I centri cultuali e “l’Urazione de sante Denàte” a Cansano
[Pubblicato in “rivista abruzzese”, a. Xxxv, n°1, lanciano (ch) 1982, pp.59-62.]
di Franco Cercone
Fra i canti religiosi popolari che da qualche tempo vado raccogliendo nell’area peligna ve n’è uno, particolarmente interessante, che ho registrato dalla viva voce della Sig.ra Di Giacomo Maria Govanna, contadina di anni 75, dimorante a Cansano (Aq.). Si tratta de l’uraziòne de sante Denàte, la cui importanza non tanto è costituita dalle varianti che esso presenta rispetto alle versioni registrate dal Lupinetti e dalla Nobilio[1], quanto invece da alcune considerazioni di carattere socioeconomico inerenti alle funzioni del culto e di cui anche altre informatrici intervistate sono apparse ben
consapevoli. II «male di S. Donato» o epilessia, lungi dal collocarsi così su un piano metastorico come «mal di luna» o malattia misteriosa, legata a circostanze della nascita e via dicendo, si è rivelato invece come male sociale e «storico», legato a particolari condizioni ambientali ed alimentari che, almeno per l’area peligna, in passato sono risultate determinanti.
La prima parte di questo breve studio che, diciamolo subito, non ha alcuna pretesa di considerarsi esauriente, è rivolta tuttavia agli aspetti filologico-letterari die scaturiscono dal testo dell’uraziòne di Cansano, salvata dall’opera distruttrice cui negli ultimi tempi l’ha condannata il Clero locale[2].
Essa veniva cantata fino a qualche tempo fa dalle poche vecchie superstiti durante la processione in onore di S. Donato, che continua a svolgersi tuttavia nel mese di settembre partendo dalla chiesetta settecentesca sita nella periferia di Cansano. Il S. Donato di cui parliamo fu vescovo di Arezzo ed il suo dies natalis cade il 7 agosto, per aver subito proprio in tale giorno il martirio sotto l’imperatore Giuliano intorno al 360-363 d. C.
La specificazione si rende necessaria poiché nel Martirologio Romano sono annoverati ben altri 17 santi con tale nome ed il Nostro viene confuso soprattutto con S. Donato di Fiesole, anch’egli vescovo, di origine irlandese, vissuto intorno al IX sec. ed il cui dies natalis cade invece il 30 settembre[3].
Se scorriamo le antiche Bolle corografiche della Diocesi di Valva e Sulmona, si resta perplessi nel constatare l’assenza di chiese dedicate a tale Santo, eccezion fatta per Ofena, dato che la Bolla di Innocenzo II (1138) menziona in tale località fra le altre quella dedicata a S. Donato[4]. Si ha notizia dal Pansa, inoltre, che per meriti insigni Sulmona aveva concesso allo storico Emilio De Matteis la cappella di S. Donato, sita nella chiesa di S. Agostino, dove appunto fu tumulato nel 1681[5].
Non sappiamo però con sicurezza se tale cappella sia coeva o successiva alla chiesa degli
Agostiniani[6].
L’unico centro cultuale peligno, che per il concorso di devoti assume grande rilevanza, è il santuario di S. Donato a Castel di Ieri, centro agricolo della valle Subequana, denominato castellum Ildegerii nelle Bolle corografiche citate.
Qui il 3 settembre affluiscono molte compagnie di devoti da ogni parte d’Abruzzo ed accompagnati dai congiunti non mancano gli epilettici o, come si dice anche, coloro che sono affetti dal cosiddetto male de S. Donate e che il Santo ha appunto potere di guarire.
Si tratta però di un ignoto martire, e ciò è singolare, sepolto in una fossa comune nelle catacombe di S. Ponzano a Roma, i cui resti furono donati – donde il nome Donato con cui il martire stesso fu ribattezzato dall’ Universitas di Castel di Ieri – dalla S. Sede alla chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta[7].
Tale donazione fu effettuata nell’ottava di Pasqua del 1753, sotto il governo del vescovo Carlo De Ciocchis e pertanto l’ignoto martire è venuto ad ingrossare la lista dei Santi che sotto tale nome sono menzionati nel Martirologio Romano[8]. Ma torniamo all’urazione di Cansano, che dopo Castel di Ieri si presenta come il maggior centro cultuale peligno.
Il testo dell’uruzione viene riprodotto fedelmente come è stato scritto dalla informatrice di Cansano su due pagine di un quaderno scolastico e di esso è stata inviata copia fotostatica alla redazione della Rivista Abruzzese. La trascrizione musicale è opera del Maestro Benedetto Bianchi, noto musicologo sulmonese, che in tale sede ringrazio vivamente. Mi sembra opportuno sottolineare che il testo è strutturato in quartine per lo più di versi dodecasillabi (secondo il cosiddetto orologio della passione), per cui si hanno 24 quartine che sono chiuse in tale circostanza dalla venticinquesima in onore della SS. Annunziata.
Urazione de S. Dettate, 25 anne a gliu letto melate, “scritto a mento” da Di Giacomo Maria Donata, anni 75, Cansano.
Perza la forza mia e perza lungegno
questa è la morte che mi vè a cità
ognuno me la vete da questo regno
perza la forza mia e perza lungegno
Agli due mi sintì chiamare
sentì una grosse voce al’improviso
erano gli miei compagni guali guali
e agli due mi sentì chiamare
Agli tre veddi chi mi a visto
vedde la cascia della mia gioventù
gli maestri che laveva fatto ben provista
agli tre veddi chi mi ha visto
Agli quattro mi sentì feruto
misericordia cerca dal mio petto
la lingua mi diceva aiuto aiuto
agli quattro mi sentì feruto
Agli cinque mera misso a letto
ma tutti me lo dicevano non digione
gli occhi mi piancevano con molto affetto
e agli cinque mera misso a letto
Agli sei mi valse confessare
cercare perdono a quella mamma mia
questo viaggio ognuno gli abbiamo da fare
e agli sei mi volse confessare
Agli sette la bella sapienza
la lingua mi cercava la comione
Dio te la pozzo dare a salivamiento
agli sette la bella sapienza
Agli otto con molte persone
minevano in casa mia a visitare
ognuno se la contava la sua raggione
agli otto mi volse confessare
Agli nove mi posa annegare
dentro la casa mia una gran tempesta
nessun aiuto mi prodasti dare
agli nove mi posa annegare
Agli dieci voglio far prodesto
guarda la faccia mia pare una masca
o mamma hanno finosto le negri vesti
agli dieci voglio far prodesto
Agli undici mi sente sconfidato
o spiziale mio fatto alento
guarda il puzo mio quanto a mancato
agli undici mi sento sconfidato
Agli dodici veddi gli miei parenti
venivano in casa mia a visitare
ognuno la contava la definrenza
agli dodici veddi gli miei parenti
Agli tredici voglio domantare
quello che porta la comunione
me la potesse l’anima salvare
agli tredici voglio domantare
Agli quattorci la madra pietosa
le vedde le negri veste ricomprare
questo servano pe rivestire lo sposo
agli quattorci la madra pietosa
Agli quintici la mia sorella scapelata
venne a gliu letto a farmi la croce
quest’anima ti sia raccomantata
agli quintici la mia sorella scapelata
Agli sedici mi rivolto agli angeli
senti le truppe e le campane sonare
o mamma hanno fenito i dolci canti
agli sedici mi rivolto agli angeli
Le veddi comprare le bianche torte[9]per stu corpo morto
fateci un dono che dovete fare
agli diciassette le vedde comprare
Sentì una grossa voce
erano gli miei compagni gualuva gualuva
portavano le crilante delle rose
agli diciatto sentì una grossa voce
Agli diciannove la madre si acosta
ci si acosta con una carta scritta
di pegno non si potevano per il ghiostro
agli diciannove la madre si acosta
Agli vente abbiamo arrivato al posto
sono arrivato a questo lugno santo
ditelo per me un paternostro
agli vente abbiamo arrivato al posto
Agli ventuno gliu ficiuolo si canta
le campanelle suonano nalta voce
o mamma hanno fenito gli dolci canti
agli ventuno gliu ficiuol si canta
Agli venteddu la madresi acosta
ci si acosta con una carta scritta
di pegno non poteva per l’ighiostro
agli venteddu la madre si accosta
Agli ventetrè fu morto e settirato
unanima non si trovava per la terra
piancete amori miei parenti e frati
ai ventetrè fu morto e settirato
Agli ventequattre si apri la sepeltura
guarda la faccia mia pare d’acciaio
o mamma hanno fenito le miei fegure
agli ventequattre si apre la sepoltura
Agli venticinque fu la gloriosa
il giorno ella santissima Nunziata
la Madonna fu la cara sposa
per tutto il monto fu santificata
Le quartine seguono come si vede, per quanto concerne la rima, lo schema a/b/a/a che risulta simile a quello della versione registrata dal Lupinetti, mentre da quest’ultima si discosta quella della Nobilio. Un cenno a parte meritano i primi due versi dell’Urazione di Cansano. Nelle due versioni suddette essi si rinvengono infatti separati ed inseriti in quartine diverse (Nobilio), mentre nella versione del Lupinetti compare solo il primo verso, che è lo stesso con cui inizia un canto raccolto dal Salomone-Marino: “Persi la mente mia, persi lu necgnu”, uno dei dieci che ricorda il Vespro Siciliano[10].
[1] Cfr. P. Donatangelo Lupinetti, “Castiglione Messer Raimondo e il suo tesoro”, p. 112 sgg., L’Aquila 1963; E. Nobilio, “Vita tradizionale dei contadini abruzzesi nel territorio di Penne”, p. 192 sgg., Firenze 1962. La bibliografia sull’argomento è assai vasta, anche se per l’area abruzzese resta fondamentale un lavoro di Emiliano Giancristofaro dal titolo “Il male sacro in Abruzzo”, apparso nella «Rivista abruzzese», n. 4, 1967, p. 3 sgg. Vedasi anche AA. VV., “Mal di luna. Folli, indemoniati, lupi mannari: malattie nervose e mentali nella tradizione popolare, p. 28 sgg., Roma, Newton Compton, 1981, introduzione di A. Di Nola (lo studio su «II male di S. Donato» è opera di G. Lutzenkirchen).
[2] Io non so fino a che punto si possa parlare per altre aree, come per es. quella marsicana, di «feste popolari cattoliche», poiché non sono un «teorico». Per quanto concerne quella peligna, l’osservazione diretta mi ha fatto constatare purtroppo che i termini «popolare» e «cattolico» risultano spesso inconciliabili e l’azione omologante della liturgia cattolica, trova proprio nei vescovi i suoi più tenaci assertori. Chi ne ha voglia, può consultare al riguardo ciò che il vescovo di Valva e Sulmona, F. Amadio, sosteneva nel «Bollettino Diocesano» (n. 6, nov. 1973): «Per una rinnovata celebrazione delle feste religiose popolari».
[3] Cfr. P. Bargellini, Mille Santi del giorno, p. 440; Firenze 1978.
[4] N. F. Faraglia, “Codice Diplomatico Sulmonese”, Doc. XXXIII, Lanciano 1888.
[5] G. Pansa, “Emilio De Matteis. L’opera sua e i cronisti sulmonesi”, in “Rassegna Abruzzese di Storia ed Arte”, fasc. II, 1897, p. 147 sgg.
[6] II Sac. A. Leombruno, in un opuscolo dal titolo “San Donato Vescovo e Martire nella storia e nella tradizione popolare” (Sulmona 1960) sottolinea che tale cappella è sorta contemporaneamente alla chiesa di S. Agostino. Fondata verso la fine del sec. XIII, quest’ultima fu distrutta dal terribile terremoto che devastò Sulmona il 3 nov. 1706. Si salvò la sola
facciata che fu infissa nel 1883 nella chiesa di S. Filippo Neri, sita in Piazza Garibaldi. Un’altra chiesa dedicata a S. Donato, ma orami diruta, sorgeva a Goriano Sicoli e di essa dà qualche notizia lo stesso Leombruno (ivi, p. 34).
[7] Importante è anche la festa che si svolge a Castel del Monte il 6 e 7 agosto nella chiesetta di S. Donato sita fuori il paese che, pur appartenendo alla Diocesi di Valva e Sulmona, è tuttavia in area vestina.
[8] Cfr. anche A. Leombruno, ivi, p. 20.
[9] Data la struttura del canto, le strofe 17 e 18 hanno una diversa impostazione, confermatami del resto dalla Sig.ra Carmela Di Giacomo, di Cansano, casalinga, di anni 62: «Agli diciassette le vedde comprare / le bianche torte pe stu corpo morto / fateci un dono che dovete fare / agli diciassette le vedde comprare. Agli diciotto senti una grossa voce / erano
gli miei compagni gualuva gualuva / portavano le crilante delle rose / agli diciotto senti una grossa voce».
[10] Cfr. F. Napoli, “Storia della Città di Mazara”, p. 61, Mazara 1932, rist. anast. Bologna, Forni, 1974.
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