Osservazioni sui metodi in Abruzzo
di Franco Cercone
[Contributo pubblicato in “Bollettino del Repertorio e dell’Atlante demologico sardo” BRADOS, n°9, p. 43 sgg., Cagliari 1980.]
Il maiale è considerato dai contadini abruzzesi “la grascia (l’abbondanza) de la case” ed ancora fino all’ultimo conflitto mondiale costituiva l’unica carne, insieme al pollame, di cui potesse usufruire la numerosa famiglia. La situazione oggi non è molto cambiata, anche se il tenore di vita ha subito una notevole evoluzione. In genere si verifica che i maiali allevati sono più di uno e la carne trasformata in eccedenza viene venduta a consumatori privati. Ciò spiega l’attenzione riservata ai metodi di conservazione dai quali dipende la vendita degli insaccati e dei prosciutti. Potremmo addirittura parlare di un «ciclo del maiale», che va dall’allevamento fino alla macellazione ed alla trasformazione della carne, fase quest’ultima che comprende anche il periodo dell’essiccamento.
Ogni stadio di tale ciclo è accompagnato da rischi che hanno ripercussione nella sfera psichica del contadino, assai bisognoso di una protezione che assicuri il lavoro di un anno da qualsiasi calamità. I santini e le immagini di Sant’Antonio Abate, affissi dietro le porte delle stalle, assumono allora una significativa funzione apotropaica, mentre la festa del 17 gennaio conclude la fine di una tensione protrattasi per mesi. La fase che segue, cioè la preparazione degli insaccati e degli altri salumi per la conservazione, si svolge entro limiti di maggior sicurezza, poiché il contadino sa che il successo è affidato alle sue mani ed alla sua esperienza. Di tale fase due sono i momenti rilevanti:
a) salatura e condimento con pepe e peperoncino delle carni;
b) asciugamento degli insaccati e dei prosciutti, come di altri pezzi interi, in locali adatti. Per quanto riguarda la prima fase, si è avuta la possibilità di constatare che la quantità di sale usata è maggiore nei paesi di pianura e medio-collinari e minore nei paesi di media e alta montagna. La salatura, dunque, è proporzionale alla pressione atmosferica. Il contadino ha compreso questa legge lentamente e tramandandola di generazione in generazione, l’ha trasformata in saggezza.
Avviene però che con i primi caldi, il sale penetra più a fondo nelle carni tagliate e conservate a pezzi (come guanciale, prosciutto etc.) e nei paesi di pianura, ove la quantità di sale messa sulle carni esternamente è maggiore, si avverte di più che la carne è salata, a discapito della bontà e, quindi, della qualità. Ma il maggior sale messo sulle superfici costituisce il prezzo pagato per la sicurezza della conservazione. È quello che si verifica per il vino: di fronte al pericolo che si guasti, il contadino preferisce fare vino cotto anziché crudo; egli non può correre rischi, non può vanificare un anno di duro lavoro. Questo spiega, anche se in parte, la migliore qualità degli insaccati e dei prosciutti conservati in alta montagna. I contadini intervistati hanno dichiarato che l’altitudine ideale per la conservazione va dagli 850 ai 1200 metri. Se è vero poi che «l’uomo è ciò che mangia», la norma vale anche per gli animali, e non solo per i suini.
Anche il pepe ed il peperoncino, messo sulle pareti delle parti intere oppure negli insaccati, serve a proteggere le carni soprattutto dalle mosche. Ma poiché tali insetti si sviluppano prima in pianura, ne deriva che la quantità di tali spezie deve essere maggiore, dato che le carni, in montagna, possono usufruire di un maggior periodo di esenzione da tale pericolo. Per l’essiccamento a perfezione, occorre collocare i prodotti in un luogo arieggiato ed asciutto. Il termine «arieggiato›› merita qualche chiarimento, nel senso che il locale deve avere sempre due aperture, ma situate in direzione opposta. Le aperture ideali sono quelle fatte in direzione Nord-Sud. Le ‘composte di salsicce’, messe in recipienti ricoperti interamente di strutto, vanno collocate nell’angolo più buio e più freddo del locale. Lo stesso vale per le vesciche destinate alla conservazione dello strutto, nonché per i salami messi sott’olio d’oliva per aumentare il loro periodo di conservazione. L’Abruzzo, si sa, è anche terra di cinghiali e chi scrive è fermamente convinto che comunque il toponimo ha a che fare con aperuzio, apruzio, da aper. I metodi di conservazione delle carni di cinghiale sono assai differenti da quelli adottati per i suini. Il cinghiale infatti ha una carne asciutta, senza grasso, che una volta insaccata, indurisce nel giro di poco tempo. Appena ucciso, i contadini – soprattutto nella Valle del Sangro – usano far uscire dal cinghiale la maggior quantità possibile di sangue, che è ritenuto amaro. Poiché la carne è dura, salsicce e salami devono essere conservati sott’olio di oliva. L’olio con il tempo ammorbidisce le carni e le rende squisite. Per i prosciutti di cinghiale il segreto sta nella minima (e nello stesso tempo precisa) quantità di sale sparsa sulle superfici.
Una volta iniziato il taglio del prosciutto, occorre sempre cospargere di grasso la carne che resta a contatto con l’aria, in modo che non si secchi completamente.
Alcuni usano poi preparare le salsicce di cinghiale come quelle di suino, mischiando però all’impasto della carne, grasso di maiale. In casi in cui le condizioni atmosferiche sono particolarmente eccezionali, come per esempio un continuo spirare di venti caldi nel periodo di gennaio, alcuni contadini mettono le salsicce di carne ed i salami in grandi frigoriferi.
Questa precauzione non viene presa per le salsicce di fegato, perché nel frigorifero sono particolarmente soggette a deteriorarsi.
L’essiccamento al sole di parti di pecora, abbondantemente salate, è un procedimento ormai in disuso. Esso ha subìto la sorte dei pastori transumanti. Oggi non si vedono più tratturi: la transumanza si è meccanizzata e gli animali, in carri ferroviari o autotreni, raggiungono celermente la Puglia senza la possibilità di rimpiangere i tempi passati.
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