Vescovo della diocesi di Valva e Sulmona (1738 – 1751)
di Franco Cercone
[Pubblicato in Atti del Convegno di Studio “Pietro Antonio Corsignani nel terzo centenario della nascita (1686-1986)” – Celano 8-9 nov. 1986, Deputazione Abruzzese di Storia Patria. Japadre editore, L’Aquila 1987.]
Ho avuto recentemente la possibilità di acquistare un volume manoscritto la cui importanza è sfuggita al rigattiere venditore. Oltre a diverse Notificazioni, Circolari ed Avvisi il volume in questione contiene anche la copia di alcuni Editti emanati dai vari vescovi della Diocesi di Valva e Sulmona nel corso del XVIII secolo e tra questi ben sei sono di Mons. Pietro Antonio Corsignani, che resse la Diocesi dal 1738 al 1751.
I titoli (o gli «argomenti») degli Editti sono i seguenti e vengono riportati in ordine cronologico:[1]
1) Editto de l’Investigati, 29 ottobre 1738;
2) Editto sulla prima “clerical tonsura” e sugli “ordini minori”, 2 marzo 1740;
3) Editto sull’Elemosina, 30 gennaio 1742;
4) Editto sulla vita et onestà de’ chierici, 30 agosto 1744;
5) Editto “de li giuochi”, 26 settembre 1744;
6) Editto sulla applicazione de’ le “limosine”, 30 ottobre 1744.
In qualche punto i testi manoscritti non sono chiari a causa di larghe macchie di umidità o d’inchiostro e rivelano anche errori di trascrizione da parte del parroco titolare della chiesa (difficile da individuare) da cui proviene il prezioso volume.
Sarà compito di altri studiosi quello di mettere in luce la personalità del Corsignani come storico e come “pastore di anime”. Va sottolineato comunque che la figura del vescovo, nato a Celano il 13 gennaio 1686, si evince in parte dal volume di A. Chiaverini dal titolo La Diocesi di Valva e Sulmona, vol. VIII, (p. 157 segg., Sulmona 1980), in cui è posta in evidenza «la cultura umanistica» dell’autore della Reggia Marsicana. Questi Editti ci aiutano soprattutto a chiarire l’azione episcopale del Corsignani che si preannuncia già all’inizio dell’editto «de li Investigati»: “Sovvenuti – scrive egli – per disposizione dell’Altissimo alla residenza di questa nostra Diocesi di Valva e Solmona, desideramo per quanto si stendono le nostre debolezze… pascere il numeroso gregge, alla nostra cura commesso, con pascoli saluberrimi de’ Divini Sagramenti…”.
Gli Editti rappresentano i documenti più importanti della vita di una Diocesi e la loro emanazione è susseguente per lo più alla violazione di norme etico-religiose in vari modi accertata dal vescovo. Tramite il cosiddetto corsore episcopale, che raggiungeva a cavallo i vari paesi della diocesi, essi venivano portati a conoscenza dei singoli parroci i quali, come si apprende dalle disposizioni finali, erano tenuti ad affiggerli nelle sagrestie oppure ne’ luoghi soliti, in modo che la popolazione ne venisse comunque a conoscenza.
Il parroco era tenuto a redigere una copia dell’editto nell’apposito Libro de li Editti, da mostrarsi al vescovo in occasione delle visite pastorali effettuate in vari periodi nei paesi della diocesi.
Come strumento coercitivo affidato all’autorità del vescovo, l’editto è diretto spesso a far rientrare il «gregge dei pastori d’anime» – così viene definito il clero – nella giusta via tracciata dalle leggi della Chiesa, dai dettami evangelici ed anche dalle indicazioni contenute nei Sinodi indetti dagli stessi vescovi e pertanto esso rappresenta uno specchio fedele della religiosità della diocesi in un determinato periodo storico. L’editto, infatti, costituisce pur sempre una reazione dell’autorità episcopale alla trasgressione, da parte del clero, di precise disposizioni, norme comportamentali e chiesastiche.
Alla luce degli Editti emanati da Mons. Corsignani e finora inediti, si avverte infatti un disorientamento morale del clero assai sorprendente e notevole nella Diocesi di Valva e Sulmona, già denunciato per altro dal suo predecessore Matteo Odierna, i cui editti sono richiamati spesso per ricordare ai trasgressori le pesanti pene previste e comprendenti anche la scomunica ed il carcere.
Ma evidentemente tali sanzioni e minacce non avevano raggiunto l’effetto voluto e sia i chierici che gli ecclesiastici continuavano a giuocare pubblicamente alle carte, alla morra ed alla ruzzola, ad indossare vesti indecorose per un ministro del culto, a speculare sull’elemosine e sulle offerte dei fedeli in chiesa e via dicendo. Singolare appare poi il divieto di Mons. Corsignani, rivolto al clero diocesano, di celebrare funzioni religiose in onore di San Gennaro e San Crispino, «officii – sottolinea il vescovo – che quantunque conceduti a qualche Diocesi del Regno, non vi è stata concessione però
in questa nostra Diocesi».
Questo mosaico sullo stato morale del clero è arricchito da ulteriori tasselli che proiettano sconcertanti ombre sulla diocesi peligna nella metà del XVIII secolo.
Di un processo contro un frate «specializzato» nella ricerca dei tesori, ho dato notizia nella «Rivista Abruzzese» [n° 3-4, Lanciano 1979, p. 148 sgg. Processo per magia nella Sulmona del XVIII sec]. Esso si concluse a Sulmona nel 1726 con la condanna alla galera “in perpetuo” dell’intrepido frate, cui, tra l’altro, il vescovo Matteo Odierna fece somministrare “salutari punizioni corporali”. In un altro processo coevo, che mi riprometto di pubblicare il più presto possibile, un prete viene condannato lo stesso alla galera in perpetuo per aver consigliato ad un cittadino di Corfinio di stuprare una vergine affinché potesse guarire dalla lue.
È contro un tale decadimento dei costumi del clero che si esplica l’azione di Mons. Corsignani ed i suoi Editti, che sottopongo al vaglio degli studiosi, ci aiutano a valutare la sua complessa personalità.
[1] [N.d.r.: Gli Editti completi sono pubblicati in “Pietro Antonio Corsignani … ecc.” op. cit., con trascrizione e note dell’A., qui sono rappresentati nelle tre foto jpg allegate all’articolo]
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