… che interroga la politica
di Mario Morcellini
PoliticaInsieme.com, 5 settembre 2023. Ha destato risonanza mediatica una recente ricerca della Fondazione “Albero della Vita” sulla deprivazione culturale nella fascia di età fino a 18 anni, realizzata in sei città italiane con il coordinamento dell’Università di Palermo. Emergono dati inquietanti: il 76% dei giovani non svolge abitualmente attività ricreative e sportive; il 43% non ha a casa libri adatti alla propria età e al livello di conoscenza; il 53% non è mai stato al cinema nell’ultimo anno e il 37% una sola volta. L’89% del campione non è andato a teatro nell’ultimo anno e il 78% non ha partecipato a visite al
patrimonio artistico, culturale e ambientale.
Questi trend, come quelli della più recente ricerca di Save The Children e dell’indagine condotta a partire dal 2022 dalla Conferenza dei rettori con i ministeri dell’Istruzione e dell’Università, indicano che la povertà educativa va assunta come un attacco frontale alla società e alla modernità e certo non possiamo accettare una generazione emarginata di fatto dalla cultura del Paese, se non vogliamo incoraggiare una coincidenza tra i giovani a scuola e quanti presto diventeranno “neet”: né in formazione né al lavoro.
Ripensiamo allora il posizionamento delle varie parti dello scambio culturale intorno al sistema scolastico; si è rotto infatti un equilibrio secolare in forza del quale la complessità ineludibile dell’educazione era data per scontata. Il senso di quella storia era che il soggetto, sottoposto a stimoli e contenuti attentamente studiati e graduati, si avviava alla fatica della conoscenza che nel tempo si sarebbe rivelata fonte di autonomia e coinvolgimento.
Aristotele ci ha ammonito che l’albero dei saperi ha radici amare ma frutti dolci. Abbiamo assistito a una progressiva distrazione collettiva, caratterizzata da un autentico cedimento strutturale dei punti di riferimento valoriali. È proprio questo lo scenario che ha incoraggiato una crisi di reputazione della scuola anche perché, all’epoca dell’infosfera, minori e giovani sono di fatto affidati alla comunicazione digitale, ai suoi stili e percorsi, rispetto
ai quali l’autorevolezza delle agenzie tradizionali non ce la fa “a correre” in modo altrettanto tempestivo e convinto. Ma non è quello sinora tratteggiato l’unico cambiamento del mondo che si riversa sul sistema di istruzione.
Dobbiamo denunciare un fenomeno che interferisce addirittura con l’incipit dell’esperienza educativa nel momento in cui il bambino che si presenta a scuola ha accumulato un kit di saperi evidentemente non concepiti e studiati per lui. È qui una prima radice della crisi. Consiste nel venir meno di tutto ciò che sta in mezzo, o meglio che fino a ieri aveva il coraggio di mettersi in mezzo: un vero e proprio dispositivo di interposizione, caratterizzato dalle sole armi della parola e della cultura.
Domandiamoci cosa perdiamo quando cambiamo in modo così accelerato e inconsapevole, perché questo è ciò che tendiamo a fare per la pressione sovrana del “nuovo testamento” della comunicazione in un misto di sciatteria e distrazione, cullando magari la vaga speranza che poi le cose si risolvano da sé.
In altri termini è in questione il modello di sviluppo di ognuno, da cui nasce la forza dell’educazione, che può assurgere a progetto culturale di un’intera società. Ogni parola che diciamo contro la povertà formativa attesta che le sue conseguenze determinano una drammatica barriera nell’accesso alla società e alla partecipazione, che si traduce in una sorta di astensionismo civile e di “disabilità di cittadinanza”.
Proiettando nel futuro un tale effetto si coglie appieno che la povertà formativa avvelena alle radici il grande disegno della democrazia e dell’uguaglianza.
È allora una vera e propria scelta di politica pubblica interrogarsi su quanto possano fare ricerca, cultura e comunicazione per ridurre le distanze sociali, aggiornando la sapienza non tramontata dei curricula e rimotivando la passione di studenti e docenti. Non ci sarà ripartenza senza mettere al centro la scuola, l’infrastruttura più sensibile di ogni processo di cambiamento
Mario Morcellini
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