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LA MATTINA DEL 13 GIUGNO, festa di S. Antonio di Padova, avemmo un risveglio tragico

Scoppiarono questi depositi di ordigni bellici e causarono molti danni. Meno male che non scoppiarono tutti perché, altrimenti, i danni e gli inconvenienti sarebbero stati molto più gravi. Si disse che un nostro concittadino, Rizieri Bonomo, coraggioso e temerario avendo visto che le micce venivano accese da due soldati tedeschi che, dopo aver compiuto questo loro compito, fuggivano in bicicletta, li seguì cautamente, riuscì a spegnerne molte e così non scoppiarono.

Atri, 24 marzo 2023. È con queste parole che Giuseppe di Filippo ricorda l’ultimo atto dell’occupazione tedesca nella città di Atri nel teramano che si svolse tra il settembre del 1943 e il giugno del 1944. La terra bruciata era una tattica militare attuata per la maggior parte dall’esercito della Wehrmacht per ritorsione verso il popolo italiano, considerato traditore, e per intralciare gli Alleati che avanzavano oltre le linee abbattute. L’atto eroico di Bonomo, consistito nel disinnescare le mine che avrebbero distrutto gran parte del paese, è ricordato da pochissimi. C’è poco di scritto su questo episodio ma molto di orale, molte memorie, che però sono molto diffuse solo ad Atri. Questo lavoro mira a raccontare la storia di Di Filippo non solo attraverso il solo strumento del testo accademico ma anche con il meno consueto fumetto. La scelta del fumetto, influenzata dallo spirito della Public History, ovvero da quel movimento nato negli U.S.A negli anni Settanta con il proposito non solo di formare nuove professioni per dare impiego agli storici appena usciti dall’accademia, ma anche di divulgare la storia oltre le mura accademiche, «fuori dalla torre d’avorio»1 dove lo storico, in anni di professionalizzazione della disciplina storica, aveva finito per trovarsi isolato dal pubblico. La Public History, così, si proponeva di rivolgersi ad un pubblico diverso da quello accademico ed universitario, ma anche ad un pubblico più variegato, composto dall’intera società. Ma non è il solo cambio di pubblico la novità apportata dalla PH. Essa punta a coinvolgere il pubblico nella fase di ricerca, in modo che quest’ultimo non percepisca il prodotto come proveniente dall’alto delle istituzioni ma che sia più vicino a loro, e tutto questo secondo un’ottica di shared autority: letteralmente “autorità condivisa” tra i ricercatori e il pubblico partecipante. Da quest’ultimo, infatti, scaturisce una domanda di storia che innesca tutto il processo di ricerca e produzione di un prodotto mediatico utile a rispondere a questa domanda. Ma cosa è una domanda di storia? In sostanza si tratta di connettere il fatto storico con la sua interpretazione2 ovvero la richiesta della comunità al public historian di spiegare un fatto del loro passato tramite una interpretazione che può assumere varie forme multimediali, la quale può essere raggiunta solo condividendo il processo di creazione della stessa con il pubblico. A questo punto urge fare distinzione tra passato e storia: il primo si differenzia dalla seconda poiché rappresenta una visione soggettiva della propria storia influenzata dalla propria memoria e ideologia, il public historian interviene sul passato della comunità acquisendo testimonianze per poi passarle ad una lente critica ovvero confrontarle tra loro, verificarne la veridicità, il tutto con i classici strumenti della storiografia3 . Ciò che si ricava, alla fine, è una storia ricostruita con criteri corretti dal punto di vista del metodo e che viene restituita alla comunità ripulita dalle distorsioni causate dalle diverse memorie: si può dire quindi che una delle domande che vengono fatte dalla comunità alla PH sia quella della restituzione della memoria, ed è proprio quello che si vuole tentare con questo lavoro. Nella tesi, poi, è presente un altro aspetto tipico della PH: quello di rappresentare la storia utilizzando mezzi di comunicazione vari (anche qui vige una shared autority tra ricercatori ed esperti di comunicazione) come il cinema, la televisione e per l’appunto anche il fumetto, che possano raggiungere il più vasto pubblico possibile, di quello non abituato o non più abituato ai testi accademici. Per molto tempo il fumetto è stato oggetto di molte critiche: pedagogisti, insegnati e psicologi lo hanno relegato a prodotto riservato al solo consumo infantile o per analfabeti. Questa critica derivava dal prevalere delle immagini rispetto al testo, ed era molto sentita fino alla seconda metà del 900 poiché proveniente da quella classe intellettuale più affezionata a modelli letterari per l’insegnamento. Dalla fine degli anni Settanta il fumetto incomincia ad essere rivalutato, il fenomeno graphic novel avviato da artisti come Will Eisner ha garantito al fumetto un posto anche nelle librerie anziché nelle sole fumetterie ed edicole, per via del suo supporto simile al libro che deriva dall’invenzione del comic book degli anni Trenta. Soprattutto, però, cambiavano i contenuti che erano, per così dire, più “adulti” e si guadagnavano l’attenzione di lettori e intellettuali più interessati alla forma più letteraria di tutte, il romanzo. Il fumetto underground, che assume lo status di arma contro il potere e il costume di massa tramite satira e deformazioni grafiche psichedeliche; riviste come “Linus” con fumetti e articoli scritti da autori come Calvino o Eco; e in fine l’affiorare di corsi universitari sul fumetto come forma d’arte e come veicolo di contenuti sono stati tutti fattori di un sempre crescente interesse per il fumetto in quanto costruzione culturale e narrativa complessa, non solo per i temi ma anche per la relazione che intercorre tra i suoi elementi costitutivi.

Si pensi per esempio al rapporto tra le diverse vignette sulla tavola: una sorta di montaggio come quello dei frames cinematografici che serve a dare una continuità alla storia; oppure tra la grafica e il testo come la forma delle lettere (il lettering) restituisce al lettore, insieme alla forma della nuvoletta che circonda il testo, il timbro e il volume della voce del personaggio. E questo avviene non solo nei ballons ma anche nelle onomatopee, quelle scritte che intendono riprodurre un rumore: esse tramite il rapporto tra testo e forma rimandano ad un suono che il lettore riesce ad immaginare. Infatti, tutte queste relazioni hanno effetto anche grazie alla complicità del fruitore e le sue esperienze pregresse. Il fumetto, quindi, cerca di imitare media audiovisivi come il cinema e il teatro ma allo stesso tempo è un medium unico: se da una parte imita altri media, dall’altra il limite della staticità derivante dalla carta stampata costringe il fumettista a trovare degli escamotages per rendere funzionale la caratteristica di quel determinato medium e farla propria del fumetto. Il risultato è un modo originale per riprodurre sensazioni audio visive nel limite della sola tavola statica che funziona grazie alla complicità tra lettore e autore, dove entrambi mettono le proprie psicologie della percezione e le proprie esperienze da altri media condivise facilmente riconoscibili. E tra questi codici ne abbiamo raccolti alcuni ricorrenti nel fumetto di genere storico analizzando esempi o dalla voce di altri fumettisti, per un lessico del fumetto storico che assolva ad un equilibrio tra la corretta interpretazione dei fatti e una accattivante messa in scena per attrarre e interessare alla storia il più numeroso pubblico possibile. La capacità del fumetto di assorbire caratteristiche e contenuti di un mezzo di comunicazione diverso e le correnti di pensiero delle masse di lettori di un determinato periodo storico lo rende una fonte storica, perché nelle sue pagine si riflettono costumi, usanze, idee diffuse in una determinata società e in un determinato periodo di tempo, reinterpretate attraverso le forme caratteristiche della vignetta e della nuvoletta. Questa caratteristica ha quindi permesso al fumetto di entrare in contatto con i generi, tra cui quello storico, già collaudato in romanzi e film, ma soprattutto di entrare in contatto con quel clima pedagogizzante venutosi a costruire con governi che intendevano fare uso pubblico della storia: utilizzare gli eventi del passato per legittimare le azioni del presente e creare consenso, quindi, intorno al governo attuale o ad una idea, oppure in quei climi di secondo Novecento dove le potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione, unite alle correnti di pensiero della PH, hanno fatto maturare un contesto pedagogizzante per le masse al di fuori dell’accademia e nel rispetto di un equilibrio tra fattualità e intrattenimento.

Questo lavoro si muove su due direttrici: la prima è l’intento di ricostruire l’origine del fumetto di genere storico e di individuare quali espedienti grafici e narrativi hanno costituito nel tempo la grammatica utilizzata per comporre le tavole di questo genere di fumetti; l’altra è quella di portare all’attenzione del più numeroso pubblico possibile una interessante storia di Resistenza poco nota al di fuori della comunità che la ricorda. In fin dei conti però queste linee non sono del tutto parallele perché ad un certo punto di questa tesi esse si incontreranno: si propone infatti, alla fine della trattazione, un adattamento a fumetti dell’episodio ricercato. Tale lavoro ha come obiettivi quello di conservare la memoria di un paese e di esportarla anche al di là di esso, in modo da arricchire la memoria collettiva di una intera regione se non di una nazione stessa, e di farlo in un modo inusuale ‒ è vero ‒ ma che ha dei precedenti collaudati, come vedremo più avanti, e che ha solide radici teoriche in un movimento che porta la storia a tutti, ovvero quello della Public History. In questo senso il fumetto La città che non cadde rappresenta la sintesi delle due direttrici di questo elaborato.

Note:

1 Farnetti P. B. Public history: una presentazione in Bertella Farnetti P.B. – Bertucelli L.- Botti A. (a cura di) Public history. Discussioni e pratiche Mimesis Edizioni, Milano, 2017 p. 40

2 Bertucelli L. La Public History in Italia. Metodologie, pratiche, obiettivi in Farnetti, Bertucelli, Botta (a cura di) Public history. Discussioni e pratiche…cit

3 Idem

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