LE CAUSE E I NUMERI DELLA CRISI DEL LAVORO AUTONOMO
di Natale Forlani
Politicainsieme.com, 22 gennaio 2024. La crisi del lavoro autonomo nel corso degli anni duemila (circa -1,3 milioni di occupati a fronte di una crescita di 2,7 milioni della componente dei lavoratori dipendenti) è una delle criticità meno attenzionate del nostro mercato del lavoro, nonostante l’incidenza storica di queste professioni sul complesso dell’occupazione e della generazione del reddito delle famiglie risulti di gran lunga superiore rispetto alla media dei Paesi dell’Unione europea ( 21,5% rispetto al 14,7%). Il recupero dei numeri precedenti la crisi Covid-19, poco più di 5 milioni di occupati, è avvenuto con grandi difficoltà alternando segnali positivi e negativi.
L’impatto della riduzione si riflette anche sui cambiamenti strutturali del nostro mercato del lavoro, in particolare sulla caduta della propensione a promuovere nuove imprese e nel mancato ricambio generazionale dei mestieri e delle professioni che continuano ad avere un peso rilevante in molti comparti di attività. Una tendenza che offre una spiegazione anche della riduzione della quota delle professioni di media e alta qualificazione e dei lavoratori esecutivi specializzati (-1,5 milioni rispetto a 15 anni fa).
Il lavoro autonomo è un aggregato complesso di imprese individuali estremamente diversificate al loro interno. I grandi aggregati storici sono rappresentati dai commercianti, dagli artigiani, dai coltivatori diretti, dagli ordini professionali e dal raggruppamento delle professioni e delle prestazioni delle partite Iva (amministratori, manager, agenti commerciali, lavoratori parasubordinati) che trovano un collante nel Fondo previdenziale della gestione separata presso l’Inps. I commercianti e gli artigiani, rispettivamente 1,950 e 1,450 milioni, rappresentano più di due terzi di questo aggregato e la parte rilevante del 28% delle microimprese che hanno assunto lavoratori dipendenti.
La diversificazione di queste attività per caratteristiche professionali, di reddito e di collocazione nelle filiere di produzione, distribuzione e di vendita, rende difficile trovare una spiegazione unificante del declino evidenziato nelle statistiche. Un saldo negativo che rappresenta comunque il risultato finale di movimenti settoriali che risentono della contrazione storica di alcuni settori, in particolare delle costruzioni e dell’agricoltura, e della contemporanea espansione dei comparti dei servizi per l’accoglienza, la ristorazione, la logistica e le telecomunicazioni.
Un fattore unificante, e ampiamente comprovato, è la forte riduzione della propensione a promuovere nuove imprese, frutto dei cambiamenti culturali e della perdita del valore e dello status collettivamente percepito dei mestieri e delle professioni. Una tendenza accentuata dalla riduzione delle coorti d’ingresso giovanili nel mercato del lavoro, che ha ridotto dal 27% a meno del 15% la quota dei giovani under 34 anni che promuovono nuove imprese, e del numero delle imprese che si mantengono attive a seguito del passaggio delle consegne dai genitori a figli. L’incremento dell’età età media dei lavoratori autonomi e dei professionisti risulta superiore a quella della popolazione attiva e i tassi di uscita dal lavoro autonomo che sono attesi per motivi di pensionamento fanno presagire un’ulteriore contrazione della componente dei lavoratori autonomi nel mercato del lavoro.
L’evoluzione delle innovazioni digitali è destinata a mettere in crisi anche i tradizionali confini delle rappresentanze storiche dei lavoratori autonomi, degli ordinamenti professionali e delle prestazioni del welfare che hanno accompagnato l’evoluzione delle associazioni a partire dai fondi previdenziali destinati ad andare in sofferenza con la riduzione dei contribuenti attivi che alimentano il pagamento delle prestazioni pensionistiche in costante crescita. Con tutta probabilità comporteranno anche un ridisegno della definizione delle differenze tra il lavoro autonomo e quello dipendente in relazione alle nuove tecnologie che valorizzano l’autonomia, la responsabilità dei lavoratori e le prestazioni legate ai risultati che si manifestano nella diffusione dello “smart working” nei mercati del lavoro a livello internazionale.
Con tutti i limiti del caso, a partire dai comportamenti fiscali di una parte rilevante di queste categorie, i lavoratori autonomi hanno svolto, e continuano a svolgere, un ruolo rilevante in termini di contributo attivo alla crescita economica delle nostre comunità territoriali che merita di essere rigenerato con politiche rivolte a migliorare la qualità delle competenze e delle attività professionali e di sostegno alla creazione di nuove imprese.
Pubblicato si www.ilsussidiario.net