LA POVERTÀ ASSOLUTA CHE AUMENTA
Interventi di Natale Forlani e di Linda Sabbadini
PoliciaInsieme.com, 27 ottobre 2023.
I dati Istat sull’aumento della povertà assoluta hanno provocato una serie di commenti e valutazioni. Noi registriamo per ora quelle di Natale Forlani e di Linda Laura Sabbadini.
Natale Forlani su Il Sussidiario.net ha sostenuto che ” le cause del peggioramento vengono individuate nella forte accelerazione dell’inflazione registrata nel corso del 2022 che ha comportato una riduzione della spesa per consumi del 2,5% per le famiglie con bassi redditi, nonostante gli interventi di sostegno al reddito adottati dalle Autorità che hanno consentito di attutire di sette decimi l’impatto dell’aumento dei prezzi”.
Dopo aver constato, tra l’altro, che l’aumento delle famiglie in condizioni di povertà assoluta risulta uniforme su tutto il territorio nazionale, con una particolare incidenza nel Mezzogiorno e che il 42,9% delle famiglie povere risiede nelle regioni del Nord, il 41,4% in quelle del Mezzogiorno, il 15,7% nel Centro Italia, Forlani sottolinea come l’incidenza della povertà risulti più intensa per i nuclei che hanno minori a carico, con 720 mila le famiglie povere che si fanno carico di 1,270 milioni di minori.
A suo avviso, “l’analisi offerta dall’Istat pone seri interrogativi sul funzionamento delle politiche del welfare e del lavoro finalizzate a prevenire la povertà che negli anni recenti, segnati dalle vicende della pandemia Covid e dalla ripresa dell’inflazione, hanno mobilitato l’erogazione di centinaia di miliardi di euro nella direzione dei sostegni all’economia e delle famiglie. Buona parte dei quali erogati utilizzando in modo selettivo i requisiti dei redditi Isee fino ai 15 mila euro annui, o immediatamente superiori, per veicolare in modo selettivo i sostegni statali. Secondo l’Istat, i bonus sociali per l’energia e per il gas avrebbero consentito di ridurre di sette decimi l’impatto della crescita dei prezzi sui consumi delle famiglie povere”.
Forlani così prosegue: “Il confronto tra i numeri delle persone povere descritti nelle indagini dell’Istat e i beneficiari effettivi del Reddito di cittadinanza/Pensione di cittadinanza consente di fare una valutazione sull’efficacia delle politiche adottate per contrastare il fenomeno. Il Rdc era stato proposto all’origine dal M5S come uno strumento finalizzato a offrire un sostegno alle persone non occupate e prive di reddito e successivamente riadattato per la funzione di contrastare la povertà, sostituendo il precedente Reddito di inclusione, per l’onerosità dell’intervento. Tuttavia, il tentativo di far quadrare i conti con l’obiettivo promesso nel corso della campagna elettorale ha comportato l’adozione di meccanismi di selezione dei beneficiari del Rdc che hanno penalizzato le famiglie numerose e i cittadini di origine straniera (almeno 10 anni di residenza in Italia). I requisiti di reddito Isee uniformi per tutto il territorio nazionale, che non tengono conto dei differenziali territoriali dei costi della vita utilizzati dall’Istat per quantificare il numero delle persone povere, hanno di fatto impedito l’accesso ai benefici per una quota significativa dei nuclei familiari residenti nelle regioni del Nord Italia e nelle aree metropolitane. Le conseguenze sono del tutto evidenti se si confrontano le platee stimate dall’Istat con quelle dei percettori del Rdc monitorati dall’Osservatorio dell’Inps, per via della mancata partecipazione ai benefici di un numero consistente di famiglie numerose, di minori poveri e di stranieri, ovvero per l’integrazione al reddito ridotta per queste tipologie di percettori.
Sul versante opposto, quello della partecipazione indebita di una quota di beneficiari del Rdc, hanno pesato le sotto dichiarazioni dei redditi Isee legate alle prestazioni sommerse e alla palese improvvisazione del provvedimento nei primi anni di gestazione, per l’assenza di banche dati integrate tra amministrazioni, che potevano consentire all’Inps una verifica più efficace delle domande inoltrate. Una lettura dell’impatto del Rdc sulla povertà assoluta nei quattro anni di gestazione consente di suddividere in tre fasi l’evoluzione dell’intervento.
La prima caratterizzata dalla carenza di strutture e servizi in grado di offrire risposte realistiche ed efficaci alla complessità dei bisogni, comprese le misure di politica attiva finalizzate all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale. La seconda segnata dalle conseguenze della pandemia Covid che ha consentito di utilizzare lo strumento, potenziato provvisoriamente con il Reddito di emergenza e un ampliamento dei requisiti Isee, per veicolare i sostegni statali verso la fascia delle famiglie meno abbienti. La terza che coincide con la ripresa dell’economia e dell’occupazione su livelli superiori a quelli antecedenti alla crisi sanitaria e la progressiva riduzione delle domande e del numero dei percettori del Rdc.
L’aggiornamento dei dati Istat consente di fare alcune riflessioni ulteriori sulla efficacia delle politiche finalizzate a contrastare il fenomeno. Il mancato adeguamento delle integrazioni del Rdc e più in generale dei redditi da lavoro dipendente rispetto ai ritmi dell’inflazione hanno svolto un ruolo importante nell’aumento di questi numeri. Alcuni provvedimenti strutturali, in particolare il decollo dell’Assegno unico universale per il sostegno dei minori, potenziati con la Legge di bilancio 2023, hanno avuto un effetto parziale nel corso del 2022. Alcune novità introdotte con la riforma del Rdc, in particolare il dimezzamento dei requisiti di residenza per gli stranieri, il ripristino della integrazione per i minori a carico e l’esclusione degli importi dell’Assegno Unico Universale nel calcolo del reddito Isee, entreranno in vigore dal 1° gennaio 2024. L’effetto dei nuovi interventi dovrà essere valutato attentamente nei prossimi mesi.
Resta il fatto che, nonostante il vertiginoso aumento della spesa assistenziale pubblica negli ultimi 15 anni, la qualità del nostro mercato del lavoro e delle prestazioni sociali rimangono lontane dal soddisfare i fabbisogni. Linda Sabbadini che ha avuto importanti incarichi al vertice dell’Istat è intervenuta sullo stesso tema su La Stampa ricordando la crescita del fenomeno che riguarda i più poveri tra i poveri e che fa raggiungere un totale di 5 milioni e 674 mila persone.
A suo avviso le “politiche contro la povertà arretrano” e le preoccupazioni vengono dall’incremento dei poveri dopo il raddoppio del 2012 con un “ulteriore aumento di un milione nel 2020, mai recuperati, e con un aggravamento del Sud che già stava peggio. Secondo. Perché si ampliano le tipologie di soggetti colpiti. Non più solo bambini che mantengono il triste primato (e ci dovremmo vergognare) di incidenza di povertà al 13.4%, un milione 270 mila. Non più solo i giovani, che seguono i minori al 12%, in crescita”.
Linda Sabbadini ricorda l’aumento anche della povertà tra gli anziani, specialmente italiani, aggiungendo: “è vero, hanno una incidenza più bassa della media, 6,3%, ma, attenzione, con le loro pensioni, negli ultimi 15 anni hanno rappresentato spesso un pilastro per le famiglie più giovani a fronte delle crisi, in seguito alla disoccupazione o alla crescita dei lavori precari dei loro figli. Scricchiola il pilastro di aiuto dagli anziani, proprio nel momento in cui cede anche quello pubblico ai poveri”. E poi indica il terzo motivo di preoccupazione: “non viene scalfita la povertà minorile, triplicata nel 2012 e da allora mai diminuita. Un bambino che rimane in condizione di povertà a lungo ha un rischio elevato di rimanerci tutta la vita. Non può sfruttare le stesse opportunità degli altri bambini, e cumulerà svantaggi, anno dopo anno, che mineranno le stesse sue capacità di resilienza. Stiamo parlando, soprattutto, dei bambini del Sud, di quelli stranieri specie del Centro Nord, dei bambini figli di operai”.
Poi La Sabbadini affronta il tema della povertà dei giovani, un milione 157 mila, che “non hanno ancora recuperato il tasso di occupazione del 2008 e pagano una forte svalorizzazione del loro capitale umano”, prima di constatare come il lavoro non basti “a garantire l’uscita dalla povertà” mentre le famiglie operaie permangono a un livello alto, il 14,7%.
Sesto elemento di preoccupazione l’alta la povertà delle famiglie di tutti stranieri (33,2%) cosa che mette a rischio la loro integrazione.
Secondo Linda Sabbadini, “il tasso di inflazione per le famiglie del primo quinto della distribuzione della spesa per consumi, le più disagiate, ha toccato punte del 18,6% a ottobre e novembre e in media nel 2022 del 12,1%: “la differenza nell’impatto dell’inflazione sulle famiglie a maggiore e minore capacità di spesa è arrivata anche a 9 punti percentuali. E ciò non poteva non trasformarsi in aumento della povertà. I bonus energetici hanno potuto solo contenerne l’incremento di 0.7 punti percentuali, ma non eliminarlo”.
Le sue conclusioni sono che “i dati sono preoccupanti, perché la povertà aumenta, proprio nel momento in cui diminuisce il sostegno pubblico ai poveri, con la cancellazione del Reddito di cittadinanza e la sua sostituzione con misure più inefficaci e che raggiungo una platea più ristretta. Il quadro è complesso e avrebbe bisogno di una strategia di ampio respiro di prevenzione e contrasto della povertà”. E le domande finali sono: ” quando il governo se ne doterà? Quando il governo riuscirà ad agire con giustizia? Quella vera, quella sociale. Quella economica. Quando finirà di considerare le misure contro la povertà pura elemosina e non strumenti per garantire la dignità delle persone, favorirne il riscatto sociale, contribuendo a un vero sviluppo sostenibile? Nelson Mandela affermava: “Sconfiggere la povertà non è un atto di carità, è un atto di giustizia”. Dovremmo ricordarcelo tutti.