MARIA, IL TABERNACOLO VIVENTE

di Emiliano Antenucci

InTerris.it, 15 Agosto 2023. Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. (Ap 12,1)

La Vergine Maria è la privilegiata di Dio, concepita immacolata, senza peccato originale, non è stata gravata dalla corruzione del peccato, del corpo e della morte. Alcuni teologi, in modo particolare della chiesa d’oriente, parlano della dormitio Virginis Mariae, cioè Maria si sarebbe addormentata, per un trasporto d’amore al Figlio, avrebbe partecipato subito alla resurrezione della carne. Il dogma dell’Assunzione, non affronta la questione della morte di Maria, ma scrive papa Pio XII, nella Costituzione apostolica Munificentissimus Deus: «L’Immacolata Madre sempre Vergine Maria terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo».

Nella tradizione ebraica, alla metà di agosto, si festeggia la Sukkoth in ebraico significa “capanne” e sono appunto le capanne a caratterizzare questa festa gioiosa che ricorda la permanenza degli ebrei nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù dall’Egitto: quaranta anni in cui abitarono in dimore precarie, accompagnati però, secondo la tradizione, da “nubi di gloria”.

Secondo il biblista francescano Frédéric Manns: «Maria celebra la sua ultima festa delle capanne sul monte degli Ulivi. Il simbolismo giudaico di tale festa illustrava bene il senso della sua morte e la sua fede nella risurrezione. In altre parole, significa che la fede nell’assunzione di Maria risale ai giudeo-cristiani di Gerusalemme. I giudeo cristiani erano ben preparati ad accettare l’assunzione di Maria, perché dal giudaismo avevano ereditato la fede che Myriam, sorella di Mosè, non aveva conosciuto la corruzione della tomba».

Maria è la nuova Shekhinah, cioè la nuova dimora, abitazione, tenda di Dio.

Dio si è stabilito in Maria, per rendersi vicino a tutti gli uomini. In Maria si compie la salvezza annunciata dai profeti, diventa il “tabernacolo vivente”: trasparenza divina per l’intera umanità.

In base a questo dogma dell’Assunta, mi viene da fare una domanda: “Dove si trova Maria? Se è entrata nella storia, nello spazio e nel tempo, ma nello stesso tempo è andata al di là della storia, dello spazio e del tempo?”.

Maria è in cielo, in terra e in ogni luogo, paradossalmente è già qui in mezzo a noi, e quindi non ha bisogno di apparire. Le apparizioni mariane, confermate dalla Chiesa, sono solo una manifestazione in più della presenza di Maria tra di noi, con noi, per noi e in noi. Maria è la Madre del popolo cristiano, quindi ricorriamo alla sua potentissima intercessione, senza andare alla ricerca di guru, carismatici, maghi, santoni. Maria è la vera influencer della nostra vita. Crediamo poco nel potere di Maria nella storia, nella nostra vita e nelle persone che incontriamo.

Ognuno potrebbe scrivere un libro: “La mia biografia con Gesù e con Maria”.

Consacriamo alla Madonna tutto noi stessi e come diceva, l’innamorato di Maria, san Massimiliano Maria Kolbe che bisogna: “Rinnovare ogni cosa in Cristo attraverso l’Immacolata”.

A Maria Assunta affidiamoci con questa bellissima preghiera di san Josemaria Escrivà:

Maria Santissima, Regina Assunta in Cielo, Regina di tutti coloro che anelano di far conoscere l’amore del tuo Figlio: tu che tanto comprendi la nostra miseria, chiedi tu perdono per noi, per la nostra vita: per quello che in noi sarebbe potuto essere fuoco ed è stato cenere; per la luce che non ha illuminato, per il sale divenuto insipido. Madre di Dio, onnipotenza supplice, ottienici assieme al perdono la forza di vivere veramente di fede e d’amore, per essere in grado di portare agli altri la fede di Cristo. Cuore dolcissimo di Maria, dà forza e sicurezza al nostro cammino, sulla terra: sii tu stessa il nostro cammino, perché tu conosci il sentiero più sicuro e diretto che conduce, per amor tuo, all’amore di Gesù Cristo. Amen

Foto di Albert Dera su Unsplash

https://www.interris.it/editoriale/maria-tabernacolo-vivente/




LE LEZIONI DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ

di Giovanni Cominelli

PoliticaInsieme.com, 15 agosto 2023.  A proposito della Giornata mondiale della Gioventù, voluta da Giovanni Paolo II a Roma per la prima volta il 23 marzo 1986, celebratasi nel 2023 a Lisbona dall’1 al 6 agosto scorso, Le Figaro del 7 agosto ha scritto di una “cure de jeunesse de l’Église catholique” e di un “cadeau de l’espérance”.

Alcuni settori dei credenti e qualche ateo devoto si sono scandalizzati, perché il Papa ha parlato poco di Cristo e troppo del mondo e delle sue sfide presenti.

Così come ha messo in subbuglio parecchi dietrologi il fatto che a Fatima il Papa ha d’improvviso mollato il discorso scritto per andare a braccio: problemi con il mito storico dei segreti di Fatima? …

Tuttavia, ciò che dovrebbe interessare non solo i credenti, ma “ogni uomo di buona volontà” è che la Chiesa ha tutt’oggi l’intelligenza e la capacità di prendersi cura delle giovani generazioni: essa fa a se stessa “una cura di giovinezza” e “si cura della gioventù”.

Dove si trova un posto al mondo, nel quale un milione di giovani ascolta in silenzio un signore di 86 anni, che li ha convocati per parlare loro di responsabilità verso il mondo, di sfida verso le mode correnti, di invito all’impegno verso gli altri? Che ha il coraggio di dire loro “papale papale” che “nella vita nulla è gratis”?

Dove, davanti ai giovani che non dispongono di un passato e che vedono un futuro di nebbie, viene squadernata la realtà del mondo così così com’è, senza maquillage, senza gli “andrà tutto bene!”, tipici di un ottimismo fatuo e pubblicitario?

Il Papa stesso era consapevole di parlare in un contesto di “stanchezza” del Cristianesimo: “La stanchezza è un sentimento piuttosto diffuso nei Paesi di antica tradizione cristiana, attraversati da molti cambiamenti sociali e culturali e sempre più segnati dal secolarismo, dall’indifferenza nei confronti di Dio, da un crescente distacco dalla pratica della fede”.

Chi dice loro che il male, il negativo, il dolore, la morte hanno abitato e abitano tuttora la storia degli uomini e che questa è la condizione umana?

Se l’urgenza decisiva è quella del “leggere i segni dei tempi” e farne conseguire un’educazione intellettuale e morale delle giovani generazioni, occorre prendere atto che la Chiesa cattolica è rimasta ormai quasi l’unica agenzia culturale e educativa, almeno in Occidente, in grado di proporre una lettura dei tempi che non si riduca alla geo-politologia e alla climatologia e che ingaggia personalmente nell’intera storia del mondo chi sta in ascolto.

La Chiesa cattolica reale: cioè parrocchie, oratòri, ordini religiosi, associazionismo culturale e sociale, movimenti carismatici…  Ovviamente operano nella società civile molte altre agenzie culturali, a partire dalle scuole alle Università, ai giornali, a centri di studi e ricerche, a club e circoli culturali, ai partiti, ma la loro volontà/capacità di connettere la visione del mondo con la responsabilità degli individui nello stare nel mondo è ridotta al minimo, spianata dalla crisi delle grandi ideologie e dalla comunicazione massiccia, immediata e labile di un presente onnipresente.

Riflettendo molti anni fa sul “senso religioso”, don Luigi Giussani scriveva: “Un individuo che avesse vissuto poco l’impatto con la realtà, perché, ad esempio, ha avuto ben poca fatica da compiere, avrà scarso il senso della propria coscienza, percepirà meno l’energia e la vibrazione della sua ragione”.

Far vibrare una ragione inquieta, accendere in una persona “l’intelligenza del mondo” è il gesto educativo originario. Papa Francesco ha detto al milione di ragazzi che aveva di fronte: il mondo è questo, mettetevi in cammino per cambiarlo! Ai nostri ragazzi che sono indotti a pensare dall’onnipotente immediatezza dei social che il presente è il tutto ed è a disposizione gratis, alle giovani generazioni colpite dalla sindrome della “trascuratezza benestante”, descritta dalla saggista Helene Von Bismarck come “uno stato di decadenza che risulta dall’aver avuto tutto troppo facilmente per troppo tempo, portando a ritenere egoisticamente equivalenti i piccoli disagi e i mediocri conseguimenti al dolore e alla lotta di persone che conoscono il significato dei problemi reali”, a  questi ragazzi Francesco ha gridato in faccia: “Nulla è gratis!”.

Colpisce, nello scenario di Lisbona, il dialogo tra una persona educante molto anziana, nata tre anni prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale, e una generazione in ascolto, nata in questi anni 2000, destinata ad oltrepassare il 2100 e a vivere tragedie storiche e svariati personali destini.

Da Lisbona viene una conferma sulla natura e sul metodo dell’educare. La struttura della relazione educativa è asimmetrica. È certo l’incontro tra due libertà, ma quella dell’educatore è già costituita e quella dell’educando è in formazione.

Educare vuol dire fornire materiali cognitivi e testimoniare/praticare vincoli di realtà per la costruzione della libertà dell’educando. Tocca all’educatore ascoltare – Papa Francesco lo ha spiritosamente definito “l’apostolato dell’orecchio” – ma poi deve parlare, cioè esercitare un’autorità, fondata su una capacità di visione e di testimonianza di una prassi.

Libero l’educando di accettare la sfida o di respingerla, ma l’educatore non è libero di rinunciare al proprio compito; in tal caso cessa di essere un educatore. Il fenomeno dell’abdicazione all’educare è divenuto massiccio nelle nostre società.

È giustificato in molti modi, per lo più nel nome della libertà dell’educando, dell’auto-educazione spontanea alla Rousseau, del diritto all’emozione, del non avere fastidi, come quello del dover di dire dei NO ai propri figli, ai propri alunni, ai propri fedeli…

A chi è credente, le lezioni di Lisbona appaiono di facile comprensione. Essi dispongono pur sempre di uno sguardo diverso sul mondo, assicurato dalla loro “riserva escatologica”, che è il fondamento della speranza cristiana.

Ma possono i non credenti apprendere qualcosa da Lisbona 2023? I non credenti: quelli che non credono che esista un futuro di liberazione umana appeso ad un Oltre trascendente, quelli che credono in un messianismo trans/post-umanistico senza Messia, quelli che vedono la Storia come Caso e come Caos, quelli che vivono il mondo come un’arena gladiatoria, dove vince il più forte… Hanno qualcosa da apprendere le società civili dell’Occidente, la società italiana, i suoi insegnanti, intellettuali, politici?

Almeno tre lezioni: uno sguardo realistico e incessante sulla storia presente del mondo – donde, per es., l’annuncio appena dato del tema della Giornata mondiale della Pace 2024: Intelligenze artificiali e  Pace – quale condizione di esercizio concreto della speranza; la necessità di ricostruire per ogni generazione presente il legame educativo con quelle che arrivano, pena la caduta delle civiltà;  l’assunzione della propria responsabilità/libertà come compito e come vincolo verso la responsabilità/libertà altrui.




UN SINGOLARE SCONGIURO APOTROPAICO

In alcuni Mascheroni Peligni Articolo

[Pubblicato alle pagg. 83-91 del Bollettino Trimestrale ASTRA (Pe.) – Tradizioni Popolari Abruzzesi. Anno III Numero 6 (gennaio-febbraio-marzo) 1975]

“Si preferisce respingere fuori dalla cultura tutto ciò che non si conforma nelle norme sotto le quali si vive”: Claude Levi-Strauss

La straordinaria usanza a carattere fallico che mi accingo a descrivere è passata inosservata a tutti i folkloristi abruzzesi e soprattutto a Giovanni Pansa, autore tra l’altro di un fondamentale saggio dal titolo “Riti e simboli fallici dell’Abruzzo. Studi di etnografia comparata archeologia e folklore” . Per l’importanza che riveste, l’argomento merita ulteriori indagini dirette ad accertare, anche al di fuori dell’area peligna, testimonianze di una costumanza che, pur affondando le proprie radici nella notte dei tempi, è degradata da atto magico-religioso a semplice superstizione, spesso vissuta a livello d’inconscio. In molti centri peligni dunque, si osservano, per lo più infissi sulla facciata anteriore di umili case o di vecchi palazzi, resi “nobili”, dalla pastorizia un tempo fiorente, mascheroni fittili o in pietra che mostrano in modo evidente la lingua da fuori. Io ho avuto anche la fortuna, forse, di poter parlare con l’ultimo artigiano che su ordinazione esegue tali mascheroni, in legno o in pietra, il signor Giovanni Fraino, di anni 85, ebanista, abitante in Rivisondoli.

«Queste maschere – mi ha detto il signor Fraino – servono contro l’invidia e contro il malocchio La lingua sta ad indicare l’organo sessuale dell’uomo. In tali lavori raggiunse una certa celebrità un artigiano di Rivisondoli, di nome Emidio Troiano, vissuto verso la metà dell’Ottocento e soprannominato ‘toscanino’, perché aveva lavorato per un certo periodo in Toscana, dove aveva frequentato circoli anarchici. Appena tornato a Rivisondoli, ‘toscanino’ tentò di diffondere le idee anarchiche. Ma sorvegliato continuamente dalle autorità, fu costretto ad emigrare in America, dove continuò a scolpire mascheroni con la lingua da fuori». Questa dichiarazione del signor Fraino è certamente importante, e non tanto perché testimonia nel tempo la continuità di tale particolarissimo tipo di artigianato, quanto per la consapevolezza che gli artigiani stessi ebbero ed hanno della simbologia inerente all’atto di cacciare la lingua in segno di scongiuro, “un linguaggio dimenticato” direbbe Erich Fromm, che si è salvato tuttavia giungendo fino a noi con tutto il suo messaggio magico-religioso.

Analizziamo dunque alcuni di tali mascheroni presenti nell’area peligna. A Bugnara, centro distante 6 km da Sulmona, si ammira in via Fontana un mascherone rotondo fittile che misura cm. 50 circa di diametro (vedi dis. Bugnara).

A Scanno su segnalazione del prof. Dante Pace, noto studioso di archeologia peligna che in tale sede ringrazio sentitamente, l’uso in questione è assai vivo e si notano mascheroni in pietra scolpiti sulle facciate di alcuni palazzi ed anche sotto le mensole di balconi.

Sulla facciata anteriore di un rustico sito proprio nel centro di Scanno e precisamente in via dei Caduti, spicca un mascherone scolpito in una pietra del muro, che presenta caratteri così arcaici da far sorgere il sospetto che possa risalire ad epoca romana se non addirittura italica (vedi dis. Scanno).

Tale circostanza non può tuttavia stupire. Chi visita infatti il Museo Campano a Capua, resta affascinato di fronte ad una serie di mascheroni fittili di epoca italica, sistemati in apposita sala, e mostranti la lingua al di fuori. Il disegno 1 (vedi dis. Sulmona) mostra un mascherone in pietra infisso sopra il portale di una casa di Sulmona, in via Probo Mariano.

Il disegno 2 (vedi dis. Pratola Peligna.)  si riferisce ad un mascherone in stucco, posto sotto il cornicione di una casa sita in Via Antonio De Nino a Pratola Peligna. Il proprietario di tale casa, devo la preziosa informazione all’avvocato Panfilo Petrella di Pratola Peligna, fece appositamente collocare tale mascherone sotto la grondaia agli inizi del secolo, poiché era in lite per motivi di interesse con il proprietario della casa di fronte.

Questa singolare usanza, sulla quale esiste scarsissima letteratura, affonda dunque le sue radici nella notte dei tempi ed è pervenuta a noi ancora ricca del suo significato originario. A proposito afferma il Forcellini: « Linguam exserere lubridii causa in aliquem, mos fuit antiquis Latinis, qui etiamnum apud nostrates viget, quo quidem obscaeni aliquid adversus alium, quicum contendis, signiflcatur; nam lingua ita exserta similitudinem quamdam penis exhibet, quae tum viris, tum femnis, tum pueris stupri contumeliam minitari videtur» 

L’aspetto della «minaccia di stupro» insito, secondo il Forcellini nell’exserere linguam, un atto che equivale all’esibizione del pene, è tuttavia secondario, come ritengo, rispetto al concetto storico-religioso del fallo come simbolo di forza, fertilità, crescita, e pertanto ritenuto capace, se esibito direttamente o anche sostituito dalla lingua, di rendere immune l’uomo di fronte ad ogni tentativo esterno diretto a turbare la sua psiche, a minacciare i suoi beni o la sua stessa persona.

Si tratta in definitiva di un atto apotropaico, diretto ad annullare la influenza malvagia, non disgiunto anche da un contenuto magico-omeopatico, che spesso a livello d’inconscio intende produrre il simile (benessere, sviluppo fisico e psichico, fertilità ecc.) con il simile (lingua, surrogato del pene, elemento fecondante per eccellenza, il simbolo stesso, pertanto, della vita). Significativo è a proposito un episodio riferito da Livio. I Galli, avanzati fin quasi alle porte di Roma, si erano attestati sulla riva settentrionale dell’Aniene e solo un ponte li divideva dall’esercito romano, accampato sulla riva opposta. Ad un certo momento un Gallo, di enorme corporatura, si staccò dalla sua schiera e fattosi avanti sul ponte sfidò a duello il soldato romano ritenuto più valoroso.

Si offerse per il combattimento Tito Manlio e Livio aggiunge: «armatum adornatumque adversus Gallum stolide laetum et – quoniam id quoque memoria dignum antiquis visum est – linguam etiam ab inrisu exserentem producunt».   Di fronte al pericolo che la sua vita correva per l’imminente duello, il Gallo dunque cacciò fuori la lingua, simbolo della stessa vita, per allontanare apotropaicamente ogni minaccia. Lo stesso valore di scongiuro fallico è costituito dall’atto apotropaico che frequentemente si nota nel nostro Abruzzo ed anche altrove, durante il passaggio di un carro funebre, simbolo di morte, si evoca la vita toccando il pene, simbolo di vita. Al posto dei genitali si tocca spesso anche il ferro, capace di «tener lontani fantasmi e altri spiriti pericolosi»  

Un altro esempio atto ad illuminare il concetto di fertilità e di vita insito nella lingua è costituito dall’usanza che i Tibetani hanno, come è noto, di salutarsi cacciando la lingua. Anche i contadini tedeschi attribuiscono all’atto di cacciare la lingua (Zunge aussrechen) un augurio di bene e di prosperità. 

Tale atto, particolare assai importante, è una specie di surrogato di un altro gesto, il così detto Daumenhalten, che consiste nell’infilare il pollice tra l’indice e il medio, dove appunto il pollice sta a simboleggiare l’organo dell’uomo. Nei miei frequenti soggiorni in Germania ho potuto constatare che i due atti, cioè sia la « Zunge aussrechen » che il « Daumenhalten », assumono, specie nelle persone anziane, un valore apotropaico cosciente cui si ricorre per scongiurare pericoli di qualsiasi natura. Specialmente durante un litigio verbale, cacciare la lingua o infilare il pollice tra l’indice e il medio, equivale ad uno scongiuro contro le minacce di uno dei contendenti oppure ad una difesa nei confronti di ingiurie ritenute capaci di sconvolgere o impedire in quel momento, l’equilibrio fisico-psichico in seguito all’ira che tali ingiurie provocano, di sconvolgere o impedire dunque un processo armonico di crescita. 

Vi sono tuttavia ulteriori aspetti meritevoli di essere sottolineati e né con essi l’argomento può considerarsi esaurito.

Come è noto, il mero atto di cacciar fuori la lingua, compiuto a livello d’inconscio, è comune a tutti i bambini, senza distinzione di sesso. Dall’adolescenza in poi però, si verifica un mutamento significativo nel comportamento dei maschi e delle femmine. Infatti, l’atto di cacciare la lingua si nota solo in quest’ultime, mentre i primi lo sostituiscono con altri gesti «osceni» e con parole «scurrili››, che rappresentano ulteriori scongiuri a carattere fallico.

Così un gesto che imita il fallo è costituito dall’atto di piegare il braccio destro sul quale si poggia la mano sinistra, atto comune specialmente nell’Italia centro-meridionale. Circa il linguaggio scurrile, valgono tutt’ora le lucide intuizioni del Pansa, trattandosi di una “espressione attenuata delle forme naturalistiche di scongiuro, perché conserva ancora, più o meno consciamente, il sentimento e il carattere comune a quella che era per i nostri vetusti antenati l’espediente più acconcio per allontanare l’invidia: l’esibizione fallica. Così io penso che a questi mezzi averrunchi, propri del volgo, sia come mostra apparente di scongiuro, sia come espressione viva del linguaggio, debba ascriversi l’uso della interiettiva CA – – O, comunissima nel meridione, con la quale si presume dare efficacia al discorso. Essa dovrebbe corrispondere al latino Praefiscine”. 

Ora, l’esibizione della lingua viene considerata nella donna una «oscenità» non tanto, come ritegno, a causa della funzione che l’atto stesso ha (scongiuro apotropaico), quanto per il fatto che la funzione stessa è rappresentata dalla lingua in chiara e cosciente sostituzione del pene. Vi sono intatti altri scongiuri compiuti, alla luce del sole, da donne appartenenti ad ogni ceto (come per es. toccare il ferro) e nella certezza di non violare alcuna norma sociale.

Ma l’oscenità insita nel concetto del fallo, è relativamente recente, poiché questo fu presso molti popoli del vicino Oriente, in Grecia e a Roma, un simbolo religioso legato a culti agrari e della fertilità in genere. Prescindendo dalle «fallogonie» che rappresentano in tal senso il caso più classico e non affatto sconcertante, tutto lascia ritenere che anche la Festa dei Ceri a Gubbio, che ha fatto scrivere fiumi d’inchiostro, non fosse altro che un rito di fertilità compiuto mediante l’esibizione di grandi falli portati in giro per le campagne, un rito dunque, di derivazione bacchica. essendo Bacco Dio della vite e del vino.

Fu accertato inoltre da Bachhofen , da Morgan  e confermato da illustri antropologi contemporanei come E. Fromm  , che sotto la più recente religione patriarcale è esistito uno stato più antico di religione matriarcale, caratterizzato dal culto di divinità androgine, le «Dee-Madri», rappresentate artisticamente dalle famose “Veneri” venute alla luce un po’ ovunque nell’area mediterranea, e raffigurate con seni e natiche enormi per sottolineare quei culti della fecondità cui le Dee-Madri stesse erano preposte. Ma, avverte Eliade, “l’androginia divina che si trova in tanti miti e credenze, ha un valore teorico, metafisico. La vera intenzione della formula è quella di esprimere, in termini biologici, la coesistenza dei contrari, dei principi cosmologici, cioè maschio e femmina, in seno alla divinità” 

Pertanto, nella fase matriarcale, di cui noi abbiamo un’eco nel mito delle Amazzoni, la Dea-Madre assume a sé, nell’ambito del culto generale della fertilità, anche l’attributo del fallo, organo fecondante a lei «naturalmente» estraneo, ma riprodotto simbolicamente, nell’atto magico in generale ed apotropaico in particolare, dalla lingua.

E non a caso quei mascheroni fittili mostranti abbondantemente la lingua da fuori, venuti alla luce nei pressi di Capua, sono stati ritrovati insieme ad alcune Dee-Madri. In questa «coincidentia oppositorum ››, rappresentata dalla Dea Madre, la lingua e quindi il fallo, lungi dall’essere simboli osceni, costituivano paradossalmente un aspetto della struttura stessa della divinità che riuniva in sé tutti i contrari.

Scomparse le Dee-Madri, altre divinità apparvero nell’Olimpo mediterraneo, depositarie delle stesse funzioni delle Dee- Madri. Una di queste divinità fu Cerere, preposta ai culti della fertilità e particolarmente venerata presso i peligni, nella cui area, come si è visto, sono presenti i mascheroni che, grazie ai disegni dell’amico Giovannelli, che con noi ha condotto le ricerche per la parte illustrativa, sono inseriti nel presente studio quale valido corredo grafico.

Franco Cercone

In Foto: 4  disegni di Vito Giovannelli

[Sullo stesso argomento: F. Cercone, Esibizione fallica della lingua in mascheroni peligni, articolo pubblicato alle pag.193-196 della “Rivista LARES” (Organo dell’Istituto di Storia Tradizioni Popolari dell’Università di Bari e della Federazione Italiana Arti e Tradizioni Popolari) Anno XLI – N 2 aprile/giugno 1975; Ed.: Leo S. Olschki – Firenze]

1 In “Rivista di antropologia” volume 25, Roma 1822.Il Pansa tratta tre argomenti: a) il rito magico dei ramoscelli spaccati e la tradizione dei culti fallici nel santuario della Madonna del Lago a Scanno; b) le incanate e le esibizioni falliche; c) il rito eleusino di Baubo ed il simbolo talismatico della ranocchiella abruzzese.

2 E. Forcellini, Lexicon totius latinitatis , Tom. III, voce ‘Lingua’.

3 T. Livio. Storia di Roma, Libro VII, X. L’episodio, come narra Cicerone (De Orat.II, 66) fu anche riprodotto in una tabula che si ammirava nel Foro romano.

4 J. G. Frazer, Il ramo d’oro, I 352; Boringhieri 1973.

5 Cfr. E. Hamann – Krajer e Baechtold – Staubli, Handwoerterbuch des deutschen Aberglaubens , vol. VI, 815; Berlino 1942.

6 Stranamente il significato del Daumenhalten è sfuggito all’attenzione dell’Albergamo, quando questo illustre studioso afferma che “D’incerta origine sono alcuni gesti e frasi di scongiuro tutt’ora usati nei paesi civili, come lo stringere il pollice tra l’indice e il medio, che i tedeschi denominano Daumenhalten” (F. Albergamo, Mito e Magia, pag. 135. Guidi Ed. Napoli 1972). L’equivalente italiano del Daumenhalten è il ‘fare le fiche’ di cui abbiamo vastissima testimonianza soprattutto in campo letterario. Si confronti per esempio Dante, lnferno XXV.

7 G. Pansa, Riti e simboli fallici dell’Abruzzo …ecc , op. cit. nota 4, pag. 21. Si confronti con gli altri scongiuri ed esibizioni falliche delle donne abruzzesi.

8 In  Das Mutterecht , Stoccarda 1861, Schroeder Ed.

9 In Ancient Society , Chicago 1877, Charles Ed.

10 E. Fromm, Il linguaggio dimenticato, Bompiani Ed. pp. 196 segg.

11 M. Eliade, Trattato di Storia delle Religioni , pag. 436; Boringhieri 1972.




A NINO RUSCITTI la dedica della biblioteca

Sabato 19 agosto alle ore 19.00, la struttura sarà inaugurata in uno degli spazi ricavati dalla riqualificazione del Palazzo Alesi. Alle 21.30 il Centro Studi Nino Ruscitti ospita Anna Rizzo, vincitrice del Premio Nazionale “Benedetto Croce” con il suo libro “I paesi invisibili”.

Bugnara, 15 agosto 2023. Doppio appuntamento con la cultura sabato 19 agosto a Bugnara. Alle ore 19.00 in Piazza Borgo S. Vittorino, nei pressi di Piazza SS. Rosario, è in programma la cerimonia di inaugurazione della Biblioteca all’avv. Nino Ruscitti, giovane professionista prematuramente scomparso il 13 febbraio del 2020. Alle ore 21.30 ci sarà invece l’incontro con Anna Rizzo, vincitrice dell’ultima edizione del Premio Nazionale di Cultura Benedetto Croce nella sezione letteratura giornalistica.

Alla cerimonia di inaugurazione interverranno: Domenico Taglieri, Sindaco di Bugnara; Gianfranco Di Piero, Sindaco di Sulmona; Lando Sciuba, Avvocato.

«L’inaugurazione degli spazi della Biblioteca – scrive il presidente del Centro Studi e Ricerche Nino Ruscitti, Matteo Servilio – è un primo passo per un progetto ambizioso che stiamo cercando di portare avanti da poco più di un anno e mezzo. L’intitolazione della struttura è sicuramente il modo più idoneo per tenere vivo il ricordo di Nino, sia perché rappresenta un luogo di memoria collettiva, sia perché si tratta di uno spazio riqualificato e destinato ad una nuova funzionalità, sia perché alimentandola e curandola possa stimolare a vari livelli lo sviluppo di iniziative culturali, rispondere a bisogni di pubblica utilità, aggregare e costruire una rete di rapporti, di esperienze e professionalità da spendere per il bene dell’intero territorio. Un primo obiettivo – continua il Presidente – è stato raggiunto con fatica e dedizione, grazie soprattutto alla generosità di tante persone che hanno voluto esprimere la loro vicinanza attraverso la donazione di libri. Tra le più importanti in termini di qualità e quantità va sicuramente menzionata la donazione della Famiglia Bolino a cui va il nostro ringraziamento».

A partire dalle 21.30 negli spazi del cortile di Palazzo Alesi, adiacente alla biblioteca, è in programma il sesto appuntamento della rassegna Libri Sotto Le Stelle con la presentazione del libro di Anna Rizzo “I paesi invisibili: manifesto sentimentale e politico per salvare i borghi d’Italia” edito dal Saggiatore. 

Di professione antropologa, Anna Rizzo studia da anni i piccoli insediamenti e le aree interne e rurali. Nel corso delle sue ricerche sul campo, partendo dall’archeologia, si è concentrata sul recupero delle comunità.

Da oltre dieci anni segue la riqualificazione di Frattura di Scanno e il suo libro ha vinto l’ultima edizione del Premio Nazionale di Cultura Benedetto Croce – Pescasseroli nella sezione letteratura giornalistica. Nel corso della presentazione-intervista con Anna si parlerà di paesi, di comunità e di luoghi marginali, a partire dalla sua esperienza di studiosa.




COLPO DI FERRAGOSTO l’Adriatica Press completa il roster

In biancorosso arriva Silvia Costantini: “Felice di essere approdata a Teramo in una società ambiziosa”

Teramo, 15 agosto 2023. Mancava un tassello per completare il roster dell’Adriatica Press, ed il tassello è stato inserito proprio nel giorno di Ferragosto. In biancorosso arriva la schiacciatrice Silvia Costantini, classe 1993, alta 1.80 nata a Penne, con trascorsi in A2 ad Altino. Nella stagione appena conclusa ha indossato la maglia della Star Volley Bisceglie, formazione inserita nello stesso raggruppamento della Futura in B2. Per l’Adriatica Press si tratta di un colpo di mercato importante che chiude la campagna acquisti di questa nuova stagione.

“Sono felicissima di essere approdata a Teramo nel mio Abruzzo – commenta Costantini – e soprattutto di essere arrivata in una società ambiziosa. Affronteremo il campionato di B1, un torneo difficilissimo ed impegnativo. Sono convinta che con il lavoro in palestra e lo spirito di squadra riusciremo ad ottenere i risultati che la società si aspetta. Ho parlato con coach Luca Nanni e  mi ha fatto un’ottima impressione. Nella squadra biancorossa ritrovo mia cugina, Monica Lestini e Celeste Di Diego. Insieme abbiamo giocato ad Altino ottenendo ottimi risultati. Non vedo l’ora di cominciare. Sono carica e vogliosa di disputare il campionato di B1 con  Teramo, società ambiziosa”.

Silvia Costantini vestirà la maglia numero 7.




PROGETTO SPIAGGE SICURE 2023

Controlli rafforzati sul litorale. Prevenzione e tutela dell’ambiente marino e costiero nelle giornate di Ferragosto

Pescara, 15 agosto 2023. Con l’approssimarsi del Ferragosto abbiamo predisposto un rafforzamento del dispositivo di monitoraggio già in atto dal 1° giugno scorso, intensificando ulteriormente i servizi di controllo della fascia litoranea delle città di Pescara, Montesilvano, Francavilla al Mare ed Ortona.

Da sabato scorso ad oggi, dalle ore 09:30 alle 18:30, oltre 80 postazioni di salvamento, 4 pattuglie a terra, 2 equipaggi in acquascooter tutti radiocollegati con una Centrale Operativa, hanno garantito un monitoraggio continuo ed interventi in caso di necessità andando a rispondere alle esigenze dell’utenza balneare in queste giornate particolari, al fine di salvaguardare la tutela della salute pubblica e dell’ambiente marino – costiero.

Sulle spiagge diverse sono state le iniziative di svago e divertimento, tantoché in questi ultimi giorni abbiamo riscontrato una discreta affluenza di persone. Non si sono registrate particolari criticità: sabato mattina, alle ore 11:30 circa, sul litorale Nord della città di Pescara è stato assistito un bagnante in difficoltà a circa 100 metri dalla battigia, mentre sul litorale Sud, alle ore 12:10, due persone sono state condotte a riva mentre si erano rifugiate sulle barriere radenti a causa del mare poco mosso.

Domenica mattina è stata segnalata, sul litorale Nord di Pescara, la scomparsa di una donna di 70 anni, allarme fortunatamente rientrato dopo pochi minuti. Lunedì alle ore 13:30 un natante a motore con due persone a bordo si è ribaltato ed è parzialmente affondato nelle acque della zona Nord di Montesilvano, sul posto è intervenuto Personale della Guardia Costiera di Pescara e Montesilvano a terra e in mare. Nella giornata odierna, alle ore 15:00, abbiamo ricevuto segnalazione di un possibile bambino disperso in mare nella zona Nord di Francavilla al Mare, è stato allertato il personale della locale Delegazione di Spiaggia; tuttavia, l’allarme fortunatamente è rientrato dopo pochi minuti.

Diverse sono state le segnalazioni relative a bambini smarriti o ritrovati, in particolare nel pomeriggio di sabato, sul litorale di Pescara Nord, si sono perse le tracce di un bambino straniero di 9 anni, rintracciato ad oltre 1 km di distanza, mentre nella mattinata di lunedì su Montesilvano è stato ritrovato un bambino di 5 anni allontanatosi dai genitori distanti alcuni lidi: in entrambi i casi è intervenuto il personale della Squadra Volante della Questura di Pescara. Sono state tutte attività routinarie dove la totalità delle persone assistite erano in buone condizioni di salute. Questa mattina nella nostra Centrale Operativa abbiamo avuto il piacere e l’onore di ricevere le visite del Prefetto della Provincia di Pescara Sua Eccellenza Dott. Giancarlo Di Vincenzo e del Sindaco di Pescara Avv. Carlo Masci che hanno augurato a tutti i nostri Bagnini di Salvataggio il Buon Ferragosto.

Colgo l’occasione per ringraziare tutti i nostri collaboratori, così come anche il personale dei lidi e gli Operatori delle Forze di Polizia e Soccorso in servizio nel corso di tutta la stagione ed in particolare in queste giornate clou. Un ulteriore ringraziamento al Personale della Società Nazionale di Salvamento – Sezione di Pescara per la preziosa disponibilità e cooperazione ed al servizio RadioMare sempre pronti a diramare annunci di pubblica utilità. Sono state giornate di festa serene dove sono prevalsi divertimento, rispetto reciproco e buon senso.

Cristian Di Santo

Presidente della Lifeguard – La Compagnia del Mare:




Buon Ferragosto 2023




IL QUADRO DI SUOR ANGELICA e i sogni di Massimo Ranieri

Gran Gala di Ferragosto 15 agosto in Avezzano ore 20:45. Villa Massimo monte Salviano (gratuito) con apericena alle ore 19. Massimo Ranieri il 16 agosto in Tagliacozzo. Mercoledì 16  agosto, ore 21:30 – Piazza Duca degli Abruzzi

Tagliacozzo, 15 agosto 2023. Ferragosto ad Avezzano per l’esecuzione dell’opera di Giacomo Puccini affidata agli allievi delle accademie di Glenn Morton e Donata D’Annunzio Lombardi e mercoledì 16 agosto, sempre a Tagliacozzo il nuovo spettacolo di Massimo Ranieri “Tutti i sogni ancora in volo”, evento della XXXIX edizione del Festival Internazionale di Mezza Estate, firmata da Jacopo Sipari di Pescasseroli

Non solo spettacolo alla XXXIX edizione del Festival Internazionale di Mezza Estate, firmato  dal direttore artistico Jacopo Sipari di Pescasseroli, realizzato col patrocinio del M.I.C, della Regione Abruzzo, della Città di Tagliacozzo, fortemente sostenuto dal Sindaco Vincenzo Giovagnorio e del suo Assessore alla cultura Chiara Nanni, della Banca del Fucino e della Fondazione Carispaq, ma anche alta formazione con lo stage dell’Accademia Adalo di alto perfezionamento vocale Daltrocanto del Maestro Donata D’Annunzio Lombardi e della Classic Lyric Art del Maestro Glenn Morton, i cui allievi debutteranno in Suor Angelica di Giacomo Puccini martedì 15 agosto a Villa Massimo, in Avezzano, tra il verde  di monte Salviano, alle ore 20:45, con apericena previsto per le ore 19.

“Sono le migliori stagiste qui presenti al festival appartenenti alle due Accademie – ha dichiarato il soprano D’Annunzio Lombardi – che usano il termine Daltrocanto, una definizione, questa, che lascia intendere, appunto, che esiste un’altra modalità per studiare la tecnica del canto, agganciata alle forze egemoni del corpo, e in particolare quelle della colonna vertebrale. Noi non ammettiamo la maschera nel corpo, essa deve essere un risultato, non la causa dell’adduzione cordale. Daltrocanto è anche l’associazione che ha organizzato la recita in questa incantevole chiesetta, con le ragazze scelte per i ruoli più per il loro temperamento che per la loro maturità vocale. Infatti, alcune di loro sono già pronte per calcare palcoscenici prestigiosi, altre sono ancora alle prime armi, ma già cariche di quella urgenza espressiva, che le porterà in alto”. Certo non occorrono commenti per spiegare con quanta esattezza Suor Angelica, datata 1918, corrisponda alla prassi moderna di alludere ad una realtà nefanda, mettendo sul tappeto, in sua vece, evasivi primitivismi e candori. Qui si tocca con mano il Trittico pensato come plurimo esercizio stilistico, come svolazzo estetico, preziosismo e amaro gioco dove le immagini, novecentescamente, si celano nel loro contrario.

Suor Angelica divide col Tabarro il ruolo centrale che il fattore tempo riveste nell’economia del dramma. In particolare, il passato è premesso indispensabile della tragedia claustrale, dove la protagonista non ha mai vissuto una vera felicità: quasi due terzi dell’opera sono costellati di riferimenti tramite cui si prende gradatamente coscienza del lento fluire del presente. “Le tre sere della fontana d’oro” sono le uniche in cui le recluse contemplano il tramonto e conducono le suorine alla riflessione malinconica: “un altr’anno è passato”. Il candido desiderio di Suor Genovieffa (Marina Fita) (“Da cinqu’anni non vedo un agnellino”) è una delle tante premesse perché Angelica (Ginevra Gentile) a colloquio con la Zia Principessa (Valentina Pernozzoli), constati dolorosamente che “sett’anni son passati” da quando è entrata in clausura. Tutte le strutture temporali, insomma, devono essere rievocate per poter contestualizzare l’attimo che si vive sulla scena. Un secondo parametro vincola saldamente Angelica alle altre due opere: l’inedito ruolo giocato dalla caratterizzazione musicale dell’ambiente in rapporto allo sviluppo dell’azione e alla forma musicale dell’atto unico.

Nell’asettico convento di clausura, dove si svolge la vicenda, la vita non pulsa e l’amore manca, mentre regnano il senso di colpa e l’ipocrita bigotteria. Preghiere, rintocchi di campane, inni in latino, sottolineati da una scrittura modale e da timbri sfumati e algidi, marcano un distacco dal mondo degli affetti terreni che è frutto della costrizione e della rinuncia. Angelica è sottratta a ogni inserto naturalistico, di cui invece Tabarro è permeato; pure il luogo claustrale fornisce l’occasione per costruire un tessuto musicale omogeneo e rigoroso, che riflette un clima peculiare. Puccini amò questo atto unico più degli altri due, perché gli consentiva di tornare all’amore colpevole di Manon Lescaut e frainteso di Madama Butterfly. Peraltro, Angelica si differenzia profondamente: dopo avere vissuto l’amore senza un’ombra di egoismo, ne viene privata.

Le due eroine precedenti hanno un ruolo attivo nel determinare la propria sorte, mentre la monaca è costretta a subire le angherie del suo milieu aristocratico, e viene rinchiusa tra le mura di un convento per seppellire una colpa che tale non è. In nome delle convenzioni bigotte della sua classe le viene negato il diritto alla maternità, sebbene un istinto biologico fortissimo le consenta di sopravvivere, sorretta com’è dal pensiero di un’altra esistenza che comunque cresce, mentre il tempo intorno a lei si è fermato. La brutale rivelazione della morte del bimbo le toglie l’ultimo appiglio, e il suicidio viene, dopo il grande assolo – “Senza mamma”, vertice fra i più toccanti dell’arte di Puccini – come diretta conseguenza della contrazione dei tempi drammatici. A completare il cast La Badessa Martina Sannino, la Suora Zelatrice Nadia Trishnevska, la Maestra delle novizie Ester Esposito, Suor Osmina Katiuscia D’Andrea, Suor Dolcina Rosaria Angotti, la Suora Infermiera Claudia Spiga, Le Cercatrici Daniela Esposito e Rebecca Sois, le novizie Mariagrazia Aletto e Rosaria Angotti, mentre al pianoforte troveremo Nicola Polese e in veste di regista, Donata D’annunzio Lombardi.

Riprende la rassegna letteraria il 16 agosto alle ore 18, nel cortile d’armi del Palazzo Ducale di Tagliacozzo con la presentazione del volume “Il figlio del silenzio” (Ed. Valletta, 2017) di Monica Tarola. Il libro è la testimonianza del difficile percorso di una mamma che deve affrontare la totale sordità del suo piccolo Matteo. Indifferenza, diffidenza di un contesto sociale, insensibilità del settore scolastico, questi i punti che maggiormente le hanno reso più duro e difficile il percorso del dramma del silenzio del suo “angioletto”.

La serata, del 16, ospiterà in Piazza Duca degli Abruzzi, alle ore 21,30, il nuovo spettacolo di Massimo Ranieri “Tutti i sogni ancora in volo”. Con la scusa di ripartire dalla celebre frase di Perdere l’amore, si confesserà a cuore aperto col pubblico. Parlerà dei suoi sogni che non smettono di esistere e tracciare la strada della sua vita. Sogni d’amore di un ragazzo da sempre appassionato di automobili, ma disposto a prendere la bicicletta pur di accompagnarci sopra romanticamente la fidanzata dell’epoca. Sogni realizzati oltre ogni aspettativa, come quelli di una carriera folgorante. Sogni ancora da concretizzare come quelli di un Napoli Campione d’Europa.

La morale è: sono i sogni a muovere la nostra anima verso ciò che ci può fare stare bene. Ranieri lo racconta per due ore e mezza con una confidenza tale che potrebbe sembrare un dialogo a tu per tu tra pochi intimi piuttosto che un concerto davanti ad una platea gremita. È così, basta uscire di casa e vivere oltre gli schermi per rendersi conto che esistono ancora il mare e le bellezze di questo mondo che troppo spesso ci dimentichiamo. Canta molto e lo fa per tutto il tempo straordinariamente bene. Erba di casa mia, Vent’anni, La vestaglia, Rose rosse, Se bruciasse la città, ma anche Lettera da lontano, La mia mano a farfalla (poesia di Bruno Lauzi musicata da Franco Fasano e incisa recentemente dal cantante napoletano), quindi evergreen ormai fatti suoi come Pigliate ‘na pastiglia, Resta cummè, Tu vuò fa l’americano, Quando l’amore diventa poesia, mentre il viaggio si concluderà con Perdere l’amore.

Dietro di lui strumentisti che confermano quella loro inconfondibile capacità di lettura della melodia estremamente cantabile, sotto la quale si muovono sofisticazioni armoniche e salti cromatici, con quel modo disinvolto di spostarsi da un estremo all’altro del proprio registro strumentale, preservando però la voce suadente di un mainstream morbido e lussureggiante. Qualche tappa del viaggio ci porterà anche nella malìa napoletana (il sogno si lega al Giacomo Puccini del giorno prima se pensiamo all’aria di Pinkerton in Butterfly) in cui Massimo Ranieri rivelerà la sua innata capacità di trasporre con creatività il tessuto armonico e melodico della canzone italiana d’autore, un progetto musicale colto e raffinato, che ben riflette il mondo poetico della nostra tradizione canora, in cui Ranieri e in particolare la formazione d’appoggio, si rivelerà artigiano di toni e timbri, armonie e “disarmonie”. Il saper coniugare la propria eccelsa statura culturale con una capacità davvero rara di regalare profonde emozioni, la voglia di mettersi in gioco attraverso un processo di creazione straniante ed anticonvenzionale, che gioca in qualche caso a creare riusciti contrasti tra le atmosfere gioiose dei suoni e la sofferta drammaticità dei testi originali, saranno gli ingredienti del concerto abruzzese.

Prossimo appuntamento, giovedì 17 agosto, per un tributo al Michael Jackson di Thriller, che usciva il 30 novembre 1982 Thriller usciva negli Stati Uniti, il più venduto della storia. Funky, rhythm and blues e soul incontrano e si scontrano con sonorità rock e disco-music nel corso di nove brani, tra i quali è impossibile trovarne uno che si possa definire “minore”. Questo progetto ha cambiato la musica pop per sempre, presentando sette indimenticabili hit tra cui “Billie Jean”, “Beat It” e “Thriller” che hanno battuto ogni record. Siccome tra fuoriclasse ci si riconosce, va a questo proposito menzionato il fatto che il primo singolo tratto da Thriller fu The Girl is Mine, cantato da Jacko in duetto con sir Paul McCartney. Rilevanti per il successo planetario dell’album furono anche la preziosa presenza di Quincy Jones in fase di produzione e la spinta dell’allora neonata MTV, che iniziò a trasmettere i videoclip di Michael Jackson valorizzandone anche le immense doti sceniche e rendendolo definitivamente un idolo a tutte le latitudini. Saranno Clarissa Vichi e Mattia Sciascia (voci soliste), Giulia Bellucci e Giuseppe Esposto (attori) con la sinfonica abruzzese diretta da Roberto Molinelli per la regia e i testi di Claudio Salvi a raccontare la storia, divenuta leggenda del Re del Pop, Michael Jackson