Appunti sul culto di san Cristoforo in Abruzzo
[Articolo Pubblicato in “Rivista Abruzzese”, Anno XLIV, n° 2, Lanciano (Ch.)1991, pp.122-125.]
di Franco Cercone
(La cappella è quella dedicata a San Cristoforo, successivamente ampliata per realizzare il Santuario della Madonna della Portella che sorge sulla sommità di un colle nei pressi di Rivisondoli).
In molti paesi degli Abruzzi – scrive il De Nino – si vede dipinta su qualche muro di chiesa la colossale figura di S. Cristoforo[1]. Oltre a quello di Acciano, menzionato dal De Nino, vanno ricordati soprattutto il San Cristoforo affrescato da Andrea Delitio nel 1473 sulla facciata laterale di Santa Maria Maggiore a Guardiagrele e l’altro, opera forse degli allievi del Delitio, che si ammira nella chiesa di Santa Maria Matrice ad Introdacqua. Non v’era persona, sottolinea il Susi nella sua monografia storica su Introdacqua, che non si recasse a rendere omaggio a San Cristoforo prima di avviarsi sui campi o di mettersi in viaggio, poiché si credeva che non sarebbe morto chi nel mattino avesse posato lo sguardo su una immagine del Santo. Per questo motivo si soleva dipingere San Cristoforo in grandi dimensioni all’ingresso delle chiese, anche se a lui non dedicate, o alle porte delle città, in modo da poter essere visto anche da lontano, donde i versi che talvolta affiancavano le immagini:
“Cristophore, sanctae virtutes sunt tibi tantae.
Qui tè mane vident, nocturno tempore rident.
Cristophore, Sancti specimen, quicumque tuetur
ista nempe die non morte mala morietur”[2].
La figura di San Cristoforo, diventato negli ultimi tempi patrono degli automobilisti, è avvolta nella leggenda. Dotato, secondo una tradizione pervenuta fino ai nostri giorni, di forza erculea e di enorme statura, manifestava il suo grande amore per il prossimo mediante una singolare attività, quella
cioè di trasportare sulle sue spalle le persone che dovevano guadare corsi d’acqua. E poiché, sempre secondo la leggenda, un giorno gli capitò di portare alla riva opposta di un fiume un fanciullo di nome Gesù, San Cristoforo assunse il nome con cui è stato tramandato ai posteri.
Il culto di San Cristoforo proviene dall’area medio-orientale e sembra che la prima chiesa a lui dedicata sia stata eretta nel 772 a Sindelhausen, in Germania. Il Beitl sottolinea “die grosse Bedeutung der Pilgerstrassen für die Ausbreitung der Cristophlegende”[3], cioè la grande importanza degli
itinerari dei pellegrinaggi per la diffusione della leggenda di San Cristoforo, il cui culto si diffonde intensamente non solo nella regione delle Alpi ed in genere in tutte le zone montuose, proprio per essere protettore dei viandanti, ma anche nelle aree lacustri e fluviali, poiché “la devozione popolare attribuiva al santo la capacità di contenere le piene di un fiume e di consentire senza pericoli il guado di un corso d’acqua. Pertanto sulle rive era frequente l’erezione di edicole votive in onore di San Cristoforo”[4].
Va sottolineato in tale sede che San Cristoforo, nella tradizione popolare abruzzese, protegge genericamente il viandante, esercita cioè un patronato per così dire in itinere, mentre chi ha smarrito la via di casa, si rivolge in genere a S. Erasmo, di cui ci siamo occupati nell’ultimo numero
della “Rivista Abruzzese”(anno 1990).
Queste note introduttive ci aiutano a comprendere meglio l’importanza di un lavoro di Marcello Romito, dal titolo II Santuario romitorio di Santa Maria della Portella nel Piano delle Cinquemiglia (Rivisondoli 1990), corredato di una prefazione di D. Fucinese.
Il Santuario di S. Maria di Costantinopoli, meglio conosciuto come quello della Madonna di Portella, sorge in territorio di Rivisondoli sulla sommità di un colle, dai cui declivi comincia ad estendersi in direzione di Roccapia il Piano delle Cinquemiglia. Fino ad alcuni decenni fa la strada nazionale
proveniente da Roccaraso passava proprio davanti al Santuario. La costruzione di una galleria sotto il colle della Portella ha agevolato la sicurezza del traffico in questo tratto di strada, molto pericoloso per la viabilità, ed ha restituito nello stesso tempo alla chiesetta un po’ di quella quiete che ha costituito da secoli la cornice del suo fascino. Va ricordato che di Santa Maria della Portella esiste un bellissimo acquerello contenuto nel libro di viaggio di A. macdonell, “In the Abruzzi” (Londra 1908), che ci mostra come era il Santuario agli inizi del nostro secolo, costellato cioè di edicole rappresentanti le “stazioni” della Via Crucis. Ed era proprio una via crucis in passato, la strada che da Castel di Sangro si dirigeva a Sulmona attraverso il Piano delle Cinquemiglia. Scomparsi i torrioni fatti erigere da Carlo V, uno ogni miglio, a difesa dei viandanti sorpresi sul Piano dalle tempeste atmosferiche[5], il Santuario della Madonna di Portella costituiva l’ultimo punto di riferimento per coloro che d’inverno si accingevano ad attraversare la terribile e desolata pianura in direzione di Roccavallescura, cioè l’odierna Roccapia[6]. Va ricordato, come narra Paolo Giovio, che sul Piano perirono nel 1528 a causa di una bufera di neve ben 300 fanti veneziani della “Lega Santissima”, diretti a Napoli. Non pochi viandanti, prima di attraversare il Piano delle Cinquemiglia, facevano testamento e si intuisce perciò la loro angoscia allorché, lasciato l’eremo della Madonna di Portella, si mettevano in cammino verso
l’ignoto.
A Marcello Romito – e rientriamo in argomento – va attribuito il merito di una vera e propria scoperta. Il Santuario della Madonna di Portella costituisce infatti l’ampliamento di una preesistente cappella dedicata a San Cristoforo, documentata dal 1442 al 1572, di cui si era persa lentamente la
memoria. È sopravvissuto però fino ai nostri giorni un toponimo, il Piano di San Cristoforo, sito nei pressi del Santuario, che ha rappresentato la premessa per tutte le ricerche, in definitiva fruttuose, dell’Autore.
Dopo aver sottolineato che nei pressi del Santuario della Madonna di Portella si snodava il tratturo Celano-Foggia, il Romito ricorda “un’antica credenza pastorale, secondo la quale non sarebbe morto in quel giorno il pastore che fosse riuscito a vedere una immagine di San Cristoforo. Da cui le ricorrenti raffigurazioni del Santo in chiesette ed edicole che scandivano il cammino lungo i tratturi”. In realtà, come si è visto in precedenza, il patronato di San Cristoforo è molto più vasto e non si esercita solo sui pastori, ma su tutti i Wanderer, a qualunque titolo questi siano in cammino. Nel culto professato a Rivisondoli confluiscono tutti gli aspetti devozionali ricordati, perché si attribuiva al santo la capacità di consentire, senza pericoli, il guado del Piano di San Cristoforo, situato come si è detto nei pressi dell’antica chiesetta a lui dedicata e che era coperto costantemente da acque ristagnanti. Le difficoltà che questo piano acquitrinoso creava ai rivisondolesi che si recavano a legnare nei boschi limitrofi erano intense ed ancora evidenti nella seconda metà del secolo scorso. Opportunamente il Romito ricorda a proposito un episodio legato alle vicende dell’Unità d’Italia. Il 21 ottobre 1860, diretto all’incontro con Garibaldi a Teano, passò qui proveniente da Sulmona Vittorio Emanuele II. “Vi era gran folla di popolo – scrive Romito – assiepata ai lati della strada, quando d’un tratto dalla calca si libera una giovane donna… che implora il re di porre rimedio ai disagi dei nativi col voler disporre la costruzione di quel tratto di strada necessario a superare l’acquitrino… Di lì a qualche tempo la strada venne effettivamente realizzata”.
Il protettorato esercitato da San Cristoforo sulle acque si evince anche, a giudizio del Romito, dalla “tradizione, antichissima e di chiara origine pagana, con evidente significato lustrale, del passalacqua, che tuttora si svolge sul colle della Portella, il lunedì di Pasqua”. Non è questa la spiegazione
della “scampagnata” del Lunedì in Albis, che solo in alcune aree abruzzesi è nota con l’espressione “passar l’acqua” e non sempre implica l’attraversamento di un corso d’acqua. Ma su questa interessante tradizione popolare, non “di origine pagana”, contiamo di tornare appena possibile sulle pagine della “Rivista Abruzzese”. Quel che conta è comprendere perché San Cristoforo sia annoverato fra i numi indigeti delle nostre contrade. “I meschini abruzzesi – scriveva nella prima metà dell’800 il notaio Filippo Destephanis di Pettorano – sono obbligati andar raminghi l’inverno o nell’Agro Romano, o a Terra di Lavoro, o alle Puglie, imitando gli armenti, pervero anche in Calabria”. Non erano solo i pastori ed i pescatori a mettersi in cammino, per terra o per mare, ma carbonai, scalpellini, ferrai, calcaròli, arcari e via dicendo, per tacer poi di altre maestranze specializzate nei mestieri più strani ed inimmaginabili, come per es. i vielestriéri (balestrieri) di Villalago, specializzati nell’arte di bonificare i terreni dai topi che danneggiavano le colture cerealicole. Da sempre l’Abruzzese è stato dunque “viandante”, un ewiger Wanderer inquieto ed insoddisfatto, che conserva il marchio indelebile del wandern impressogli dal lento ed inesorabile trascorrere del tempo. E tale resterà, finché il sole brillerà sulle sciagure umane.
[1] A. De nino, Tradizioni popolari abruzzesi, a cura di B. Mosca, vol. I, p. 211; L’Aquila 1970.
[2] G. Susi, Introdacqua nella Storia e nella Tradizione, p. 303: Sulmona 1970.
[3] Cfr. Wörterbuch der deutschen Volksunde, a cura di R. Beitl, s.v. Cristophorus, Stutgart 1974.
[4] V. Dini, II potere delle antiche madri, pp. 126 sgg., Torino 1970. L’A. fa una analisi completa di tutti i patronati di S. Cristoforo, chiamato anche “il santo della lame, colui che riesce a risolvere l’ansia alimentare delle popolazioni colpite dalle carestie e dal cronico pauperismo”.
[5] Una efficace descrizione dei “fenomeni del Piano” si trova nella nota opera di G. liberatore, “Ragionamento Topografico-Istorico-Fisico-Ietro sul Piano delle Cinquemiglia”, Napoli 1789, ed in A. pigonati, “l.a parte di strada degli Apruzzi da Castel di Sangro a Sulmona”, Napoli 1783. Tra il Pigonati ed il Liberatore sorse un’aspra polemica sulla scelta del tracciato della strada da costruirsi da Castel di Sangro a Sulmona. Contro la tesi del Liberatore, il quale riteneva che l’arteria dovesse passare per Pescocostanzo e Bosco di S. Antonio, prevalse il progetto del Pigonati, che prevedeva appunto la costruzione della Real Strada di Fabbrica lungo il Piano delle Cinquemiglia. L’arteria tu completata durante il legno di G. Murat, donde la designazione di Via Napoleonica che essa in un tratto ha conservato fino ai nostri giorni.
[6] Nel periodo medievale il Piano delle Cinquemiglia costituiva il tratto cruciale della Via degli Abruzzi, arteria annoverata “tra i grandi itinerari commerciali, diplomatici, culturali e militari dell’Italia trecentesca”, Cfr. F. sabatini, La Regione degli Altopiani Maggiori d’Abruzzo. Roccaraso-Pescocostanzo, p. 68; Roccaraso 1960.
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