[Introduzione al testo Sulmona negli scritti dei viaggiatori tedeschi del XVIII e XIX secolo, di Franco Cercone. Sulmona, Centro Studi P. Serafini, 1985. pgg.68. Il volume è corredato da IX Tavole.]
Introduzione.
In occasione del “Terzo Convegno sui Viaggiatori Europei negli Abruzzi e Molise”, svoltosi a Teramo nel settembre del 1974[1] , il Prof. Lehmann-Brockhaus, direttore della Biblioteca Hertiana di Roma, svolse una importante relazione dal titolo: “Gli stranieri negli Abruzzi e nel Molise durante il 700-800” [2], grazie alla quale mi è stato possibile ricostruire nelle linee essenziali un particolare capitolo di storia patria, la descrizione cioè della Città di Ovidio e della Conca Peligna contenuta nei resoconti di colti viaggiatori tedeschi del XVIII e XIX secolo. Sulla scia delle indicazioni bibliografiche del Lehmann-Brockhaus non è stato difficile richiedere alla Städtische Bibliothek di Monaco le fotocopie dei testi da tradurre e che ora vengono sottoposti in versione italiana all’attenzione dei lettori [n.d.r.: i testi tradotti dall’A. sono presenti nel volume da cui è tratta l’Introduzione].
Dagli Atti del Convegno teramano emerge subito un dato di fatto sorprendente e cioè che i viaggiatori tedeschi che hanno soggiornato a Sulmona nell’Ottocento sovrastano di molto per numero quelli provenienti da altri Paesi europei e tale circostanza, da ritenersi non casuale, reclama pertanto qualche riflessione.
Va rilevato innanzitutto che fin dal Medioevo il poeta Ovidio e di riflesso la sua terra natia hanno esercitato in Germania, e non solo in ambienti letterari [3], un costante fascino che è diventato irresistibile allorché, dopo il declino degli Svevi, fu difficile per le popolazioni del Reno cancellare i
ricordi che legavano Sulmona a questa sfortunata dinastia.
Già verso il 1210 Albrecht von Halberstadt aveva tradotto le Metamorfosi, mentre Heinrich von Morungen, vissuto nella prima metà del XIII secolo, si era ispirato agli Amores per la composizione di alcune liriche amorose.
Ma la testimonianza più significativa della popolarità di cui godeva il Poeta peligno presso corti, università e persino Klöster di ogni comunità religiosa, è data da quel prezioso documento di vita medievale che è appunto la raccolta dei Carmina Burana, composti per lo più come sottolinea il Müller in una recente edizione di tali canti, da Vaganten, Goliarden, Kleriker che avevano individuato proprio in Ovidio il loro “grosses Vorbild”, cioè il loro “grande modello” [4].
L’introduzione dell’arte della stampa accelera ovviamente la conoscenza delle opere ovidiane e proprio a Colonia, città di antica tradizione romana, fa la sua apparizione nell’ultimo decennio del XVI secolo la prima veduta di Sulmona. Si tratta come è noto di una incisione curata da G. Braun e F. Hogenberg in cui è ben evidenziata la didascalia Sulmo Ovidii Patria [5], mutuata forse dal famoso emistichio “Sulmo mihi Patria est”, le cui lettere iniziali (S.M.P.E.) fanno bella mostra di sé sullo stemma cittadino.
Nel XVII secolo vanno particolarmente annoverati fra i viaggiatori quei giovani nobili o borghesi i quali secondo una usanza che si diffonde rapidamente in tutta l’Europa e che in Germania fu chiamata Kavalierstour, incominciarono ad effettuare dei viaggi premio a coronamento degli studi fatti, soprattutto nel settore umanistico. È riuscito a qualcuno di essi di raggiungere la Patria di Ovidio?
È difficile rispondere ad una tale domanda. Va ricordato, comunque, che un viaggiatore ante litteram può essere considerato quel magister Gualterius de Alemania, che scolpisce nel 1412 il sepolcro Caldora nell’Abazia Morronese.
Allo stato attuale della documentazione in nostro possesso, si può dire che solo nei primi decenni del sec. XVIII si registra a Sulmona la presenza di un colto Wanderer, cioè quell’Adam Ebert cui si deve una notizia, non priva di qualche interesse, sulla ubicazione della statua di Ovidio che si ammira oggi nel cortile del Palazzo dell’Annunziata.
Ebbene, il percorso compiuto dall’Ebert assume grande importanza proprio perché viene a spezzare lo schema rigido del Kavalierstour, il quale non ammetteva, una volta pervenuti a Roma ed a Napoli, di effettuare delle deviazioni dall’itinerario tirrenico verso l’interno della Penisola. Ciò era determinato dalle incognite e dai pericoli incombenti su una area geografica che veniva a coincidere, all’incirca, con le attuali estensioni territoriali dell’Abruzzo e del Molise.
Si può affermare pertanto che fino al completamento della linea ferroviaria Roma-Sulmona, inaugurata nel luglio 1888, sono stati pochi i viaggiatori che, partiti dalla Germania, sono riusciti superando non lievi difficoltà a specchiarsi nelle acque, un tempo limpide, del Gizio e del Vella e tali difficoltà vengono individuate dagli studiosi, sulla base dei resoconti degli stessi viaggiatori stranieri, nella mancanza di una adeguata rete viaria nel regno di Napoli e nel pericolo costituito, soprattutto lungo la dorsale appenninica, dal brigantaggio. Così “l’Abruzzo – sottolinea il Russi – benché sia una regione del regno borbonico e confinante con il Lazio, resta tagliato fuori non solo dagli itinerari turistici di chi attraversa in lungo la Penisola, ma anche dai programmi di chi, soggiornando nella capitale napoletana o nella città del papa, è solito muoversi per conoscere altri luoghi” [6] .
Di conseguenza la posta internazionale sfiora l’Abruzzo e “soltanto alla fine dell’epoca asburgica, nell’anno 1734, nasce il progetto di creare una via postale che avrebbe dovuto legare il regno di Napoli con l’Austria per via d’acqua da Pescara a Fiume. Ma la successiva perdita del Regno di Napoli non permise la realizzazione di questo progetto” [7]. Esso fu ripreso com’è noto (limitatamente al tratto Castel di Sangro-Sulmona) nell’ultimo ventennio del ‘700 da Andrea Pigonati ma la “real strada di fabbrica” sarà portata a termine solo nel secolo successivo, assumendo nel tratto Roccapia-Pettorano il nome di via Napoleonica che tuttora conserva [8].
Nell’ambito del citato Convegno sui Viaggiatori Europei sono state tuttavia acutamente messe in luce, da parte di alcuni relatori, le cause effettive della mancata realizzazione, nel settore nord-orientale del regno di Napoli, di una efficiente rete stradale, dovute ad un preciso disegno politico-militare dell’amministrazione borbonica. Il Russi, per es., pone in grande evidenza (ivi, p. 71) come in una Memoria sulla frontiera nord-orientale del regno di Napoli, redatta dal giovane Pisacane che prestava servizio militare nella fortezza di Civitella del Tronto, sia ancora ravvisabile la funzione strategica del territorio abruzzese in cui “centomila uomini in armi fanno testa a duecentomila invasori”, mentre il Clemente ha sottolineato come “L’isolamento degli Abruzzi non è questione risolubile nella indicazione del dato naturale e viario: è invece una circostanza che proietta tali premesse in una linea politica che fa dei nostri territori, per lunghissimi periodi, quasi una terra bruciata, una zona di cuscinetto strategico” [9].
Circa il problema del brigantaggio, il Colapietra ha puntualizzato come, almeno all’indomani dell’Unità d’Italia, l’Abruzzo costituisse “la regione in cui le due componenti principali del brigantaggio, la politica legittimistica borbonica e la sociale contadina autonoma, si intersecano più strettamente”[10] , mentre per il secolo precedente, come ritengo, la circostanza che gli agguati fossero più frequenti sugli altopiani o lungo i tratturi, in aree dunque vitali per l’industria ovina, sembrerebbe escludere ogni aspetto di sovversione politica in tale fenomeno, da cui vanno sottratte quelle azioni di mero banditismo che si intensificano con veri e propri “attacchi alla diligenza” sulla Napoleonica subito dopo il suo completamento [11].
Non pochi sono i paesi abruzzesi ritenuti, nei resoconti dei viaggiatori stranieri, “sede ideale per i briganti”, sicché ora è Roccapia, ora Villalago o Castel di Sangro – ma l’elenco non si esaurisce certamente qui – a fregiarsi di tale triste ed indesiderata nomea che, ingigantita fuori misura in Europa, finisce in ultimo per coinvolgere tutto l’Abruzzo, considerato in Germania, ancora nel 1911, «terra di briganti» [12].
E quando alcune voci, come il Frommel ed il Kaden, si levarono per ricondurre il fenomeno ad aspetti più obiettivi e realistici, la nostra Regione ben poco guadagnerà da un quadro non più dipinto a tinte fosche. Per il Kaden, ad esempio, come vedremo in seguito, l’Abruzzese “odia il ladro e stima il brigante”, mentre per il Frommel le popolazioni delle nostre montagne conservano una fisionomia “da masnadieri”. Va osservato ai fini di una migliore comprensione della genesi di tali pregiudizi, che anche negli scritti dei viaggiatori tedeschi della seconda metà dell’800 affiora una Weltanschauung che è ancora tipicamente romantica. Nella concezione del “wandern” (letteralmente: peregrinare), donde i titoli di molti libri di viaggio (Wandertage, giorni di peregrinazione; Wanderjahre, anni di peregrinazione) predomina il desiderio di evadere dal proprio ambiente, di errare senza meta stabilita
per cancellare ogni sensazione di noia, tuffandosi soprattutto nel luccicante paesaggio meridionale visto come proiezione di un particolare stato d’animo e di tale paesaggio fanno parte il brigante ed il pastore, che regnano incontrastati sui monti aspri e solitari dell’Appennino e ne diventano ben presto i simboli. Rare volte tuttavia è dato leggere in queste pagine elegiache dedicate all’Abruzzo una parola di condanna sulle misere condizioni in cui versavano le popolazioni dei nostri paesi. Nessuna reazione provocano nel Lear, sempre attento però all’ospitalità “dovuta” nei suoi confronti da parte dei ricchi signori della Marsica o dell’area peligna, le parole della vecchia mendicante di Villalago, che confida al viaggiatore inglese: “Siamo qui senza denaro, senza pane, senza panni, senza speranza, senza niente”. Per il Lear, infatti, l’Abruzzo rappresenta comunque “il quadro di una serena attività pastorale” e proprio mentre il Kaden annotava sul suo taccuino le impressioni suscitategli dal superbo paesaggio che da Pettorano si schiude verso la Conca Peligna ed il Gran Sasso, ben diversi “appunti” prendeva in questa località Filippo Destephanis, per la sua Memoria da inviare a sua maestà, il re di
Napoli, ed in cui si sostiene la necessità – siamo nel 1859 – di trasformare in campi coltivati la parte del tratturo che si snodava ai piedi del paese, dato che, denuncia il Destephanis, “esuberando le braccia, sono obbligati gli infelici Pettoranesi andar raminghi l’inverno, o nell’Agro Romano, o a Terra di Lavoro, o alle Puglie, imitando gli armenti, pervero anche in Calabria, dove guadambiando il vitto gli uomini, riportano poche monete alla famiglia, che per lo più a stenti ha tirato l’invernata…”[13].
Tornando ora ai viaggiatori tedeschi, occorre ricordare che meritano una particolare menzione quegli studiosi i cui interessi restano legati, come per es. il Mommsen, all’archeologia ed all’epigrafia, oppure ad altri campi artistici, come appunto Heinrich Schulz ed Heinrich Dressel. Dello Schulz apparve postuma l’opera dal titolo: Denkmäler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien (Monumenti artistici del Medioevo nell’Italia Meridionale), Dresda 1860, voll. 3, il secondo dei quali è dedicato ai monumenti dell’Abruzzo e del Molise.
Il Dressel invece, che era nato a Roma nel 1845, collaborò al Corpus inscriptionum latinarum del Mommsen e secondo il Lehmann-Brockhaus, particolare degno di nota, “riconobbe per primo che negli oggetti dell’oreficeria il punzone SUL era una abbreviazione del nome della Città di Sulmona”[14].
Nel 1840 vide la luce a Monaco di Baviera l’opera di Ernst Förster: Handbuch für Reisende in Italien (“Manuale per viaggiatori in Italia”) In essa le località italiane, importanti sotto il profilo storico e artistico, appaiono in ordine alfabetico ma nessuna menzione si fa di Sulmona e di altri centri abruzzesi, anche se il Lehmann-Brockhaus rileva che in tale Manuale “gli Abruzzi e il Molise sono descritti nel capitolo Da Ancona a Napoli, nel quale si parla di Teramo, L’Aquila, Atri, Sulmona, Isernia, Venafro” [15]. Sicuramente le descrizioni in questione sono contenute in un’altra ristampa del volume, che ha avuto ben otto edizioni. Il Manuale del Förster si distingue decisamente, per la mole delle notizie fornite, dalle pur famose Guide dell’editore Karl Baedecker, morto a Coblenza nel 1859, e relative a molti Paesi europei. L’opera del Baedecker fu portata avanti dal figlio Federico che nel 1861 curò probabilmente il primo volume dedicato all’Italia centrale e di cui si hanno anche versioni in inglese ed in francese.
Queste Guide divennero ben presto ovunque note grazie alla loro praticità. Esse furono inoltre continuamente ampliate con ulteriori edizioni apparse nell’ultimo ventennio dell’800 e la velocità di tali aggiornamenti fu resa possibile soprattutto dallo sviluppo della rete ferroviaria, che diventava nella nostra Penisola sempre più fitta e permetteva quindi di raggiungere in breve tempo Regioni fino ad allora poco conosciute, come appunto la nostra.
Soprattutto in conseguenza dell’inaugurazione della linea ferroviaria Roma-Sulmona, avvenuta il 28 luglio 1888 [16], l’Abruzzo faceva dunque il suo ingresso ufficiale nel cuore dell’Europa centrale. E ciò si verificava, a mio avviso, in un particolare momento delle scelte politiche operate dal giovane regno d’Italia, che proprio nel 1887 aveva rinnovato la Triplice Alleanza con Austria e Germania.
Sicché gli studiosi di lingua tedesca si trovano in questi anni in una particolare condizione psicologica che li spinge a privilegiare, come meta del loro wandern, piuttosto “l’amica Italia” che altri Paesi e questo stato d’animo emerge chiaramente, come si vedrà in seguito, negli scritti di alcuni autori che non solo tessono elogi alla Dreibund (Triplice Alleanza) ma si compiacciono anche, come fa per es. il Kaden, del diffuso spirito antifrancese che serpeggia a Sulmona ed in altre città d’Abruzzo.
Dopo questo breve ma necessario prologo entrano in scena gli Autori che per aver visitato e descritto Sulmona sono quelli che più direttamente interessano. I loro scritti appaiono nella presente raccolta in ordine cronologico e sono preceduti da brevi notizie biografiche desunte dal fondamentale lavoro del Lehmann-Brockhaus, più volte citato.
Tra i primi viaggiatori del Settecento che visitano Sulmona e l’Abruzzo va annoverato il giureconsulto Adam Ebert, nato a Francoforte sull’Oder nel 1653 ed ivi morto nel 1735. Sotto lo pseudonimo di Aulus Apronius egli pubblicò a Villa Franca, nel 1723, il resoconto di un suo viaggio in vari Paesi d’Europa di cui non mi è stato possibile avere dalla Biblioteca di Monaco la fotocopia del frontespizio; e ciò al fine di accertare l’esattezza del titolo, che si presenta alquanto diverso in un noto Saggio del D’Ancona e nella relazione del Lehmann-Brockhaus [17]. L’Ebert dedica una sola pagina a Sulmona ma essa, come si vedrà, non risulta priva di qualche interesse.
Altrettanto spazio occupa la Città d’Ovidio nell’opera di Carl Frommel (1789-1863) dal titolo Pittoreskes Italien (“Italia pittoresca”), pubblicata a Lipsia nel 1840. L’Autore, che era direttore di una importante galleria d’arte di Karlsruhe, fa delle acute osservazioni sul fenomeno del brigantaggio in Abruzzo ma si dimostra talvolta impreciso nella descrizione dei luoghi visitati (per es. pone Sulmona “sulle rive del Sora”!).
Del grande storico Ferdinando Gregorovius (1821-1891) ho ritenuto opportuno riportare alcune belle pagine, relative a Corfinio e Sulmona, che sono contenute nel 2° dei 5 volumi dell’opera Wanderjahre in Italien, pubblicata a Lipsia nel 1876 e che nella traduzione italiana ora appare con il titolo di “Anni di peregrinazione in Italia” ora con quello di “Passeggiate per l’Italia”, come appunto nell’edizione curata da M. Corsi e pubblicata a Roma nel 1907. Le pagine in questione come si è detto, sono tratte dal 2° volume e precisamente dal VII capitolo dal titolo Eine Pfingstwoche in den Abruzzen (“Una settimana di Pentecoste in Abruzzo”), recentemente riproposto all’attenzione degli studiosi in forma anastatica dall’Ed. Polla di Avezzano.
Al Gregorovius fa seguito la personalità forse più interessante tra gli Autori tedeschi che visitano Sulmona nel corso dell’Ottocento, cioè Woldemar Kaden, colto viaggiatore nato a Dresda nel 1838 e morto a Monaco di Baviera nel 1909. Le pagine che dedica a Pettorano e Sulmona sono contenute
nel suo volume dal titolo Wandertage in Italien (“Passeggiate in Italia”), pubblicato a Stoccarda nel 1874 per i tipi degli Editori Meyer & Zeller’s.
Grande conoscitore di opere latine, soprattutto di Virgilio, Ovidio, Orazio (e di conseguenza del buon vino peligno) [18], il Kaden ci offre una affascinante descrizione notturna della Città d’Ovidio, non priva di alcuni documenti di rilevante interesse etnografico (il volume manca però di disegni ed illustrazioni). Insieme a C. Stieler ed E. Paulus, che lo avevano accompagnato nelle sue peregrinazioni nel Mezzogiorno d’Italia, il Kaden pubblicò, probabilmente nel 1875, un altro volume di cui conosciamo una versione in italiano ed un’altra in inglese. La prima, con il titolo: Italia. Viaggio pittoresco dall’Alpi all’Etna, vide la luce nel 1876 per i tipi della Casa Editrice Treves, Milano, ed è arricchita da ben 73 tavole fuori testo, firmate e datate quasi tutte 1874, anno dunque che si riferisce al primo viaggio in Italia. La seconda invece ha per titolo: Italy from the Alpes to mount Etna e fu pubblicata a Londra nel 1887 dagli Editori Chapman & Hall.
Il “Viaggio pittoresco” di Stieler, Paulus e Kaden riscosse un buon successo. come è confermato dalle numerose edizioni del volume, che è corredato, come si è detto, di magnifiche incisioni. In quella del 1876, apprendiamo dal Marino, vanno notati “sei disegni del Kaden: ragazzo abruzzese, ragazza abruzzese, rovine d’Amiterno (S. Vittorino), la Valle del Sangro, una via negli Abruzzi, Gran Sasso d’Italia” [19].
Nell’edizione del volume che ho potuto consultare, la terza, pubblicata nel 1885 a Milano sempre dalla Casa Editrice Treves (e da essa sono tratte le pagine che si riferiscono a Sulmona), la bellissima incisione dal titolo Ragazza abruzzese, datata 1874, è firmata invece chiaramente: Keller, un artista dunque che deve aver partecipato insieme al Kaden, Paulus e Stieler all’avventuroso viaggio nel meridione della Penisola [20], mentre l’altra dal titolo Ragazzo abruzzese è opera del Kaden.
Al Kaden segue Eberhard Gothein, professore di economia politica a Bonn ed Heidelberg, strenuo difensore della Kulturgeschichte, cioè della necessità di considerare la storia come “storia della civiltà” e della cultura dei popoli. Per i tipi dell’editore Kölbner di Breslau egli pubblicò nel 1866 l’opera: Die Kulturentwicklung Sud-Italiens in Einzeldarstellungen (“Lo sviluppo della civiltà del Sud Italia in monografie”), che ebbe successivamente, pur nella diversità degli argomenti trattati, ulteriori edizioni. In quella del 1886 troviamo un capitolo dal titolo: Die Heimath Ovid’s (“La Patria di Ovidio”), in cui lo storico tedesco, profondo conoscitore dell’Italia, ci dà una vivace descrizione di miti e leggende fiorite dal medio evo in poi intorno alla figura del Poeta degli Amores e pertanto il Gothein va considerato come un precursore di tale genere d’indagini, che saranno, come è noto, completate da lavori analoghi del Ciampoli, De Nino e Pansa [21].
Noi non sappiamo come il Gothein [22] sia “approdato” a Sulmona, poiché la linea ferroviaria collegante Roma con la Città d’Ovidio sarà inaugurata nel 1888, cioè alcuni anni dopo il suo viaggio in Abruzzo. L’utilizzazione della carrozza ha permesso tuttavia allo studioso tedesco di poter trattenere più a lungo lo sguardo sul paesaggio peligno, dove, sottolinea egli, “ogni coltivazione dei campi si trasforma in giardinaggio”.
Quasi una descrizione “a volo d’uccello” è invece quella che fa dallo scompartimento del treno G. Vom Rath, professore di economia all’Università di Bonn. Il viaggio da Rimini a Pescara e da qui per l’Aquila e Rieti via Sulmona risale alla primavera del 1881. L’A. prima parla brevemente di Popoli e poi ci dà con efficaci pennellate cromatiche una bella visione di quel grandioso “anfiteatro naturale” che è appunto la Conca Peligna.
L’opera del Vom Rath, in due volumi, ha per titolo: Durch Italien und Griechenland nach dem Heiligen Land. Reisebriefe (“Attraverso l’Italia e la Grecia verso la Terra Santa. Lettere di viaggio”, Heidelberg 1882; seconda edizione: 1888).
L’ultimo brano tradotto, Vier Wochen in den Abruzzen: Sulmona (“Quattro settimane in Abruzzo: Sulmona”), apparve il 15 settembre 1895 sul quotidiano di Colonia “Kölnische Volkszeitung und Handelsblatt” senza la firma degli Autori che, come si evince agevolmente dal testo, erano comunque due sacerdoti impegnati nella trascrizione di bolle corografiche ed altri antichi documenti giacenti presso gli archivi di alcune cattedrali abruzzesi. Ed è proprio tale lavoro che i due studiosi compiono a Sulmona presso l’archivio di San Panfilo, “gentilmente” messo a loro disposizione dal vescovo di quel tempo, Tobia Patroni.
Si tratta comunque dei professori M. Klinkenborg e L. Schiapparelli entrambi di nazionalità tedesca, di cui il Pansa parla nella “Rassegna Abruzzese” nel recensire una nota opera del Kehr. Sottolinea infatti lo storico sulmonese: “Pochi dotti stranieri visitarono l’Abruzzo e i suoi monumenti per ricavarne profitto e pochissimi si occuparono dei suoi preziosi archivi e fecero tesoro delle carte che vi si conservavano. Gli archivi abruzzesi, sui quali versa la memoria che prendo in esame, sono stati esplorati dai dott. M. Klinkenborg e L. Schiapparelli delegati per l’Italia. Più fortunate furono le ricerche condotte a Sulmona, specialmente nell’archivio della Cattedrale, in cui vennero trascritte dagli originali dieci bolle comprese nel periodo da Innocenzo II (1138) a Celestino III (1196)” [23].
Si chiude così il sipario su questa rassegna dedicata a colte personalità tedesche che nei secoli XVIII e XIX hanno soggiornato a Sulmona e descritto la Città di Ovidio. Premesso che una tale ricerca è auspicabile anche per i viaggiatori francesi ed inglesi (quest’ultimi non rappresentati, certamente, solo dal Lear o dal Kraven), occorre spendere qualche parola sulla versione italiana dei testi in lingua tedesca. Rendere in italiano efficacemente alcuni periodi, specie quelli scaturiti dalla fantasia del Kaden, non è stata impresa facile e talvolta la sterile traduzione letterale è stata sacrificata in onore della freschezza ed immediatezza delle immagini.
In molti punti, inoltre, i testi si prestavano a ripetuti commenti, ma questi sono stati omessi e ridotti all’essenziale per non interrompere ed appesantire la lettura con una serie di note.
Mi piace sottolineare, nel concludere questa presentazione, che in epoche in cui non esistevano macchine fotografiche, i viaggiatori europei hanno saputo lo stesso ritrarre con i loro resoconti momenti di vita che appartengono alla storia della nostra Sulmona, la quale ha acquisito da tempo e non solo recentemente (come sembrano indicare le scritte di alcuni segnali turistici) il diritto a fregiarsi del titolo di Città d’Europa.
[1] Gli Atti del Convegno sono stati pubblicati a Teramo nel 1975 a cura del “Centro Ricerche Storiche Abruzzo Teramano” In seguito saranno citati con la sigla ACVE.
[2] In ACVE. cit., pp. 15-48. Poco utili sono risultate ai fini della presente ricerca le opere di A. D’Ancona, Saggio di una bibliografa ragionata dei viaggi e delle descrizioni d’Italia e dei costumi italiani in lingue straniere (Città di Castello 1889) e di L. Tresoldi, Viaggiatori tedeschi in Italia. 1452-1870, (Roma 1975), che presentano lacune soprattutto nella parte relativa ai viaggiatori dell’Ottocento.
[3]Anche il Lehmann-Brockhaus sottolinea (ivi, p. 27) che “i tedeschi erano i visitatori più frequenti degli Abruzzi”. Fra i viaggiatori inglesi vanno particolarmente ricordati il Lear ed il Craven, cui si devono importanti testimonianze su Sulmona e l’area peligna raccolte durante le loro escursioni nell’Abruzzo della prima metà dell’800. Di E. Lear cfr.: Illustrated Excursions in Italy, London 1846; la parte relativa all’Abruzzo, Viaggio illustralo nei Tre Abruzzi è stata pubblicata a Sulmona per i tipi della Labor e nella traduzione di B. Di Benedetto-Avallone. Di K. Craven cfr.: Excursions in the Abruzzi and northern Provinces of Naples, London 1837; i due volumi del Craven sono stati tradotti da I. Di Iorio e pubblicati nel 1979 e 1982 a Sulmona per i tipi della Libreria Editrice Di Cioccio con il titolo: “Viaggio attraverso gli Abruzzi e le province settentrionali del Regno napoletano”. Va ricordato che del primo volume esiste un’altra edizione a cura di D. Lepore e R. Cincione, “Escursioni negli Abruzzi” (Sulmona, Tip. Labor, 1981) e che alcuni brani tratti dai due volumi del Craven erano già apparsi in versione italiana ne “Il Giomale Enciclopedico Napoletano”, an. I, vol. IV, Napoli 1840. Fra i viaggiatori francesi va menzionato soprattutto A. Valery, autore di un’opera dal titolo: Voyages Historiques et littéraires en Italie pendans les années 1826, 1827 et 1828. Ou l’Indicateur Italien, voll. 3, Bruxelles 1835.
[4]Cfr. Carmina Burana, a cura di R. Clemencic e U. Müller, p. 194 sgg., Monaco di Baviera, Heimeran Ed., 1979. Già nel 1482 aveva visto la luce ad Augsburg con commento di J Hartlieb l’opera Ars Amatoria. Das Buch Ovídij von der liebe zu erwerben, mentre a cura di G. Bersmann apparve nel 1582 a Lipsia la prima edizione completa delle opere ovidiane (seconda edizione, cum notis variorum, Francoforte 1601), seguita da quella di N. Heinsius (Leyden, 1629, voll. 3), che riscosse buon successo editoriale. Singole opere di Ovidio o commenti alle stesse si registrano con frequenza a partire dal XVII secolo in poi.
[5] Cfr. E. Mattiocco, Vedute prospettiche della Città di Sulmona dal XVI secolo all’Unità d’Italia, p. 13, Sulmona 1980.
[6] L. Russi, Viaggiatori europei nell’Abruzzo dell’Ottocento, in ACVE, cit., p. 70.
[7] O. Lehmann-Brockhaus, in ACVE, cit., p. 15. Di itinerari postali, detti camini, si hanno notizia per l’Abruzzo dopo il 1777 Cfr. al riguardo A. Di Vittorio, Gli Austriaci e il Regno di Napoli. 1707-1734. Ideologia e politica di sviluppo, p. 385 sgg., Napoli 1783.
[8]Cfr A. Pigonati, La parte di strada degli Abruzzi da Castel di Sangro a Sulmona, Napoli 1783. I lavori per la realizzazione della strada da Roccapia a Pettorano erano iniziati nel 1789. Cfr. C. Ulisse De Salis Marschlins, Viaggio attraverso l’Abruzzo (1789), rist. anast. dell’edizione italiana, Trani 1906, a cura dello «Studio Bibliografico A. Polla», Avezzano, senza data. L’A. sottolinea che «le due province dell’Abruzzo fanno parte delle regioni più inesplorate del Regno di Napoli; e viene ciò attribuito tanto al pericolo dei briganti, quanto alla mancanza di una via maestra, diretta, attraverso le due province».
[9]V. Clemente, L’Istituto Archeologico Germanico di Roma ed i corrispondenti abruzzesi (1829-1838), spunti sulla scoperta romantica degli Abruzzi, in ACVE, p. 195. Di diverso avviso è il Di Vittorio (op. cit., p. 376), per il quale «le carenze del sistema stradale del Regno dipendevano da difficoltà finanziarie».
[10]R. Colapietra, Abruzzo. Un profilo storico, p. 157, Lanciano 1977; cfr. anche di R. Colapietra l’introduzione al volume di G. Morelli, Il brigante Giulio Pezzola del Borghetto e il suo Memoriale (1598-1673), Roma 1982. L’opera del Morelli risulta indispensabile per la ricca bibliografia sull’argomento “brigantaggio” nel secolo diciassettesimo.
[11]L’ipotesi sembra suffragata dai resoconti degli stessi viaggiatori stranieri in cui si sottolineano l’audacia dei briganti e la loro pericolosità nei confronti degli inermi viandanti soprattutto sul Piano delle Cinque Miglia ed a Forca Caruso. Cfr. C. Ulisse De Salis-Marschlins, op. cit. p. 84 e F. Gregorovius, Wandersjahre in Italien, vol. II, cap. VII, p.417, Lipsia 1876 (per l’edizione italiana vedi oltre).
[12] Cfr A. Steinitzer, Aus dem unbekannten Italien, p. 193, München, Piper & Co. Verlag, 1911. Il capitolo XIII del volume, dal titolo Drei Wochen in den Abruzzen (“Tre settimane in Abruzzo”), da me tradotto, è stato pubblicato a Sulmona nel 1977 per i tipi de «La Moderna».
[13]Cfr. F. Cercone, Pastorizia ed Agricoltura a Pettorano sul Gizio in un drammatico documento di Filippo Destephanis, in “Rivista Abruzzese”, n. 1, 1985, p. 41 sgg., Lanciano 1985. Sul rapporto di parentela tra Filippo e Pietro Destephanis cfr. V. Orsini in “Quaderni della Biblioteca Diocesana di Sulmona”, p. 5, Sulmona 1985.
[14] Cfr. O. Lehmann-Brockhaus, in ACVE, cit., p. 30. Come è noto, la prima importante opera sull’oreficeria abruzzese, dal titolo: Die mittelalterliche Goldschmiedekunst in den Abruzzen, si deve a Leopold Gmelin e vide la luce a puntate nel 1890 in una rivista edita a Monaco di Baviera. Di essa si ha una traduzione italiana: L’oreficeria medioevale negli Abruzzi, traduzione di G. Crugnola, pubblicata nei fascicoli 4, 6, 7 ed 8 della “Rivista Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti”, Teramo 1891 e per estratto: Teramo, Tip. del Corriere Abruzzese, 1891, pp. 80. Va ricordato che nella traduzione di L.F. de Magistris era apparsa a puntate sullo stesso periodico (l897: fasc. VI, pp. 270-75; fasc. IX, pp. 417-25) una “Memoria” di K. Hassert dal titolo: Gli Abruzzi («Die Abruzzen»). L’Autore, docente di geografia all’Università di Lipsia, visitò l’Abruzzo nel 1895 e fra i tipici prodotti regionali menziona particolarmente “le confetture di Sulmona”.
[15] Cfr. O. Lehmann-Brockhaus, in ACVE, cit., p. 28.
[16]Fra tre anni [1988] ricorrerà dunque il centenario dell’inaugurazione di tale linea ferroviaria ed è auspicabile che in una eventuale pubblicazione diretta a ricordare l’importante evento trovi posto anche una raccolta di giudizi ed impressioni dei primi viaggiatori stranieri che la utilizzarono per raggiungere Sulmona.
[17]Nel Lehmann-Brockhaus (ivi, p. 31), il titolo del volume è riportato nel modo seguente: Adam E. Ebert, “Auli Apronii Reisebeschreibung von Villa Franca… durch Teutschland, Holland und Braband… ferner nach Turin, gantz Italien, Rom, Neapolis”; nel D’Ancona invece (op. cit. p. 53) esso appare più completo, ma tale circostanza non ne implica necessariamente l’esattezza: Aulus Apronius Reisebeschreibung von Villafranca, durch Deutschland, Holland, England, Frankreích, Spanien and Italien, Francfurt zur Oder, 1723, 1728; (quest’ultima data si riferisce probabilmente alla seconda edizione del libro di viaggio). È da ritenersi tuttavia che il titolo esatto dell’opera sia quello riportato da Lucia Tresoldi, op. cit., pp. 35-36, la quale ritiene erroneamente che il viaggio dell’Ebert risalga agli anni 1679-80. Cfr. anche O. Lehmann-Brockhaus, in ACVE, cit., p. 30.
[18]Nel frontespizio delle sue Passeggiate il Kaden riporta i seguenti versi tratti da una non ben individuata Ode di Orazio e che pertanto ho tradotto alla lettera: «Portate amici, vino ed unguenti, ed un grazioso bocciolo di rosa che troppo rapidamente sfiorisce, giacché, gioventù, fortuna ed il nero tessuto delle Tre Parche ce lo permettono ancora».
[19]Cfr A. Marino, Bibliografia dei viaggi e delle descrizioni d’Abruzzo in Lingue straniere, in ACVE, cit. pp. 297-98.
[20]Nella terza edizione del Viaggio pittoresco (1885), vi sono anche incisioni di Edmund Kaneldt, datate: Rom, 1875. È probabile allora che anche quest’ultimo facesse parte del “gruppo” di tali instancabili viaggiatori.
[21]Cfr.: D. Ciampoli, La leggenda d’Ovidio in Sulmona, in “Archivio per lo studio delle tradizioni popolari”, diretto da G. Pitrè, vol. IV,1885 (l’articolo era stato tuttavia pubblicato in precedenza ne “La vita italiana. Rivista contemporanea”, n. 19, Torino 1880; A. De Nino, Ovidio nella tradizione popolare di Sulmona, Casalbordino 1886 (nuova ristampa a cura di B. Mosca, L’Aquila, Japadre Ed. 1972); G. Pansa, Ovidio nel Medioevo e nella tradizione popolare, Sulmona 1924. Un ampio saggio sulle leggende popolari fiorite nell’area peligna intorno ad Ovidio si deve ad Ettore Paratore ed è apparso con il titolo: Le tradizioni popolari abruzzesi su Ovidio alla luce delle nuove esperienze, nel volume degli “Atti del VII congresso Nazionale delle Tradizioni Popolari (Chieti 4-8 sett. 1957)”, Firenze 1959. Nel trattare gli studiosi che si sono occupati dell’argomento, il Paratore ricorda anche il Gothein.
[22]Una edizione italiana del citato volume dello storico tedesco, è apparsa nel 1915 a cura del Persico con il titolo, alquanto discutibile, di: Il Rinascimento nell’Italia Meridionale.
[23] Cfr. G. Pansa, P. Kehr. Papsturkunden in Apulien. Papsturkunden in den Abruzzen und am Monte Gargano (Aus den Nachrichten der K. Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen. Philosophisch-historische Klasse, Heft 3), in “Rassegna Abruzzese di Storia ed Arte”, n. 5-6, p. 303 sgg., Casalbordino 1898. Vedasi anche A. Matino, in ACVE, cit., p. 301.
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