di Filippo Paziente
Chieti, 7 marzo 2023. L’8 marzo ricorre la Giornata internazionale dei diritti della donna, per ricordare i progressi in ambito economico, politico e sociale, raggiunti dalle donne in tutto il mondo.
È una festa celebrata in Italia, per la prima volta, nel 1922. Oscurata per vent’anni dai fascisti perché considerata troppo di sinistra, fu reintrodotta dopo la Liberazione e celebrata l’8 marzo 1946 con la distribuzione di un fiore, la mimosa, proposta come simbolo dalla staffetta partigiana comunista Teresa Mattei. Convinse i compagni affermando che era un fiore povero e poteva essere raccolto a mazzi gratuitamente. Le ricordava la lotta sulle montagne, perché i partigiani lo regalavano alle staffette.
L’8 marzo è celebrato anche come Festa della Donna. Ma in Italia e in molte parti del mondo le donne non possono far festa scambiandosi sorridendo le mimose, perché ancora vittime di discriminazioni e violenze. Non possono far festa:
– le italiane, per l’orribile sequela di femminicidi, la persistente disparità di genere sul posto di lavoro, nell’istruzione, nell’occupazione dei ruoli di potere…
– le donne profughe superstiti che, genuflesse accanto alle bare allineate sul campo del palazzetto sportivo di Crotone, straziate dal dolore, piangono la perdita dei loro cari, dopo la riduzione a rottame del motopeschereccio su cui, in fuga dal loro Paese sperando in una vita migliore, avevano attraversato il mare Mediterraneo sulla rotta Smirne-Crotone;
– le iraniane che, gridando lo slogan Donna, Vita, Libertà, continuano la rivolta contro Il regime islamista di Alì Khamenei, per reclamare i propri diritti, alcune subendo l’arresto e l’impiccagione;
– le afgane, recluse in casa dai talebani che, tornati al potere nell’agosto del 2021, dopo la sconfitta e la fuga degli Stati Uniti e degli alleati occidentali, che avevano avviato un processo di emancipazione femminile, hanno restaurato con la violenza il regime islamico;
– le donne rifugiate in Libia, in fuga, pagando gli scafisti, dai lager gestiti da organizzazioni criminali, private di cibo e cure, torturate e sottoposte a ripetute violenze sessuali;
– le pakistane, che fuggono da una società patriarcale, ove sono fortemente discriminate e subiscono frequenti femminicidi: gli uomini hanno un potere assoluto su di loro e, se vivono in un paese occidentale, quando scoprono di non potere più esercitare un controllo totale sulle donne della loro famiglia, le uccidono (come la povera diciottenne Saman Abbas, uccisa dai genitori perché si era opposta a un matrimonio combinato);
– le ucraine, costrette a fuggire in massa dal loro Paese, invaso e distrutto dai russi, o a morire sotto le bombe;
– le russe, che continuano a chiedere la fine immediata della guerra ed esprimono solidarietà al popolo ucraino, con manifestazioni represse dalla polizia di Putin, mettendo a rischio il proprio lavoro e la propria vita.
Lungo è l’elenco.
La ricorrenza dell’8 marzo sia celebrata anche per denunciare che le donne, in diversi Paesi del mondo, sono ancora vittime di discriminazioni e violenze, costrette a fuggire dalle guerre e dalla fame. Scambiamoci pure festosamente le mimose, per esprimere la volontà di accoglierle e integrarle e di sostenere la loro battaglia civile, per la conquista o la difesa dei propri diritti.
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