di Maurizio Cotta
Politicainiseme.com, 19 dicembre 2023. La qualità complessiva della democrazia di un paese è strettamente correlata alla qualità del dibattito politico che si svolge tra forze di governo, opposizione, mezzi di comunicazione e cittadinanza. La capacità degli elettori di orientarsi al momento delle scelte nella cabina elettorale ne sarà fortemente condizionata in senso positivo o negativo. Si possono usare tre semplici indicatori per evidenziare la bassa qualità di questo fondamentale elemento:
1. lo spazio eccessivo dedicato a temi di limitata rilevanza;
2. lo scarso livello di spiegazione di scelte di importanza significativa;
3. il silenzio su questioni di grande rilevanza. Purtroppo, il quadro italiano corrente evidenzia, rispetto a questi tre indicatori, un preoccupante deficit del dibattito politico.
Seguendo la politica italiana giorno per giorno sugli schermi televisivi e sui giornali si è colpiti dalla quantità di spazio che ricevono questioni tutto sommato di poca rilevanza per il generale andamento del paese. Certo sono spesso episodi gustosi come la fermata straordinaria del treno per il ministro Lollobrigida, o il grido viva l’Italia antifascista alla prima della Scala con susseguente identificazione dell’autore da parte della polizia, per non citare che gli ultimi.
La nuova classe politica di governo ci mette del suo nel porre in luce un misto di improvvisazione, arroganza o semplice mancanza di savoir-vivre istituzionale; è giusto quindi che venga ripresa (o anche sbeffeggiata) per questo, ma le paginate di giornale, il minutaggio di talk shows e i rimbrotti reciproci sembrano quantomeno eccessivi.
Ci sono invece questioni più rilevanti, come la decisione rinviata da mesi sulla ratifica della riforma del Meccanismo Europeo di Solidarietà (il famigerato MES o in inglese ESM), rispetto alle quali il discorso politico è invece elusivo o solo allusivo.
In proposito, allo smarrito elettore italiano medio non viene fornita praticamente nessuna spiegazione sul perché l’Italia sia rimasta ultima tra i paesi dell’Unione nella ratifica di questo trattato. L’elettore un po’ più smaliziato capirà che, poiché anni fa il MES era stato identificato da alcune forze politiche (segnatamente la Lega, ma non solo) come il babau europeo per eccellenza, sia complicato oggi ammettere che forse è addirittura uno strumento utile (e comunque il ricorso a questi prestiti e alle conseguenti condizionalità non è obbligatorio) e che restare soli a reggere il moccolo dell’opposizione non è proprio l’ideale per un paese come l’Italia che ha molti altri dossier importanti per i quali ha bisogno di più Europa e non di meno Europa.
Infine, ci sono temi di grandissima e direi vitale rilevanza per il paese sui quali il dibattito politico sfugge quasi completamente. In genere sia le forze di governo che quelle di opposizione sembrano darsi manforte in questo silenzio (forse anche perché questi temi non sono nuovi e nel tempo le diverse parti si sono alternate nei rispettivi ruoli di responsabilità senza fare nulla).
Mi limito a segnalare i due temi più importanti per il paese che ben esemplificano questa situazione. Si tratta da un lato delle dimensioni e dei costi del debito pubblico e dall’altra della bassissima crescita registrata dal paese negli ultimi decenni. Come è subito evidente si tratta di questioni che poi si riflettono a cascata su molte altre (come la spesa per la sanità o per le pensioni, o il livello dei salari, ecc.).
Ad essere più precisi non è che i due temi non siano spesso menzionati, ma questo avviene quasi ritualmente, senza che il discorso politico li prenda seriamente in carico, senza cioè che li si pongano con decisione all’ordine del giorno e si ragioni in termini concreti (e non dilatori) su come affrontarli.
Vediamo allora sinteticamente di che cosa si tratta. Per il debito pubblico si citano spesso sia la entità assoluta (2762 miliardi di euro nel 2022 e 2840 miliardi stimato per il 2023) che quella relativa al PIL (145% nel 2022), meno si discute sui costi.
Nel 2022 la spesa per interessi è stata di 83 miliardi di Euro, nel 2023 sarà probabilmente sopra i 90 miliardi e nel 2024 potrebbe avvicinarsi ai 100 miliardi. Ovviamente non si può ragionare su una situazione senza debito, ma semplicemente pensando ad una riduzione del 10% sarebbero stati disponibili 8 miliardi in più per minori costi nel 2022 e così continuando negli anni successivi (e forse anche qualcosa d’altro perché una diminuzione del debito segnalerebbe ai mercati un impegno dello stato italiano che verrebbe ripagato da un miglioramento delle condizioni di piazzamento dei titoli italiani).
Un dibattito politico serio dovrebbe in primo luogo ricordare costantemente alla cittadinanza questa realtà e le conseguenze che ne derivano, e in secondo luogo discutere le strade possibili per ridurre il peso di questo macigno.
Questo vuol dire ragionare sui livelli della spesa pubblica e delle entrate fiscali, nonché sulla crescita dell’economia (e quindi anche sul secondo dei temi indicati) poiché quest’ultima ovviamente incide sul denominatore del rapporto debito/PIL.
Ciascuno di questi tre aspetti merita di essere messo a fuoco nel dibattito politico. Il primo aspetto – la spesa pubblica – ha tanto una problematica quantitativa (come ridurre la spesa pubblica) che una qualitativa (come migliorare la spesa pubblica).
Su riduzione e miglioramento della qualità della spesa ci aspetteremmo proposte concrete (cioè con cifre realistiche e settori da mettere sotto osservazione) da parte del governo e controproposte altrettanto concrete di una opposizione capace di incalzare l’esecutivo.
Un capitolo di particolare importanza in questo dibattitto pubblico dovrebbe essere quello della spesa per investimenti, troppo bassa rispetto alla spesa corrente e spesso caratterizzata da dilazioni pluriennali che ne inficiano la efficacia. Ovviamente c’è poi l’aspetto delle entrate fiscali e qui si apre la questione dell’abnorme livello di evasione ed elusione fiscale.
Qui è bene essere chiari: la ritualistica e stantia evocazione della lotta all’evasione /elusione non porta a nulla se non viene sostituita da proposte concrete e cifrate per ridurre questa piaga che contribuisce a rendere l’abbattimento del debito impervia. Di nuovo ci aspetteremmo dal governo che presenti un piano dettagliato e che le opposizioni facciano altrettanto.
Quanto al secondo tema il dato che colpisce è che la crescita economica dell’Italia è stata del 2000 ad oggi sensibilmente inferiore alla media europea e a quella di altri grandi paesi come la Francia e la Germania. Dietro a questa crescita poco vigorosa sta soprattutto il basso andamento della produttività italiana (valore del prodotto per ora lavorata) che negli ultimi 25 anni è cresciuta in media solo dello 0,3% annuo, cioè appena un terzo della crescita media europea (Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia, 2023, p.19).
Notiamo inoltre che in parallelo anche la crescita delle retribuzioni orarie dei lavoratori al netto dell’inflazione è stata inferiore a quella europea (ibidem).
Ora, visto un dato così inquietante e così rilevante come quello della bassa crescita della produttività, il cittadino italiano medio preoccupato per il bene del paese si aspetterebbe che Meloni e Schlein (e gli altri comprimari) dibattessero ampiamente e intensamente su che cosa ritengano sia all’origine di questo fenomeno e che provvedimenti debbano essere presi per contrastarlo.
In particolare, siccome sappiamo bene che alcuni importanti settori economici e zone geografiche del paese mostrano livelli di crescita della produttività ben maggiori della media, sarebbe utile che nel dibattito politico si evidenziassero invece i settori e le zone dove la produttività resta più bassa e si delineassero concrete e mirate strategie di medio termine per invertire questa situazione.
In conclusione, possiamo chiedere che in questa campagna elettorale, che porta alle elezioni europee del giugno 2024, i due temi del debito pubblico e della crescita economica, che hanno per il nostro paese tanto una rilevanza interna, quanto una rilevanza europea (incidono infatti molto significativamente sulla capacità dell’Italia di aver peso nelle importanti decisioni che l’Unione dovrà prendere nel prossimo e medio futuro), ricevano una adeguata attenzione e sovrastino il rumore di fondo?
O saremo ancora una volta delusi?
Maurizio Cotta
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