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QUALE DIREZIONE?

La famiglia attraverso deve fornire e non impartire

di W. Centurione

Ci hanno sempre insegnato, che la vita è un dono sin da piccoli quando non ne avevamo nessuna consapevolezza. Tanto da bambini quanto da ragazzini, si pensa come è giusto che sia a tutte le distrazioni che per quanto superficiali siano, appartengono all’età evolutiva.

Nel corso del tempo, c’è chi ha avuto la fortuna poi di trasformare la propria crescita in modo sano ed equilibrato divenendo nel frattempo una persona di sani principi, con la testa sulle spalle perché guidata (forse accompagnata sarebbe il termine giusto) da un’educazione di base che gli ha rimandato in ogni avversità, nei diversi periodi della sua vita gli stimoli giusti per far fronte ad ogni tipo di problema.

Contrariamente ad altri che la loro crescita l’hanno vissuta in modo complicato: le famiglie non presenti o addirittura troppo presenti, che invece di regalare gli strumenti e insegnare loro come utilizzarli per condurre una vita umanamente giusta e corretta sono state di cattivo esempio o incapaci di donare il senso del rispetto, del rigore e della gioia nelle semplici cose.

Il confronto sul dono della vita nasce dall’esigenza di capire, per quanto ci è possibile, il perché di tanti e troppi eventi che le cronache nere sono costrette a raccontarci ogni giorno. Ed ecco che tra amici e parenti nel bel mezzo di un adunata, ci si ritrova a voler dare una spiegazione (anche se da profani) a tutto quello che negli ultimi vent’anni sta accadendo.

Negli ultimi mesi e con una frequenza assurda, ovvero un giorno o si e uno giorno no, le televisioni e i giornali parlano di omicidi, suicidi, ma anche e soprattutto di omicidi-suicidi. Quest’ultimi eventi sembra abbiano preso il sopravvento sui fatti più disparati di cronaca.

Non c’è un solo giorno in cui non mi chieda perché. Perché tutto questo? E allora ecco il discorso sul dono della vita riaffiorare costantemente. Se è un dono questa nostra vita imperfetta, perché dobbiamo buttarla?

Alcuni esperti, attribuiscono il fenomeno dell’omicidio-suicidio a situazioni dal duplice aspetto emotivo: se da un lato il caregiver non è più in grado di sopportare la sofferenza della persona assistita dall’altro egli stesso non riesce a reagire alla mancanza della persona appena uccisa.

Altri riconducono l’omicidio-suicidio ad aspetti prettamente sentimentali come nel caso della gelosia: “se non posso averti io non deve averti nessuno”. E poi dopo l’omicidio sempre il fatto che non sa reagire alla mancanza della persona appena uccisa si toglie la vita.

Molti altri, riferiscono che la maggior parte delle forme di omicidio-suicidio sono associate a stati depressivi e ad aspettative negative verso il futuro e poggiano su relazioni caratterizzate da violenza domestica. Violenza che dopo essere stata perpetuata ai danni della vittima, risulta essere l’arma per auto-annientarsi.

Dalle diversi analisi, ne esce fuori sempre l’aspetto gestione di se e di chi sta intorno nell’ambito di problemi che non si anno risolvere. E se tra le righe precedenti ho fatto cenno agli strumenti che la famiglia è in grado di dare mi riferivo proprio a questo.

Se non ti viene insegnato ad utilizzare un’arma, quale può essere, il rispetto per sé stessi ma soprattutto per gli altri (in questo caso chi si per decidere della vita degli altri, chi sei per avere la prepotenza di togliere la vita agli altri), l’autocontrollo per reagire in un modo piuttosto che in un altro, la voce per non sopraffare gli altri e il corpo per non menare con calci e pugni, per non impugnare una pistola, allora la famiglia cosa si forma a fare?

Lasciatemi dire la mia, anche se non voglio avere la presunzione di risolvere una questione tanto delicato quanto frequente e mettermi al pari di chi ha competenze per cercare di farlo: se avessimo avuto tutti una famiglia, capace di dotarci di strumenti validi, anche i problemi economici più grandi, anche la gelosia più scottante, anche la sensazione che il mondo stia finendo non giustificherebbero il buttar via un dono così prezioso come la vita.

Se poi l’autore dell’omicidio-suicidio è un malato, allora le cose cambiano e pure le prospettive dalle quali si deducono certi discorsi, perché lì si entrerebbe totalmente in un altro mondo.

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