[Articolo pubblicato in ABRUZZOSETTE (Settimanale indipendente fondato da Remo Celaia), Anno X n. 6, del 19 febbraio 1976. L’Aquila]
di Franco Cercone
La più antica Bolla Corografica che si conosca è per quanto concerne la Diocesi Valvense, quella di Pasquale II (1112) che descrive le Chiese e le Terre in essa situate.
In quell’anno le chiese di Ofena, non più sede di diocesi, erano 3 e non 4, come afferma il Celidonio (La Diocesi di Valva, vol. I pg 182; Casalbordino 1909), particolare che si evince da una lettura esatta della Bolla suddetta: Ecclesias sancti valentini nicolai et sancti marci et sanctae luciae.
Ciò significa che in un primo momento vi era in Ofena un’unica chiesa dedicata appunto ai santi Valentino e Nicola e non due.
Dalla stessa Bolla di Pasquale II apprendiamo anche che in Trite, cioè lungo la Valle dei Tirino, esistevano quattro chiese: S. Martino, S. Giovenale, S. Vittorino e S. Giovanni.
Trite è un toponimo vago ed estensivo che comprende anche il Monastero di San Pietro ad Oratorium, monastero dai vasti possedimenti, fra cui Ofena, riconfermati ancora nell’8l6 da Ludovico I ai monaci Vulturnensi che lo possedevano. Non è possibile confondere Trite, o Valle Tritana, con Capestrano perché Capestrano, come centro, è di là da venire rispetto non solo a Bussi (anch’esso menzionato nella Bolla di Pasquale II) ma anche e soprattutto ad Ofena. E ciò non solo perché in epoca italica e romana Aufinum [Ofena] era l’unico centro catalizzatore della zona, ma anche perché fu centro episcopale prima che fosse fondato il Monastero di San Pietro ad Oratorium. Se il primo documento che si riferisce a quest’ultimo risale al 752, anno in cui fu confermato come possesso ai Volturnensi da Stefano II (e pertanto la sua fondazione può farsi risalire, ad abundantiam, ad un secolo prima), abbiamo invece documenti certi riferentisi ad Aufinum, come sede diocesale e risalenti per es. al periodo 468-483, corrispondente al pontificato di Papa Simplicio I.
In una lettera tale Papa comunica infatti a Gaudenzio, vescovo di Aufinum, sanzioni per aver violato alcune norme di disciplina ecclesiastica. (Cfr. G. Marinangeli Noterelle di Storia Ecclesiastica nella Provincia Valeria in Bullettino D.A.S.P., 1973, pag. 389 segg.)
Non è questione di opinioni dunque. La storia è fatta da documenti. Ma torniamo ad Ofena.
ln un’altra Bolla emanata nel 1138 da Innocenzo II, troviamo ulteriori descrizioni delle chiese, terre e confini della Diocesi di Valva. In tale anno, 1138. troviamo:
“Ecclesias sancti valentini nicolai et sancti marci. Et sancti salvatoris et sancti egidii et sancti donati, et sante marie et sancte luciae. Quae sunt in Ofene.”
Nel breve arco di 26 anni dunque furono costruite rispetto al 1112 ben quattro chiese in più, e cioè S. Salvatore, S. Egidio, S. Donato, S. Maria. Mezzo secolo più tardi nella Bolla di Clemente Ill (5 Aprile 1188), vengono ulteriormente precisate Terre e Chiese della Diocesi di Valva. Tale Bolla è mollo importante perché da essa si apprende che oltre alle precedenti menzionate vi sono in più le Chiese dedicate a S. Valentino e S. Nicola (cioè due chiese distinte), a S. Massimo, e l’ultima a S. Vittorino.
Nel 1196 si apprende inoltre l’esistenza di una chiesetta campestre, ma non per questo meno importante, dedicata a San Pietro.
L’Architrave fu scolpito da un artista di Ofena, Magister Silvester, che il Piccirilli (in Rass. Abruzzese di Storia e Arte. n.7 Casalbordino 1899) desunse dall’Antinori (Ms. vol 27). Sulla destra della chiesa, scrive il Piccirilli, vi è “un altare molto bello e conservatissimo, dal sec. XV, con alcuni pregevoli affreschi”.
Questa eccezionale erezione di chiese sta a significare che nel giro di 80 anni circa Ofena subì un notevole incremento demografico, soprattutto ad opera di nuclei longobardi, di cui si ha un’eco in “placiti, piati e privilegi riportati dalla Cronica Vulturnense”.
Ecco cosa dice il Celidonio a proposito (op. cit., vol.III, pg. 143): “Molti Longobardi certamente avendo invasa per lo innanzi la Valle Tritana, scaduti sotto i Franchi ed ammiseriti, si adattarono per necessità e per franchigia ad essere servi del Monistero (di San Pietro ad Oratorium). Però come ogni altra servitù anco questa dette luogo a contrasti, anzi ribellioni”.
Nell’ 854 alcuni contadini di Ofena (Villa Offene) tentarono di sottrarsi alle angherie cui erano sottoposti dai frati del Monastero. Tali contadini, definiti secondo i documenti dell’epoca servi (significativo è a proposito la compilazione del “Catalogo dei servi della Valle Tritana”, dell’872), erano tali Johannacii, Atriamo, Onzoli, ed altri. In un altro Placido che ebbe luogo ad Ofena l’Abbate – come riferisce il Celidonio – ebbe ad esclamare “costoro coi padri e le madri furono servi del Monistero, e se ne sono sottratti. Giudicateli.”
Quali erano dunque i termini del dissidio?
L’aumento demografico portava evidentemente la popolazione, soprattutto i nuovi immigrati, ad invadere (cioè a coltivare) terreni che sotto il Monastero restavano incolti, con il susseguente rifiuto di donare una cospicua parte del raccolto ai frati, anche perché, nota giustamente il Celidonio, “vi erano molte contestazioni contro i possedimenti Vulturnensi” (vol. III, pag. 149). Fra le contestazioni va annoverato anche un Privilegio di Pasquale II a tenore del quale al prevosto del Monastero di S. Pietro erano riconfermati diritti e beni feudali. Senonché la scienza epigrafica dimostrò nel 1908, ad opera di un insigne studioso tedesco, P. Kehr, che tale Privilegio era completamente falso ed andava annoverato fra le invenzioni dei monasteri dell’epoca, dirette ad assicurare ad ogni costo il possesso di determinati privilegi, a danno delle inermi popolazioni. Per finire si apprende da un desunto di una Bolla di Innocenzo III, risalente al 1308, come Ofena si fosse arricchita di una ulteriore chiesa, S. Giovanni, e quindi a quella data le chiese erano complessivamente 12.
All’ulteriore aumento demografico si accompagna in Ofena un certo benessere che si evince dall’attenta lettura di una visita pastorale nella Diocesi Valvense fatta nel 1356. Un certo Plebanus , chierico di una , ma non precisata, chiesa di Ofena, “Solvit tareni XX”, mentre il Prepositus della chiesa di S. Lucia “solvit tareni X”. Se si prende quest’ultima somma per media e la si moltiplica per 12, quante erano appunto le chiese di Ofena, abbiamo la rispettabile somma di 120 tareni, che dati i tempi rappresentavano per la Diocesi Valvense veramente un buon introito (cfr. Rass. Abruzzese di Storia e Arte, n. 8, pag. 179; Casalbordino 1899).
L’elevato tenore economico, come derivazione di una agricoltura fiorente, provoca in Ofena specializzazioni ed associazioni artigiane, in cui spiccano figure di artisti di primo piano, come per es. il già citato Magister Silvester e il Maestro Berardo, che nel 1322 riceve l’incarico da parte dei canonici di San Panfilo in Sulmona, di miniare, insieme al Maestro Merolo di Bucchianico, tutti i libri corali esistenti nella Cattedrale Peligna.
E qui ci fermiamo, molto è stato omesso, ma lontano ci porterebbe il discorso sull’affascinante Terra di Ofena, che aspetta, almeno per il periodo che abbiamo trattato, un’importante pagina di storia che deve ancora essere scritta.
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