I PAPI E LA CHIESA della fine dei tempi
Nella profezia di san Malachia di Don Marcello Stanzione. Recensione di Annamaria Maraffa
Il Nuovo Arengario, 27 Maggio 2023
È fresco di stampa il libro di don Marcello Stanzione intitolato I papi e la Chiesa della fine dei tempi. Nella profezia di san Malachia, edito da Sugarco.
Per i cattolici il Papa è segno di unità delle varie Chiese particolari, le diocesi, ed è il vicario di Cristo in terra. Con il termine Papa (dall’ebraico Abbà, cioè padre) si indica oggi il sommo pontefice che, in quanto successore di San Pietro nel governo universale della Chiesa, ne è insieme pastore e padre.
Non sempre l’appellativo papa fu riservato esclusivamente ai sommi pontefici; inizialmente erano così chiamati anche semplici preti. Il primo pontefice a chiamarsi Papa fu San Siricio (384-399). Poco dopo, Ennodio Felice Magno (473-521) riservò l’appellativo di papa quasi unicamente a coloro che sedevano sulla cattedra episcopale di Roma. Infine, Gregorio VII (1073-1085) nel 1076 estese il titolo di papa a tutti i suoi predecessori, a partire dall’apostolo Pietro.
Da quel primo papa fino all’attuale, Francesco, sono ben 266 i papi avvicendatisi sulla cattedra romana: diversi per provenienza, nazionalità, cultura, personalità e valore umano, intellettuale e spirituale, furono tutti testimoni di una identica fede.
Sono attribuite a San Malachia le profezie riguardanti i papi che si dovrebbero avvicendare sul trono di Pietro prima che il mondo abbia fine. Sono 112 motti per 112 Pontefici di cui definiscono le caratteristiche. Queste profezie, specialmente quelle sugli ultimi papi sono analizzate da don Marcello Stanzione.
L’arcivescovo inglese, primate d’Irlanda, il cui vero nome era O’Morgair (Armagh 1094- Clerveaux 1148), autore di una vita di S. Bernardo, rinunciatario all’età di 44 anni dell’alto ufficio episcopale per ritirarsi e dedicarsi alla vita monastica, fu quasi certamente estraneo alla stesura dei vaticini, pubblicati nel 1595 dal benedettino Arnold Wion sotto il titolo di Lignum vitae, redatti forse per il Conclave del 1590 che avrebbe eletto Gregorio XIV. È stato osservato infatti come per i primi 74 papi, ultimo dei quali Urbano VII (1590), le sentenze risultino pertinenti, essendo invece vaghe per i successivi, per i quali l’adattamento è trovato in base a posteriori sforzi interpretativi dei rispettivi nomi, delle date di elezione, degli stemmi, delle vicende del pontificato, delle connotazioni psicologiche, ecc. Il conteggio, tuttavia, è indubbio: tanti Papi quanti all’incirca ne contiene il periodo che si conclude col giro di boa del secondo millennio.
Veniamo a parlare del nostro secolo: Ignis ardens sarebbe Pio X per la sua carità; Religio depopulata, Benedetto XV per gli avvenimenti della Prima guerra mondiale; Fides intrepida, Pio XI per la condanna di Hitler e della sua politica; Pastor angelicus, Pio XII per il suo aspetto ieratico, che lo faceva apparire come sospeso fra Cielo e Terra.
Secondo la profezia di San Malachia, in seguito non vi sarebbero che sei Papi: Pastor et nauta, che, come Nunzio apostolico prima e poi come ‘Papa buono’, possiamo riferire a Giovanni XXIII; Flos Florum, da vedere in Paolo VI, De medietate lunae (della durata di una luna?), Giovanni Paolo I; De labore Solis (Il travaglio del sole), in Giovanni Paolo II; e infine gli ultimi due: De gloria olivae per Benedetto XVI e Petrus romanus per Francesco I.
Con il secondo Pietro finisce la Chiesa, poiché Roma viene distrutta, e finisce la storia stessa della terra:
“In persecutione extrema sacrae romanae ecclesiae sedebit Petrus rimanus”, dice il profeta, che per l’ultimo dei pontefici non redige un semplice motto, ma si diffonde in un oracolo più articolato “qui pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, civica septis –collis diruetur, et Iudex tremendus judicabit populum suum. Amen”.
Se Roma, epicentro del cattolicesimo, con tutto quello che possiede e con tutto quello che rappresenta, viene meno, crollando sotto i colpi della persecuzione estrema, tutto il mondo va in rovina, è distrutto, si estingue per l’eternità. L’anima religiosa scorge tuttavia, nello scenario della desolazione totale che inghiottisce l’uomo insieme alla Terra che lo ha visto nascere, la venuta del Giudice che supera ogni volere come ogni velleità umana.
La Profezia di Malachia è un testo, sul quale sono scritte innumerevoli pagine per avvalorarne o smentirne la credibilità, di cui la prima pubblicazione conosciuta risale al 1595, quando il benedettino fiammingo Arnold de Wyon la inserì nell’opera in cinque volumi Lignum Vitae, una storia dei personaggi illustri dell’ordine monastico fondato da san Benedetto. Nel secondo volume viene citato san Malachia, l’arcivescovo di Armagh in Irlanda che morì nel 1148 a Chiaravalle con l’assistenza spirituale di san Bernardo, il quale successivamente ne scrisse la biografia, descrivendo anche il viaggio che il santo irlandese aveva compiuto nel 1139 a Roma per incontrare papa Innocenzo II.
Secondo la leggenda, proprio durante questa permanenza romana Malachia avrebbe ricevuto in visione un elenco di 111 motti relativi ai papi che sarebbero succeduti a Innocenzo, a cominciare da Celestino II nel 1143. De Wyon non offrì alcuna spiegazione sulla modalità con cui era entrato in possesso di quella che lui definì la profezia dei sommi pontefici. Si limitò a precisare il rapporto epistolare tra Malachia e Bernardo, del quale ci restano tre lettere, e a definire da molti desiderata la divulgazione del testo integrale di quei motti.
In realtà gli studiosi hanno concordato, sin dalla metà del Seicento, sull’idea che sia falsa l’attribuzione all’arcivescovo di Armagh. I motivi sono molteplici: in particolare, la totale assenza nei quattro secoli precedenti di notizie riguardo a questa profezia e la constatazione che i motti risultano molto precisi per i papi fino al sedicesimo secolo e decisamente più enigmatici per quelli successivi. Recentemente, lo storico Lorenzo Comensoli Antonini ha però rinvenuto negli archivi dell’Accademia Carrara di Bergamo una lettera di Maurizio Cattaneo, segretario del cardinale bergamasco Giovanni Girolamo Albani, al pronipote di quest’ultimo, Claudio Albani, nella quale si ragiona sull’ipotesi che il cardinale Albani divenisse papa. Tra i riferimenti veniva citata anche la profezia di Malachia: “Io dico bene a V ( ostra ) S ( ignoria) che ci sono di boni riscontri per noi, ma due gliene voglio dire, che son profetie non moderne ma antiche; la prima di Malachia che contiene più di 200papi che dice De rore coeli che si applica mirabilmente al nostro, et la passata diceva: Axis in medietate signi, et quella che seguirà dopo: Ex antiquietate urbis”.
La data della missiva, 27 giugno 1587, consente di retrodatare di almeno sette anni, rispetto al volume di de Wyon, la pubblica conoscenza dell’elenco di motti, con la perfetta corrispondenza della breve sequenza citata.
L’indicazione dei 200 papi, un’approssimazione di cui non c’è ulteriore dettaglio ma che puntualizza la notevole lunghezza dell’elenco, consente di affermare che in ambedue i casi si tratta della medesima lista. Comunque, prescindendo dagli interrogativi sulla qualità della profezia, resta il fatto che proprio nel nostro tempo si è giunti alla fine dei motti, poiché il 111° riguarderebbe papa Ratzinger, che è defunto il 31 dicembre 2022, che per nome ha scelto quello di Benedetto, ispirandosi al santo che incredibilmente si trova proprio al 16° posto della sequenza di statue cui abbiamo accennato. Ed è curioso vedere che al suo fianco si trova Bernardo, che fu l’ultimo confidente di san Malachia, mentre agli estremi di questo ideale poker sul colonnato destro di piazza san Pietro ci sono sant’Ignazio e san Francesco, con un immediato collegamento a papa Bergoglio, in quanto il primo è il fondatore dell’ordine dei Gesuiti e il secondo è il santo prescelto dal cardinale gesuita come nome da pontefice.