LA CASA EUROPEA DEI POPOLARI
di Domenico Galbiati
Politicainsieme.com, 11m settembre 2023. Cosa c’azzeccano – come direbbe un noto personaggio d’altri tempi – i popolari con Renew Europe? E cos’ha a che vedere la loro cultura con il premierato, alias Sindaco d’Italia?
A prima vista, si potrebbe dire che, in rapporto alla scadenza elettorale europea del prossimo mese di giugno, per coloro che provengono dalla cultura politica cattolico-democratica e popolare, la prima domanda sia appropriata e la seconda no. Ma non è così. Ad ogni modo, restiamo, per ora, alla prima.
Per quanto nei cantieri del centro – qualunque cosa esso sia, stante la pluralità dei soggetti in gioco, taluni dei quali, a quanto pare, impegnati, almeno per ora, in più cordate, in attesa di individuare quale sia la più promettente – si discuta, per lo più, solo di sondaggi, di tendenze, di consensi, ipotetici e di voti da carpire a destra o a manca indifferentemente, la caratura politica della creatura non può certo essere sottaciuta.
Non avrebbe alcun senso un’operazione meramente elettorale, che non essendo in grado di proiettare la propria proposta al di là del rinnovo parlamentare dell’ Unione, fosse incapace di incrociare i temi fondamentali della politica nazionale. C’è una inevitabile connessione tra contesto europeo ed ambito nazionale.
Se assumessimo che una certa alleanza possa coalizzarsi sul piano europeo e dissolversi non appena si affronti il profilo nazionale delle questioni in gioco, vorrebbe dire accettare le premesse di una strutturale discrasia che comprometterebbe ambedue i versanti. Se vogliamo ricucire le vistose smagliature che compromettono la sintonia tra paese reale e paese legale, tra società civile e sistema politico-istituzionale abbiamo bisogno, necessariamente e tuttora, di forze politiche organizzate. Purché queste non dissolvano la loro azione in un quotidiano esercizio di potere che risponda solo alle ragioni o meglio alle occasionali opportunità di una concezione meramente tecnocratica, efficientista, pragmatica del loro ruolo.
Quanto più i temi che dobbiamo affrontare sono complessi e legati tra loro in modo difficilmente districabile, tanto più – a dispetto di quel nuovismo di facciata che tanta parte ha avuto nella deriva populista della politica – solo radici profonde possono garantire buoni frutti. Se non si muovono i propri passi prendendo le mosse da un nucleo tematico e culturale forte e coeso, che non disperda la sua identità profonda una volta esposto a tematiche dirompenti, ma, piuttosto, lo trasformi in una visione che sia in grado di assicurare una effettiva consonanza ideale ed una intrinseca coerenza politica ai differenti versanti di una proposta programmatica, non c’è modo di guidare il corso degli eventi piuttosto che subirne l’aleatorietà.
I popolari, fin dalla loro prima origine sturziana, sono nati nell’ alveo della cultura di impronta personalista dell’ humus cristiano-democratico e cristiano-sociale che ha ispirato le classi dirigenti ed i progetti politici di gran parte dei paesi europei. Per quanto oggi, anche a livello della rappresentanza parlamentare europea, questo profilo sia, in certa qual misura, messo alla prova e forse appannato, non c’è nessun motivo perché i popolari abbandonino casa loro e, anzi, a maggior ragione, debbono rivendicare la loro originaria appartenenza a tale indirizzo ed al pensiero forte che lo contraddistingue. Svellere le proprie radici dal terreno che le ha fin qui nutrire ed immaginare, per qualche ragione che non va al di là di un profilo tattico, di trasferirle altrove, non ha alcun senso.