Pubblicato sulla Rivista Illustrazione Abruzzese sett-ott. 1984, Pescara
Pacentro è un pittoresco paese della provincia de L’Aquila arroccato alle pendici settentrionali della
Maiella. Il castello medioevale, che sovrasta il centro abitato, ci parla del suo illustre passato e delle lotte insorte fra i Cantelmo ed i Caldora per assicurarsene il possesso. La poca gente rimasta vive per lo più di agricoltura, mentre i giovani sono occupati nel terziario oppure nelle fabbriche del nucleo industriale di Sulmona. Rilevante è tuttora il numero dei diplomati senza impiego e dei pensionati.
Nella prima domenica di settembre, in occasione dei festeggiamenti in onore della Madonna di Loreto, si svolge a Pacentro la cosiddetta corsa degli zingari, una singolare manifestazione che di anno in anno richiama un numero di spettatori sempre più numeroso sia dall’Abruzzo che dalle regioni limitrofe. Nell’edizione del 1980 erano presenti, tra le altre, una rete televisiva di Monaco di Baviera ed alcuni giornalisti del periodico «Bild am Sonntag», edito nella stessa città tedesca.
Va subito chiarito che l’espressione zingari non deve trarre in inganno. Nel dialetto di Pacentro essa indica infatti chi cammina scalzo ed è stata coniata evidentemente in base all’osservazione costante che gli zingari, ed i nomadi in genere, andavano in giro in passato con pochi indumenti addosso e soprattutto a piedi nudi, date le scarse possibilità che essi avevano di poter acquistare delle scarpe.
Coloro che partecipano alla terribile gara sono generalmente contadini ed operai del paese. I figli delle persone benestanti e dei professionisti, almeno fino a circa dieci anni fa, non vi partecipavano in quanto non abituati a camminare a piedi nudi, specie lungo i sentieri pietrosi di montagna.
Pur nella dovuta cautela la corsa può essere definita in senso gramsciano come una tipica manifestazione della visione della vita di strati sociali subalterni oppure, secondo il pensiero del Lombardi-Satriani, un episodio di cultura di «contestazione».Tuttavia alcune “varianti” di rilevante interesse antropologico-culturale, emerse negli ultimi anni, inducono a ritenere che la chiave di lettura della “corsa degli zingari” sia più complessa e le motivazioni da parte dei giovani che si cimentano nella terribile gara appaiono col passar degli anni sempre diverse. Ma procediamo nella descrizione delle fasi più emozionanti della manifestazione.
Va ricordato innanzitutto che di norma ilnumero dei concorrenti non è mai rivelato dalla Confraternita della Madonna di Loreto, che gestisce appunto la “corsa”, e diventa noto solo quando i giovani, verso le cinque di pomeriggio del giorno di festa, si radunano in località Pietra spaccata, un contrafforte roccioso di Colle Ardinghi, situato di fronte al paese e separato da quest’ultimo da una profonda gola in cui scorre il Vella, un torrente che scende precipitoso dalle falde della Maiella e ricordato da Ovidio nel
Terzo libro degli Amores.
Al primo rintocco di campana della chiesa della Madonna di Loreto, gli zingari, a piedi nudi ed in
pantaloncini e maglietta (tali indumenti sono forniti dalla stessa Confraternita), si gettano a capofitto
lungo il ripido pendio del colle cosparso ovunque di pietre, oltrepassano a valle il torrente Vella
e puntano di nuovo a monte in direziono di Pacentro, attraverso un sentiero che conduce direttamente alla chiesa.
Una folla enorme funge da degna cornice alla corsa ed è assiepata soprattutto lungo il tratto finale del percorso, complessivamente lungo tre chilometri circa. La maggior parte degli spettatori si accalca tuttavia attorno al sagrato di S. Maria di Loreto, poiché l’altare della chiesa, il cui portale è lasciato aperto, costituisce il traguardo della emozionante gara.
Quando i concorrenti sono in prossimità della meta, gli spettatori cominciano ad oscillare invasi da un crescente fermento, mentre urla di entusiasmo si levano dalla folla allorché da una curva non lungi dalla chiesa si vede sbucare il primo “zingaro”. Con gli occhi dilatati dal dolore, provocato da un percorso quasi ordalico, il vincitore infila il portale e si inginocchia prima davanti all’altare, dopo di che si accascia stremato, seguìto man mano dagli altri partecipanti che ripetono lo stesso cerimoniale.
A corsa ultimata viene chiuso il portale. Solo negli ultimi anni è stato permesso a studiosi e fotografi di
restare nell’interno della chiesa e di assistere così ai momenti conclusivi della manifestazione.
La scena che si svolge assume a tratti toni drammatici e non facili da descrivere. Con i piedi cosparsi di
piaghe sanguinanti, gli zingari giacciono sdraiati sul pavimento e si aiutano a vicenda, mentre il dolore
atroce dai piedi sembra propagarsi tutto sui loro volti. Un medico presta la prime cure alle ferite vistose, ma la sua azione è vanificata spesso dalle richieste di soccorso che si accavallano fra le grida concitate degli organizzatori , impegnati ad accertarsi velocemente delle condizioni più o meno gravi in cui versano quelli che hanno concluso la gara.
Sull’angusto piazzale antistante alla chiesa, la folla attende ansiosa che si riapra il portale e fa commenti sullo svolgimento della gara e sul vincitore. Questi attimi di pausa ci permettono di aggiungere particolari importanti alla descrizione della manifestazione. La chiesa è dedicata, come si è detto, alla Madonna di Loreto ed un affresco eseguito nel tondo centrale della facciata raffigura, con una tecnica di esecuzione che ci ricorda quella degli ex voto pittorici, la traslazione della Casa Santa di Nazareth da Tersatto (Jugoslavia) a Loreto Marche. Il sacro edificio presenta caratteristiche tali da essere ascritto, come conferma l’organo portativo coevo, alla prima metà del XVIII secolo e sorge in base ad una tipica leggenda di fondazione dei santuari: una misteriosa donna, nella quale i fedeli riconosceranno in seguito la Madonna, si riposò proprio sul posto dove sarà eretta più tardi la chiesa[1].
La modesta facciata della chiesa è movimentata da tre tondi a stucco; in quello centrale è riprodotta come si è detto la traslazione della Casa Santa ed in quelli laterali, non affrescati, sventolano fin dalla mattina della festa due tagli di stoffa avvolti a mo’ di bandiera su un’asta di legno. Tali stoffe sono di diverso colore e sufficienti a confezionare due vestiti. Su ognuna di esse gli organizzatori della festa appuntano un santino riproducente l’immagine della Madonna di Loreto. Questi tagli di stoffa costituiscono appunto il cosiddetto palio, il premio cioè assegnato insieme a coppe e targhe ricordo ai primi due concorrenti, ma normalmente vengono premiati anche coloro che si classificano al terzo e quarto posto ed in tale ordine sfilano poi a manifestazione conclusa per le vie del paese per ricevere il dovuto trionfo.
Durante la corsa i deputati alla festa sorvegliano affinché nessuno aiuti con spinte i partecipanti, a meno che per difficoltà sopravvenute durante il terribile percorso qualcuno di essi non dichiari espressamente di rinunciare alla gara. D’altro canto, una sorveglianza per cosi dire indiretta e reciproca viene effettuata dagli stessi tifosi appartenenti ai rioni in cui abitano i concorrenti, la cui contesa, alimentata da quei sentimenti intrattenibili che affiorano spesso nel ‘blasone popolare’, solo oggi
si esaurisce nell’ambito di un’esperienza vissuta anche a livello ludico. Degna di nota è al riguardo la
circostanza che a Pacentro non v’è un santo protettore ufficiale. Parte della popolazione festeggia infatti la Madonna del Rosario e l’altra S. Carlo Borromeo. I rosaristi non fanno normalmente cospicue offerte per la festa di S. Carlo ed allo stesso modo si comportano i carlisti nella ricorrenza della Madonna del Rosario. Fra le due fazioni si scatena così una gara per organizzare la festa più bella del paese e ad essa contribuiscono con sostanziose rimesse, anche gli emigrati. In passato, infatti, le rivalità esplodevano in modo violento anche durante la manifestazione e l’informatrice citata, Maria Cicone, ricorda che in una edizione della corsa svoltasi subito dopo la Prima guerra mondiale una persona venne accoltellata per aver spinto nella parte finale della gara un concorrente del proprio rione[2].
Ma torniamo, dopo questa necessaria parentesi, alla descrizione della corsa. Dai due tondi della facciata della chiesa vengono ammainati i palii, segno questo che sta per aver inizio la sfilata degli zingari.
Si apre il portale. Il clamore crescente degli spettatori sommerge le note della marcia intonata dalla banda, mentre applausi ed espressioni di compiacimento fioccano soprattutto sui primi due classificati che, seguiti come alfieri dal terzo e dal quarto, ricevono l’onore del trionfo. Portati a spalla da amici e parenti i quattro sfilano in ordine di arrivo lungo le strade principali del paese, preceduti dalla banda. Gli sguardi della folla sono appuntati ovviamente sul vincitore della corsa.
Sorreggendo l’asta su cui è avvolto il palio, egli viene portato a spalla dai suoi tifosi, seguito allo stesso modo dal secondo classificato. La sfilata termina alla casa del vincitore, dove si offre a tutti vino vecchio attinto dalle caratteristiche conche di rame. Non poche sono le considerazioni che suscita la corsa degli zingari, che secondo il giudizio dei vecchi del luogo si svolgerebbe da tempo immemorabile. Come in altri episodi folklorici, la ricerca delle origini non spiega le funzioni svolte dal rito, sicché essa risulta il più delle volte sterile e non appaga l’interesse degli studiosi . Il termine palio, è utile in tale sede ricordarlo, indica secondo il Devoto un «drappo prezioso assegnato come premio in gare o competizioni tradizionali, celebrate in varie città italiane dal medio evo in poi».
In un manifesto pubblicato a Roma nel 1768, si ricorda per. es. che «si correranno i Palii negli infrascritti giorni di carnevale», con la descrizione degli stessi palii costituiti da «stoffe pregiatissime» da donarsi ai vincitori delle varie corse[3].
Per quanto concerne più specificatamente l’area abruzzese, manifestazioni simili a quella di Pacentro dovevano svolgersi anche altrove, poiché si apprende dal De Nino che «a Rivisondoli, nelle feste principali, e a Pratola Peligna in San Rocco, è singolare la corsa dei ragazzi, dai sette ai dodici anni, che nudi vanno a precipizio da un punto all’altro del paese per guadagnare un palio. E il piccolo vincitore poi, nudo, entra nella chiesa a ringraziare il santo»[4]. Una corsa a piedi nudi si svolgeva anche a Sulmona il 28 aprile, festa di san Panfilo. Ce lo ricorda un documento pubblicato dal Celidonio, nel quale si legge che “in dicto die (cioè 28 aprile) se corra ad pede mezza canna de panno bono, più uno pare de calse. Si correrà per li citali una berrecta.”[5].
È significativa la circostanza che il De Nino taccia sulla corsa di Pacentro che si svolge tuttora come le altre corse di Pratola Peligna e Rivisondoli, descritte nel secondo volume degli Usi e Costumi abruzzesi. Ma v’è di più. La ‘corsa’ di Pacentro è una ‘gara’ e dunque rientra nella tipologia dei giuochi e delle competizioni. Nel 1897 apparve com’è noto il sesto volume degli “Usi e Costumi” dedicato proprio ai giuochi fanciulleschi, ma nemmeno in quest’opera il De Nino fa menzione della corsa degli zingari. Sicché si può ragionevolmente supporre che la manifestazione di Pacentro, nata forse come mera scommessa fra giovani del luogo, risalga agli ultimi anni dell’800 ed abbia assunto notorietà solo dopo la morte del grande folklorista peligno (1906).
Non siamo riusciti a scoprire, al fine di stabilire interessanti raffronti, se in altre località italiane si svolgano nei nostri giorni, in occasione di determinate ricorrenze religiose, corse simili a quella degli zingari. Una sola notizia ci è stata fornita al riguardo, anche se alquanto vaga, da una informatrice di Sulmona, Signora Elena Scudieri, di anni 76, nativa però di Ottaviano (Napoli), secondo la quale una gara avente le stesse caratteristiche di quella di Pacentro si svolge a San Sebastiano al Vesuvio in provincia di Napoli, in onore appunto di tale santo. Un’altra corsa, però non competitiva, si svolge il 4 settembre a Cabras, in provincia di Oristano, nella vigilia della festa di S. Salvatore in Sinis. I giovani del luogo, in tunica bianca, accompagnano correndo scalzi la statua del santo in una chiesetta campestre sita vicino al paese[6]. In passato, partecipare alla corsa per la conquista del palio, cioè di un panno per confezionare un vestito, doveva costituire certamente una motivazione non indifferente per gli zingari di Pacentro, appartenenti a ceti sociali subalterni. Oggi le cose sono certamente cambiate; questi giovani camminano solo raramente scalzi nei loro poderi coltivati con potenti mezzi meccanici che essi stessi, con estrema perizia, guidano nei momenti della seminagione o dell’aratura. Fra coloro che prendono parte alla competizione vi sono però anche operai che lavorano nel vicino nucleo industriale di Sulmona e che appena si staccano dalla catena di montaggio si riversano di nuovo sui campi per quell’insopprimibile esigenza di contatto con la terra che purifica, rigenera e rende liberi, poiché una tuta ed un capannone non sono sufficienti di per sé a trasformare un contadino in operaio.
Altri concorrenti sono invece artigiani o persone che svolgono i più disparati mestieri, come appunto il vincitore della corsa di molti anni fa, con cui abbiamo parlato il giorno seguente alla festa. Si chiamava Mario Raso, aveva 24 anni e lavorava insieme al fratello in un ristorante della ex Berlino Ovest. Suo padre è morto da tempo e la madre, contadina, vive ancora a Pacentro. Ogni anno Mario torna al paese ai primi di settembre «per vedere la festa» e soprattutto per partecipare alla corsa degli zingari, da lui vinta anche in precedenti edizioni. Con grande semplicità egli ci ha rivelato che correva non per una particolare forma di devozione verso la Madonna di Loreto, ma per una ragazza del paese di cui si era innamorato e che corteggiava assiduamente. Nell’ascoltarlo, le sue parole richiamavano quasi automaticamente alla memoria il noto passo del Ramo d’oro, in cui il Frazer descrive le gare di corsa per la sposa che, in altri tempi, si svolgevano un po’ ovunque in Europa. Si sa però con quanta circospezione vadano fatti tali accostamenti, poiché sotto il profilo antropologico si corre il rischio di assemblare episodi che presentano diacronicamente funzioni diverse.
Negli ultimi tempi, infatti, sono emerse da parte dei partecipanti alla gara diverse e complesse motivazioni. A cimentarsi in essa non sono più solo concorrenti appartenenti al mondo rurale o operaio ma anche giovani studenti che possiamo ascrivere genericamente ad uno stato egemone locale e le cui motivazioni risiedono nella dimostrazione di una forza fisica e resistenza al dolore ritenute non solo appannaggio del ceto rurale. La conquista del “palio” da parte di tali concorrenti appare del tutto irrilevante di fronte alla dimostrazione della loro capacità di resistere al dolore atroce causato dalle ferite ai piedi.
Comunque, per tornare a Mario Raso, appare veramente straordinario che qualcuno in un angolo sperduto dell’Abruzzo «corre per amore» ed almeno in un giorno dell’anno, offre una dimostrazione di forza e vitalità nei confronti di altri giovani che non sono in grado, per costituzione fisica o per educazione, di cimentarsi in una incredibile corsa come è appunto quella che abbiamo descritta. Ed in questa gara, gli zingari di Pacentro riscattano anche un anno di anonimato, trascorso nel duro lavoro quotidiano in Italia ed all’estero. Essi, dunque, corrono non per avere, ma per essere.
Franco Cercone
[1] Informatrice Sig.ra Maria Cicone , anni 60, residente a Pacentro. Altre leggende parlano del rinvenimento di una piccola statua raffigurante la Madonna di Loreto proprio nelle acque del Vella, in un punto sottostante alla chiesa. Cfr. R. Santini, Pacentro. Aspetti storico-geografici , p. 140. Pratola Peligna 1976.
[2] “Carlisti” e “Rosaristi” (o “Saristi”) fanno parte delle confraternite aventi tali denominazioni. Cfr. a tal riguardo M. Silvestri, Una storia (1860-1960). Cento anni all’ombra delle torri di Pacentro, p. 9 sgg., Sambuceto (Ch.) 2004; R. Santini, op. cit., p. 141.
[3] Cfr. Catalogo della Banco Libri, Bologna, giugno 1983, sez. Manifesti.
[4] A. De Nino, Usi e costumi abruzzesi, Firenze, 1881, II, pp.220 e ss. Il De Nino chiarisce – ivi, p. 222 – che il «palio» è «un pezzo di stoffa colorata». La corsa degli zingari è preceduta a Pacentro da quella degli zingarelli, cioè ragazzi di tenera età, che ha una chiara funzione di iniziazione.
[5] Cfr. G. Celidonio, La Diocesi di Valva e Sulmona, vol. I, p. 144, Casalbordino (Ch.) 1909.
[6] Devo la notizia alla professoressa Enrica Delitala, docente di Storia delle Tradizioni popolari all’Università di Cagliari.
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