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SINGOLARE OLLA CINERARIA RINVENUTA IN TERRITORIO PELIGNO

di Franco Cercone

[Pubblicato in Abruzzo Oggi, n. 18, Pescara 1982. Contiene una vera e propria scoperta etnografica: l’uso, finora sconosciuto nel culto romano dei morti, di deporre nelle olle cinerarie tre chiodi piegati in modo da costituire le iniziali del nome, prenome e cognome del defunto.]

La conoscenza occasionale di un contadino curioso e nello stesso tempo superstizioso ha permesso di poter descrivere una singolare olla cineraria venuta alla luce recentemente nell’area peligna e precisamente in località Casali di Cocullo [foto1]. Per tale motivo si è ritenuto utile riportare le immagini del reperto e del suo contenuto, da cui dipende appunto la singolarità dell’olla in questione. Quando infatti, dal contadino che l’ha rinvenuta, è stata tolta la terra che l’aveva riempita, son venuti alla luce tre chiodi in ferro forgiato, piegati e torti in modo diverso l’uno dall’altro nonché frammenti di ossa umane. Per la fertile fantasia del nostro contadino, tali chiodi non rappresentavano altro che i mezzi del martirio di un povero infelice condannato alla crocifissone. A noi invece la strana foggia dei chiodi ha richiamato alla mente la possibilità, reale, che si trattasse di tre lettere dell’alfabeto riferentisi al nome del defunto di cui si è voluto tramandare la memoria nel tempo. Insieme alla flessione, si nota che i tre chiodi appaiono anche torti sull’asse, indice questo di chiara volontà rivolta a trasmettere semanticamente un messaggio [foto 2].

Le olle che finora sono state pubblicate e studiate, anche da un punto di vista morfologico in relazione alla «logica del recipiente» (si allude qui alla ormai famosa analisi condotta da G. Profeta), sono in genere “anepigrafi”, essendo destinate all’interramento. Alcune riportano graffite sulla parete delle lettere che, se non sono l’abbreviazione del nome del defunto, si riferiscono alle iniziali di una dedica pregna di “pietas”.

Altre volte la memoria del nome del defunto era affidata a steli posti nella terra al di sopra dell’olla interrata. La singolarità del reperto in questione consiste dunque nella circostanza che il messaggio, sia esso un nome, una dedica o forse anche uno scongiuro, non è affidato alla parete vascolare dell’olla fittile, né, per quanto ne sappiamo, a una piccola stele che, se esisteva, è andata dispersa, ma a tre chiodi forgiati, come se l’antico ed ignoto offerente avesse voluto proteggere di più la «personalità» del defunto.

Ci siamo preoccupati ovviamente di consultare testi di epigrafia ed abbiamo richiesto il parere di studiosi italiani e stranieri per accertarci se in passato siano venuti alla luce reperti simili a questo descritto.

Le indagini condotte a tal fine non hanno portato ad alcun risultato positivo e ciò rafforza la nostra convinzione che ci troviamo di fronte ad un reperto di grande importanza e capace di apportare contributi diretti alla conoscenza di particolari aspetti archeologici ed antropologo-culturali.

Si diceva in precedenza infatti che nell’olla sono stati rinvenuti frammenti di ossa appartenenti inequivocabilmente, come è risultato da un esame specialistico, a resti umani.

Essa misura cm. 38 di altezza a coperchio in situ, la circonferenza all’imboccatura è di cm. 46 mentre quella massima è di cm. 85,5. I tre chiodi sono lunghi cm. 12 e presentano ognuno quattro facce. Le fattezze dell’olla, del tipo di impasto e dei chiodi forgiati fanno datare il reperto intorno al II-I sec. a.C. circa. A partire da tale periodo la pratica ed il rito dell’incinerazione sono attestati, in una fase ormai di romanizzazione della Penisola, in maniera diffusa ovunque ed anche nell’area peligna, ma senza carattere di esclusività, poiché l’inumazione costituisce pur sempre la forma comune di seppellire i defunti, con tutte le premesse antropologiche e religiose che l’accompagnano. Tuttavia, se altrove l’incinerazione costituiva anche la risoluzione di problemi urbanistici, con l’occupazione appunto di minori aree da destinare alle sepolture (vedasi a proposito la fondamentale opera di L.V.Thomas, Anthropologie de la mort, p.300 sgg.,Paris, Payot Ed. 1975), in un’area come quella in cui è venuta alla luce l’olla descritta, priva di un centro a densa concentrazione demografica, viene a mancare tale presupposto tecnico-organizzativo ed il rito dell’incinerazione assume una dimensione che è solo di natura etico-religiosa. Ed il rilievo va esteso a nostro avviso a tutto il territorio peligno.

Tornando ai chiodi, noi riteniamo che essi si riferiscano ad un nome, a meno che, se è esatta la disposizione che abbiamo dato loro, non indichino la frase “Cum Lacrimis Posuit”, dato che la piegatura che è stata loro impressa sembra richiamare appunto le tre lettere dell’alfabeto C,L,P. Ma non è da escludere ovviamente altra interpretazione, compreso uno Spruch a carattere magico-religioso.

A noi comunque resta la soddisfazione di aver reso noto un messaggio, a distanza di due millenni, da parte di colui che ha introdotto i chiodi nel vaso, messaggio che, malgrado tutti i moderni mezzi d’indagine, è destinato forse a restare un «mistero archeologico».

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