Aspetti di Religiosità Popolare Peligna
[Pubblicato in Abruzzo Oggi, A. III, n. 5-6, Pescara 1980, pp.19-20]
Di Franco Cercone
Un capitolo particolarmente interessante della religiosità popolare, poco studiato a giudicare dalla scarsissima bibliografia esistente sull’argomento, è costituito dall’analisi delle cosiddette edicole votive, consistenti per lo più in affreschi di limitate dimensioni, realizzati sulle facciate delle case site nel centro storico urbano da ignoti pittori, su commissione di un singolo devoto, degli abitanti di uno stesso caseggiato, di un piccolo vicolo, di una piazzetta o addirittura di un intero rione.
Una importante e forse unica pubblicazione sull’argomento, dal titolo“Lo spazio sacro. Per un’analisi della religiosità popolare napoletana”, ha visto la luce a Napoli nel 1978 a cura di G Provitera, G. Ranisio ed E. Giliberti, con prefazione di Luigi M. Lombardi Satriani. L’illustre antropologo ha confermato quanto prima si asseriva, e cioè che il tema delle edicole votive “non è certo frequente nell’indagine demologica e storico-religiosa”.
Pertanto, saranno frequenti i richiami all’opera suddetta e soprattutto a quella parte in cui G. Provitera analizza struttura e funzioni dell’edicole votive presenti nel quartiere napoletano di Montesanto, preso a campione nell’indagine condotta dagli Autori citati. Ciò servirà da un lato ad evidenziare le caratteristiche dell’edicola votiva sulmonese e dall’altro a sottolineare la complessità dei problemi socio-religiosi emersi da questa particolare ricerca condotta direttamente sul campo.
Osserviamo subito, rispetto alla tipologia rilevata dal Provitera per Napoli, che a Sulmona risultano scarsi gli altarini e le nicchie. La maggior parte delle edicole è costituita infatti da affreschi murari,
non incassati nelle pareti degli edifici, o da vecchie stampe coperte spesso da materiale plastico (quelle più recenti) o da vetro, risalenti per lo più agli inizi del nostro secolo. Non mancano esempi di edicole antiche, come la bella Madonna (probabilmente) quattrocentesca, affrescata su un muro dell’attuale mattatoio comunale.
La loro freschezza si avvicina all’arte naïf ed al mondo degli ex-voto pittorici, mentre negli affreschi più antichi si percepisce addirittura lo stampo o le tracce di influenze artistiche del passato.
Dagli ex-voto le edicole votive differiscono tuttavia per una serie di motivi, soprattutto per quanto concerne la tecnica con cui quest’ultime vengono realizzate,
L’ex-voto infatti, quello pittorico, è destinato ad ornare la parete di una chiesa, di un santuario, e viene eseguito per lo più ad olio o tempera su tavola.
L’edicola invece, quando non contenga una immagine stampata, è realizzata secondo la tecnica dell’affresco e destinata non ad uno spazio “già sacro”, ma a trasformare come nota il Lombardi Satriani (ivi, p.8) “lo spazio realistico in spazio protetto” e pertanto “sacro”.
L’ex-voto inoltre costituisce un rapporto singolo fra la divinità e l’offerente, colui cioè che ha ricevuto una grazia. Le edicole ricalcano spesso questo modello comportamentale, ma sorgono anche
per mera devozione, al di fuori cioè della struttura temporale “voto fatto, grazia avuta”.
In entrambi i casi comunque, “si pongono sul piano culturale collettivo, agendo come fattore di aggregazione e di ulteriore identificazione del vicolo, del rione, del quartiere…L’edicola si pone come una variante liturgica, abolendo la mediazione ecclesiastica nel rapporto con il Divino e superando
lo spazio chiuso dell’edificio adibito a culto” (Lombardi Satriani, ivi, p.8).
L’edicola dunque, una volta realizzata, spezza i legami che la tenevano unita all’offerente ed accentra a sé il culto di un intero vicolo, diventa oggetto di culto di una comunità socialmente ristretta ed accomunata dai medesimi “sentimenti del noi” analizzati dal Sumner. [H. J. Sumner Maine 1822-1888 giurista e sociologo britannico]
Così, nota efficacemente G. Provitera (ivi, p. 59), “l’edicola diventa parte integrante della vita del vicolo, facilita l’istituirsi del rapporto con l’effige rappresentata che, per chi vive questa realtà
ed è partecipe di uno stesso orizzonte culturale, diviene personaggio familiare a cui rivolgersi, confidando i propri problemi, i propri timori, le proprie aspirazioni”.
L’area sacrale, realizzatasi in maniera extra-liturgica con l’edificazione dell’edicola, è spesso, nei confronti degli abitanti dello stesso vicolo o persino dello stesso rione, fonte di immunità territoriale
per quanto concerne “il negativo esistenziale” e pertanto provoca in alcuni casi il rovesciamento dell’aspetto temporale insito anche nel modulo dell’ex-voto, nel senso che la “grazia avuta” non
è preceduta dal “voto fatto” e la prima, a livelli più o meno consci, viene attribuita all’intervento miracoloso del Santo o della Madonna venerati nell’edicola.
Tornando alle edicole votive di Sulmona, notiamo innanzitutto due particolarità. Esse sono assenti nei quartieri nuovi della città, formati non solo dall’edilizia residenziale, ma anche dalle cosiddette “case popolari”, le quali, accolgono sempre più gli abitanti che fuggono dai vicoli e certamente non appartenenti ai ceti “egemoni”. Dispersi nel mare di cemento dei piani regolatori, che simili ad alveari non consentono più di ritrovare uno spazio che costituisca elemento di identificazione socio-culturale, i nuovi agglomerati risultano urbanisticamente deculturanti e generano forse un meccanismo di rigetto nei confronti dell’edicola.
Il fenomeno è accentuato inoltre dalla circostanza che mentre i muri delle vecchie case del centro storico sono coperti per lo più da un intonaco costituito da sabbia e calce e, formante dunque una
parete naturalmente predisposta ad accogliere l’affresco, quelli delle case moderne, rivestite da un sottile strato di cemento, non offrono alcuna possibilità al riguardo.
Una eventuale iniziativa diretta ad edificare una edicola in un palazzo moderno, oltre alle difficoltà tecniche suddette, incontra un ostacolo insormontabile (a prescindere dall’approvazione di tutti
i condomini), nelle stesse norme urbanistiche, che sono estremamente rigide in tal senso e non permettono deviazioni dirette a “personalizzare” l’aspetto esterno del palazzo.
La seconda osservazione scaturisce dai rilievi stessi fatti sul campo, e cioè che le edicole sulmonesi sono costituite nella maggior parte da affreschi realizzati su pareti esterne prive di quelle protezioni costituite dalla nicchia o da uno sportello di vetro. Di conseguenza sono proprio queste ad aver subito maggiori danni, essendo esposte continuamente all’azione corrosiva degli agenti atmosferici.
Altre edicole, provviste di tali accorgimenti, si presentano invece chi più chi meno in un discreto stato di conservazione. Alcune mostrano tracce di precedenti impianti di illuminazione ed è probabile che la loro funzione corrisponda a quella analizzata per Napoli da G, Provitera (ivi, p. 44), e cioè la risoluzione del problema dell’illuminazione della città (o meglio: di vicoli e piazzette) mediante l’illuminazione notturna dell’edicola.
La rete elettrica, infatti, inaugurata a Sulmona nel 1906, non serviva allo stesso modo le principali strade e piazze cittadine ed i piccoli vicoli immersi nel loro buio storico. Inoltre, le scarse e deboli
lampadine si fulminavano di frequente o, spesso, venivano rotte per molti motivi, compreso quello della necessità, avvertita dai giovani, di poter contare su una costante zona d’ombra per i colloqui…amorosi. Quest’aspetto è confermato da notizie stralciate da giornali dell’epoca. Invece, la rottura della lampadina apposta all’edicola votiva, equivaleva ad una azione profanatrice espletata nei confronti dello spazio sacro e dell’immagine venerata, che diventava pertanto non più protettiva.
La paura di trasformarsi in sacrileghi costituiva dunque un impedimento psichico per ogni azione contraria a norme comportamentali religiose, per cui l’edicola illuminata svolgeva accanto alle tipiche funzioni salvifiche, protettive e culturali anche un servizio sociale pubblico. Edicole che presentano tuttora “segni” di culto costante, come fiori o altri abbellimenti, sono oggi rarissime a Sulmona.
Un esempio è costituito dall’edicola situata a Piazza Mercatello, ben conservata e protetta da sportello con vetro, che è illuminata di giorno e di notte da una lampada votiva. Si tratta della “Madonna della Neve”, che è particolarmente venerata a Sulmona e nell’area Peligna.
Purtroppo, il discorso del restauro riguarda la maggior parte delle edicole sulmonesi, sprovviste del tutto di accorgimenti che le salvassero da sole, acqua e vento.
II loro recupero si impone tuttavia per una serie di considerazioni: le edicole votive infatti costituiscono testimonianze di una “pietas popolare” che permette di riaprire un capitolo di storia ingiallito dal tempo, ma di massima importanza sotto l’aspetto etnografico.
Poiché, come afferma G. Ranisio (ivi, p. 75) la religiosità popolare “assume forme proprie e si realizza nell’ambito di un particolare rapporto diretto ed immediato con la divinità”, ne deriva che il
culto di un santo non è mai causale: esso costituisce invece la proiezione di particolari esigenze protettive dell’uomo che emergono da una struttura socioeconomica ambientale e non tanto da una mera devozione preposta all’acquisizione di un posto in paradiso.
Il culto di S. Lucia, così intenso nella Valle Peligna, si ricollega per es. ai mestieri tradizionali dei nostri contadini che erano nello stesso tempo scalpellini, carbonai, calcaroli e mietitori, tutte attività che esponevano gli occhi a continui pericoli.
Il culto di S. Emidio si sviluppa a Sulmona soprattutto a partire dal 1706, dopo che il terremoto del 3 novembre di tale anno, che durò secondo lo storico Ignazio Di Pietro (1806) “più di un Pater Noster”, cambiò quasi il volto della città di Ovidio.
Quello di S. Rocco è intenso soprattutto dopo la peste del 1656, cessata la quale si assiste un po’ ovunque in Abruzzo alla fioritura di chiese, cappelle ed edicole votive dedicate al santo, per intercessione del quale si credette debellata la funesta epidemia.
Le edicole votive, dunque, ci aiutano a ricostruire il complesso pantheon devozionale di un determinato ambiente geografico i cui spazi sacri si realizzano in base ad uno dei fenomeni analizzati da G. Profeta nell’importante lavoro dal titolo “Leggende di fondazione dei Santuari” (Lares. 1970, III-IV pp. 245-258), perché l’edicola votiva costituisce appunto il santuario del vicolo o del rione.
In località Torrone[1], troviamo affrescati in una stessa edicola, sorta “a devozione” di un offerente, tutte le maggiori “potenze dei Santuari peligni”, cioè S. Domenico di Cocullo, S. Antonio Abate, La Madonna della Libera e S. Antonio di Padova. Essa evidenzia il bisogno dell’offerente di assicurare dai rischi del negativo esistenziale sé stesso e i suoi beni, animali compresi.
Quasi la metà delle edicole censite, che ammontano a circa quaranta, presentano l’effige della Madonna. Ciò si spiega con la circostanza che sono le donne ad essere le curatrici dell’edicola, ma non vanno sottovalutati altri fattori. Infatti, dato che “è solo attraverso la figura mediatrice che si instaura il rapporto con il divino, mediatrice per eccellenza è la Madonna, in quanto figura materna” (G, Provitera, ivi pag. 56). Un bell’affresco raffigurante la Madonna dello Potenza, è quello che si trova in via Aragona, edificata, in base a notizie raccolte, per voto fatto da un cuoco nel sec. XV.
Fattori sociologici, storico-religiosi ed antropologici impongono dunque che sia di nuovo riedificato quel pantheon delle devozioni popolari costituite appunto dall’edicole votive, e proprio in un
momento storico in cui si sottolinea l’esigenza della ristrutturazione dei centri storici come ambienti “a misura d’uomo”.
[1] Frazione di Sulmona che porta verso Bugnara.