THALATTA! THALATTA!

(“Il Mare! Il Mare!”)

Senofonte descrive nella sua Anabasi questo grido di gioia emanato dai “Diecimila” mercenari greci di ritorno in patria dopo la battaglia di Cunassa, allorché avvistarono il Mar Nero dal monte Theches.

Un urlo di gioia che nel tempo si è trasformato in un motto emblematico: lo troviamo nella raccolta di poesie Die Nordsee del poeta tedesco Christian Johann Heinrich Heine; nella traduzione del romanzo di Giulio Verne “Viaggio al centro della terra” dello scrittore Frederick Amadeus Malleson, nel momento in cui la spedizione protagonista scopre un oceano sotterraneo; nel libro 1 del romanzo di James Joyce “Ulisse” del 1922; nel film Lawrence d’Arabia, quando le milizie arabe, dopo aver attraversato il deserto del Nafud, arrivano al Mar Rosso per conquistare Aqaba; e successivamente in tante altre opere.

Ma non finisce qui: alla lista di cui sopra c’è da aspettarsi che si aggiungano quanto prima gli addetti ai lavori della NASA, se il rover Perseverance scoprirà nella crosta di Marte gli oceani d’acqua, previsti dallo studio pubblicato sulla rivista Science dai ricercatori del California Institute of Technology (Caltech).

La base della vita

È assodato che la vita, così come la conosciamo, è basata sulla molecola di carbonio. In sostanza è vero, ma detta affermazione non può essere dissociata dall’assoluta importanza dell’acqua; fonte di vita e risorsa primaria per lo sviluppo e il mantenimento di tutte le specie viventi. Senz’acqua allo stato liquido, infatti, per le conoscenze scientifiche di cui fino ad oggi disponiamo, non c’è vita. Sorge a questo punto una domanda spontanea: se l’immensa quantità del citato elemento vitale presente sulla terra, a tutt’oggi calcolata intorno ai 1400 milioni di miliardi di tonnellate, giudiziosamente utilizzata potrebbe durare un’eternità, quale sarebbe dunque il motivo dell’affannosa ricerca d’acqua tra i pianeti sparsi nell’Universo?

Diamine, non è chiaro? Stiamo distruggendo il pianeta Terra e cerchiamo un nuovo alloggio. Infatti, in meno di mezzo secolo, a causa della deforestazione e dell’urbanizzazione scriteriata, secondo la Zoological Society of London, abbiamo perso oltre due terzi degli animali selvatici; l’abuso della pesca intensiva sta spopolando i mari e gli oceani; e le emissioni nocive, responsabili dell’inquinamento delle acque, dell’aria e del suolo, provocano il cambiamento climatico, ovvero la catastrofica perdita di biodiversità. Quest’ultima, si badi bene, non è solo un dato scientifico da annoverare nelle statistiche, ma un’amara realtà che riguarda noi tutti, dal momento che ne va della sopravvivenza del genere umano.

«Se vuoi beneficiare dei doni della natura, osservava Shimon Peres, devi adattarti ai suoi bisogni, alle sue regole e norme», ma se fai saltare gli equilibri di ‘Madreterra’, per dirla alla siciliana, di sicuro starai firmando la tua condanna a morte, aggiungeremmo noi.

Per come stanno oggigiorno le cose, la convinzione degli antropologi e degli scienziati dalle ‘teste pensanti’ è che l’istinto dell’uomo sarà sempre più irreversibilmente guerrafondaio, come per esempio quello degli scimpanzé, che – secondo gli studi dell’etologa e antropologa britannica Jane Goodall – uccidono i loro vicini per conquistarne il territorio. Ne viene di conseguenza che dopo i danneggiamenti a Madre Natura e ai propri simili, prima di quanto si possa immaginare, l’uomo, a causa dell’atavico istinto di Caino insito in sé, manderà definitivamente in malora quel che di buono ancora resta su questo povero e disastrato mondo. Ciò spiegherebbe il motivo per cui la scienza e i governanti dei Paesi tecnologicamente più avanzati cercano nuovi mondi abitabili, dove fondare colonie spaziali; l’habitat del futuro.

Poche righe addietro abbiamo usato il termine ‘teste pensanti’ e ci si augura che, a scanso di futuri guai e per non ripetere gli errori che si stanno commettendo sulla Terra, siano di tale fatta i pionieri umani che domani potrebbero colonizzare Marte o forse uno dei cinque esopianeti scoperti nella ‘fascia abitabile’, cioè a dire alla giusta distanza dalla stella nana rossa L98-59 per mantenere acqua allo stato liquido in superficie. D’altronde, trasferirci su altri pianeti con le stesse ‘teste gloriose’ che ci hanno ridotto al lumicino, anziché con ‘teste pensanti’, non produrrebbe null’altro all’infuori del classico buco nell’acqua! Tant´è.

Dopo questo breve preambolo e senza formulare ipotesi del tutto fantascientifiche, ci piacerebbe immaginare dunque che la futura colonizzatrice dello spazio possa essere la crema della specie umana, meglio ancora se coordinata da savi cyborg (esseri al confine tra uomo e macchina), per trasferire su altri pianeti se stessa assieme alla nostra civiltà in versione ‘purificata’, ovvero esente dagli 8 peccati capitali descritti dell’etologo e Premio Nobel austriaco Konrad Zacharias Lorenz  e, infine, per fuggire dalla propria estinzione nonché dalle rovine di un mondo che stiamo maledettamente distruggendo.

E perché mai ricorrere alle macchine?

Partendo dal presupposto che non stiamo per nulla fantasticando e che l’organismo cibernetico o bionico è già realtà, ecco alcune serie considerazioni sull’utilità delle macchine.

La corsa spaziale inizialmente intrapresa da USA e Russia, cui si è aggiunta da non molto tempo la Cina, non rappresenta di sicuro un challange (gara a chi arriva per primo) da youtuber, con lo scopo di raccogliere il massimo numero di like, ma la supremazia del dominio economico-militare nello spazio cosmico. In altre parole, nella mente dei ‘potenti’ le intenzioni di conquiste extra terrestri sono tutt’altro che pacifiste.

A ciò si aggiunga che è quasi certo che inviando su altri pianeti, senza la ‘tutela’ delle macchine, solo comuni mortali con le loro virtù e con i loro difetti saremmo in poco tempo a punto e a capo: a dir poco, provocheremmo prima o poi vere e proprie guerre stellari e incasineremmo addirittura l’Universo.

D’altro canto, la scienza e la tecnologia, grazie a Isaac Asimov, precursore indiscusso della robotica e dell’Intelligenza Artificiale, sono già in condizione di far sì che l’elemento macchina ad esempio di un cyborg, attraverso l’intelligenza artificiale, opportunamente programmata, possa operare eliminando i lati negativi della natura umana (l’homo homini lupus di Hobbes) e mantenendo attivi solo quelli buoni (il pacifismo e l’altruismo di Rousseau).

Allora? Beh, in altri termini, se ai futuri colonizzatori spaziali fossero associati dei cyborg ‘tutori’ con Intelligenza Artificiale (IA), dotata di equilibrio e saggezza superiori a quella umana, potremmo contare, lassù dove si porteranno, su capaci governanti e cittadini modello, rispettosi delle buone leggi. E se, infine, è vero che le buone leggi fanno civili i popoli (Machiavelli), bingo! Nascerebbero di certo nuove civiltà in mondi migliori.

Da ultimo, se non è pretendere troppo, chissà che, così facendo, non si riesca a dar vita ad una nuova forma di civiltà ancora più evoluta di quanto si possa immaginare? Una civiltà senza sfaccendati che tentano di fare carriera in politica; senza politici faccendieri; senza astorici satrapi, di qualsiasi bandiera, che, come gli scimpanzè, invadono i territori altrui per appropriarsene; e anche – perché no? – senza certuni tipi di tormentosi spettacoli TV, che fanno arricchire spudoratamente i conduttori e rincitrullire gli spettatori. Insomma, alludiamo a un mondo tutto diverso, fondato sul quieto vivere, sulla solidarietà, sull’uguaglianza e dove i ricchi e poveri rappresentino non una disparità sociale, ma solo il nome reminiscente di un gradevole gruppo musicale.

Predizioni da fantascienza? No davvero! Allo stato delle cose, possibilità basate su conquiste della scienza del mondo “reale”.

Controindicazioni?

“Dobbiamo garantire che l’IA rimanga sempre sotto il controllo umano”. È quanto afferma il presidente di Microsoft Brad Smith a Bruxelles, durante il recente convegno intitolato “Europe’s Digital Transformation: Embracing the AI Opportunity”. E non a caso, in un’intervista a CTV News, James Cameron, noto regista dell’altrettanto noto film fantascientifico “The terminator”, ha espresso le sue preoccupazioni circa il pericolo che l’IA, particolarmente se militarizzata, potrebbe costituire per la nostra sopravvivenza. Beh!… questo significa che le controindicazioni ci sono, è chiaro, come per ogni rimedio. La ribellione della macchina è un tema basato al momento non più sulla fantascienza, ma sui possibili rischi dell’evoluzione tecnologica, tra cui, soprattutto, il sopravvento da parte dell’IA ai danni della specie umana.

C’è da augurarsi, insomma, che detta eventualità rimanga sempre e poi sempre sotto controllo o meglio ancora ai confini della realtà, altrimenti cara gente… cosa dire… cadremmo, ahinoi, dalla padella nella brace!

Giuseppe Arnò