di Maurizio Cotta
Politicainsieme.com, 4 febbraio 2024. Tra il 6 e il 9 giugno i cittadini europei (cioè tutti coloro che hanno la cittadinanza di uno dei 27 stati membri dell’Unione Europea e per effetto di questo anche quella europea) potranno votare per l’elezione del Parlamento Europeo (PE). In Italia si voterà il 9 giugno.
La campagna elettorale non è ancora ufficialmente aperta ma è già di fatto in pieno svolgimento e vediamo sotto i nostri occhi le prime mosse dei vari partiti. Per ora in Italia sembra che la questione principale sia se Meloni si
presenterà in tutte le circoscrizioni (per poi ovviamente rinunciare al seggio al PE!), se questo avrà effetti negativi sugli altri partiti della sua coalizione di governo e come andrà la competizione tra PD e M5Stelle. Ma non succede solo in Italia: se guardiamo oltralpe, vediamo che la prospettiva di un risultato poco buono a giugno ha portato il Presidente Macron a indurre le dimissioni del Primo Ministro in carica e a sostituirlo con il giovane Gabriel Attal (anche se le elezioni europee non avranno nessun effetto diretto sul parlamento francese da cui dipende la fiducia al governo).
Gli effetti nazionali dell’elezione europea sembrano dunque prevalere! Per carità, tutto lecito … ma non c’è forse prima di tutto qualcosa di più importante e non strettamente nazionale nelle elezioni europee? Sebbene possa sembrare ovvio, ricordiamoci (e se possibile ricordiamolo ai nostri politici) che queste elezioni sono elezioni europee per un Parlamento europeo!
Partiamo da questo e, lasciando per il momento la cronaca politica nazionale, soffermiamoci invece sul significato di un evento che ha molti aspetti peculiari ai quali si presta troppo poca attenzione. Il primo aspetto da sottolineare è che si tratta di un grande evento democratico, grande proprio nel senso della misura: dopo quello indiano, l’elettorato europeo è il secondo elettorato democratico più grande nel mondo.
I votanti nel 2019 sono stati 198 milioni (su 392 milioni di aventi diritto), a fronte dei 614 milioni in India, dei 158 milioni in USA e in Indonesia (ovviamente escludiamo dal novero l’elettorato cinese che opera in ambiente totalitario e quindi è tutt’altra cosa). E aggiungiamo che questo evento democratico si svolge ormai regolarmente e senza contestazioni ogni cinque anni dal 1979 quando solo nove paesi facevano parte dell’Unione. Si dirà che è un elettorato composito, che mette insieme componenti nazionali, linguistiche, culturali, religiose molto diversificate e che spesso faticano ad intendersi; è certamente vero e tuttavia merita proprio sottolineare il fatto che queste realtà convivono insieme ormai da anni in un quadro giuridico, politico ed economico comune e crescentemente integrato e lo hanno largamente accettato come un “terreno di gioco” condiviso. D’altra parte anche in vari stati nazionali, in Europa e altrove, convivono componenti etniche diversificate e a volte non del tutto pacificate tra loro (basti pensare al Belgio o alla Spagna). Ma soprattutto, se ci guardiamo intorno, anche limitandoci alle regioni confinanti con l’Unione (l’Africa del Nord e il Medio Oriente, oppure gli stati successori dell’ex Unione Sovietica), vediamo che popoli (in qualche caso anche più simili tra loro per religione, lingua e cultura) non convergono in processi elettorali comuni ma sono addirittura impegnati in aspre contese o guerre (per non parlare del fatto che le loro elezioni nazionali sono per lo più eventi non democratici).
Possiamo certo evidenziare i difetti delle elezioni europee (e lo faremo), ma…teniamocele intanto ben strette e usiamole al meglio! Le consultazioni europee che portano tante realtà nazionali diverse a concorrere insieme ad un comune obiettivo – l’elezione di un parlamento nel quale saranno tutte rappresentate – costituiscono di per sé un fattore di grande importanza per la riduzione delle distanze tra i paesi, per mostrare come sia possibile lavorare insieme e quindi costruire e tenere in vita uno spazio di pace in gran parte dell’Europa.
Il secondo punto sul quale soffermarsi è la posta in gioco di queste elezioni. Le elezioni europee, che riproducono il modello istituzionale prevalente nei paesi dell’Unione, sono elezioni parlamentari e non presidenziali; è quindi sul parlamento europeo e il suo ruolo nell’Unione che occorre soffermarsi. Contrariamente a quello che spesso si dice questa istituzione, dopo la sua evoluzione negli ultimi anni, non sfigura affatto nei confronti di gran parte dei suoi omologhi nazionali se pensiamo alle funzioni tipiche di questi – dare legittimità democratica all’esecutivo e controllarlo, partecipare all’attività legislativa, essere un foro fondamentale del dibattito politico.
Quanto al primo punto guardiamo al rapporto tra Parlamento Europeo e Commissione, lasciando per ora da parte il fatto che il governo dell’Unione è una realtà composita nella quale convergono appunto la Commissione, ma anche il Consiglio Europeo (composto dai capi di stato e di governo dei paesi membri) e il Consiglio dell’Unione (composto dei ministri nazionali dei vari dicasteri). In questo campo il modello parlamentare classico (per esempio quello oggi in vigore in Germania o in Italia) è pienamente rispettato. Infatti, dopo la designazione del presidente della Commissione ad opera del Consiglio Europeo (che funziona quindi come una sorta di capo dello stato collettivo e
deve tener conto dei risultati elettorali), l’incaricato si presenta al parlamento per un voto di approvazione, vengono quindi nominati i commissari (poi scrutinati dal PE) e infine tutta la Commissione si sottopone ad un voto di fiducia del PE.
D’altra parte il PE può successivamente esprimere un voto di censura nei confronti della Commissione costringendola a dimettersi. Il Parlamento, nella configurazione partitica che esce dalle elezioni, ha quindi un peso determinante nella definizione dell’orientamento politico di una delle componenti fondamentali del governo europeo. Il pluripartitismo, finora emerso dalle elezioni europee, e la presenza di forze estreme ed euro-critiche sulla sinistra e sulla destra ha favorito il formarsi di larghe coalizioni tra i partiti (Popolari, Liberali e Socialisti) che più convintamente sostengono il processo di integrazione europea.
La partecipazione determinante del PE al processo legislativo comunitario è il secondo elemento caratterizzante di questa istituzione. Dopo il Trattato di Lisbona il PE opera sostanzialmente come una delle due camere di un sistema bicamerale: il PE ha quindi potere di emendamento e di veto su tutta la legislazione ordinaria dell’Unione. Inoltre, partecipa al processo di definizione del bilancio comunitario. Questi processi sono spesso risolti attraverso i cosiddetti “triloghi”, cioè le trattative a tre tra Commissione, Consiglio Europeo e PE. Infine, terzo elemento, il PE è diventato ormai uno dei luoghi principali dove avviene un pubblico e vivace dibattito sulle grandi questioni europee.
Se mettiamo insieme questi elementi (elezioni che consentono la partecipazione democratica del grande bacino dei cittadini europei e accresciuti poteri del PE) e le importanti sfide che l’Europa tutta deve oggi affrontare sul terreno della sicurezza, della competitività mondiale, della transizione ambientale, possiamo ben dire che l’appuntamento del 6-9 giugno offre un’occasione da non sprecare. Una occasione per i politici per presentare ai cittadini le loro idee sull’Europa e per i cittadini per chiedere ai partiti serietà di proposte e non modesti giochetti ad uso politico interno.
Naturalmente ci sono dei problemi. Come molti hanno sottolineato le elezioni europee rimangono in buona misura la somma di 27 elezioni nazionali.
I partiti che si presentano sono partiti nazionali; i candidati sono quasi esclusivamente di provenienza nazionale; i programmi e le campagne elettorali sono fortemente focalizzati su problematiche nazionali. Se pensiamo al nostro caso sembra (almeno per ora) che la questione principale sia l’effetto che potranno avere sugli equilibri della coalizione di governo o su quelli dell’opposizione. La ragione essenziale di questo è che i partiti europei sono ancora entità molto deboli, aggregazioni “leggere” di partiti nazionali che trovano una loro capacità di azione nella istituzione parlamentare piuttosto che nel momento elettorale.
Assomigliano un po’ ai partiti del parlamentarismo ottocentesco di molti paesi europei (Italia compresa). Ma di fronte all’importanza crescente delle sfide che l’Unione Europea deve affrontare unitariamente possiamo prevedere che i partiti europei dovranno presentare sempre più un profilo politico proprio e unitario sulle scelte da offrire agli elettori. E gli elettori possono cominciare a chiedere con forza ai candidati che cosa pensano di fare in Europa.
Maurizio Cotta
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