TRE LETTERE INEDITE di G. Finamore a G. Pansa

[Pubblicato in “Rivista Abruzzese” A. XXVI, N.2, 1973 Lanciano, pp.119-122]

di Franco Cercone

Devo alla cortesia della signora Clara Pittoni-Pansa, figlia dell’illustre Sulmonese, la possibilità di pubblicare tre lettere inedite del Finamore a Giovanni Pansa, tratte da un ricco carteggio con insigni personaggi, quali B. Croce, A. D’Ancona, F. Novati, G. Mazzantinti, G. Cocchiara, R. Corso ed altri, che sarebbe stato sicuramente pubblicato dal Pansa se la morte non lo avesse colpito improvvisamente nel 1929. Infatti, sulla cartella che custodisce tale voluminoso carteggio, G. Pansa aveva scritto di proprio pugno: “Da conservare: contiene lettere di illustri e sommi uomini”.

La prima delle tre lettere del Finamore, è datata Gessopalena, 12-7-1885, località dove 1’illustre folklorista si trovava “per le faccende della stagione”, sbrigate le quali si riprometteva di compiere ulteriori ricerche per la sua “raccolta di canti, già ordinata e quasi pronta per la stampa” [1].

La nuova pubblicazione che G. Pansa promette di inviargli è probabilmente il “Saggio di uno studio sul dialetto abruzzese”, edito da R. Carabba nel 1885, poiché l’unico altro scritto del Pansa relativo allo stesso anno, «Carlo V a Napoli», era già apparso ne “La Domenica Letteraria” [2].

La seconda lettera è datata Lanciano, 6-2-l886 e parla delle difficoltà incontrate con l’editore Clausen di Palermo, il quale, stampando un numero limitatissimo di opere, non permette al Finamore di poter inviare ai suoi amici e collaboratori delle copie in omaggio. Pertanto, spera che G. Pansa non mediti “rappresaglia” e lo prega di “continuare a volergli bene”.

La terza lettera è datata Lanciano, 21-1-1899 ed è forse la più interessante. In essa Finamore ringrazia G. Pansa per l’invio dello scritto “La leggenda macabra in Abruzzo” e si congratula per il successo della “Rassegna abruzzese” (rivista diretta da G. Pansa e P. Piccirilli), che tanto onora l’Abruzzo. Ricorda anche all’amico che sulle «Romantische Forschungen» [3], prosegue la pubblicazione dei “Proverbi abruzzesi” che “non senza fatica” ha raccolto per 30 anni ed aggiunge: “Quanto a me, sono entrato in una fase di quiete che, forse, non avrà termine. Sfiduciato dall’esito delle ultime prove, non sogno nemmeno ad altri tentativi…”.

Fra le “ultime prove” che gli hanno procurato non poca amarezza, deve includersi anche 1’aspra polemica avuta con F. Novati, direttore del “Giornale storico della letteratura italiana” in merito ai rapporti letterari tra l’ alta e la bassa Italia durante il periodo delle origini …”, svoltasi proprio sulle pagine della “Rassegna abruzzese” [4]. Ma, a ben guardare, lo stato di sfiducia che spinge il Finamore a ripiegarsi in se stesso, sembra trascendere i motivi occasionali che l’hanno generato e la “fase di quiete, che, forse, non avrà termine”, nasconde ragioni ben più profonde che investono il futuro della scienza del folklore agli inizi del XX secolo. Se la seconda metà dell’800 è caratterizzata da frenetiche indagini dirette alla raccolta di leggende, costumanze, canti e proverbi, già verso la fine del secolo stesso, sotto la spinta del positivismo sociale, che tende sempre più ad accentuare il concetto romantico della storia come manifestazione progressiva dell’Infinito, si afferma l’ esigenza di studi paralleli e comparati capaci di apportare unità alle molteplici manifestazioni dei fatti sociali, poiché “La cultura o civiltà, presa nell’ ampio senso etnografico del termine, è quel complesso che include insieme conoscenza, credenze, arte, morale,  tradizione, e qualsiasi altra capacità o abitudine acquisita dall’uomo come membro della società” [5]. Ora, pur distinguendosi “per il rigore del metodo che risponde alle esigenze della critica più severa”[6], manca al Finamore la conoscenza profonda di discipline come l’archeologia, la storia delle religioni[7], la numismatica ecc., senza le quali è impossibile pervenire a una comprensione unitaria dei fatti sociali. Le stesse monete, per esempio, “rappresentano un mezzo per mostrare, come da nessun altro documento è possibile, filiazioni e rapporti di popoli e città, e per darci contezza di leggende e credenze caratteristiche di regioni e razze” [8].  A tal riguardo G. Pansa afferma inequivocabilmente che “la numismatica occupa un posto assai importante nella soluzione dei problemi che oggi si agitano intorno alla origine, alle vicende e alle trasmigrazioni dei popoli antichi” [9].

In questo nuovo clima di valutazione e comparazione, in cui l’etnologo, o, se si preferisce, l’antropologo, si sente cittadino dello spazio e del tempo, “un passo innanzi si fa con G. Pansa. Se lo studioso di Lanciano [Finamore] si ferma di tratto in tratto a rilevare ‘quanto di comune abbia la tradizione del popolo abruzzese con quella di altri popoli della Penisola’, quello di Sulmona [Pansa] va oltre. Inserita la tradizione nel grande quadro delle analoghe tradizioni conosciute in Italia, in Europa e talvolta in Asia e Africa, nel mondo antico e nel mondo contemporaneo, egli passa all’ esame dei dati che determinano la differenza. Mediante questo lavoro, arriva a stabilire, da una parte l’origine o la natura magica o mistica di un uso, di una cerimonia, di una leggenda; e dall’ altra a scoprire o mettere in evidenza i caratteri indigeni o esotici di tali manifestazioni popolari” [10].

Ora questi limiti del Finamore che sono, per limitarci all’Abruzzo, anche propri del De Nino, rivelano a ben riflettere una carenza di scuola che impedisce di “orientarsi nella società a chi non abbia ricevuto dalla scienza degli schemi che lo guidino” [11].

Ben diverso è invece l’ambiente di formazione del Pansa. Il collegio «La Quercia» a Firenze, dove il Sulmonese dal 1883 al 1886 studiò legge [12], era diretto dai Barnabiti, che annoveravano tra le loro file valenti umanisti, storici e numismatici in continuo contatto con insigni studiosi, come l’archeologo romano Giovambattista De Rossi, Bruzza, Bellucci e lo stesso Antinescu.  E’ proprio qui che G. Pansa, mentre si forgia autorevolmente nelle singole discipline, apprende il metodo della unità nel molteplice, per cui «attraverso il suo rigore dialettico e la sua mirabile umanità di cultura, il folklore diventa filologia, archeologia, etnografia: scienza e arte insieme» [13].

Evidentemente a uomini come il De Nino e Finamore studiosi isolati e colti all’improvviso dall’appello del Pitrè e De Gubernatis per la raccolta di tutto ciò che fosse ancora presente nella tradizione del popolo abruzzese, non si poteva chiedere di più. Ma ciò non diminuisce affatto il loro

merito e la loro importanza: senza l’opera di questi due studiosi il ricco patrimonio del folklore regionale sarebbe andato irrimediabilmente perduto.

Sei lettere inedite di G. Pansa a G. Finamore.

[Pubblicato in “Rivista Abruzzese” A.XLV, N 4, 1992 Lanciano, pp. 281-286.]

Molti anni fa ebbi l’occasione di pubblicare sulla “Rivista Abruzzese” (n. 2, 1973) tre lettere inedite di G. Finamore a G. Pansa. In quel periodo avevo riordinato la Biblioteca Pansa (su incarico della figlia dell’illustre sulmonese) e soprattutto il fitto carteggio dello studioso con altri letterati italiani e stranieri. Ignoro dove si trovino oggi le altre missive del Finamore al Pansa, dopo l’acquisto della biblioteca da parte della Provincia di Pescara.

Grazie al “fiuto folkloristico” di M. Concetta Nicolai sono in grado ora di sottoporre all’attenzione dei lettori 6 lettere inedite di G. Pansa a G. Finamore. La Nicolai le ha scovate presso l’Archivio Storico del Museo Nazionale delle Arti e delle Tradizioni Popolari a Roma e poiché coprono un arco di tempo ragguardevole (1889-1918), esse ci dicono che la corrispondenza intercorsa fra i due studiosi deve essere stata copiosa e non limitata solo alle 20 lettere giacenti un tempo presso la biblioteca Pansa di Sulmona.

Ma v’è di più. La Nicolai infatti ha individuato nel suddetto “Archivio Storico” anche alcune lettere del Köhler al Finamore ed esse saranno pubblicate sulla “Rivista Abruzzese” appena decifrate, data la grafia quasi illeggibile del mitologo tedesco. Viene spontaneo chiedersi come mai le 6 lettere del Pansa al Finamore siano finite al Museo delle Arti e delle Tradizioni Popolari di Roma insieme a quelle del Köhler. I rapporti fra i tre sembrano infatti intrecciarsi, poiché in una lettera lo studioso tedesco ci informa di aver inviato al Finamore la versione italiana di un noto canto popolare albanese, cioè La leggenda di Parentina, di cui marginalmente si era interessato anche il Pansa. Di ciò si parlerà tuttavia in occasione della pubblicazione delle lettere del Köhler al Finamore.

Le 6 lettere che appaiono ora sulla “Rivista Abruzzese” costituiscono un ulteriore contributo diretto a focalizzare la complessa personalità del Pansa, di cui ho curato il volume Miti, leggende e superstizioni. Scritti inediti e rari (apparso in una nota Collana diretta da G. Profeta), il saggio Due

discorsi inediti di G. Pansa (Bullettino DASP, 1979) e soprattutto l’indice cronologico degli scritti apparso con il titolo Giovanni Pansa. Vita ed opere, sul Bullettino DASP (an. 1973), dove per mero errore di registrazione è stato omesso il noto lavoro Saggio di uno studio sul dialetto abruzzese (Lanciano 1885), dedicato “All’egregio amico Prof. Antonio De Nino, cultore dotto e solerte delle patrie memorie”.

Circa il contenuto delle 6 lettere che si riportano nel loro testo integrale, bisogna ammettere che esse non apportano contributi innovativi alla conoscenza dei rapporti intercorsi fra il Pansa ed il Finamore, improntati sempre ad una grande stima ed ammirazione. Si può affermare oggi che in un primo momento il Pansa subisce l’influsso del De Nino, come dimostra la dedica apposta al “Saggio” sul dialetto abruzzese in precedenza citato. Siamo nel 1885 ed il Pansa è appena ventenne. Quattro anni dopo, cioè nel 1889, questo giudizio risulta completamente mutato nella prima delle 6 lettere in questione. Il Pansa scrive infatti al Finamore (29-1- 1889) con malcelata allusione al De Nino: “Non mi private dei vostri bei scritti, perché siete dei pochi, anzi l’unico che qui in Abruzzo, letterariamente parlando, faccia qualcosa di serio e di pensato e che rifugga dalle frivolezze cui sono soliti a cascare altri”. Inutile sottolineare che il giudizio del Pansa, mai mutato in seguito, è apparso agli studiosi alquanto frettoloso e contraddittorio. Ma esaminiamo il contenuto della lettera datata 16 marzo 1892, che contiene un particolare gustoso e consono ai nostri tempi. Il Pansa aspira alla nomina di professore di storia “nei Licei del Regno”.  Il D’Ovidio, amico del Finamore, è colui che dovrà vagliare le pubblicazioni del Pansa, che chiede pertanto all’amico lancianese una raccomandazione dalla quale, comunque, non sortirono effetti. Nelle lettere del gennaio ed aprile 1907 il Pansa esprime dei giudizi su alcune monete che il Finamore gli ha inviato in visione e che risultano sotto il profilo numismatico di nessun valore. Si può immaginare pertanto la delusione del Finamore!

Nel testo delle 6 lettere che qui appresso si riportano interamente [14] appaiono di frequente riferimenti a scritti sia del Pansa che del Finamore. Per un loro riscontro si può consultare sia il mio lavoro in precedenza citato, cioè Giovanni Pansa. Vita ed opere, che la “Bibliografia delle principali opere di Gennaro Finamore”, appendice al volume di scritti inediti del Finamore dal titolo: Kryptadia. Racconti erotici, indovinelli, proverbi e canti popolari abruzzesi, a cura di M. Concetta Nicolai (Chieti 1987).


[1] Si tratta dell’opera Tradizioni popolari abruzzesi. Canti, voll. 2, pubblicata infatti l’anno dopo, 1886, per i tipi di R. Carabba.

[2] Anno V, n. 26, Roma, 1885.

[3] Edita, insieme all’ altra rivista “Quellen und Forschungen” dal R. Ist. Prussiano di Roma.

[4] Anno I, num. 3, pagg. 280 e segg.; anno II, n. 4, pag. 103 e segg.

[5] E. B. Tylor, Primitive Culture, pag. 1, in “Storia della sociologia moderna” di G. Duncan Mitchell, pag. 78, Mondadori 1971.

[6] R. Corso, G. Pansa folklorista, datt. presso la Biblioteca Pansa, Sulmona.

[7] Importante, al riguardo, è il carteggio di G. Pansa con lo storico francese Salomon Reinach, autore fra 1’altro di “Orpheus. Histoire gènèrale des Religions” e di “Cultes, mytes et religions”, opere che G. Pansa cita spesso nei suoi scritti.

[8] F. P. Tinozzi, G. Pansa numismatico, R. Università di Napoli, 1929. Datt. presso la Biblioteca Pansa, Sulmona.

[9] G. Pansa, L’influsso della colonizzazione siculo-illirica nella monetazione pesante dell’Umbria e del Piceno, p. 1, Milano, 1914, L. F Cogliati Editore.

[10] R. Corso, op. cit.

[11] M. Horkheimer-Th. W. Adorno, Soziologische Exkurse, 4. Band, pag.167, Frankfurt am Main, 1956.

[12] Nello stesso collegio aveva frequentato anche Ginnasio e Liceo.

[13] A. Corvi, G. Pansa. L’uomo, datt. Presso la Bibl. Pansa, Sulmona.

[14] [n.d.r.: Il testo delle 6 lettere è riportato integralmente in Appendice su “Rivista Abruzzese”. Qui sono riprodotte, in foto, alcune lettere]