È stato presentato a Roma il 2 dicembre 2022, con Paolo Mieli, nella Libreria Eli
di Goffredo Palmerini
L’Aquila 4 gennaio 2022. Pubblicato in novembre 2022 e presentato il 2 dicembre scorso a Roma, presso la magnifica Libreria Eli, il romanzo “Caffè nero a Hammersmith” (ed. L’Atalante) è la seconda incursione nella narrativa di Gabriele Lucci, fecondo saggista e insigne direttore artistico in campo cinematografico. Un magnifico evento, quello della presentazione del volume, in una delle più suggestive librerie della capitale, dove il profumo dei libri si coniuga con il sottile piacere degli incontri culturali, come quello vissuto appunto il 2 dicembre quando è stata svelata, ad una splendida cornice di pubblico, la novità di questo secondo romanzo di Lucci, attraverso l’intrigante conversazione con l’Autore dello storico Paolo Mieli, una delle penne più prestigiose del giornalismo italiano, già direttore della Stampa e del Corriere della Sera.
Numerose le presenze all’incontro di presentazione, specie dal mondo della settima arte. Notevoli e interessanti le annotazioni sull’opera emerse dalla conversazione, stimolata dalle puntuali domande di Mieli all’autore. D’altronde Paolo Mieli non ha fatto mistero del suo apprezzamento per l’opera, con un giudizio assai lusinghiero affidato alla terza di copertina. “Un grande romanzo di piacevole lettura – annota Paolo Mieli – e un concentrato di personaggi unici. Gabriele Lucci racconta il bisogno di far pace con le proprie radici, attraverso un ironico bilancio generazionale ricco di suspense. Riapre le ferite della protagonista e del rapporto irrisolto con il padre con il quale è costretta a confrontarsi, dimostrando l’importanza di fare i conti con il passato.” D’altronde non poteva difettare in Lucci, per la straordinaria sua confidenza e cultura in campo cinematografico, il giusto armamentario per tenere il lettore incollato alle pagine del romanzo, in una storia intricata di personaggi singolari e di varia umanità, in un ricco caleidoscopio di vicende umane, in una congerie di situazioni psicologiche, con una narrazione che non lascia vuoti, tanti sono gli intrecci nelle relazioni costruiti con un sapiente ed ampio ventaglio dialogico.
Insomma, “Caffè nero a Hammersmith” è un libro che si legge tutto d’un fiato, portando il lettore fino all’acme della storia, quando tutto si risolve nella maniera più imprevedibile, quando la suspense cinematografica s’acuisce nel colpo di teatro. Creatività e indiscutibile talento dell’Autore, entrambi fortemente vivi in Gabriele Lucci che alla profonda conoscenza delle tecniche narrative della settima arte assomma anche un’evidente propensione drammaturgica, peraltro già felicemente sperimentata. Non resta, dunque, che lasciare ai potenziali lettori il gusto di leggere il romanzo, senza richiami di dettaglio alla storia che vi è narrata, ma solo rinviando alla valutazione che sull’opera rilascia il critico prof. Angelo Moscariello nella recensione che segue queste modeste mie note di lettura. Riguardo le tecniche narrative apparirà tutto più chiaro scorrendo le annotazioni biografiche sull’autore.
Gabriele Lucci è nato a L’Aquila il 7 luglio 1950. Giovanissimo, frequenta la Scuola di Cultura drammatica, espressione d’un fermento culturale che caratterizza negli anni ’60 L’Aquila, uno dei più importanti centri di produzione teatrale italiana. È con il Teatro Stabile dell’Aquila, poi diventato Regionale, che Lucci arricchisce il proprio bagaglio culturale, seguendo diversi allestimenti del regista Antonio Calenda. Ma è con la tesi di laurea in Economia (Regioni e Radiotelevisione) che si evidenzia il suo interesse verso il variegato mondo dell’immagine, dove il cinema è solo uno dei settori, anche se di fondamentale rilievo. A metà degli anni ’70 Lucci dà infatti vita, con alcuni amici cinefili, al Cineclub “Primo Piano”, il primo in Abruzzo, e scrive per la RAI i testi di varie trasmissioni radiofoniche, firmando anche la regia del cortometraggio “Festa”, presentato al Festival internazionale di Salsomaggiore.
Contemporaneamente pone le basi per la creazione di quello che sarà all’Aquila un vero e proprio Sistema Cinema. Nel 1981 fonda l’Istituto Cinematografico “La Lanterna Magica”, assumendone la direzione artistica fino al 1995. Con l’Istituto avvia un’intensa attività di promozione del cinema sul territorio, accanto ad iniziative di respiro internazionale. Tra queste il primo Convegno sull’Alta Definizione, la Conferenza sul linguaggio audiovisivo, alcuni workshops tenuti da prestigiosi professionisti del cinema, il Seminario dedicato a François Truffaut, presenti i familiari e i più stretti collaboratori del regista francese. Nel 1992 fonda, con Vittorio Storaro e l’Università dell’Aquila, l’Accademia per le Arti e le Scienze dell’Immagine, ricoprendone la carica di Direttore fino al 2006. In questi stessi anni promuove la nascita della Cineteca dell’Aquila (2000), dell’Aquila Film Commission (2001), della Mediateca regionale “Giovanni Tantillo” (2005).
Gabriele Lucci è stato ideatore, con Luciano Tovoli, di “Una Città in cinema” (1981/1990), il primo Festival internazionale dedicato agli autori della fotografia, con approfondimenti anche sugli altri mestieri del cinema, e del Premio “Nestor Almendros” (1992/2008) riservato ai giovani cinematographers. Direttore editoriale per la Lanterna Magica delle Collane “Saggi e Documenti” e i “Mestieri del Cinema”, nel 1988 ha curato l’edizione italiana della biografia di Nestor Almendros (premio Oscar per la fotografia). Direttore scientifico per la sezione Cinema della Mondadori Electa (2003/2010), Lucci ha scritto diversi volumi sui generi cinematografici, tradotti in vari Paesi, e curato le pubblicazioni monografiche sui premi Oscar Vittorio Storaro, Ennio Morricone (Premio Efebo d’oro miglior libro di cinema 2008) e Dante Ferretti, libri presentati in diverse sedi istituzionali, quali la Casa del Cinema a Roma, la Mostra del Cinema a Venezia, il Guggenheim Museum e l’Istituto Italiano di Cultura a New York, l’University of California-UCLA a Los Angeles, la Protomoteca del Comune di Roma, le Università di Padova e Gorizia, i Comuni di Macerata e dell’Aquila.
Intensa la sua attività di studioso: Gabriele Lucci ha pubblicato saggi, tenuto seminari e un corso universitario su Cinema e Letteratura. I suoi lavori sono stati riportati dalle più importanti testate nazionali e internazionali (da Le Monde a La Repubblica, dal The Guardian al Corriere della Sera, da Variety a La Stampa, da Süddeutsche Zeitung a Il Sole 24 Ore, dal Los Angeles Times a Le Figaro, dalle reti televisive RAI a quelle di Mediaset). Per l’attività svolta a favore del cinema ha ricevuto a Hollywood il tributo dell’American Society Cinematographers ed è stato eletto Socio Onorario dell’Associazione Italiana Autori della Fotografia e dell’Associazione Scenografi, Costumisti e Arredatori.
Dopo il sisma del 2009, che a L’Aquila ha fortemente penalizzato l’intero Sistema Cinema – è sopravvissuto, vocandosi principalmente alla missione archivistica e museale sui mestieri del cinema, solo l’Istituto Cinematografico (del quale chi scrive dal 2000 al 2019 è stato prima Amministratore delegato e poi Vice Presidente) –, complice una politica dissennata che di fatto ha portato alla chiusura di un’eccellenza internazionale come l’Accademia dell’Immagine, Lucci è tornato all’antica passione per il teatro con “Stazione di Transito”, la sua prima esperienza di autore teatrale. L’opera è stata presentata a New York, nell’ottobre del 2012, nel mese dedicato alla cultura italiana, e successivamente al Salone del libro di Torino 2013. Nel 2014 ha reso un omaggio al cinema con il volume “La diabolica ossessione” e, insieme a Vittorio Storaro, Luciano Tovoli, Daniele Nannuzzi, con il volume “The Art of Cinematography”, una grande opera figurativa che per la prima volta ha proposto, avvalendosi dei testi di Lorenzo Codelli e Bob Fisher, una rilettura della settima arte attraverso gli occhi dei più importanti cinematographers del mondo.
Nel 2015 Gabriele Lucci ha esordito nella narrativa con il romanzo “Il Tataurso imperiale”. È del 2016, invece, la rappresentazione teatrale in Italia della pièce “Stazione di Transito”, per la regia di Marisa Mastracci con la Compagnia “La Bottega dei Guitti”. Nel 2017, in occasione della rassegna “Scrittori al centro”, insieme al critico cinematografico Paolo D’Agostini del quotidiano La Repubblica, ha dialogato con lo scrittore Sandro Veronesi sul tema “Il Cinema Passivo”. È del 2021 la più recente pubblicazione saggistica “Biografia di un desiderio”, ovvero come è nato all’Aquila un Sistema Cinema, tra il 1976 e il sisma del 2009. Il libro è stato presentato a Onna (L’Aquila) il 30 ottobre 2021, con la partecipazione di Paolo Mieli e Marco Tullio Giordana. Il 30 maggio 2022 Gabriele Lucci è stato insignito a Roma del Premio Internazionale Federico II, presso la sala Zuccari del Senato della Repubblica, a riconoscimento del suo impegno e della professionalità nel settore cinematografico.
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La recensione del critico
Prof. Angelo Moscariello
Un romanzo quello di Gabriele Lucci che ti aggancia fin dalle prime righe e non ti molla sino alla conclusione, un romanzo che si legge, o meglio si guarda, in uno stato di ipnosi da una sequenza all’altra lungo la linea di un realismo fantastico dove si alternano dolorose memorie del passato e aperture oniriche verso il futuro (nel caso della protagonista Paola che cerca di riavere in affidamento la figlioletta) e di sdoppiamenti identitari (nel caso del poliziotto Ranieri che si crea un doppio narrativo nei suoi romanzi con protagonista il suo alter ego Chuck Harris, un agente alla James Bond), con sullo sfondo la presenza incombente di un uomo che persegue un suo scopo inconfessabile (Corrado il padre di Paola uscito di galera che ora si serve della figlia per recuperare il bottino di una rapina fatta anni prima).
La struttura di Caffè nero a Hammersmith è quella di un progettato road movie dal sud al nord della penisola che alimenta una crescente suspense senza mai tradire il verosimile quotidiano nella descrizione degli ambienti della costa adriatica (con tocchi figurativi simili a quadri di Hopper) e nei ritratti dei protagonisti, una transustanziazione del cinema in letteratura (quel cinema tanto amato dall’autore) dove dialoghi e azione procedono con ritmo veloce e finezza di dettagli.
Un percorso nello spazio che si risolve in un falso movimento o meglio in vortice che risucchia tutti in un locale di San Benedetto del Tronto chiamato La Rosa dei Venti dove si ritrovano i vecchi amici e forse complici di Corrado e li restituisce come “soggetti smarriti” (come si intitola uno dei capitoli cruciali del libro).
La sorpresa è che nel finale l’azione si riavvia fino a una scena sotto la pioggia da action-movie dopo la quale in un gioco di dare e avere i protagonisti si ritrovano conciliati con il loro passato. La cosa certa è che Lucci possiede il gusto del racconto e lo esprima in una forma matura e controllata (con momenti che a volte ricordano le dissolvenze scritturali incrociate dell’argentino Julio Cortazar), senza mai ricorrere agli stereotipi dei generi di largo consumo da lui evocati e con un mood del tutto personale non privo di una deliziosa sottile ironia che procede tra slittamenti e inversioni fino all’ultimo respiro.