A PROPOSITO DEL CULTO DI SAN MICHELE ARCANGELO

di Franco Cercone

[Articolo pubblicato in “Orizzonti Angolani”, Giornale quindicinale, Anno X, n° 5 e 6, Terza pagina, Città Sant’Angelo maggio-giugno 1989]

Una lettera inviata da un gruppo di lettori al Direttore del periodico “Orizzonti Angolani” (gennaio-febbraio 1989) sul culto di S. Michele Arcangelo in Città S. Angelo, Montesilvano ed “altri centri del Pescarese”, suscita alcune riflessioni su un periodo di storia, quello appunto relativo alla dominazione longobarda, che ha lasciato impronte significative in Abruzzo sia sulla toponomastica che sulla religiosità popolare.

Va subito notato, come sottolinea F. Sabatini, che “la mancanza di indagini regionali approfondite non ha permesso di valutare, finora, la consistenza e il numero degli insediamenti longobardi in Abruzzo”, creatisi in seguito all’invasione dell’Umbria da parte di Faroaldo, fondatore del ducato di Spoleto. Sono note poi le vicende che portarono al consolidamento in Abruzzo degli insediamenti stessi, Fare” ad opera di Ariolfo e Zottone. A quest’ultimo si deve tra l’altro l’impresa che portò alla conquista del Sannio ed alla formazione dell’altro potente ducato di Benevento.

La cerniera fra i due ducati di Spoleto e Benevento era costituita dalla valle del Sangro e, dagli scarsi documenti coevi, non sempre risulta chiara l’appartenenza ad uno oppure all’altro ducato delle terre comprese fra la riva sinistra del Sangro ed il fiume Pescara, a nord del quale si estendeva comunque il dominio del ducato spoletino.

È noto come in data 8 maggio dell’anno 663 si svolgesse nei pressi di Siponto, l’odierna Manfredonia, una battaglia navale tra Longobardi e Saraceni e come quest’ultimi restassero sconfitti grazie all’apparizione, ad un duce longobardo, dell’immagine di S. Michele Arcangelo in una grotta sita proprio sul promontorio garganico ed antistante allo specchio d’acqua in cui si svolse lo scontro.

Sulla scia di tale episodio, i Longobardi, ormai convertiti al Cristianesimo, dedicarono grotte e monti al Santo “Guerriero” che ben rappresentava i valori della stirpe germanica, e particolarmente ricca appare l’area abruzzese di toponimi dedicati all’Arcangelo (ben presto alterato in “Sant’Angelo”) in conseguenza di presenze di chiese o grotte dedicate a San Michele. Famosa per il culto popolare è la grotta sita nelle vicinanze di Civitella del Tronto, meta fino al secondo dopoguerra di spettacolari pellegrinaggi.

Dopo l’episodio di Siponto, in precedenza ricordato, si diffuse tra le popolazioni di stirpe longobarda insediate nel centro della Penisola la pia consuetudine di effettuare, almeno una volta l’anno, pellegrinaggi alla grotta-santuario del Gargano e (particolarità questa davvero rilevante) anche l’usanza di intitolare a Sant’Angelo tutte le grotte che si rinvenivano durante il viaggio di ritorno.

Quelle che sono sopravvissute nell’attuale toponomastica abruzzese sono all’incirca una decina, come ricorda il Toschi, ma in origine erano numerosissime e di esse si è persa memoria perché non legate

a fiere e mercati che si svolgevano, in concomitanza dell’8 maggio, in un qualsiasi centro posto non molto distante dalla stessa grotta. La festa di S. Michele Arcangelo veniva a cadere infatti in un momento critico dell’attività coltivatoria ed in Abruzzo è molto noto il detto secondo cui “se a S. Michele piove, ogni coppa ne fa nove”.

Ora, mettere in rapporto l’origine del toponimo Città S. Angelo con la vestina Angulum è del tutto improprio, nel senso che Sant’Angelo non costituisce alterazione da Angulum (“terra fortificata sporgente a forma triangolare”, Livio, XXI, 7,5), ma rappresenta invece un toponimo di chiara origine longobarda, scaturito dalla presenza in loco di una grotta dedicata a San Michele Arcangelo probabilmente fin dal VI secolo e da una chiesa sorta contemporaneamente o successivamente sub eodem titulo.

Va corretta pertanto l’affermazione del gruppo dei lettori angolani, secondo cui “il culto di S. Michele Arcangelo (…) si ritrova anche lungo la vallata del Pescara”, nel senso che, come chiarisce il Sabatini, tale culto “ebbe una penetrazione capillare in Abruzzo” e si rinviene pertanto un po’ovunque nella nostra Regione.

Ma va soprattutto corretta l’altra affermazione, secondo cui S. Michele Arcangelo era il “protettore di quelle persone cui erano affidate le greggi”, cioè dei pastori transumanti.

La transumanza infatti, fenomeno già ricordato da Varrone nel De Re rustica, presuppone che due aree geografiche, la montuosa e quella pianeggiante, facciano parte di uno stesso sistema politico, condizione, questa, che dopo la caduta dell’impero romano riaffiora nel centro-meridione solo a partire dalla dominazione normanna. La diffusione del culto di S. Angelo nell’area abruzzese ed altrove è precedente pertanto alla ripresa dell’attività della transumanza verso il Mille e non si deve ai pastori ma agli stessi Longobardi stanziati in Abruzzo. Sarà invece grande merito dei pastori transumanti quello di diffondere, nella nostra regione (a partire dal XII secolo) il culto per il loro Santo protettore, cioè San Nicola di Bari. Ed è quanto si evince appunto dalle prime Bolle Corografiche del XII secolo.