di Domenico Galbiati
Politicainsieme.com, 12 giugno 2023. Suicidio assistito ed eutanasia, maternità surrogata e varietà delle tecniche di fecondazione assistita, manipolazioni genetiche e selezione embrionale, teorie del gender, post-umanesimo e trans-umanesimo, intelligenza artificiale: è vasta la gamma, sempre in ebollizione, dei temi ascrivibili oggi – e domani altri seguiranno – alla cosiddetta biopolitica. La quale ha ormai acquisito titolo ad essere un caposaldo inaggirabile del discorso pubblico e del confronto politico, in modo del tutto particolare.
Va subito chiarito un punto: su questo scacchiere, la posta in palio è nientemeno che la nostra libertà. Non lo sostengono cattolici, più o meno integralisti, che sarebbero timorosi – come taluni pensano – dei magnifici e progressivi destini della scienza, bensì studiosi laici a tutto tondo, come Hans Jonas oppure filosofi post-metafisici e dichiaratamente atei, almeno dal punto di vista metodologico, come Jurgen Habermas. Si tratta di una costellazione di temi, nessuno dei quali può essere separato dagli altri e ristretto in una considerazione ad hoc che ne consenta una trattazione tecnica, avulsa dal riferimento che tutti li rinvia ad una comune preoccupazione del valore umano che mettono in gioco. Temi, cioè, che non possono essere sgranati per evitare, come si constata, più volte, il fastidio di dover distogliere lo sguardo dai temi quotidiani, veri ed importanti per la vita di ognuno, per affrontare questioni che, salvo l’ obbligato omaggio del “politicamente corretto”, molti soffrono come argomenti di lana caprina.
Una certa sinistra radicaleggiante, immemore della sua vocazione popolare farebbe bene a convincersi come, essendo in questione la libertà, le stesse ragioni dell’ordinamento democratico, almeno in prospettiva, sono qui poste in discussione. E non dovrebbe concedere alla destra l’onere e l’ onore di intestarsi temi ed argomenti che, affrontati senza un orientamento di pieno rispetto della vita, diciamo pure senza un vivo sentimento di una sacralità, sia pure laica, che la rende intangibile, progressivamente generano una disaffezione, un appannamento che compromette le stesse ragioni di una convivenza civile vissuta e democratica.
Genetica e neuroscienze, bioingegneria ed informatica ci assediano, ci provocano, ci costringono a metterci in discussione, rivelano la precarietà di ogni pensiero ideologico, l’illusione di contenere e stringere il futuro in pochi schemi di pensiero, rigidi ed acquisiti una volta per tutte.
Nella misura in cui la scienza penetra anche le più intime strutture della sua stessa impalcatura biologica, l’uomo viene, per la prima volta nella sua storia, ad essere, nel contempo, congiuntamente soggetto ed oggetto della sua attitudine a conoscere ed a manipolare, oltre le cose del mondo, anche sé stesso e le sue facoltà intellettive.
L’ intenzionalità del suo sguardo, anziché procedere verso l’oggetto, si avvolge su di sé ed entra in un circuito riverberante, in un gioco di specchi e di rimandi difficile o addirittura impossibile da interrompere.
È come se la scienza – quale ce l’ha insegnata Galileo: osservazione, esperimento e misura – giungesse a quelle colone d’ Ercole, al di là delle quali – vedi, non a caso, il tema impossibile della coscienza – non sia più in grado di inoltrarsi da sola. In altri termini, natura e cultura si sovrappongono per un buon tratto dei rispettivi domini, in una danza frenetica e senza limiti e, in un certo modo, smarriscono confini che, per quanto storicamente frastagliati, abbiamo fin qui apprezzato in modo sostanzialmente netto.
Quasi fosse tornato nel giardino dell’ Eden, l’uomo si sente pienamente riconsegnato a sé stesso, a quella libertà che costituisce la cifra ultima della sua essenza, in bilico tra la sua hybris e la coscienza di un limite da osservare, eppure tentato di metter mano anche a quest’ ultima, pur di non riconoscere quel “non oltre” che, peraltro, avverte.
Domenico Galbiati
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