[Relazioni pubblicate alle pagine n. 256-265, in Appendice al volume di A. Di Nola, Gli Aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Torino, Boringhieri Edizioni, 1975.]
di Franco Cercone
“Diamo qui di seguito i testi delle relazioni trasmesse da F. Cercone che ha compiuto nel 1974 una ricerca campione in un ristretto territorio, prevalentemente della Valle Peligna. I risultati, che sono stati frequentemente utilizzati nel presente studio, sono di vivo interesse perché documentano l’estensione residua del culto” (A. Di Nola)
1-Ateleta (provincia dell’Aquila)
Pur essendo protettore del paese san Gioacchino, la festa di sant’Antonio si svolge con particolare solennità e con grande concorso di popolazione. Fra i diversi rioni si scatena una corsa frenetica per erigere la catasta di legna da accendere per la sera del 17 gennaio. La legna viene raccolta casa per casa da gruppi di giovani. Un comitato formatosi alcuni giorni prima della ricorrenza effettua una questua per il paese per acquistare un maialetto. Il 17 mattina il maialetto viene condotto davanti al sagrato della chiesa madre e viene benedetto. Subito dopo gli viene tagliato un orecchio e messo in libertà, senza campanello. Dove si ferma gli viene offerto da mangiare. Il pomeriggio si svolge la processione con banda e spari. Finita la processione, alcuni carri sfilano per il paese insieme a coppie mascherate. C’è anche la sfilata di maschere su cavalli pittorescamente addobbati. È stabilito un premio per la coppia più bella e per quella più brutta. Attorno al grande falò acceso in piazza, danzano, a suon di banda, numerose maschere.
Il porcellino, al quale è stato amputato l’orecchio, viene ucciso a ottobre e venduto tramite asta. Il ricavato servirà per l’acquisto di un altro porcellino a gennaio e per la costituzione di un fondo
destinato ai festeggiamenti del santo.
Non c’è l’usanza di cantare dietro le porte. Anche le frazioni di Ateleta festeggiano il 17 gennaio con l’accensione di grandi fuochi. (informatrice: signora Adelina Le Donne in D’Amico, di anni 51, casalinga)
2a- Cansano (provincia dell’Aquila)
Il porcellino è acquistato da devote nella prima settimana di novembre ed è alimentato a carico pubblico. Lo si macella tre, quattro giorni prima del 17 gennaio. Le carni sono vendute all’asta e il ricavato è destinato alle spese per officiare la messa solenne, per la banda, per la processione, per i mortaretti. Il maiale porta il campanello.
2b- Cansano (provincia dell’Aquila)
Incantesimo per gli animali:
“Sante Crisimare
médiche lu cape,
Sante Siste
médiche de Gesù Criste,
Sant’Antuone
médiche buone,
médiche quella vena
che tanta guerra mèna.”
Si pongono su un piatto, incrociate, due chiavi, un maschio e una femmina. Si ripete tre volte. L’animale accasciato si rialza subito. (informatrice: signora Angela Di Paolo, anni 74)
3- Pescasseroli (provincia dell’Aquila)
La sera del 17 ha luogo la processione. La statua del santo, al quale molto tempo fa era stata dedicata una chiesa, ora diruta, si trova nella chiesa di Santa Lucia. Sant’Antonio reca in una mano il bastone, mentre nell’altra un libro dal quale si sprigionano le fiamme. in Piazza Sant’Antonio avviene la benedizione degli animali. Subito dopo si accende un gran fuoco. ln un grande caldaio viene benedetta l’acqua. Dopo il rito ciascuno riporta a casa un po’ di acqua benedetta e alcuni carboni, anch’essi benedetti. Questi ultimi sono sparsi nella stalla e hanno il potere di proteggere gli animali che vi dimorano. ln caso di incendio, sia della casa sia della stalla, vi viene portata la statua del santo, nel caso in cui vi siano difficoltà per spegnere l’incendio.
Grande è la devozione per il santo, assai temuto. Alcuni anni prima della Seconda guerra mondiale, tre giovani di Pescasseroli si fecero avanti alla statua durante la processione del 17 gennaio. Uno di essi esclamò: “Fuma, sant’Antò! “, facendo l’atto di offrire un sigaro al santo. Ebbene tutti e tre hanno fatto una “brutta fine”.
ln particolare il giovane che offri il sigaro è diventato muto e pazzo.
Il 17 gennaio segna anche l’inizio di Carnevale. Gruppi di giovani e ragazze, ancora oggi, vanno a visitare parenti e amici, cantando dietro le porte la seguente canzone:
“Bona sera,
signora patrona [= padrona di casa],
sem venute a visità.
Chesta sera [= questa sera]
è sant’Antonie
che ce deve aiutà.
Sant’Antonie nel deserte
allevève i maialette [= il maialetto].
Lu demonie maledette
ce l’andava a disturbà.
Se ci-avete le pecurelle,
sant’Antonio è lu pasturelle.
Se ci-avete le galline,
sant’Antonie le benedice;
Se ci-avete cavalle e bighe,
sant’Antonio le benedice.
Se ci-avete la farine,
ce facemme glie tagliarine [= tagliolini].
Se ci-avete la recotte [= ricotta],
ce ne ime [= andiamo] porte porte [= subito subito].
Se ci-avete larde e presutte [= prosciutto],
sant’Antonio accette tutte.
Se ci-avete ‘ne fiasche de vine,
ce ne ime [=andiamo] a la cantina.
Se ci-avete na coppia de pane,
ce facemmo na settimane.”
Finito il canto, il padrone di casa apre l’uscio e offre i regali. Non esiste a Pescasseroli la tradizione del maialetto allevato. Se nevica prima del 17 gennaio si dice: “Sant’Antonie s’ha misse la barba” [=si è messa la barba]. (informatore: signor Paolo Papa, contadino, di anni 76)
4- Pescocostanzo (provincia dell’Aquila)
In questo centro, che conserva intatta una piazza a struttura cinquecentesca, è una chiesa dedicata al santo. In essa si ammira un bel quadro di sant’Antonio, risalente al Quattrocento. Attorno al quadro sono piccoli affreschi, forse coevi, che illustrano le tentazioni del demonio nel deserto. Tra Cansano e Pescocostanzo è inoltre il “bosco di Sant’Antonio”, con piante secolari.
Da qualche anno la festa non si svolge più con molta solennità. La mattina del 17 gennaio un comitato va in giro per il paese con i trattori muniti di campanelli per la questua della legna. ll trattore ha sostituito una slitta caratteristica, chiamata traja, molto adatta, prima della meccanizzazione, al trasporto della legna e del latte sulla neve (Pescocostanzo è a quasi 1300 m. sul livello del mare).
Finita la questua della legna, il comitato effettua una cernita: la “legna buona”, cioè i tronchi lunghi, di solito di faggio, suscettibili di essere lavorati per ricavarne utensili, viene accatastata in piazza e venduta con un’asta pubblica. La “legna cattiva” viene invece destinata al falò che si accende la sera. Il ricavato dell’asta è destinato alla manutenzione della chiesa di Sant’Antonio.
Anni addietro un comitato acquistava il maialetto che circolava, con un campanello appeso al collo, attraverso le strade e riceveva da mangiare. Il 17 gennaio veniva venduto in una pubblica lotteria: in un recipiente venivano introdotti cinquecento cartoncini numerati da 1 a 500, e tre cartoncini distinti con il numero 17. Vinceva il maialetto il possessore del biglietto uscito dopo l’estrazione di uno dei tre 17.
Perdura, invece, l’usanza di rappresentare scenicamente le tentazioni del santo, fra angeli e diavolo tentatore. Gruppi di giovani (alcuni dei quali sono vestiti da angeli, uno da diavolo e un altro con cappa, barba lunga bianca e bastone impersona il santo) vanno cantando dietro le porte.
Presso l’uscio il coro canta:
“Sant’Antò, sant’Antò”.
Si apre la porta ed entrano tutti eccetto il diavolo che resta fuori.
Riprende il canto:
Sant’Antonio:
Nel deserto sono stato,
dal demonio fui tentato.
Per le strade e per le vie
vado pregando sempre Dio
Diavolo (spalancando la porta):
Si spalancano ormai le porte.
D’un vecchietto vado incontro.
Se sarà per questi dintorni
da me sarà tentato.
Sant’Antonio (facendo scongiuri):
Va via, poltrone,
al tuo destino!
Lascia il divino.
Non è per te.
(Il demonio scompare)
Angeli (con spade di legno in mano):
Non temere, Antonio bello.
Se il Demonio si ribella.
noi la spada impugneremo
e il demonio scacceremo.
Eremiti:
Elemosina, elemosina!
A noi poveri eremiti
con la barba incanutita,
fate a noi la carità.
(È importante ricordare che, secondo l’informatore, questi versi erano una volta in dialetto.)
A questo punto il padrone di casa offre da bere e regala salami, formaggio ecc.
Esisteva un altro canto, in dialetto, in onore del santo. Veniva cantato in coro dietro le porte, senza rappresentazione. Ecco il testo:
Sant’Antonie de gennare [= di gennaio],
mezza paja a ju pajare [= mezza paglia al pagliaio, forse perché l’inverno è a metà],
mezza paja e mezze fiene [= fieno].
So nu povere pellegrine,
vade cercande i quattrine.
I quattrine nu’n ce ne stianne [= non ci sono].
Dacce quaccose da magnà [= dacci qualche cosa da mangiare].
Se ce daje na ventresche [= se ci dai una ventresca],
sant’Antonie se renfresche [= si rinfresca].
Se ce daje nu presutte [= un prosciutto],
lu magnême asciutte asciutte [= senza pane].
Se ce daje nu cacecavalle [= un caciocavallo],
lu magnème lu mese de magge [= lo mangiamo il mese di maggio].
Se ce daje na recotte [= una ricotta],
la magnème a mezza notte.
Se il padrone di casa non apriva l’uscio, il coro intonava alcuni ‘versi a dispetto’:
Tutt’i cheuve che tié a la porte [= tutti i chiodi che hai alla porta],
i diauvle che se i porte [= che il diavolo se li porti].
(informatore: signor Giuseppe Cocco, sarto, di anni 56)
5- Pietransieri, frazione di Roccaraso (provincia dell’Aquila)
Si acquista, di solito verso la fine di ottobre, un maialetto al quale si allaccia al collo un nastro con campanello. Dove si ferma gli viene offerto da mangiare. La notte viene ricoverato nella stalla del contadino che per ultimo gli ha dato da mangiare. La mattina viene rimesso in libertà. Il 17 gennaio viene venduto all’asta. L’uso è ancora presente.
(informatrice: signora Carmela Di Gragorio. casalinga, anni 52)
6- Rionero Sannitico (Isernia)
Fino a circa dieci anni fa, da parte di un fedele o di un gruppo di fedeli veniva acquistato un maialetto, di solito a gennaio, che, benedetto dal prete, era messo in libertà con un nastro rosso al collo, senza campanella. Il maialetto era nutrito dall’intera popolazione. Il 13 giugno, festa di sant’Antonio di Padova, veniva venduto e il ricavato offerto al parroco per la chiesa. Si verificava spesso, tuttavia, che il fedele o gruppo di fedeli costituitosi in comitato, acquistassero il maiale già grande alcune settimane prima del 13 giugno e in tale data lo offrissero all’asta.
(informatore: signor Domenico Antonelli, agricoltore, anni 61)
7- Roccacasale (provincia dell’Aquila)
Il 17 gennaio si svolgeva la processione in onore di sant’Antonio. Il pomeriggio si benedicevano gli animali. Da qualche anno l’uso va attenuandosi.
Fino a qualche anno fa, la sera del 17 gruppi di giovani andavano cantando dietro le porte di amici e parenti. Ecco il testo recitato da un giovane con barba bianca impersonante il santo:
Sant’Antonie de la Rocche [= di Roccacasale],
hai sapute che sci ccise lu puorche [= ho saputo che hai ucciso il porco],
e ne le può queste nega [= e non puoi questo negare],
pecchè l’aie antese de strellà [= perché l’ho inteso strillare].
Se me date na salcicce,
me la magne a cicce cicce;
se me date nu fegatuzze [=salciccia di fegato],
demane matine me c’encazze [= ci faccio festa].
Se me date na ventresca,
me la magne fresca fresca.
Se me date nu presciutte,
mele magne asciutte asciutte.
Se me date nu salame,
me le mette a la catàne [= tasca della giacca].
Se me date na galline,
demane ce facce gli tagliuline._
E se voi ng me dà niente [= se non vuoi darmi niente];
Sant’Antonie te fa casca gli diente.
Un altro canto del 17 gennaio era il seguente:
Sant’Antonio a lu deserte
ce teneva nu stipette [= uno stipetto].
Ce se metteva le cauzette [= calzini].
Lu demonie maledette
glie se le piglie e glie se le mette.
Pe’ dispette a lu demonie,
facemme [= facciamo] la festa a Sant’Antonio.
Sant’Antonie è nu grande sante,
benedice tutte quante.
Sanr’Antonie viechiarieglie [= vecchierello]
mette fuoco a l’armantielle [= albero, legna, ceppo],
pe’ scallà Notre Signore [= per riscaldare nostro signore].
Canta canta bielle fiore! [= bel fiore]
Belle fiore a già cantate:
tante grazie lu Signore ce l’ha mandate.
Un diverso canto, sempre del 17, viene rivolto ai vigneti. Il padrone di un vigneto è molto grato alla “cumpagnia”, cioè al gruppo dei cantori, se questi rivolgono canti augurali al suo podere.
Il pomeriggio del 17, il capo della “cumpagnia” avverte un certo proprietario di un vigneto che a un’ora stabilita la truppa sarà presso il suo podere. Qui arrivati, i giovani cantano:
Sant’Antonie de bunigne [= apportatore di bene],
famme entrà dentr’a sta vigne [= fammi entrare in questa vigna].
N ‘azzappa [= non zappare],
n’azzulfanà [= non irrorare con la miscela di zolfo),
n’assumenà [= non diserbare],
né recigne [= non recingere il podere],
né rabbatte [= non attaccare i rami della vite ai sostegni],
né rattocche [= non rimuovere le zolle alla radice della vite],
ma soltanto a velegnà [= ma soltanto vendemmiare].
E cioè il proprietario, dopo tale augurio, non aveva più bisogno di compiere i lavori descritti per ottenere un raccolto abbondante.
(informatore: signor Antonio D’Eliseo, anni 90)
8- Rocca Pia (provincia dell’Aquila)
Si acquistava, di solito a ottobre, un maialetto. Gli si metteva al collo un nastro con il campanello e lo si lasciava in giro per il paese.
Tutti gli davano qualcosa da mangiare. Il 17 gennaio veniva venduto e il ricavato andava alla chiesa. Nel giorno di sant’Antonio tutti portavano gli animali in piazza perché il prete li benediva. La mattina del 17 si mettevano a cuocere i “granati”, cioè il granturco, quando era lessato, si mandava un piatto di “granate” ad amici e parenti.
Il piatto di granturco lesso, che si dona per devozione a parenti e amici nel giorno di sant’Antonio, è usanza comune in territorio peligno. ln proposito l’informatore signor Salvatore Colaiacovo di anni 62, da Pratola Peligna, dice che, quando qualcuno riceveva il 17 gennaio un piatto d “granate”, ringraziava ripetendo:
Tante vache mi sci date,
tante some puozze refà,
[e cioè: “Tanti chicchi di granturco mi hai dato, tante some di granturco possa ricavare dal raccolto dell’anno”, avendo presente che la soma equivale a tre tomoli di 46 chilogrammi ciascuno].
(informatrice: signora Pia Amicucci, di anni 55)
9- Roccaraso (provincia dell’Aquila)
Si acquistava alcuni mesi prima della festa un maialetto e al collo gli si legava un nastro con campanello. Il maialetto, subito benedetto, cominciava a girare per il paese. Al suono del campanello tutti aprivano l’uscio per offrirgli qualcosa. Se qualcuno non aveva niente da offrire, si rivolgeva al maiale con queste parole:
“Antuò, vattenne! Nen tienghe niente!”
Il 17 gennaio gruppi di giovani raccoglievano casa per casa pezzi di legna per il grande fuoco da farsi in piazza. Veniva raccolta anche una certa quantità di farina per fare delle “pagnottelle”, che dopo essere state benedette in chiesa venivano offerte alla popolazione.
ll maiale veniva venduto il 17 gennaio tramite lotteria. Dopo la distruzione del paese nell’ultimo conflitto è scomparso l’uso. L’informatore, che è nativo di San Pietro Avellana (provincia di Campobasso), racconta un episodio avvenuto in quel centro. Una madre, assentatasi un momento da casa, non trovò più al suo ritorno il bambino di appena un anno, che aveva lasciato nella culla. Disperata si rivolse al maialetto di sant’Antonio che, per pura coincidenza, stava per entrare nella sua casa: “Antuò! dò sta la creatura?” [= dove sta il bambino] Il maialetto si diresse immediatamente sotto la culla, dove appunto era caduto il bambino, e con grugniti attirò la madre.
(informatore: signor Vincenzo Acquafondata, artigiano, anni 65)
10- Santo Stefano di Sessanio (provincia dell’Aquila)
La sera del 17 gennaio gruppi di giovani cantano dietro le porte questo ritornello:
Sant’Antonie de jennare [=di gennaio]
mese [= mezzo?] grane a lu granare
e mesa [= mezza?] paglie a lu pagliare.
Il gruppo era introdotto in casa e gli si offriva formaggi, salsicce ecc.
La benedizione avviene però il 13 giugno, festa di sant’Antonio di Padova. Alcuni giorni prima del 13 giugno, tutti i proprietari di cavalli, muli e asini si recano in montagna per raccogliere la legna che, accatastata, viene venduta all’asta. Il ricavato rappresenta un contributo per la festa del santo. Il 13 giugno si fa la processione con benedizione degli animali. Né il 17 gennaio né il 13 giugno si accendono i fuochi. Pur essendo santo Stefano protettore del paese, la devozione popolare della maggioranza della popolazione, una volta costituita in prevalenza da boscaioli e proprietari di animali, è rivolta a sant’Antonio di Padova.
(informatrice: signora Maria Florio, di anni 81)
11- Scanno (provincia dell’Aquila)
Il 17 gennaio, di mattina presto si ripete un’antichissima tradizione, della quale sono attualmente depositari i signori Di Rienzo di Scanno. Davanti casa Di Rienzo viene acceso un grande falò dai fattori di questo signore, proprietario di greggi in Puglia. Un enorme caldaio viene posto sopra il fuoco e si inizia a cuocere un pasto caratteristico dei pastori, gli ‘stuppelli’, cioè una pasta di farina dura, insieme con ricotta. A poco a poco la piazzetta dove avviene la cottura di tale pasto si anima di vecchie che recano ‘camelle’, cioè piccoli recipienti di stagno o di rame. Ciascuna riporta a casa un po’ di tale pasto che viene offerto per devozione all’assaggio di tutti i familiari. Coloro che vengono a prelevare il pasto recano con se anche un piccolo sgabello e durante la cottura siedono intorno al fuoco.
Non c’è la tradizionale processione, ma solo la benedizione degli animali, che avviene il pomeriggio. Non esiste nemmeno l’uso di cantare dietro le porte.
(informatore: signor Marco Notarmuzi, di anni 57)