricentro a suo tempo costruito sulla lezione personalista di Maritain e di Moro e che oggi occorrerebbe ricostruire attraverso la ricerca di un “oltre” che interpella tutta la sinistra. Al Pd Bettini attribuisce la responsabilità “dell’acquiescenza a fronte della modernità e la rinuncia alla critica dello sviluppo odierno”.
E a tale riguardo chiama in causa il Magistero di due Papi, Benedetto XVI e Francesco come i protagonisti di “ogni scintilla di rivolta morale e politica”. Persino Papa Benedetto, per i cosiddetti “valori non negoziabili” (vita, famiglia e libertà di educazione) viene utile, in questa fase, per il “suo rifiuto della suadente dimensione mondana”, all’interno di quella che Bettini definisce una “rivolta conservatrice”. Naturalmente grandissimi meriti vengono attribuiti a Francesco per la sua sfida alla mondanità “con l’azione concreta, tesa ad aprire i cuori, con l’esempio, non solo dei cattolici, piuttosto dei non credenti e di tutte le persone di buona volontà”.
Dunque, la questione cattolica torna al centro della rifondazione del Pd. Lo crede Bettini che conosce bene il peso delle sirene di Giuseppe Conte al quale forse non vuole regalare spazio d’azione nei confronti dei cattolici. Comunque, è singolare che la cultura politica e il voto dei cattolici italiani, dopo l’eclissi della Democrazia Cristiana, dopo la grande diaspora, dopo lo sfondamento del relativismo etico, dopo l’esplosione dell’individualismo, dopo l’abbandono di tutte le appartenenze, contino ancora qualcosa per la sinistra. È forse questo il segno più tangibile della profondità della crisi di senso della sinistra di governo. E non solo.
Domenico Delle Foglie
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