TAGLIATI TUTTI TIGLI STORICI

Il Co.n.al.pa. Abruzzo: cancellata la memoria storica di una comunità

Civitella Casanova, 3 settembre 2023. Il co.n.al.pa Abruzzo esprime tutta indignazione e il suo disaccordo con la scelta senza senso di tagliare tutti i tigli storici presenti nella piazza di Civitella Casanova

“Accanto alla sconvolgente notizia della uccisione dell’orsa Amarena, a Civitella perdiamo un altro pezzo di paesaggio abruzzese – Spiega il co.n.al.pa Abruzzo – Da più di 70 anni questi alberi hanno abbellito la piazza centrale di questo piccolo borgo alle porte del parco nazionale del Gran Sasso. Alla fine, la solita motivazione, il restyling, alberi non adatti alla nuova immagine del paesaggio urbano,  ecc… Nel periodo della canicola di luglio sotto i tigli si stava freschi. Ora il centro cittadino appare spettrale e privo di anima. Adesso niente ombra e solo un gran bel lastricato di pietra. È questa sarebbe la riqualificazione dei borghi storici? NO! Questa è cancellazione della memoria storica di una comunità.”

“A nulla sono servite le sollecitazioni verso gli organi competenti di tutela. A nulla è servita la nostra azione di voler coinvolgere esperti per trovare soluzioni alternative al taglio. Ci siamo trovati davanti un  silenzio assordante. Tagliare alberi verdeggianti significa cancellare habitat, corridoi ecologici, baluardi contro l’inquinamento e il caldo – Conclude l’associazione – non ci sono giustificazioni. Quanto accaduto è un delitto contro la comunità.”




L’INCANATA NELLA TRADIZIONE ABRUZZESE

[Contributo pubblicato in Attraverso l’Abruzzo, (Rivista mensile organo ufficiale del Centro Studi Abruzzesi Dir. G. Valentinetti ) n. 60, 1977 Pescara]

di Franco Cercone

Nel 2secondo volume di Miti e Leggende (pagina n. 85 seguenti) G. Pansa si è interessato anche dell’incanata nella tradizione abruzzese. Egli cita un passo del De Nino sull’argomento (cfr. Usi e Costumi Abruzzesi, voi. II, pag. 156) accettando a quanto pare anche l’origine dell’espressione «incanata».

Afferma infatti il De Nino: “Per diritto consuetudinario è permesso ai mietitori di dire quante più male parole vogliono a chi passa: lupa, scrofa, cornuto e simile zizzania! E questo gridare, come farebbero i cani, si dicono incanate. Il brutto uso va oggi scomparendo, e tanto meglio”.

Della singolare costumanza, di cui parla anche G. D’Annunzio nella Figlia di Jorio, il Pansa dà un saggio in senso diacronico, scoprendola non solo presso Greci e Romani (cfr. per es. Ovidio, Fasti, III, 675 segg., dove l’oscenità è messa in atto dalle puellae), ma anche nell’antico Egitto.

Un non meglio identificato articolista (T. M.), lo ha riportato in «Folklore d’Abruzzo» (an. I, n. 1, 1971, pag. 8 segg.) senza ulteriori contributi. Il Liberatore definisce l’incanata dei mietitori di Ofena «iniqua licenza» che colpiva persino le persone di alto lignaggio (G. Liberatore, Ragionamento Topografico – istorico – fisico – ietro sul Piano delle Cinque Miglia, pag. 157; Napoli 1789). Tale usanza non era limitata, come avevano supposto il Pansa ed il De Nino, solo al periodo della mietitura e della vendemmia, ma anche ai maggiori momenti del ciclo produttivo.

Il Tanturri, infatti, nella sua Monografia su Villalago, inserita nel Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato, (vol. XVI, pag. 134, Napoli 1850) afferma che: «Chiunque passa pei luoghi ove si tòndono* le pecore, deve prepararsi a ricevere, specialmente se sia conosciuto, ingiurie e contumelie che con impertinenza vengongli scagliate dai tonditori [tosatori]. Tale riprovevole usanza, che ha di buono il solo nome (incanata), altrove si pratica dai mietitori e vendemmiatori, pe’ quali ultimi il Viceré Toledo fu costretto ad emanare severe ordinanze, come si ha dal Giannone, Stor. Civ. del Regno di Napoli, tom. XIII, pag. 11».

Afferma infatti il Giannone (ivi): “Durava ancora il costume tramandato dall’antica gentilità, ne’ tempi delle vendemmie di vivere con molta dissolutezza e libertà: i vendemmiatori non s’arrossivano incontrando donne, ancorché onestissime e nobili, frati ed altri uomini serii, di caricargli di scherno, e di parole oscene, con tanta licenza, quanto si vede nel Vendemmiatore di Luigi Tansillo”.

Altre notevoli informazioni sull’argomento mi sono pervenute dal Sig. Luigi Giustini, maestro elementare di anni 59 residente a Pettorano sul Gizio (Aq.) ma nativo di Villa Santa Lucia (Aq.), e dal noto poeta Angelo Semeraro, originario di Paganica (Aq.). Secondo i miei informatori, infatti, l’incanata aveva luogo durante la raccolta delle olive (Pettorano sul Gizio), la battitura del granturco (Villa S. Lucia) e la raccolta della canapa (Paganica). In quest’ultima località inoltre avveniva verso la fine dell’inverno un pranzo speciale, detto «cossa», il cui piatto forte era costituito dalla «cannavicciata», minestra a base di «cannaviccio» o «seme di canapa». A tale pranzo potevano partecipare solo donne che, alla vista di qualche malcapitato passante, lanciavano a quest’ultimo parolacce accompagnate da gesti osceni.

L’incanata, dunque, sembra essere una costumanza legata alle fasi più salienti della produzione agro-pastorale e caratterizzata da espressioni scurrili che si accompagnano, per esempio a Pettorano, a gesti di natura fallica (il raccoglitore di olive piegava il braccio destro appoggiandovi la mano sinistra).

È probabile, tuttavia, che due fossero i risultati che si intendevano raggiungere, con un grado di consapevolezza negli operatori diffìcile da determinare: proteggere da influenze maligne il raccolto (ed in tal senso l’incanata era favorita forse dal proprietario) e nel contempo la persona stessa che opera l’incanata, e, come hanno precisato tutti i miei informatori, la persona in questione non era mai il proprietario del fondo o del bene prodotto, ma lavoratori «a giornata».

Questo bracciantato, allora, viveva in tali momenti, in una specie di stato psichico di grazia, in un rapporto diretto con l’abbondanza che non voleva che si disturbasse. I mietitori, infatti, quelli che fino a venti anni fa vedevamo sdraiati per terra sulle nostre piazze in attesa di committenti non erano certamente proprietari di fondi.

Anche nell’esempio di incanata tratto dal Pansa dalla Passio S. Eusanii , i mietitori erano al lavoro «per incarico». Lo stesso dicasi per i tosatori di pecore di cui parla il Tanturri e per i vendemmiatori di Pratola Peligna, come appresi tempo fa dal prof. Panfilo Petrella, ivi residente.

L’incanata, dunque, veniva messa in atto dal vasto mondo subalterno, con motti e gesti scurrili che in periodi diversi da quello del raccolto si configurano come tabù. È possibile anche ipotizzare uno status psichico di colpa del proprietario nei confronti del bracciante, status di cui egli si libera favorendo o almeno non impedendo l’incanata, e la coscienza del subalterno di costituire la ricchezza del padrone nel momento particolare del raccolto.

Quest’ultimo sottostava così volentieri in un clima di apparente sovversione di valori, all’esplosione della licenziosità del diseredato.

Se queste sono soltanto delle ipotesi, resta però certo il fatto che l’incanata non si spiega se non nella struttura dei rapporti storici fra latifondo e sottoproletariato, fra capitale e lavoro, fra ricchi e poveri.        

*[tòndere : lat. Tondere ant. o letter. – tosare]




MEDITANDO SUL FASCINO DELLA NATURA

Mostra personale di Mirta Maranca

Pineto, 3 settembre 2023. Meditando sul fascino della Natura è il titolo della mostra personale di Mirta Maranca iniziata ieri 2 settembre 2023, che si terrà fino al 9 settembre a Villa Filiani, via Gabriele d’Annunzio, 174 di Pineto, dalle 18:30 alle 23:30.

Mirta Maranca nata a Pescara dove vive e lavora, diplomata al Liceo Artistico di Pescara e laureata in Accademia di Belle Arti ad Urbino nel 1995, ha esposto in sue personali e collettive dal 1996. Molti critici si sono interessati alla sua produzione artistica. Tra questi Roberto Franco dice :” Le sue immagini, delicate e fragili, emergono con forza da profonde oscurità, con colorazioni accese s’inabissano nell’ignoto e, nella realtà della tela, conducono al sogno (Roberto Franco).

Francesco Gallo aggiunge: La calligrafia pittorica di Mirta Maranca testimonia di un lavoro di pulizia della sua pittura, una raccolta d’energia che va dall’ essenzialità alla rarefazione del segno e la purezza del colore: questo si avverte in senso alto, come trasparenza di forma e di contenuto, come dilatazione del vedere e del piacere.“

Giuseppe Bacci ha sottolineato come le opere mostrino uno spaccato di vita umana inserita in paesaggi accesi di colori. Nelle sue opere lo sguardo si posa con curiosità su molti riti e danze , cosicché nei suoi quadri si possono ammirare donne che volteggiano in antichi passi di danza tramandati a noi da una cultura millenaria.

Leo Strozzieri aggiunge: sono opere, le sue, eseguite per istoriare il suo ed il nostro inconscio. Una pittura austera, che nulla concede al sentimento o alle tentazioni decorative.




UNIVERSO UFAGRÀ, Antonio Fiore

Dal 9 al 30 settembre l’artista espone nella storica Galleria Vittoria, in Via Margutta 103

Roma, 3 settembre 2023. Sabato 9 settembre 2023 alle 18 Galleria Vittoria apre la stagione espositiva 2023/2024 inaugurando ‘Universo UFAGRÀ’ di Antonio Fiore a cura di Tiziano M. Todi. La mostra nello storico spazio di via Margutta 103, presenta opere inedite offrendo una visione completa del linguaggio dell’artista che ha caratterizzato la sua ricerca. La cosmopittura del pittore segnino viene in tale occasione ridefinita come un preciso linguaggio evolutivo di un’idea che esplora spazi siderei non conosciuti, dove l’artista immagina colori e forme fiammeggianti che fluttuano magmaticamente nel vuoto.

Realizzate dal 2020 al 2023, in mostra le opere dai colori accesi e con forme geometriche dinamiche, due elementi ricorrenti che hanno permesso ad Antonio Fiore di creare un suo alfabeto, evocativo e d’impatto, dando vita ad un linguaggio iconico, mutato nel tempo, che lo ha aiutato ad esprimere la propria visione dello spazio e conferendo all’arte di Fiore uno stile sempre più riconoscibile, caratterizzandolo e rendendolo unico nel suo genere. L’artista conferma la sua attrazione per le forme sintetiche, inserendo nelle opere un nuovo elemento: il plexiglass. Questo ha permesso a Fiore di evidenziare la scomposizione dei piani e l’abbattimento della percezione prospettica, rafforzando la luminosità cromatica e il simbolismo dei temi.

Antonio Fiore, erede dei futuristi dell’ultima generazione, rappresenta una testimonianza storica del movimento; fu infatti Sante Monachesi a lasciargli idealmente il testimone della continuità dell’ideale marinettiano e, nel 1978, ad indirizzarlo verso la ricerca post futurista facendolo aderire al Movimento AGRÀ che aveva fondato nel 1962, battezzandolo futuristicamente UFAGRÀ (Universo Fiore AGRÀ).

Scrive Tiziano M. Todi nella presentazione del catalogo: […]Come un alieno impattato sulla terra, Antonio Fiore dagli anni ‘70 ci ammalia e ipnotizza dipingendo l’universo come paesaggi che sembrano smaterializzarsi e dove tutto ci appare pervaso da una continua sfida alla gravità; con forme sinuose ed ammalianti in una dimensione ideale nella quale ci sembra di toccare un pezzetto di universo composto dalla materia e dalla inafferrabile immaginazione dell’artista. Il maestro Monachesi lo battezza UFAGRà, con questo soprannome Antonio si rivela un esploratore agravitazionale galattico mosso da curiosità, passione e intuizione pronto ad uscire dalla realtà e ad entrare nei suoi scenari dove conserva e affonda le radici e soprattutto ideali, che non manca mai di esprimere e trasmettere, cogliendo con capacità l’animo del suo tempo.

Ancora una volta la ricerca delle stelle messa in scena da Fiore continua nelle diverse interpretazioni del suo iconico linguaggio, arricchendosi di nuovi elementi attraverso l’utilizzo di plexiglass che, come astronavi e corpi celesti, si inseriscono in questo attuale cosmo conferendo un nuovo dinamismo percettivo, fondendo memoria del passato e percezioni future che ridisegnano una nuova visione distorta, straniante e spiazzante, confondendo chi guarda. […]

La mostra è arricchita da un catalogo monografico con i testi di Giorgio Di Genova, Andrea Baffoni e Tiziana Todi, edito da Gangemi Editore e contenente tutta la produzione di Antonio Fiore, comprese: cronologia ragionata, bibliografia e antologia critica, aggiornate al 2023. Include inoltre un apparato fotografico documentario dell’attività dell’artista dal 1978 ad oggi. Vi è riportata tra le pagine del volume anche la testimonianza inedita della moglie dell’artista, Maria Pia, che documenta i contatti con i futuristi di Fiore, scritta diversi anni fa e riportata per la prima volta nel testo di Massimo Duranti, in occasione della grande antologica di Fiore al CERP, Centro Espositivo Rocca Paolina di Perugia. L’esposizione è dedicata allo storico dell’arte Giorgio Di Genova, venuto a mancare lo scorso 25 luglio, complice del sodalizio artistico tra Antonio Fiore e la Galleria Vittoria.




PAPA FRANCESCO … E I TRADITORI

In una vecchia canzone degli Audio2 Alle 20 il testo ad un certo punto recita: …siamo contenti di rivedere i vecchi film …

di Massimo Brundisini

PoliticaInsieme.com, 3 settembre 2023. Io, giovedì 31 agosto, ero contento di rivedere per l’ennesima volta il film 300, potente saga storica sulla vicenda umana e guerresca dell’eroico e coraggioso Re di Sparta Leonida e dei suoi 300 compagni d’armi, alle prese alle Termopili con il persiano Serse.

Ad un certo punto, in una pausa, preso da irrefrenabile impulso allo zapping, mi sono imbattuto in un acceso dibattito incentrato sulle parole rivolte da Papa Francesco ai giovani cattolici russi. Due giornalisti, Natalie Tocci, della Stampa (di proprietà di Alan Elkann), e Stefano Feltri, ex direttore del Domani (di proprietà di Carlo De Benedetti, un po’ di dietrologia è a volte necessaria) criticavano in maniera esageratamente pesante e strumentale le parole di Francesco sulla grande tradizione culturale russa: a difendere le parole del Papa, in minoranza, ma molto combattivo, Marco Tarquinio.

Chi vuole può rivedere la puntata, il dibattito inizia verso la fine, dal minuto 102 circa). Confesso di ritenere scandalose e frutto di una colpevole mistificazione le affermazioni della Tocci e di Feltri: accusare il Papa di sostegno di fatto ad una visione imperialista della Russia è il solito becero esercizio di strabismo politico da parte di chi è evidentemente servo di un diverso imperialismo, che tra l’altro per molti è con tutta evidenza alla base di questo conflitto. Definire poi il Papa cinico e pasticcione da parte del presuntuosissimo Feltri, in fondo solo un rozzo leccapiedi, dovrebbe aprire gli occhi a molti sulle cause remote di questa guerra.

La risposta di Tarquinio, giustamente molto indignato, è stata adeguata e decisa, tra l’altro rifacendosi correttamente, a mio avviso, alle vicende del Kossovo, tornate d’attualità di recente. Ma quando per l’ennesima volta Feltri ha trovato da ridire anche sulla presenza di una donna ucraina e una russa alla Via Crucis (difficile ritrovare un punto più basso nella pur accesa diatriba in corso tra le opposte visioni), ha ripetuto la litania pappagallesca dell’aggredito e dell’aggressore, mi sono ricordato di un illuminante articolo di Angelo D’Orsi su Il Fatto Quotidiano del precedente 27 agosto, nel quale si parlava della cosiddetta Trappola di Tucidide.

L’espressione, poi entrata nell’uso comune della politologia, era stata coniata da un professore di Harvard, Graham Allison, in un articolo sul The Financial Times nel 2012, rifacendosi alla Guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta, durata trent’anni.

In breve, secondo tale teoria, quando una potenza egemone, al tempo Sparta, vede minacciata la propria supremazia, al tempo da Atene, fa in modo, con grande raffinatezza tattica, che sia l’antagonista a passare all’azione, passando così per l’aggressore. Allison, nel suo libro Destinati alla guerra del 2017, si riferiva al confronto tra USA e Cina, sempre di attualità, oggi provvisoriamente sostituito da quello USA-Russia, spiega D’Orsi.

Gli USA hanno oggi il ruolo di Sparta, la Russia quello di Atene. Non potendo i primi tollerare la rinascita russa, con una serie di azioni politiche, militari e ideologiche, hanno messo Putin con le spalle al muro, facendolo cadere nella Trappola di Tucidide: l’aggressione all’Ucraina. Ma, continua D’Orsi, vi è un ulteriore avvallo a questa teoria, e viene da un generale e studioso tedesco, Heinrich Joris von Lohausen, coinvolto nella congiura contro Hitler e sfuggito alla vendetta, tanto da ritrovarsi a Norimberga nelle vesti di accusatore di Goering. Ha spiegato il generale che è sempre necessario distinguere l’aggressore strategico dall’aggressore operativo: il primo prepara le condizioni che spingeranno il secondo ad agire.

Ed ecco la grande verità pronunciata con coraggio da Papa Francesco e contestata, con cialtronesca sicumera, dai due critici: l’abbaiare della NATO. I due fenomeni vorrebbero in pratica che il Papa aderisse alle loro tesi, ogni ulteriore commento è superfluo.

Sempre D’Orsi ci ricorda che nella storia è rimasto il motto: Se Atene piange, Sparta non ride, a ricordare come la lunga guerra diventasse una sconfitta per tutto il mondo greco, che perse la sua egemonia sul Mediterraneo. In questa guerra attuale, se il conflitto proseguirà ad oltranza, ci sarà sicuramente non un vincitore, ma una sconfitta generale e tutti ne saremo coinvolti.

Fortunatamente, sono poi potuto ritornare a Leonida e alla guerra vecchio stampo, che, paradossalmente, mi è sembrata, pur nella crudezza delle immagini, meno scioccante del dibattito cui avevo assistito: si parlava infatti di valori quali amicizia, lealtà, coraggio, e soprattutto libertà.

Anche in quel lontano conflitto alcuni traditori venduti avevano potuto compiere le loro nefandezze, ma per le loro azioni avevano poi comunque pagato il massimo prezzo.