Progetto promosso da Comune di Teramo Italia Nostra
Teramo a Tavola. Una Cucina Italiana è il primo step di un progetto più ampio del Comune di Teramo per la valorizzazione del patrimonio, materiale e immateriale, della Città e del suo Territorio, progetto che prevede una riorganizzazione della macchina gestionale che chiama in causa un approccio integrato e innovativo. A tale riorganizzazione si affianca un capitolo digitale, strumento adatto a sanare la frattura fra i cittadini e il proprio patrimonio che si è accentuata dopo i terremoti ed è stata suggellata dalla chiusura degli edifici e dei luoghi di conservazione.
L’obiettivo specifico del progetto Teramo a Tavola. Una Cucina Italiana, e della mostra che ne sintetizzerà i risultati, è illustrare la storia e le caratteristiche distintive (sostenibilità, matrice rurale, elaborazione borghese), della gastronomia teramana. Di quest’ultima si evidenziano punti di contatto e divergenze rispetto alla storia della gastronomia italiana e si inquadrano di volta in volta i fatti gastronomici in quelli più ampi della storia locale e nazionale al fine evocare, a partire dalla prospettiva del cibo, le vicende della cultura materiale, dello scenario culturale e più in generale della storia della Provincia Teramana.
Il primo passaggio è il lavoro sulla Piattaforma partecipativa. Attraverso un’azione guidata e l’organizzazione di ateliers aperti alla cittadinanza, viene effettuata una ricognizione sull’intero ricettario teramano (inteso in senso ampio, che si estende quindi al territorio provinciale), comprendendo tutti i livelli dalla cucina, da quella della festa alla cucina quotidiana e popolare. Lo strumento, che si configura come modello d’avanguardia e progetto pilota in Italia destinato a dialogare con programmi omologhi a livello europeo, è quello della raccolta dati sistematica sulle ricette (ingredienti e lavorazione) basato sulla partecipazione attiva della cittadinanza, che mediante la piattaforma invia le proprie ricette, anche quelle poco conosciute, le varianti locali e familiari di ricette note e pubblicate, oppure quelle la cui versione accreditata non è giudicata corretta, il tutto in formato scritto, ma anche attraverso contributi audio e video. Sulla piattaforma sarà infatti possibile caricare formati di varia natura o anche richiedere di essere intervistati dal vivo.
L’integralità dei materiali, comprese le registrazioni delle testimonianze orali, sarà oggetto di archiviazione e costituirà in tal modo il primo Archivio pubblico digitale del Patrimonio Gastronomico Teramano. Lo scopo di questo censimento è arginare il fenomeno di perdita della memoria gastronomica e il repertorio che ne risulterà sarà l’oggetto di un’analisi sistematica, che permetterà di incrociare questi dati con quelli provenienti dalle indagini d’archivio e dalle ricerche storiche.
Il progetto è infatti il risultato di un lavoro d’équipe complesso, di cui il crowdsourcing non è che il primo passaggio, e che si radica fortemente sul territorio coinvolgendo molti specialisti locali (a partire dagli archivisti dell’Archivio di Stato di Teramo fino ai docenti e agli alunni del Conservatorio di Musica della Città, alla Biblioteca Delfico…).
A questi si integrano professionisti di fama internazionale, coinvolti nel progetto esclusivamente in virtù della loro riconosciuta competenza sugli argomenti trattati e chiamati a collaborare strettamente con gli enti e gli studiosi locali, al fine di creare le condizioni favorevoli a un “corto circuito virtuoso” e a una circolazione orizzontale della conoscenza che superi la contrapposizione fra centri e periferie del sapere.
Le ricerche condotte da questo gruppo di esperti, al lavoro già da alcuni mesi, hanno dato già risultati entusiasmanti sul versante dei documenti d’archivio e della ricostruzione storica che, assieme ai risultati della campagna partecipativa, consentiranno di restituire al grande pubblico un’immagine totalmente inedita del patrimonio gastronomico teramano e di decretarne l’ingresso sulla scena gastronomica nazionale italiana.
I risultati di questa operazione costruita attorno alla campagna partecipativa, alle indagini archivistiche e alle ricerche storiche, saranno restituiti alla cittadinanza sotto forma di una grande Mostra, il cui catalogo integrerà l’Archivio digitale del Patrimonio Gastronomico Teramano (che sarà messo a disposizione durante l’evento espositivo e resterà aperto alla fruizione pubblica anche dopo la sua conclusione, in quanto strumento di lavoro essenziale per ogni indagine futura sul patrimonio gastronomico teramano).
Teramo a Tavola. Una cucina italiana è quindi il terreno su cui dimostrare che la Città è in grado di produrre, direttamente, cultura di alto livello e che lo può fare mettendo in piedi un’équipe collaborativa che federa le intelligenze e le competenze del territorio. Ma consente di raggiungere anche altri obiettivi strategici, collocabili su tre livelli differenti.
In primo luogo, la conoscenza della storia gastronomica che sarà veicolata dalla mostra è la base su cui costruire un marchio utile a promuovere chi fa cucina teramana oggi e quindi chi la vende. Perché non si può promuovere un prodotto sul mercato se non lo si conosce a fondo.
La seconda ricaduta è su un altro livello: la collocazione di quest’azione culturale nel gruppo dei pochi progetti pilota di questo genere, gli garantirà una visibilità nazionale ed europea, come hanno sottolineato in occasione della presentazione della piattaforma anche Valentina Carola, direttrice dell’Archivio di Stato e Massimo Montanari.
In terzo luogo, su un fronte ancora diverso: la prospettiva italiana, per parafrasare il titolo del progetto, in cui Massimo Montanari intende collocare la storia gastronomica della Città e del territorio teramano (ricordiamo che ci riferiamo qui alla cucina di tutta la provincia e ci aspettiamo pertanto una partecipazione da tutto il Territorio) aprirà la porta di accesso di questa cucina, ancora totalmente locale, al palcoscenico nazionale. Ciò vuol dire far salire la cucina teramana a un livello di interesse nazionale, seguendo la traccia quanto avvenuto in passato per altre cucine italiane, sulle quali si è fatta un’operazione analoga di conoscenza e di valorizzazione (come è il caso delle città emiliane, Parma e Bologna ad esempio).