VOCI DI DONNE DALLA STORIA

Sabato scorso la presentazione in sala Buozzi. Successo per una bella serata di lettura e musica

Giulianova, 12 marzo 2024. Nell’ambito delle iniziative promosse dall’ Assessorato e dalla Commissione alle Pari Opportunità per la Giornata internazionale della Donna, si è tenuta sabato scorso in sala Buozzi, la presentazione del libro “Voci di donne dalla storia”.

Hanno portato i saluti istituzionali il Vicesindaco Lidia Albani e la Presidente della CPO Marilena Andreani. Subito dopo, l’intervento dell’autore Vittorio Verducci, che ha dialogato con l’attrice Sara Palladini.

Nel corso della serata, le letture si sono alternate alla voce e alle note di Nancy Fazzini, Lorenza Mastrilli e Nick Di Donato. Un girotondo finale ha generato, con il solo contatto delle mani, una vera “musica del corpo”.




ELEZIONI REGIONALI IN ABRUZZO

Riflessioni a caldo e a freddo

di Giuseppe Lalli

L’Aquila, 12 marzo 2024. La riconferma di Marco Marsilio come Presidente alle elezioni regionali dell’Abruzzo, risultato per nulla scontato, sembrerebbe smentire una legge che pareva scritta negli astri della nostra regione, vale a dire l’alternanza, avvenuta nell’ultimo quarto di secolo, di schieramenti politici diversi alla guida della regione. In realtà, se esaminiamo con più attenzione l’orientamento elettorale volta per volta prevalente negli ultimi decenni, scopriamo che, se di legge si deve parlare, essa obbedisce piuttosto ad una tendenza al conformismo, vale a dire che, al netto di un astensionismo vieppiù crescente, in Abruzzo, sic et simpliciter, ha finito sempre per prevalere l’orientamento politico nazionale vigente o incipiente nel momento storico in cui le elezioni si sono celebrate. In questo senso può valere il pittoresco, e molto forzato, paragone che si fa tra l’Abruzzo e lo Ohio, lo stato americano il cui esito elettorale in passato prefigurava l’esito finale delle elezioni presidenziali.

Non sapremo mai in che misura, questa volta, gli elettori abruzzesi – ma il ragionamento vale anche per le altre regioni italiane – abbiano valutato, nella loro scelta, il merito amministrativo in rapporto a considerazioni politiche generali, queste ultime, con tutta probabilità, come si è dianzi argomentato, assolutamente prevalenti. In altri termini, alla domanda se Marsilio, in deroga a quella che pareva una consolidata tradizione, sia stato riconfermato alla guida della Regione Abruzzo per meriti di buon governo, la risposta, per parafrasare il celebre refrain di una vecchia canzone di Bob Dylan, è.… nel vento. E il vento soffia ancora in una direzione. Che dire poi di chi le elezioni le ha perse? Volendo ricorrere ad una metafora sportiva, si potrebbe osservare che non ci vuole molto a capire che quando il campo è troppo largo si rischia di non vedere più la palla, indipendentemente dal valore della squadra e del capitano.

Fuor di metafora, in politica non conta la somma aritmetica ma la somma algebrica, vale a dire la capacità di apparire più omogenei, caratteristica, questa dell’omogeneità, che nel contesto politico italiano della cosiddetta “seconda repubblica”, caratterizzato da un sia pur bislacco bipolarismo, è più appannaggio del centro-destra, che è – piaccia o non piaccia – blocco sociale e culturale più vicino, pur con tutti i suoi limiti, alla pancia della nazione, che non del centro-sinistra, soggetto politico per certi aspetti più “professionale” ma più “divaricato”, se così si può dire, al suo interno.

Non si può altresì passare sotto silenzio il dato dell’astensionismo (ha votato un abruzzese su due, e nella provincia di Chieti meno della metà degli aventi diritto) che è un tema generale che i partiti sottovalutano e che invece denuncia una disaffezione sempre più diffusa per la politica e tutto ciò che le ruota attorno. Si potrebbe dire, per rimanere alla metafora sportiva, che gli stadi semivuoti stanno ad indicare che il gioco interessa sempre meno, e poco interessa chi vince e chi perde. Ancorché lo “scudetto” è sempre valido, il suo valore sostanziale appare dimezzato.

Per dirla in maniera più seria, il tema dell’indifferenza alla politica nelle nostre società deve preoccupare ed è, al fondo, un problema culturale. È vero che il sistema partitocratico sforna una classe dirigente sempre più autoreferenziale, un circolo chiuso di addetti ai lavori, allontanando i cittadini dalla partecipazione, ma è altresì vero che una società sempre più individualista, dove prevale il do ut des, concepisce sempre meno l’importanza della dimensione comunitaria. Viviamo in una “società liquida”, per dirla con la celebre espressione di Zygmunt Bauman: la frammentazione è la cifra del nostro tempo, in una società che potremmo definire “a coriandoli”, dove tutto, dalla politica all’economia, sembra obbedire alla logica del risultato a breve, senza un’idea unificante e nel nichilismo imperante. C’è davanti a noi un vasto programma, e a doversi impegnare, nei prossimi anni, dovrà essere la cultura prima ancora che la politica.




MEDEA’S ROOM

Lo spettacolo  tutti i giorni è 8 marzo  a teatro di mattina per promuovere la partecipazione popolare, sperimentare l’esperienza delle emozioni e dei sentimenti nel fluire della vita quotidiana in compagnia dei grandi temi della condizione umana. Il 13 e  14 marzo allo  Spazio Matta

Pescara,12 marzo 2024. “MEDEA’S room”, di e con Cam Lecce, Jörg Grünert.  Musiche di Luigi Morleo. Liberamente tratto da Christa Wolf  e Heiner Müller.

Mercoledì 13 marzo 2024 – I° spettacolo ore 8.30/10.30  – II° spettacolo ore 11.00/13.00  – IIIº  spettacolo ore 14.30/16.30

Giovedì 14 marzo 2023 –     I°  spettacolo ore 8.30/10.30  – II° spettacolo ore 11.00/13.00

Lo spettacolo ci parla di un’altra Medea, di una donna che sebbene sia esule e straniera rivendica rispetto per la sua identità, la sua diversità, le sue scelte, per la sua capacità della cura e non violenza. Un avvincente drammaturgia, liberamente ispirata a Christa Wolf e Heiner Müller, che Cam Lecce e Jörg Grünert portano in scena all’interno di una installazione artistica. Una narrazione che si distanzia nettamente dalla interpretazione di Euripide. Questa Medea nata da una lunga indagine storica della scrittrice Christa Wolf ci pone per l’ennesima volta di fronte alla tragica condizione della donna che ieri come oggi ancora subisce discriminazione. Ci racconta del mondo maschile greco, per il quale alla donna è dato solo di occuparsi dei figli e di essere le guardiane dell’oikos, che non può sopportare l’autonomia, la forza e soprattutto il fatto che Medea sa dei misfatti della politica, della violenza, della crudeltà e delle inique scelte per la conservazione del potere, per questo viene additata e screditata. Medea allora non rappresenta più l’oscuro inabissamento nell’irrazionale ma al contrario la necessità della chiarezza e dello scandalo della ragione ponendo una riflessione sull’atteggiamento maschile nei confronti delle donne e verso sé stessi in relazione alle donne.




MARSILIO VINCE DI MISURA SU D’AMICO

Ma perdono la democrazia e Chieti

Chieti, 11 marzo 2024. Marco Marsilio per il centrodestra (53,5%) ha superato di misura Luciano D’Amico per il centrosinistra (46,5%) e si è confermato presidente della Regione Abruzzo. Ma, a vincere sono stati gli astenuti con solo poco più del 52% degli elettori che si sono recati in Abruzzo alle urne per le regionali, quindi quasi un elettore su due non è andato a votare. Ciò la dice tutta sulla scarsa vicinanza della politica ai cittadini.

Ma, anche della vittoria di Marsilio è da salvare solo il risultato per il centrodestra che stava quasi riuscendo nell’impresa di farsi scavalcare all’ultimo secondo dal centrosinistra di D’Amico che era dato all’inizio molto in svantaggio. Ma, come nelle scorse elezioni regionali, la vittoria di Marco Marsilio è stata favorita sicuramente dall’assenza del ballottaggio e del voto disgiunto che non ha permesso agli elettori di votare un consigliere di uno schieramento e il candidato presidente dell’altro schieramento. Per quanto riguarda Chieti, la mia città, posso dire che si è riconfermato il vizio tutto chietino di dividersi per rivalità, invidie e interessi personalistici, penalizzando l’interesse cittadino. Alle regionali come alle politiche il capoluogo marrucino probabilmente non avrà pressoché nessun eletto in Regione.

Cristiano Vignali




Alla cortese attenzione del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Dott. Gilberto Picchetto Fratin

Oggetto: lettera aperta

Egregio Sig. Ministro Gilberto Pichetto Fratin,

mi rivolgo a Lei in qualità di Presidente della Conferenza per l’Ambiente della Provincia di Teramo, istituita con decreto del Presidente della Provincia n.2/2024, quale strumento partecipativo, propositivo e consultivo sulle problematiche ambientali tra gli Enti, le Associazioni e la Provincia medesima. La Conferenza si è di recente occupata della L.R. 4/2024 (Disposizioni finanziarie per la redazione del Bilancio di previsione finanziario 2024- 2026 della Regione Abruzzo. Legge di stabilità regionale 2024), con la quale all’art. 25 è stata disposta la drastica riduzione (da ca. 1000 ettari a ca. 24 ettari), dell’area della Riserva del Borsacchio, sita nel Comune di Roseto Degli Abruzzi (TE), di fatto eliminandola.

In linea con le funzioni consultive e propositive ad essa assegnata, in vista del Consiglio provinciale straordinario del 19.02.24 convocato per affrontare la questione, la Conferenza ha elaborato e predisposto un documento contenente dettagliate osservazioni sulle criticità dell’intervento normativo della Regione. Nello specifico nella nota redatta si esprimono considerazioni in relazione all’importanza della Riserva dal punto di vista paesaggistico, della biodiversità, della salvaguardia dell’ambiente anche per le generazioni future, in linea con i principi internazionali in materia di tutela ambientale e si mettono in luce profili di illegittimità costituzionale dell’art. 25 L.R. 4/2024. La nota elaborata dalla Conferenza provinciale per l’Ambiente è stata inserita nel testo approvato dal Consiglio, quale parte integrante della proposta volta a chiedere alla Regione Abruzzo di riesaminare la legge e di ripristinare la perimetrazione originaria della Riserva del Borsacchio.

Premesso ciò, in occasione della Sua partecipazione all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Teramo, che si terrà il 12.03.2024, la Conferenza vorrebbe condividere con il Ministro detto documento. Il Suo Ministero, infatti, è chiamato a esprimere un parere sulla L.R. 4/2024, come già fatto recentemente dall’Ufficio legislativo del Ministero della Cultura. Le considerazioni svolte dall’Ufficio legislativo del MIC, di segno negativo rispetto all’intervento regionale, sono del tutto coincidenti con quelle espresse dalla Conferenza nel documento che si allega alla presente. Alla luce di quanto precede, ci rivolgiamo a Lei affinché il Suo Ministero condivida e rilevi i profili di illegittimità costituzionale dell’art. 25 della L.R. 4/2024, già segnalati nel parere del MiC del 7.03.2024 ed evidenziati nella nota predisposta della Conferenza del 19.02.2024 e, di conseguenza, esprima parere favorevole all’impugnazione della Legge dinanzi alla Corte costituzionale da parte del Governo.

Teramo, li 11.03.2024

Luciana Del Grande

Presidente della Conferenza per l’Ambiente della Provincia di Teramo




CAM IN OMBRA, con il rischio di CO2!

Pescara, 11 marzo 2024. “Si, adottiamo i CAM di norma”, mi è stato risposto. Sarà sicuramente vero, e non avrei motivo di dubitarne se non fosse che ai miei due “question time” (di dicembre e gennaio) per sapere se, in sede di appalti pubblici per la gestione del verde pubblico, venisse adottato il relativo codice e conseguentemente applicati i criteri ambientali minimi (CAM), e nella fattispecie quanto fosse e dove finisse il materiale legnoso di risulta e quando fossero state realizzate/previste le campagne di comunicazione rivolte ai cittadini, mi è stato risposto:

  • che conoscere i dati relativi alla “biomassa vegetale” rimossa negli ultimi anni (quantità e modalità di utilizzo) “richiederebbe un aggravio di elaborazioni e tempi abnormi per la pubblica amministrazione”, ma che in sede di fine mandato “si renderanno pubblici i dati aggregati del bilancio arboreo, nei limiti di quanto stabilito dalla legge e dal relativo regolamento attuativo”;
  • che i CAM vengono “di norma inseriti nelle progettazioni relative agli appalti gestiti dal Servizio Verde Pubblico e Parchi” (quasi a fare una sottile distinzione da “altri settori”).

Nella risposta al secondo quesito, in particolare, si riporta come esempio l’appalto del 2022 per “le manutenzioni triennali del verde orizzontale”. Si tratta un grande appalto di quasi 1,9 milioni di € (1.871.517,00), approvato con delibera di Giunta Comunale n. 366/2022, di “manutenzione ordinaria di verde orizzontale”, articolato su 3 anni (2022-2024) e suddiviso in 3 lotti, aggiudicati a 3 imprese di Napoli:

Lotto 1 ex Circoscrizione Castellamare – 430.523,47 € – Flora Napoli Srl Napoli;

Lotto 2 ex Circoscrizione Colli – 532.464,13 € – CR Verde srl Napoli;

Lotto 3 ex Circoscrizione Portanuova – 909.529,91 € – Centro Garden Napoli.

In effetti i CAM vengono puntualmente richiamati nella premessa del disciplinare di gara e ai concorrenti viene chiesto di accettare esplicitamente le relative norme. Ai punti 6 e 7 dell’art. 50 (Clausole contrattuali) del Capitolato Speciale d’Appalto, vengono citati sia l’aspetto relativo alla comunicazione che al reimpiego dei residui organici (compost, come chiaramente previsto dai CAM).

Ma curiosamente nelle tabelle di valutazione delle offerte, presenti nel bando, si danno punti (4) a chi sceglie l’opzione “riutilizzo nelle filiere di produzione di energia”, opzione NON prevista nei CAM (richiamati poco prima nel capitolato stesso). Questo è un elemento anomalo del contratto, ancor più perché previsto e proposto dalla stazione appaltante. Sarebbe interessante sapere quante delle ditte aggiudicatrici abbiano scelto questa opzione e poi in quali modalità lo abbiamo attuato, come anche sapere invece quali abbiano scelto le altre e come allo stesso modo abbiano gestito le procedure.

Identico quesito riguarda il tema dell’educazione ambientale che, a differenza di quanto previsto nei CAM, è orientato solo verso le scuole e nel prossimo mese di ottobre, invece che per tutti i cittadini (e poi perché non nel corso dei lavori e solo alla fine del triennio?).

Un insieme di dubbi che andrebbero chiariti, anche partendo dall’utilizzo che si intende fare del legname accumulato a seguito dei lavori, ritenuti non soggetti a CAM perché straordinari, di “bonifica” della parte di Riserva Dannunziana interessata dell’incendio dell’agosto del 2021.

Per questi non sarebbe né consigliato né opportuno affrancarsi dagli obiettivi previsti dal Piano d’Azione per la Sostenibilità Ambientale, ambito di riferimento strategico del Codice degli Appalti Verdi (GPP) che suggerisce decisamente di contrastare l’immissione in atmosfera di gas climalteranti, e quindi di evitare processi di combustione a fini energetici che, notoriamente, producono CO2!

Giancarlo Odoardi




STIGMATE DAL DISAGIO ESISTENZIALE ALLA SOCIETÀ DELLA BELLEZZA

Museo Michetti – Mu.Mi 14 marzo. Alle ore 17 visita guidata della mostra stigmate dal disagio esistenziale alla società della bellezza (dal 2 al 17 marzo dalle 16 alle 20, chiuso il lunedì). Alle ore 18 l’arte dei Folli conferenza di Marco Alessandrini

Francavilla al Mare, 11 marzo 2024. Nel contesto della mostra StigmaTE dal disagio esistenziale alla società della bellezza a cura della professoressa Sibilla Panerai (Università G. d’Annunzio, Pescara) che stimola a riflettere sullo stigma legato ai disturbi della sfera mentale ed emotiva e sul rapporto che intercorre tra il benessere collettivo e personale e che restituisce al pubblico quattro mesi di laboratori svoltisi da settembre a dicembre 2023 di formazione in Terapia Artistica, condotti per il secondo anno consecutivo dall’artista e performer Mandra Stella Cerrone presso il Centro di Salute Mentale di Chieti con lo Psichiatra e Direttore del Dipartimento di Salute Mentale Marco Alessandrini,  egli stesso racconterà, con immagini e testi di toccante bellezza, la vita e l’arte dei protagonisti di quest’avventura. Tutto ciò per comprendere davvero la malattia mentale, e con essa anche la nostra mente e il nostro mondo. E la nostra paura della “diversità” che emarginiamo negli altri, ma in realtà in noi stessi.

È il 1922 quando lo storico dell’arte e psichiatra Hans Prinzhorn pubblica il libro L’arte dei folli. L’attività plastica dei malati mentali. Nel manicomio di Heidelberg, riconosce per primo il valore artistico e psicologico delle opere che in segreto, con materiali impensati (pezzi di cartone, dentifrici, succo di fiori e foglie), alcuni pazienti creano instancabilmente. Autodidatti, alle difficili infanzie, ai deliri e alle allucinazioni, alla solitudine dell’internamento reagiscono con un’inventività che non segue correnti, improvvisa le tecniche, crea da sé un proprio vocabolario vitale e struggente. Danno forma all’impensabile che li attraversa, alle emozioni senza voce, alle parti di sé che in lotta con i traumi, le ferite e gli smarrimenti tentano di ricreare sé stessi e il mondo. Ed influenzano, senza saperlo né volerlo, celebri artisti quali Max Ernst, Paul Klee, André Breton, Le Corbusier e molti altri.




UNA GIORNATA CON LA D’ANNUNZIO

Campus di Chieti e di Pescara 20 marzo 2024 dalle 9:00 alle 14:00. Palazzetto dei Veneziani e Museo Universitario dalle 16 alle 19

Chieti, 11 marzo 2024. L’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio” di Chieti-Pescara, ha prontamente aderito all’invito della CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) che ha deciso, col patrocinio del MUR, di istituire la “Giornata delle Università Italiane” con un tema specifico per questa prima edizione: “Università svelate”. Come in tutta Italia, il prossimo 20 marzo la “d’Annunzio” aprirà aule, laboratori e sedi storiche alla Cittadinanza “svelando” il suo esser università. Il Magnifico Rettore, professor Liborio Stuppia, ha dato incarico della fase organizzativa ad un gruppo di lavoro coordinato dalla professoressa Elisabetta Dimauro, sulla scorta della positiva esperienza maturata in occasione de “La Notte Europea dei Ricercatori 2023”. Insieme a tutti i Dipartimenti ed ai Centri dell’Ateneo, il Gruppo organizzatore ha allestito un programma che vede nella mattinata del 20 marzo una trentina di seminari, lezioni aperte, talk, incontri e visite guidate ai laboratori universitari, attività che saranno ospitate nei due Campus della “d’Annunzio” a Chieti e a Pescara. Nel pomeriggio dello stesso giorno, dalle 15:00 alle 19:00, seguendo una specifica indicazione della CRUI, l’evento vedrà l’apertura di antichi palazzi e musei sedi della “d’Annunzio” che si trovano nel centro storico di Chieti con attività che prevedono seminari, mostre e visite guidate.

“Abbiamo accolto con grande entusiasmo l’invito della CRUI – spiega il professor Liborio Stuppia, Rettore della d’Annunzio – Lo abbiamo fatto anche con prontezza perché siamo convinti che questo Ateneo deve esser sempre aperto alla Cittadinanza con le sue strutture, le sue iniziative, una sua presenza autorevole ma non statica e arroccata bensì osmotica e permeante.

Siamo, cioè, convinti che non possiamo esser aperti solo nell’accoglienza delle nuove generazioni che scelgono di fare qui il loro percorso di alta formazione ma dobbiamo esserlo ogni giorno come realtà viva, luogo dove si fa ricerca, si sviluppa quella applicata, si eroga certamente la didattica ma, più in generale, si produce cultura che deve alimentarsi nel confronto e non nell’autoreferenzialità.

Nulla che resta chiuso nelle aule e nei laboratori – sottolinea il Rettore della “d’Annunzio – può essere davvero utile. L’Università deve fare l’esatto contrario, aprirsi per esser utile a tutti, per guidare il progresso di tutta la comunità. Ben venga dunque questa prima Giornata Nazionale delle Università che si aprono, si svelano alla Cittadinanza, con ciò onorando la missione che è nel loro stesso nome originario: universitas. Invito tutti – conclude il Rettore Stuppia – a vivere questa Giornata con l’Università “d’Annunzio con interesse, passione, curiosità ed anche con gioia e divertimento”.




APERTURA UFFICIALE DELL’ANNO ACCADEMICO

Il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin all’Università Degli Studi Di Teramo

Teramo, 11 marzo 2024. Il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin presenzierà l’apertura ufficiale dell’Anno Accademico 2023/2024 dell’Università degli Studi di Teramo, che si terrà domani martedì 12 marzo alle ore 11 nell’Aula Magna Benedetto Croce.

La cerimonia inizierà con la relazione del rettore Dino Mastrocola. Seguiranno gli interventi del rappresentante del personale amministrativo, del presidente del Consiglio degli Studenti, di un dottorando di ricerca e di un laureato dell’Ateneo che lavora all’estero.

La cerimonia proseguirà con la prolusione del professor Enzo Di Salvatore, presidente del nuovo Corso di laurea in Diritto dell’ambiente e dell’energia, unico in Italia.

Concluderà la cerimonia l’intervento del ministro Gilberto Pichetto Fratin.

L’apertura ufficiale dell’Anno Accademico 2023/2024 è la decima nella storia dell’Università di Teramo, che ha appena celebrato il trentennale dalla sua istituzione avvenuta il primo novembre 1993 con il DPR 28 ottobre 1991, che stabilì il suo distacco dall’Università “G. D’Annunzio” di Chieti.

La prima inaugurazione, alla quale partecipò l’allora presidente della Corte costituzionale Antonio Baldassarre, si tenne il 18 marzo del 1995 nell’aula consiliare del Comune di Teramo.

Alla seconda, il 9 marzo 1996 nell’Aula Magna di viale Crucioli, intervenne il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Piero Alberto Capotosti.

L’inaugurazione del 19 marzo 1999, nell’Aula Magna della nuova sede di Coste Sant’Agostino, fu caratterizzata dal messaggio ai giovani del presidente di turno del Parlamento Europeo Josè Maria Gil Robles e dal collegamento in videoconferenza con la Commissione Europea.

L’inaugurazione dell’8 febbraio 2000 registrò la presenza dell’allora ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica Ortensio Zecchino.

L’apertura ufficiale del 2001 si tenne il 16 marzo con l’intervento del sottosegretario al Ministero dell’Università Vincenzo Sica e fu preceduta da un seminario sulle biotecnologie a cui parteciparono Keith Campbell, scienziato dell’Università di Nottingham, e Silvio Garattini, presidente del Consorzio Mario Negri Sud.

Il 1° marzo 2002 fu il presidente del Consiglio di Stato Alberto de Roberto l’ospite d’onore della cerimonia. Nel 2004 l’allora rettore Luciano Russi affidò alla rete la tradizionale relazione, con l’inaugurazione on line del 15 aprile.

Dopo 10 anni, il 28 febbraio 2015, si tenne la prima inaugurazione del terzo decennio dell’Università di Teramo, durante la quale fu conferita a Giovanni Legnini, all’epoca vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, l’onorificenza di Ateneo “Guido II degli Aprutini”.

Nel 2020, infine, il 10 febbraio, l’inaugurazione dell’Anno Accademico, la prima del rettore Dino Mastrocola, fu celebrata alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.




INRETE4AMBIENTE. Mettiamo in circolo l’inclusione

Prende il via il progetto

Pescara, 11 marzo 2024. È ufficialmente iniziato il progetto “INRETE4AMBIENTE. Mettiamo in circolo l’inclusione”, a seguito dell’ammissione a finanziamento da parte della Regione Abruzzo (avviso pubblico per il finanziamento di iniziative e progetti di rilevanza regionale promossi da organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e fondazioni del terzo settore per la realizzazione di attivita’ di interesse generale di cui all’art. 5 del codice del terzo settore – adp anno 2022 – 2024).

Il progetto è stato presentato da Fondazione Anffas Pescara La Gabbianella onlus, in partenariato con Anffas Sulmona APS ETS e A.R.D.A. Odv in riferimento agli obiettivi: realizzare azioni di responsabilizzazione e di coinvolgimento attivo dei beneficiari finali (welfare generativo); ridurre le ineguaglianze attraverso percorsi di affiancamento leggero, consulenza e accompagnamento su temi specifici ; sostegno all’inclusione sociale, in particolare delle persone con disabilità e non autosufficienti.

Maria Pia Di Sabatino, Presidente di Fondazione Anffas Pescara nonché presidente Anffas Regione Abruzzo ETS APS commenta “Sono orgogliosa di vedere in graduatoria numerose Anffas del territorio che credono in tali opportunità e presentano progetti innovativi e volti sempre a promuovere inclusione sociale e buone prassi poi da replicare attraverso la nostra rete ma creando, come in questo caso, nuove collaborazioni , non solo con il Terzo Settore.

In particolare, “questo progetto è nato valorizzando le competenze dei partner e la forza della rete di riferimento, a beneficio non solo delle persone con disabilità che prenderanno parte alle attività ma dell’intera comunità” continua la Presidente Di Sabatino .  Il progetto infatti prevede il coinvolgimento in rete di 4 ambiti ovvero famiglie, istituzioni, terzo settore, aziende ed il focus di azione sulle 4R di riduzione, riutilizzo, riciclo e recupero con il protagonismo delle persone con disabilità intellettiva e disturbi del neurosviluppo.

In particolare , è prevista formazione su buone norme di sostenibilità e tutela ambientale, formazione su linguaggio easy to read, “facile da leggere e da capire” (v. http://www.anffas.net/it/linguaggio-facile-da-leggere/linee-guida) mirate alla realizzazione delle successive azioni del progetto e che permetteranno anche di formare persone (persone con disabilità , alunni, docenti , operatori , volontari) su tale buona metodologia che favorisce l’accesso alle informazioni ; nonché formazione su specifiche tecniche di riciclo creativo.

“Sarà una ulteriore prova che le stesse persone con disabilità coinvolte affronteranno con il loro pieno protagonismo e adeguati supporti, in contesti facilitanti e inclusivi, sviluppando empowerment e autodeterminazione” afferma la Presidente Di Anffas Sulmona, Emanuela Pasquali.

Numerosi gli enti in collaborazione: Anffas nazionale, Anffas Regione Abruzzo, Forum Terzo Settore Abruzzo, Centro Servizi Volontariato Abruzzo, Protezione Civile Val Pescara, Istituto Omnicomprensivo Città Sant’Angelo, Ipsias Di Marzio Michetti, Liceo Artistico Musicale Coreutico “Misticoni Bellisario” Pescara, Falegnameria Abruzzese Di Angelo E Gino Masciangioli , Agesci  Abruzzo Comitato Regionale  e Agesci Sulmona.

“Siamo molto soddisfatti per la collaborazione tra le Associazioni, il lavorare tutti insieme ci fa crescere e offrire servizi migliori” riferisce Liliana Profeta, Presidente ARDA Odv, Associazione regionale Down Abruzzo, dopo la firma per la costituzione dell’Associazione Temporanea di Scopo propedeutica all’avvio delle attività.

Tutte le fasi progettuali saranno divulgate sui canali social dei partner e degli enti in collaborazione. Il progetto si concluderà entro dicembre 2024.




INVESTIMENTO NEL NORD ABRUZZO

San Cilio S.r.l. Lancia un’Innovativa Opportunità

Sant’Egidio alla Vibrata, 11/03/2024. La San Cilio S.r.l., azienda leader nel settore della gestione immobiliare con una solida reputazione di innovazione e sostenibilità nel Nord Abruzzo, è orgogliosa di annunciare il lancio di un’eccezionale opportunità di investimento. Con l’obiettivo di accelerare lo sviluppo di progetti immobiliari rivoluzionari e sostenibili, San Cilio S.r.l. cerca partner finanziari pronti a contribuire alla trasformazione del panorama immobiliare locale.

La proposta di investimento offre un tasso di interesse annuo del 5% su un periodo di 20 anni, garantendo non solo un rendimento finanziario stabile ma anche la sicurezza di un investimento sostenuto da un’ipoteca su immobili di valore. Questa iniziativa unica si distingue nel panorama degli investimenti per la sua combinazione di rendimento economico e impatto positivo sul territorio.

Un Futuro Sostenibile e Redditizio

San Cilio S.r.l. è impegnata nello sviluppo di progetti che non solo generano valore economico ma contribuiscono anche alla qualità della vita nella regione, promuovendo la sostenibilità ambientale e l’innovazione nel settore immobiliare.  “Questa opportunità di investimento rappresenta un ponte tra la volontà di ottenere rendimenti finanziari solidi e il desiderio di contribuire a uno sviluppo più sostenibile e inclusivo del nostro territorio,”  afferma il CEO della San Cilio S.r.l.

Invito agli Investitori Visionari

San Cilio S.r.l. invita investitori privati e istituzionali interessati a scoprire di più su questa iniziativa a visitare la pagina web dedicata al progetto: https://sancilio.it/investimento/. Qui, i potenziali investitori troveranno tutte le informazioni necessarie per valutare l’opportunità offerta e iniziare un percorso di investimento che promette di essere non solo profittevole ma anche significativo.

Per ulteriori dettagli o per organizzare un incontro con la nostra squadra, si prega di contattare San Cilio S.r.l. al numero 0861 1725831. Siamo a disposizione per rispondere a ogni domanda e per illustrare come il vostro investimento possa contribuire a realizzare la visione di un futuro immobiliare più luminoso per il Nord Abruzzo.




IL RELIQUARIO DEL BEATO CARLO ACUTIS

Benedetto ieri dal Vescovo Leuzzi nella chiesa di San Pietro Apostolo alla presenza del Sindaco Jwan Costantini. La reliquia è stata donata dal Vescovo di Assisi su sollecitazione di padre Simone Calvarese.

Giulianova, 11 marzo 2024. Il Sindaco Jwan Costantini ha partecipato ieri alla Messa  nella chiesa di San Pietro Apostolo, durante la quale il Vescovo di Teramo Monsignor Lorenzo Leuzzi ha benedetto il reliquario contenente un capello del beato Carlo Acutis.

La reliquia è stata richiesta al Vescovo d’Assisi da padre Simone Calvarese, ministro provinciale dei Frati Cappuccini del Centro Italia, e donata al parroco della Natività di Maria Vergine, don Luca Torresi, lo scorso agosto.

Hanno partecipato alla Messa, oltre al sindaco, l’assessore Marco Di Carlo, il Comandante dell’ Ufficio circondariale marittimo Tenente di Vascello Alessio Fiorentino, il Comandante della Polizia Municipale Maggiore Roberto Iustini.

Nella scultura sono rappresentati il volto di Gesù , quello dei beati Carlo Acutis e Chiara Luce Badano, dei santi Imelda Lambertini e Domenico Savio, il monogramma dell’ Eucarestia. Al centro la reliquia, che potrà essere venerata permanentemente.

Realizzato da Filippo Di Giambattista e Nino Di Simone, il reliquario è stato posto a ricordo della signora Maria Rosaria Antognola.




MARSILIO PRESIDENTE

Ecco il risultato definitivo, raccolto nei numeri essenziali, delle scorse elezioni regionali (mancherebbero solo 2 sezioni su 1634).

Marco Marsilio: 326.991 Voti (53,49 %)

D’amico Luciano: 284.329 Voti (46,51 %)

Elettori: 1.208.207

Votanti: 611.320 (50,59 %)

Analisi e commenti con più riflessione e con i dati complessivi della composizione del Consiglio Regionale




ABRUZZO: PASSATA LA PAURA…

Politicainsieme.com, 11 marzo 2024. La paura della destra è stata archiviata dopo il risultato dell’Abruzzo. Il voto conferma che l’Abruzzo sta a destra, ma i risultati dovrebbero far riflettere pure i vincitori. Per raggiungere il risultato consolatorio è stato necessario un impegno dell’intero Governo, ovviamente capitanato da Giorgia Meloni, come non è stato mai speso prima in precedenza nel caso di alcun confronto regionale. Del resto, la sconfitta in Sardegna ancora brucia e nel caso ci fosse stato il bis, si sarebbe trattato di cosa seria. Tanta era la preoccupazione degli ultimi giorni che il Presidente uscente Marsilio, con un volo iperbolico non da poco, ha detto di aver “fatto la storia”.

Il tutto sorvolando sul fatto che, ancora una volta, anche in Abruzzo, una bella figura la fa il partito dell’astensione. Ma questo è un inutile vaniloquio a cospetto di una classe politica che continua a fregarsene nella maniera più assoluta. Va bene così: continuano a cantarsela tra di loro indifferenti al fatto che tutto suona come l’ennesima sconfitta di tutti.

Il campo largo, il campo giusto, ancora i suoi ideatori non hanno ancora deciso come chiamarlo, si deve evidentemente rodare. Anche se c’è da considerare che il sistema elettorale regionale non coincide con quello nazionale in cui una fetta importante nell’assegnazione dei seggi dipende dai famosi collegi uninominali, e pochi voti di differenza possono far pendere la composizione del Parlamento di Roma in una direzione o in un’altra.




MAHASHIVRATRI

Oltre 150 milioni di persone restano sveglie tutta la notte per celebrare il festival globale dello Yoga

Coimbatore (India), 11 marzo 2024.  Una notte di meditazioni guidate dal famoso yogi indiano Sadhguru, musica, danza e performances culturali ha attirato oltre 150 milioni di praticanti di yoga da ben 192 Paesi del mondo.

L’8 marzo, l’Isha Yoga Centre di Coimbatore, nello stato di Tamil Nadu, sud dell’India, ha ospitato le celebrazioni per il Mahashivratri, un festival notturno dedicato allo Yoga e una delle date più significative del calendario spirituale indiano.

Quest’anno il festival è iniziato alle 18.00 dell’8 marzo ed è proseguito fino alle 6.00 del mattino successivo. Le celebrazioni per Mahashivratri di Isha hanno recentemente suscitato grande interesse in Europa, attirando migliaia di praticanti di yoga e ricercatori spirituali in 48 grandi città di 27 Paesi europei, dove i festeggiamenti sono stati trasmessi in streaming dall’India.

Mahashivratri è un festival culturale unico nel suo genere, con una partecipazione globale imponente. I 150 milioni di spettatori di quest’anno sono stati 8 volte superiori a quelli dei Grammy (16,9 milioni di persone nel 2024). Decine di migliaia di partecipanti da 72 nazioni e oltre 4.000 volontari hanno preso parte al mega evento, che è stato trasmesso in diretta streaming da oltre 200 canali televisivi e piattaforme digitali, in 22 lingue in tutto il mondo. Per la prima volta, l’evento è stato proiettato anche in alcune sale cinematografiche Indiane.

Al Centro Isha,  Mahashivratri non viene celebrato come una festa religiosa, ma come una notte di particolare significato per i praticanti di yoga di tutto il mondo. Nella tradizione yogica, si dice che quella sera, la notte più buia dell’anno, ci sia un naturale aumento globale di energia e che rimanere svegli con la colonna vertebrale eretta possa favorire benessere interiore e crescita spirituale. Il festival ha visto l’esibizione di una serie di artisti musicali indiani e internazionali, classici e contemporanei, e del rinomato corpo di ballo Isha Samskriti. Il famoso yogi indiano Sadhguru ha inoltre guidato la platea globale in varie meditazioni guidate durante la serata.

Erano presenti politici da tutto il panorama politico indiano, tra cui il vicepresidente dell’India Shri Jagdeep Dhankhar, Sri Thiru RN Ravi (governatore del Tamil Nadu), Shri Indrasena Reddy (governatore del Tripura), Shri Banwarilal Purohit (governatore del Punjab).

“Non solo ispirate i giovani a praticare, ma li ispirate anche a portare lo yoga in tutti gli angoli del mondo”, ha detto Shri Dhankhar”. – Il Vicepresidente dell’India Shri Jagdeep Dhankhar, durante il suo discorso di apertura alle celebrazioni.

La Fondazione Isha, fondata dal noto yogi indiano Sadhguru, offre una manifestazione culturale di musica, danza e meditazioni guidate per il Mahashivratri, fornendo un ambiente ideale per i ricercatori spirituali per godere e vivere il festival. Il Centro Isha, situato ai piedi delle splendide montagne di Velliangiri, nel sud dell’India, è dedicato a promuovere la trasformazione interiore, aiutando gli individui ad adottare stili di vita più sani, a ricercare un livello più alto di auto-realizzazione e a realizzare il loro pieno potenziale. La grande struttura residenziale ospita un’attiva comunità internazionale di residenti, volontari e visitatori.

Le celebrazioni di Isha Mahashivratri comprendono anche un pasto gratuito per le decine di migliaia di partecipanti, un aspetto chiave della cultura spirituale yogica nota come “Maha Annadanam”. I festeggiamenti si svolgono presso l’imponente busto di Adiyogi, il “primo yogi”, alto 112 piedi e riconosciuto dal Guinness World Records come la “scultura con il busto più grande” del mondo.

La Fondazione Isha, fondata da Sadhguru, è un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro gestita da volontari e dedicata a elevare la coscienza umana. La Fondazione è un’organizzazione al servizio dell’uomo che riconosce la possibilità per ogni persona di potenziarne un’altra e di ripristinare la comunità globale attraverso l’ispirazione e la trasformazione individuale. Dal 2007, la Fondazione ha ottenuto lo status di consulente speciale presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite.




UNA CENA PER LA PACE

16 Marzo 2024:

Rocca San Giovanni, 11 marzo 2024. Sabato prossimo si terrà una cena di beneficenza presso l’Hotel Villa Medici a Rocca San Giovanni per raccogliere i fondi destinati alla campagna tende di AVSI per le popolazioni colpite dalla guerra in Palestina.

L’urgenza che scoppia in tante parti del mondo è: basta guerre. L’AVSI (Associazione Volontari per lo sviluppo internazionale) è una realtà che fa parte della top ten delle ONG italiane. Opera dal 1972 ed attualmente è presente con 364 progetti in corso in oltre 40 Paesi attraverso uno staff di 2296 volontari.

Quest’anno uno dei tantissimi progetti sostenuti dall’AVSI è “Desideriamo la pace in Palestina”: il conflitto in corso sta mettendo a dura prova la capacità delle famiglie di provvedere ai bisogni primari dei bambini, e degli studenti di poter andare a scuola. La preoccupazione per quanto sta accadendo e per il loro futuro è altissima, AVSI sta facendo il possibile per garantire continuità agli interventi già iniziati in quei territori.

A Lanciano si è costituita una delegazione locale dell’AVSI che ha organizzato, con il Patrocinio del Comune di Rocca San Giovanni, una Cena di Beneficenza a favore delle popolazioni della Palestina per SABATO 16 MARZO 2024 presso l’Hotel Villa Medici in Rocca San Giovanni. La responsabile della delegazione Ida Malatesta ci spiega: “Allo scoppio della guerra dopo la strage del 7 ottobre scorso, insieme alle notizie delle altre guerre sparse per il mondo, la paura di una guerra mondiale si è insinuata anche in mio figlio di 9 anni.

Come potevo rispondere? Cosa posso fare io per la pace? Da lì, insieme ai miei amici, ci è venuta l’idea che la pace inizia da noi, dalla nostra volontà di aprirci al mondo e all’altro riconosciuto come un bene. L’AVSI da sempre lavora per un mondo in cui la persona consapevole del suo valore e della sua dignità, sia protagonista dello sviluppo integrale suo e della comunità anche in contesti di emergenza”.

Durante la cena è stato previsto un collegamento dalla Palestina con Francesco Buono rappresentante AVSI in Palestina che ci racconterà la realtà che le popolazioni vivono oggi in quei luoghi.

La serata, organizzata in collaborazione con l’Ancestral Chamber Music Aps di Lanciano, vede inoltre il prezioso intervento dell’attore DOMENICO TURCHI che ci farà fare un viaggio sui valori che guidano i comportamenti umani; saranno inoltre ospiti d’onore il pittore FREDY LUCIANI, Ambasciatore per la Comunità Europea dei Cavalieri di Malta per il Molise e l’Abruzzo, e il Prof. MASSIMO PASQUALONE vincitore del Premio speciale per la cultura conferitogli dalla commissione della VI edizione del Premio internazionale di poesia, letteratura, arte visuale nello scorso agosto.

La cena sarà allietata dal quintetto Ancestral Chamber Music, composto da Maria Chiara Papale Soprano, Leila Vinciguerra Flauto, Angelo Centofanti Oboe, Angela Giancristofaro Violoncello e Antonella Salvatore Pianoforte, con un bellissimo repertorio di musiche da Oscar.




CUNEO TROPPO FORTE

Ortona deve arrendersi

Ortona, 11 marzo 2024. Una prestazione calante per una Sieco che male non era partita in quel di Cuneo e che poi è andata scemando nel gioco. Tanti gli errori al servizio da parte di entrambe le squadre ma con i padroni di casa in grado di ricavarne quattro aces contro gli zero della Sieco. Di certo non una delle migliori serate per gli attaccanti impavidi che vanno in difficoltà contro il muro dei piemontesi sempre ben piazzato così come la copertura sempre molto efficiente. Qualche errore individuale arriva nei momenti forse meno opportuni a frenare o a dare ulteriore spinta agli avversari. Una serata storta, dunque, che arriva contro una squadra che non perdona. Mancano ora due giornate al termine e la Sieco deve assolutamente provare a portare a casa un’en-plein per mantenere acceso l’ultimo, flebile, lumicino di speranza.

IN BREVE

Meglio Cuneo all’avvio di primo set, che approfitta di una non felice ricostruzione di Ortona e che poi ferma a muro Cantagalli. La Sieco si trova quindi subito ad inseguire sotto di tre punti. La Sieco, però, si scuote e riduce le distanze grazie anche ad una buona difesa di Broccatelli che permette a Cantagalli di segnare il punto del pareggio. Cuneo, dal canto suo, fa male al servizio, anche se entrambe le squadre sono molto fallose dai nove metri, e riprende subito il punto break. Nella fase centrale del set, Ortona sembra migliorare il muro e difesa. Gli impavidi rosicchiano punti ma Cuneo non lascia scampo e torna a macinare gioco, scavando ancora un importante solco di quattro punti. Fase finale del parziale che si rivela equilibrata ma Cuneo amministra bene il vantaggio che aumenta anche grazie al più classico dei colpi di fortuna al servizio. Alla fine, i padroni di casa conquistano il set di misura su una Sieco che ha dimostrato di poter impensierire un avversario di prim’ordine.

Nell’avvio di secondo set Cuneo punta tutto sul gioco al centro, Ortona fatica a difendere ma riesce a tenere il passo dei padroni di casa. Cuneo trova il vantaggio grazie ad una maggiore efficienza a muro e ancora una volta in battuta. La Sieco sbaglia molto soprattutto in fase di attacco ma anche al servizio. Cuneo di contro continua a restare concentrata e apre un discreto divario con gli abruzzesi. Ortona prova la rimonta ma quando il gap tra le due squadre si riduce Cuneo è brava a ricomporsi e a rimettere distanza tra sé e la Sieco.

Continua a viaggiare forte Cuneo nel Terzo Set che copre ogni centimetro del campo e ricostruisce bene. Ortona va sotto e il set parte in discesa per i padroni di casa. La Sieco trova in Bertoli il suo trascinatore e Ortona si ritrova dal 6-1 al 6-4. Continuano poi gli errori al servizio della Sieco mentre Cuneo trova anche qualche buon colpo dai nove metri. I padroni di casa dilagano contro gli abruzzesi che sembrano ormai essersi arresi.

PRIMO SET

Lo starting six di Cuneo vede Sottile al palleggio e Jensen opposto, Codarin e Volpato al centro, Botto e Gottardo gli schiacciatori. Libero Staforini.

La Sieco risponde invece con la formazione tipo che vede Dimitrov al palleggio e Cantagalli opposto. Fabi e Patriarca al centro con schiacciatori Capitan Marshall e Bertoli. Libero Benedicenti.

La prima palla è per Ortona che va al servizio con Leonel Marshall. Ortona prova il contrattacco ma Cuneo difende e segna il primo punto con Botto 1-0. Bertoli 1-1. Cantagalli fermato a muro 3-1. Gottardo 4-1. Fuori l’attacco al centro di Codarin 4-3. Cantagalli in due tempi trova il punto del 5-5. Ace di Codarin 7-5. Volpato trova le mani del muro, la palla si impenna e diventa irraggiungibile 9-7. Gottardo sbaglia dai nove metri 10-8. Patriarca al centro per l’11-9. Lungo il servizio di Patriarca 12-9. Marshall finge un attacco da secondo tocco ma palleggia verso Cantagalli che segna il 13-11. Muro di Fabi 13-12. Mani-Out di Cantagalli 16-14. Lungo il servizio dell’opposto ortonese 18-15. A segno la diagonale di Jensen 19-16. Tira forte Cantagalli e trova il mani-fuori del 20-18. Ace fortunoso di Botto con palla che tocca il nastro e cade a piombo 22-18. La pipe di Marshall tocca il muro e schizza fuori 22-19. Muro di Cantagalli 22-20. Finisce fuori il muro di Marshall 23-20. Muro di Fabi 23-21. Dimitrov sbaglia un bagher di appoggio e la palla finisce fuori 24-21. Mani out ai danni di Patriarca e il Set si chiude con la vittoria dei padroni di casa 22-25.

SECONDO SET

Il primo punto è di Bertoli in pallonetto 0-1. Codarin passa 2-2. Fuori il servizio di Codarin 3-4. Ace di Gottardo 7-5. Fuori il muro di Ortona 9-5. Gran botta in parallelo per Diego Cantagalli 9-6. Cantagalli tenta il colpo difficile ma la palla si ferma sulla rete 11-7. Lungo il servizio di Dimitrov 12-8. L’attacco di Bertoli tocca l’asta 14-8. Out il servizio di Codarin 15-9. Bertoli accorcia sul 17-15. Botto supera il muro a tre di Ortona 20-15. Bello l’assist ad una mano di Dimitrov per Patriarca che schiaccia il punto del 20-16. Codarin ferma l’attacco di Cantagalli 22-16. Pallonetto di Dimitrov che di seconda intenzione segna il punto del 22-17. Bravo Tognoni a coprire una palla che rimbalzava dalla rete e Cantagalli osa e trova il punto del 23-18. Palla in rete sul servizio di Bertoli 24-18. Errore di Capitan Marshall che riceve lungo permettendo ai padroni di casa di concludere agevolmente sul 25-18.

TERZO SET

Capitan Marshall serve ma il primo punto è di Cuneo che fa 1-0 in pipe. Il muro di Cuneo ferma Bertoli 2-0. Fuori di poco l’attacco di Cantagalli 3-1. Cantagalli murato da Codarin 5-1. Bertoli trova le dita del muro avversario 6-2. Invasione per Botto 6-3. Ancora Bertoli 6-4. Ace per Botto 8-4. Out il servizio di Jensen 11-7. Invasione a muro per Ortona 13-7. Fuori anche il servizio di Marshall 14-8. Errore di Bertoli dai nove metri 19-11. Lapkov di potenza 20-13. Dimitrov tocca la palla a muro 22-14. Fermato Lapkov dal muro di Codarin 23-14. Gottardo trova un punto in pipe 24-16. Fuori il servizio di Dimitrov. Set e match per i padroni di casa.

Puliservice Acqua S.Bernardo Cuneo – Sieco Service Ortona 3-0 (25/22 – 25/18 – 25/17)

Durata Set: 28’ / 26’ / 29’

Durata Totale: 1h 23

Arbitri: Signori Prati Davide (Albuzzano) e Nava Stefano (Monza)

Sieco Service Ortona: Fabi 4, Broccatelli (L) % – % perfetta, Bertoli 10, Benedicenti (L) 64% –39% perfetta, Del Vecchio, Marshall 8, Patriarca 3, Cantagalli 11, Tognoni, Donatelli n.e, Lapkov 2, Dimitrov 1, Lanci E. n.e. Coach: Lanci N. Vice: Di Pietro L.

Aces: 0 – Errori Al Servizio: 14  – Muri Punto: 4 – Ricezione Positiva:  59% – Attacco:  42%

Puliservice Acqua S.Bernardo Cuneo:  Sottile 2, Jensen 13, Volpato 5, Codarin 8, Gottardo 11, Botto 15, Staforini (L) % – % perfetta, Andreopoulos 1, Giacomini, Colangelo, Cioffi, Bristot, Coppa, Giordano (L) % – % perfetta. Coach: Battocchio M. Vice: Gallesio L.

Aces: 4  – Errori Al Servizio: 14  – Muri Punto: 9  – Ricezione Positiva:  80% – Attacco:  49%




BASTARDE SENZA GLORIA

Così la donna continua a combattere 

Guardiagrele, 10 marzo 2024. La Uao spettacoli, in collaborazione con il Comune di Guardiagrele (CH), propone una minirassegna teatrale, con direzione artistica di Federico Perrotta, al Cineteatro Garden, che sembra rispettare la “parità di genere” infatti prevede due appuntamenti: uno tutto al femminile con “Bastarde senza gloria” ed uno tutto al maschile con “I Matti di Dio”.

Il 14 marzo alle ore 21.00 è la volta delle “bastarde” di Gianni Quinto con Gegia, Manuela Villa, Valentina Olla, Sabrina Pellegrino, Giulia Perini, Elisabetta Mandalari, Eugenia Bardanzellu è una produzione della stessa Uao Spettacoli con la collaborazione del Teatro Stabile d’Abruzzo; l’adattamento e la regia dello spettacolo sono di Siddhartha Prestinari: è un testo contemporaneo che ha già emozionato molti teatri d’Italia proprio perché affronta tematiche sociali e vede, ancora una volta, delle donne sul ring della vita, combattere per difendere i propri diritti, in un braccio di ferro con i propri dirigenti d’azienda.

A causa di insindacabili tagli al personale, infatti, viene richiesto loro di nominare una collega da fare fuori. Ed ecco che ci si trova di fronte ad una grande sfida, quella di sette donne da raccontare nelle loro fragilità e imperfezioni, nei loro cliché e desideri irrealizzabili: si tratta di uno spettacolo tragicomico ricco di battute al vetriolo, in cui ridere e sbeffeggiare i piccoli, grandi drammi che la vita preserva; qui una pausa caffè si trasforma in uno stillicidio di accuse, giudizi, condanne, in una lotta alla sopravvivenza in cui tutto è lecito.

Questo spettacolo, che ha matrici drammatiche, è una commedia che vede l’eterno colpo di fioretto tra dramma e comicità, in un mix agrodolce in cui ridere è l’unica possibilità per sopravvivere. E’ una lente d’ingrandimento sulla paura che, anarchica, compie scelte inaspettate e tira fuori il nero seppia dell’anima: “io contro te”.

La donna in fabbrica: madre, moglie, amante, lesbica o straniera, non smette di essere donna con tutta la sua complessità e fragilità ma indossando sempre la sua fiera ironia. Si scaglia come un felino, ride di sé stessa, ferisce per sbaglio, uccide se necessario ma rinasce come una fenice, anche a costo di perdere.

Entrambi gli appuntamenti sono a sostegno del Progetto Noemi Onlus. Anche lo spettacolo “I Matti di Dio” sarà sul palco del Cineteatro Garden a Largo Pignatari di Guardiagrele: la serata è prevista per l’11 aprile alle ore 21.00.




PREMIO PHENOMENA A CINZIA LUCIANI

La vicepresidente dell’associazione P&C Italian Style premiata in Giappone

Tokyo, 10 marzo 2024. Un pugno che stringe una mimosa. È la statuetta che dal Giappone tornerà in Abruzzo, e più precisamente a Pescara, grazie al talento e alla determinazione di Cinzia Luciani, vicepresidente dell’associazione Pastry & Culture Italian Style, che ha ottenuto il Premio Phenomena nella sua speciale edizione giapponese.

L’iniziativa nasce dalla collaborazione tra Regione Abruzzo, Agenzia di sviluppo della Camera di commercio Chieti Pescara ed IFTA (Indipendent Fashion Talent association) con la Camera di commercio italiana in Giappone. Nell’ambito del Mimosa Day, l’evento ospitato nella Tokyo Tower per celebrare l’empowerment femminile, infatti, i soggetti pubblici e privati promotori del Premio, rivolto ai settori del food, della moda e del design, hanno deciso di dedicare dei riconoscimenti speciali alle proposte imprenditoriali approdate in questi giorni a Tokyo. Tra queste, anche l’associazione Pastry & Culture, presieduta dal maestro Federico Anzellotti con il supporto operativo della vicepresidente Cinzia Luciani, che proprio questa settimana è stata protagonista dell’importante fiera internazionale Foodex Japan 2024.

L’associazione si pone, infatti, l’obiettivo di sviluppare progetti internazionali al fine di esportare lo stile Made in Italy nel settore food, attraverso formazione, tecnologia e materie prime e lavora assiduamente per realizzare sinergia tra le imprese italiane e i mercati esteri, accompagnando le aziende nel percorso verso l’internazionalizzazione, anche attraverso la partecipazione a missioni estere. Nata nel 2021, in pochi anni di vita l’associazione ha acquisito notevole esperienza in campo di export e promozione, tanto da essere presente nei tavoli ministeriali dove collabora con enti e istituzioni per le proposte di promozione ed export del Made in Italy.

«Sono davvero orgogliosa di questo premio che ci gratifica per tutti gli sforzi che quotidianamente facciamo», commenta Luciani, che si divide tra i ruoli di avvocato, insegnante e rappresentante dell’associazione. «Aver sentito pronunciare il nome della P&C Italian Style sulla Tokyo Tower è stato davvero emozionante».

Soddisfatto anche il presidente dell’associazione Federico Anzellotti che aggiunge: «un altro prestigioso riconoscimento per l’associazione e per l’incommensurabile impegno della vicepresidente Cinzia Luciani, esempio di donna concreta impegnata sul lavoro».




UNA GIULIESE COME ESEMPIO

Il Premio organizzato dall’ Assessorato e dalla Commissione alle Pari Opportunità, assegnato quest’anno a Leta Renzi e Aida Ruffini. Ieri, in sala consiliare, la cerimonia di consegna.

Giulianova, 10 marzo 2024. Aida Ruffini e Leta Renzi sono le due giuliesi che la Commissione e l’Assessorato alle Pari Opportunità indicano quale esempio da seguire. A loro, infatti, è andato il Premio Una Giuliese come esempio che, alla seconda edizione, ha visto un entusiasmo ed una partecipazione invidiabili.

In sala consiliare, ieri l’altro, c’erano il Sindaco Jwan Costantini, il Vice e assessore alle Pari Opportunità Lidia Albani, la presidentessa della CPO Marilena Andreani. C’erano le componenti della commissione e numerosi cittadini e cittadine. C’erano, soprattutto, Aida Ruffini e Leta Renzi, circondate dagli amici, dalla famiglia e dagli agenti della Polizia Municipale, con il  comandante Roberto Iustini.

Leta Renzi, non a caso, è stata la prima vigilessa d’Abruzzo, assunta a Giulianova nel 1973. Le agenti Annamaria Cipolletti e Federica Vasanella, ieri, hanno rappresentato una realtà presente che, come si è visto, affonda le radici in un passato cinquantennale. Ad Aida Ruffini, invece, va il merito di aver ricoperto l’incarico di assessore comunale, incarico assegnato per la prima volta, nel 1976, ad una donna.

L’attrice Sara Palladini ha moderato gli interventi. La storia di Giulianova, si è detto, è stata una storia di “Pari Opportunità”. Un percorso di crescita, quello del tessuto civico e dell’ abolizione della discriminazione di genere, che è andato in sostanza di pari passo.




MANI IN PASTA

Ad Erga Omnes il laboratorio di cucina inclusiva

Chieti, 10 marzo 2024. Si è svolto venerdì scorso, 8 marzo, all’ex centro sociale San Martino a Chieti Scalo, sede operativa di Erga Omnes, il laboratorio di cucina “Mani in pasta”, all’interno del progetto “Una Chiave”, rivolto ai ragazzi con disturbi del neurosviluppo.

Un’esperienza che unisce creatività e apprendimento attraverso attività pratiche, offrendo un ambiente inclusivo e stimolante per sviluppare abilità manuali e sociali in un contesto divertente e accogliente.

É indispensabile far fronte alle difficoltà che i ragazzi possono incontrare e alla solitudine che possono vivere ogni giorno. Per tale motivo, i volontari di Erga Omnes hanno pensato di fornire loro un ambiente dove accrescere i loro interessi, le loro passioni e instaurare nuovi legami, favorendo soprattutto una maggiore inclusione sociale. Pertanto, con tale progetto si intende promuovere il benessere e la qualità di vita dei ragazzi con Disturbi del Neurosviluppo e dei loro genitori grazie al sostegno, l’impegno e la professionalità di Erga Omnes.

Il progetto “Una Chiave” è sempre alla ricerca di nuovi volontari che possano supportare le iniziative.




MARIO POMILIO

Letteratura e cristianesimo

Teramo, 10 marzo 2024. Il prossimo 13 Marzo  2024 alle 18,15  il Salotto culturale di “Prospettiva Persona” 2024 (Patrocinio MIC e Fondazione Tercas)  sito in Teramo – via Nicola Palma, 33 , 64100- Teramo, propone: Letteratura e Cristianesimo Mario Pomilio

Approfondimento

Mario Pomilio capitò a Teramo per la prima volta nel 1951. Aveva vissuto “una stagione di esilio”, come lui stesso la definiva, a Parigi, “una città crudele per noi italiani: agli occhi del francese medio eravamo ancora quelli della pugnalata alla schiena”. Dall’interminabile paesaggio metropolitano era proiettato in uno spazio diverso, breve e domestico, tutto fasciato di colline: quello di una tipica provincia italiana con la sua dolcezza del vivere, le acredini, i sopori. In un’intensa testimonianza – il suo ultimo scritto – pubblicata sulla rivista “Il quadrilatero”, Pomilio aveva rievocato le ragioni e le emozioni che lo portarono a usare Teramo come “quinta” in due romanzi: il primo, quello d’esordio, “religioso”, L’uccello nella cupola, il secondo “laico”, La compromissione. Come due voci, due anime che Teramo riusciva a far convivere, con le sue soste al caffè, gli incontri per le strade, il corso che si popolava verso l’ora del crepuscolo, il suo stile di città centrata entro il cerchio delle sue antiche mura e della strada di circonvallazione. Due storie distinte, ma fuse insieme, garantite da un’urbanistica fatta a misura d’uomo e dal culto dello scambio comunitario ancora possibile in provincia. La prima storia risultava implicita nelle vestigia di una vetusta vita religiosa, le piazze attorno alle chiese, la città intorno alla sua cattedrale. La seconda, “laica”, era il lontano prodotto della borghesia postrisorgimentale con altri punti di riferimento: appunto il corso, la villa comunale, “le piazze dominate da monumenti civici, gli edifici pubblici, le scuole, certi caffè”. (R. Minore, https://vibrisse.wordpress.com/2015/10/30/due-o-tre-cose-su-pomilio-e-teramo/




ABRUZZO CROCEVIA MONDIALE SALUTOGENESIS

ME-TO-ME sarà stazione del mudi di Goriano Valli, già liste di attesa di 6 mesi, inaugurazione a giugno

L’Aquila, 10 marzo 2024. L’Abruzzo si candida a capi tale mondiale della Salutogenesis, ideata dal sociologo Aaron Antonovsky  e che promuove le abitudini di vita come migliore medicina preventiva per preservare sia la salute personale, sia la salute aziendale, grazie all’apertura, a Goriano Valli, in provincia dell’Aquila, del primo museo al mondo dedicato a founder, imprenditori e CEO: il Me-To-Me, ovvero il Leader Museum for the Future.

Il Me-To-Me sarà una delle 20 stazioni che faranno parte del nascente Museo Diffuso del Sirente (MuDi): un museo esperienziale, visitabile da una sola persona al giorno. Delle varie stazioni in fase di allestimento è già stata svelata la casa, di epoca medievale, che si candida ad essere la più piccola al mondo, di appena 8 metri quadrati, una “capsula del tempo”, rimasta chiusa per più di 140 anni.

Ancora prima dell’apertura, che si terrà il 5 giugno in concomitanza con le celebrazioni per il 600° anniversario della morte di Braccio Fortebraccio da Montone, numerosi imprenditori italiani e stranieri sono già affluiti in Abruzzo per visitarlo.

Entrambi i musei sono il frutto dell’innovazione di REX Roundtables, organizzazione internazionale con sede a New York e guidata da Fausto Di Giulio in Europa e Asia.

La prossima settimana un gruppo di imprenditori italiani della fitness industry parteciperanno ad alcuni seminari sul benessere che si svolgeranno presso i fitness club Medical Sport di Tortoreto e Planet Fitness di Giulianova e Roseto, cui farà seguito la visita al Me-To-Me che ad oggi ha già una lista d’attesa di 6 mesi.

Il Me-To-Me, spiega Di Giulio, “accompagna i visitatori in uno stimolante viaggio di auto-scoperta e crescita personale, promuovendo il giveback personale e la responsabilità sociale d’Impresa. La scelta dell’Abruzzo come sede di questa iniziativa non è casuale. Questa regione offre un ambiente naturale che da millenni è fonte di ispirazione e riflessione in virtù della sua diversità paesaggistica – che spazia dalle coste ai monti – e della sua ricchezza di cibo sano, vini, oli d’oliva e tesori storici e artistici”.

“La Salutogenesis – spiega Fausto Di Giulio – dal punto di vista della salute personale promuove una prospettiva complementare, non sostitutiva, all’approccio patogenetico. Mentre la patogenesi rimane cruciale per comprendere e trattare le malattie, la Salutogenesis apre la strada a un approccio più olistico e proattivo nella promozione dei fattori che contribuiscono alla salute fisica, mentale, emotiva, spirituale e sociale. Dal punto di vista della salute aziendale, essa pone invece l’accento sull’importanza delle pause di riflessione e ispirazione per scaricare lo stress, nutrire la creatività e svolgere esercizi di future thinking e scenario planning, per poter così anticipare i problemi ed esser pronti al futuro”.




CONTINUA IL PROGETTO ALBERI

Due Mimose messe a dimora lungo la Ciclo Pedonale per Ricordare delle donne di Roseto che non sono più fra noi

Roseto degli Abruzzi, 10 marzo 2024. Ieri, i volontari delle Guide del Borsacchio, in collaborazione con l’associazione Il Guscio, hanno compiuto un gesto significativo nella Riserva Borsacchio. Nel contesto del progetto Dalla giornata alla città dell’Albero, hanno piantato due mimose lungo il tratto ciclopedonale della riserva Borsacchio

Questo atto simbolico è un omaggio a due donne speciali, Erminia e Maria Assunta, che purtroppo ci hanno lasciato. Entrambe hanno contribuito in modo tangibile alla causa della Riserva Borsacchio e hanno diffuso gioia e serenità attraverso il loro sorriso e le loro esperienze.

Durante la cerimonia, il presidente dell’associazione Il Guscio ha pronunciato parole commoventi, e insieme abbiamo collocato una targa sul luogo, invitando i passanti a prendersi cura delle mimose, simbolo tangibile del ricordo di queste due donne straordinarie.

Chiediamo a tutti i cittadini di unirsi a noi in questo gesto di memoria e speranza, donando un po’ della loro acqua per garantire la crescita e la vitalità di queste piante, che rappresentano tanto più di semplici alberi: sono testimoni di un legame profondo e duraturo con la nostra comunità.

Dopo i volontari si sono recati in spiaggia a sistemare i danni del criminale che ha distrutto cartelli informativi e l’area delimitata del progetto area del fratino, a pochi giorni dall’atto vandalico.

Riserva del Borsacchio




TRIBUNALE DI TERAMO: LA GIUSTIZIA INGIUSTA

Così si annientano i minori

Città di Castello, 10 marzo 2024. I Tribunali, ma non tutti per fortuna, quando è finita la convivenza dei genitori e sono chiamati a disporre l’affido dei minori notoriamente non funzionano ed operano inaccettabili discriminazioni nei confronti del padre. I principi della bigenitorialità e della cogenitorialità non solo non trovano spazio nei provvedimenti che il giudice emette ma nemmeno vengono fatti rispettare quando l’inadempiente è la madre. Il tribunale di Teramo ne è un tipico esempio, arrivando perfino ad imporre le volontà del giudice istruttore che ha sempre fretta di chiudere il procedimento anche quando le sue imposizioni, in definitiva, danneggiano prevalentemente i figli perché una giustizia ingiusta non fa altro che alimentare una pericolosa conflittualità genitoriali. Non esiste, nell’affido dei minori, il rispetto dello Stato di diritto ma solo una più o meno sfacciata politica di genere. Il caso che riportiamo è molto eloquente ed è uno dei tanti che accadono a Teramo e in Abruzzo e di cui, per riverenza ai magistrati, nessuno ne parla.

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Un padre italiano è vittima della cattiva gestione degli affidi dei minori nelle separazioni. I figli, collocati presso di lui fin da quando quello più piccolo aveva tre mesi perché la madre, extracomunitaria, voleva affidarli al comune e collocarli in una comunità (sulla cui gestione sarebbe doveroso indagare, visto che è stata cofondata dal legale della signora) poiché non voleva, a suo dire negli sms i9nviati al marito, sacrificare il proprio tempo libero per i figli. Il padre si è opposto e il giudice, in base alle sue capacità genitoriali, li ha collocati presso di lui anche se uno aveva appena tre mesi (!).

Dopo due mesi, la madre, fiutate le possibilità economiche, cambia idea e pretende la collocazione dei figli presso di sé, un assegno di mantenimento per loro da parte del padre, l’assegno unico al 100% che per legge spetta al 50% a ciascun genitore, consapevole che,  essendo per propria scelta quasi disoccupata (mentre in realtà aveva ed ha molte risorse economiche derivanti da redditi non dichiarati e/o non dichiarabili), avrebbe avuto accesso ai vari contributi e benefici degli enti pubblici e privati destinano a genitori disoccupati (in questo caso anche extracomunitaria) con figli a carico.

Cambia il giudice che segue il procedimento e l’attuale, spudoratamente sbilanciata verso la madre, nell’udienza esprime una valutazione non lusinghiera sulla scelta fatta dal suo predecessore, accoglie con inaudita solerzia tutte le richieste della madre senza aprire il contraddittorio per metterle a confronto con le documentate denunce paterne sull’uso strumentale che la stessa fa dei figli, abbandonandoli giorno e notte sistematicamente a persone terze, sue connazionali, di cui al padre non è dato conoscerne la nazionalità e il nome, forse, anche perché potrebbero essere senza permesso di soggiorno e/o avere possibili debiti con la giustizia.

Il giudice per chiudere subito il procedimento pretende un immediato accordo tra i genitori altrimenti, se il padre non accetterà senza discutere le sue condizioni, prenderà in considerazione, come detto in udienza, anche l’ipotesi della sospensione della sua responsabilità genitoriale. Una cosa vergognosa che mal si concilia con la scritta che troneggia nelle aule dei tribunali: La legge è uguale per tutti. Il ricorso al Csm sarà inevitabile perché ciò non rientra nella discrezionalità del giudice ma è un vero e proprio sopruso discriminatorio della figura del padre a danno dei figli. Il contraddittorio, alla luce della legge, è un diritto del genitore e non una concessione del giudice.

Il giudice rigetta le richieste paterne: permanenza dei figli presso di lui, come già avveniva, oppure, in subordine, un loro affido paritario (che automaticamente esclude l’assegno di mantenimento), condivisione preventiva di tutte le spese straordinarie con un fare agitato che poteva essere ritenuto minaccioso, considerato il tono alterato della voce e il particolare gesticolare. Il magistrato, incurante delle richieste paterne e della procedura civile, impone la collocazione dei figli presso la madre, un assegno di mantenimento a carico del padre di €. 500 al mese per due figli, allora di sei mesi e tre anni, e pretende (impone) la rinuncia da parte del padre della sua quota dell’assegno unico a favore della madre (circa €. 500 al mese) mentre la legge prevede che sia equamente ripartito tra i genitori non conviventi e riconosce al padre il diritto di tenere i figli il 35% del tempo, non concede che i giorni infrasettimanali di permanenza non coincidano con il martedì e giovedì perché lui ha il rientro pomeridiano, arrivando sarcasticamente ad affermare che se deve lavorare, in quei giorni rinuncerà a prelevarli! Anzi, per imporgli il martedì, ha fatto sì che, per cinque giorni, il padre non vedrà i figli mentre in cinque giorni li tiene per 4 gg. quasi consecutivi. Una persecuzione o una tutela del superiore interesse dei minori? Ma scherziamo?

Il dominante giudice non vincola le spese straordinarie al consenso preventivo del padre, non dispone indagini sui redditi della signora e sulle attività che svolge, anche di notte, lasciando quasi sempre i figli da soli a persone terze, sulle sue proprietà immobiliari nel paese di origine, sui suoi investimenti finanziari anche all’estero e sui suoi numerosi conti correnti. Non si chiede, dunque, da dove derivi tanta disponibilità finanziaria pur lavorando due/tre ore al giorno con una cooperativa di pulizie. Il padre deve sborsare per i figli, il 45% del proprio stipendio, oltre a tutte le spese che sostiene per comprare loro quello che la madre non compra, compreso l’abbigliamento che la madre utilizza quelli che trova nei centri di carità e così utilizzare solo per sé l’oltre mille euro mensili tra mantenimento paterno e assegno unico.  

Il giudice si rifiuta di intervenire sugli strani comportamenti della madre: dichiara miseria e paga l’affitto per due appartamenti; cura attentamente il proprio look che evidenzia una rilevante disponibilità economica; frequenta locali costosi con i suoi amici “attempati” (che cambia continuamente, portandoli a dormire a casa anche quando ci sono i figli e con essi accompagna i minori a scuola o va a riprenderli, non potendo mandarci altri a seguito del diniego paterno visto che non conosce l’identità delle persone indicate dalla moglie) e/o coetanei connazionali con fluidità di contanti. Il giudice si guarda bene dal prendere provvedimenti in merito all’assegno unico, lasciando che nel frattempo lo continui a riscuotere la madre, e non interviene sulla mancata applicazione dei provvedimenti del tribunale da parte della madre e sulla impossibilità del padre di parlare al telefono con i figli all’ora di cena.

Non interessa ai bambini il fatto che sia in atto un tentativo di alienazione dei figli dal padre e che gli stessi per le materne violenze psicologiche e non solo, hanno un difficile rapporto con il padre all’inizio della permanenza con lui, mostrandosi violenti e offensivi per poi mettersi a piangere quando devono ritornare dalla madre. I bambini, inoltre, spesso sono sporchi e vengono portati a scuola con abiti e scarpe piccoli e consunti e la scuola spesso è costretta a chiedere al padre il ricambio per quello più piccolo perché la madre, che percepisce l’assegno di mantenimento e l’assegno unico non lo fa. 

Il calvario di questo padre e dei suoi figli è causato ed alimentato dai centri antiviolenza, dai servizi sociali e dall’inerzia di un tribunale che, dinnanzi alle dovute denunce del genitore, invece di prenderne atto e predisporre indagini approfondite, lo perseguita con provvedimenti discriminatori contrari alla legge e al buon senso imposti, sotto la minaccia della possibile sospensione della responsabilità genitoriale. La signora non segue i figli e continua a ripetere che lascia i figli a chi vuole perché lei non rinuncia alle proprie libertà.

Il servizio sociale che dovrebbe informare il tribunale, di fatto non riporta la verità dei fatti nelle sue relazioni scritte e in quelle verbali, riservate con il giudice, la scuola si sta allineando con il servizio per non mettersi contro le lobby che gravitano attorno al servizio stesso e per non contraddire i collegati centri antiviolenza che, senza scrupoli, invitano la signora a denunciare continuamente il marito di violenza contro di sé e contro i figli, anche quando non c’è, tanto lei usufruisce del patrocinio a spese dello stato, anche se chiaramente non ne ha diritto. Una cosa è certa, ci si muove nel campo dei presupposti tribali dove la persona non conta nulla, soprattutto se italiana poiché c’è una consolidata logica di razzismo al contrario.

Questa è la giustizia ingiusta amministrata in alcuni tribunali e da qualche giudice.

Ubaldo Valentini

Presidente Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori (Aps) Città di Castello




COME SI PUÒ ASCOLTARE IL VANGELO CHE PARLA D’AMORE …

… e poi essere razzisti e discriminare il prossimo?

Impariamo, allora, ad avere verso il mondo, verso ogni fratello e sorella che incontriamo quanto raccomandava Raissa Maritain: “Se non accetto che il prossimo mi istruisca, neppure Dio mi istruirà”

di Rocco D’Ambrosio

Globalist.it, 10 Marzo 2024. Il Vangelo odierno: In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3, 14-21 IV Quar. B laetare).

Mi sono sempre chiesto come sia possibile ascoltare il Vangelo che parla dell’amore di Dio per il mondo, per gli ultimi, i poveri e poi assumere, nel mondo, posizioni razziste, chiuse, discriminanti e via dicendo. Chi lo fa, da qualche parte, deve essere falso: o in chiesa o nel mondo.

Condannare il mondo è un’operazione molto semplice: si divide il tutto in buoni e cattivi; si crede, con presunzione, di stare ovviamente tra i buoni e ci si arroga il diritto di condannare gli altri.

E Dio? Beh, anche Lui deve stare dalla mia parte, quella di chi condanna senza appello e, magari, ha votato il mio stesso partito. Ridere o piangere per queste posizioni?

La condanna è frutto di gente, come ricorda Maritain, dall’intelletto molle e dal cuore arido; l’amore, invece, appartiene a chi ha l’intelletto duro e il cuore molle. O, con le parole di Benedetto XVI, dovremmo dire: “Non c’è l’intelligenza e poi l’amore: ci sono l’amore ricco di intelligenza e l’intelligenza piena di amore”. Francesco, su questa scia, chiede, a tutti coloro che sono impegnati nel mondo, di interessarsi “ad ogni uomo e alle sue istanze più profonde, che spesso restano inespresse o mascherate. In forza dell’amore di Dio che avete incontrato e conosciuto, siete capaci di vicinanza e tenerezza. Così potete essere tanto vicini da toccare l’altro, le sue ferite e le sue attese, le sue domande e i suoi bisogni, con quella tenerezza che è espressione di una cura che cancella ogni distanza”.

Fa molto pensare come l’opposizione agli inviti del papa non provenga solo da coloro che appartengono per storia e sensibilità teologica ed ecclesiale a gruppi ben precisi (tradizionalisti, lefreviani, anti-ecumenici e così via) ma caratterizzi anche, in maniera spesso nascosta e ipocrita, settori ecclesiali di persone di formazione conciliare che comunque non apprezzano e seguono quanto Francesco dice, siano essi laici o presbiteri o vescovi o cardinali.

Alla lunga il loro atteggiamento e anche il mio, il nostro parlare di queste persone diventa stucchevole e deleterio. Serve solo a polarizzare il tutto, c’è chi segue il papa e chi si oppone a lui. Ma non è il papa l’oggetto della nostra scelta; non sono le sue parole il succo della nostra fede.

Il punto è Gesù Cristo. Siamo nella Chiesa per Lui e in Lui. Dio ama il mondo nel Suo figlio Gesù, inviato per salvare il mondo e non per condannarlo. È su questo che dobbiamo fare un esame di coscienza non sui contenuti dei siti spazzatura che trattano le cose di fede come materia da tifo calcistico.

Un parroco romano, tutt’altro che tradizionalista e anti conciliare, mi ha raccontato: “All’inizio papa Francesco mi infastidiva per quello che faceva e diceva. Poi mi sono chiesto: ma perché mi succede questo? Riflettendoci sono arrivato a una risposta: mi ero costruito un’idea di Dio e di Chiesa sicura e inespugnabile. Francesco me la ha messa in crisi. E mi sono sentito meglio quando l’ho riconosciuto e ho cercato di cambiare”.

Non è Francesco il problema, ma la misericordia di Dio, il suo amore che vuole salvare il mondo e non condannarlo. E qui non c’è una terza via. O si è con Lui o contro di Lui.

Impariamo, allora, ad avere verso il mondo, verso ogni fratello e sorella che incontriamo quanto raccomandava Raissa Maritain: “Se non accetto che il prossimo mi istruisca, neppure Dio mi istruirà. Vita nascosta in Dio. Non vedere nel prossimo che l’amore con cui Dio l’ama, e la sua miseria di creatura, che non è più grande della mia miseria, e che fa pietà a Dio stesso, e che fa discendere su di noi la sua misericordia. Tutto il resto è vanità e futilità”.

Come si può ascoltare il Vangelo che parla d’amore e poi essere razzisti e discriminare il prossimo? (globalist.it)




LA SACRALITÀ DELLE FAVE NELL’AGIOGRAFIA POPOLARE ABRUZZESE

[Pubblicato in Rivista Abruzzese, anno XLIX – n. 3, Lanciano 1996]

di Franco Cercone

Premessa

La presente ricerca è scaturita da una osservazione apparentemente irrilevante: nell’agiografia popolare abruzzese (ma, forse, anche in quella di altre Regioni, soprattutto meridionali) si narra di determinati
Santi che inseguiti da uomini perfidi ed animati da intenzioni poco rassicuranti, riescono a sfuggire ai loro persecutori operando una miracolosa fioritura delle fave proprio mentre un contadino è intento a seminare questo legume.

Come è noto la semina avviene di norma a novembre o febbraio, ma tali riferimenti temporali non emergono dai racconti agiografici di cui avremo modo di esaminare in seguito la struttura narrativa.

Sia negli episodi agiografici che in alcuni rituali monastici cluniacensi, le fave assumono il valore di una manna elargita dal cielo per sfamare i ceti rurali e più poveri. Sicché i campi di fave vengono benedetti o dalla Madonna o da vari Santi, che agiscono spesso sotto le spoglie di umili frati. Il legume acquista pertanto la dimensione di un cibo sacrale che sovverte la concezione del mondo classico, il quale considerava la fava un legume inferico e perciò collegato al culto delle divinità
chtonie e dei morti.

Quali sono stati i fattori sociali e religiosi che hanno mutato radicalmente una simile concezione?

E appunto quello che ci siamo chiesti e che tentiamo di chiarire in seguito, pur alla luce di una documentazione certamente non esaustiva.

Un legume inferico

Come è noto il primo precetto della Scuola Pitagorica recita: Astieniti dalle fave. A tal riguardo B. Russel sottolinea che “la peccaminosità del mangiar fave” deriva da “primitive concezioni del tabù, assai diffuse nel mondo mediterraneo del VII-VI sec. a.C.”[1], in quanto la fava era ritenuta un legume inferico.

Il suo fiore, scrive il Beitl, macchiato di nero, “galt als Symbol des Todes”, equivaleva cioè a simbolo della morte e pertanto la degustazione delle fave era vietata ai sacerdoti egizi ed ai Pitagorici[2]. Si tratta
dunque di un frutto che appartiene – sottolinea ancora il Beitl – agli chthonischen Geistern, alle divinità chtonie[3].

Secondo Giovanni Lydo, filosofo neoplatonico vissuto nella prima metà del V secolo a Bisanzio, “le fave masticate ed esposte al sole acquistano sapore ed odore di sangue umano”[4] ed il legume possiede, alla luce di tali concezioni, “un valore carneo che lo fa rientrare tra quei cibi che contengono una psuké”[5] e pertanto – sostiene Plutarco – le fave sono considerate “come alcune parti del corpo, cuore e cervello”[6].

La fava, dunque, possiede un’anima perché “l’acqua nella quale si pone un infuso di fave si tinge di rosso come se fosse colorata di sangue”[7], sangue attinto dal legume (ed in ciò consiste la sua singolare capacità rispetto ad altre piante) con le proprie radici dal sottosuolo e dunque dal regno dei morti, per cui l’impiego delle fave era tassativamente vietato nei rituali orfico-pitagorici.

In un noto passo della Storia Naturale (XVIII, 118) Plinio sintetizza infine i motivi per cui a Roma si avesse del legume una concezione negativa, sostenendo che nelle fave risiedessero le anime dei morti.

Il rapporto della fava con il culto dei morti emerge tuttavia in modo terrificante nei Fasti [V, vv. 429-40] e propriamente nel passo in cui Ovidio parla delle feste dei Parentales e delle Feralia, nonché dei misteriosi rituali che si svolgevano dal 13 al 21 febbraio nel mondo romano.

Su tali rituali Giuseppino Mincione ha scritto un lucido saggio che utilizzeremo ampiamente nel paragrafo seguente.

Fave e Lémures

“Con la descrizione – esordisce G. Mincione – dell’apparizione delle ombre dei morti, dette Lémures, Ovidio (Fasti, V, 429-40) si immette nell’ambito della vita soprannaturale”[8]. Secondo il Poeta sulmonese due periodi dell’anno sono consacrati al culto dei defunti, il mese di febbraio e quello di maggio.

Più antica è la celebrazione dei morti a maggio, perché quando l’anno era più breve, cioè prima della riforma di Numa che aggiunse al calendario i mesi di gennaio e febbraio, era il mese di maggio quello in cui avvenivano le onoranze ai defunti, con sacrifici espiatori alle tombe degli avi.

In seguito alla riforma di Numa, febbraio fu scelto come mese per le onoranze ai morti e non a caso T. Varrone sostiene che la parola febbraio deriva da una voce sabina che significa purificazione[9].

Ma nonostante tale radicale riforma, nel mese di maggio fu conservata la consuetudine di placare le Lémures, cioè le ombre dei morti, poiché – sottolinea il Pastorino – ambigua è la concezione delle anime dei morti, che ora sono chiamate manes, i buoni, ora temuti sotto forma di spettri col nome di Lémures o Larve[10]. Infatti, il Bloch completa il quadro sottolineando che “il morto è la fonte più pericolosa di contaminazione e una famiglia in lutto, familia funesta, deve lasciarsi imporre tutti i riti e le purificazioni indispensabili per cessare di essere lorda e contagiosa. Inoltre, il culto reso ai morti corrisponde non solo a un naturale rispetto, ma anche a una precauzione difensiva. Il defunto
insoddisfatto, infatti, può diventare un essere temibile e pericoloso”[11].

Le cerimonie per pacificare le anime degli antenati morti erano dettate, sostiene Ovidio, dalla situazione dei tempi. Correva voce, infatti, che a causa delle lunghe guerre, soprattutto quella Sociale, erano stati trascurati gli onori ai defunti. Le anime degli avi uscivano spesso dai sepolcri e si racconta “che per le vie di Roma e per le campagne spaziose ululassero spiriti pallidi, vane larve”[12].

In particolare, si credeva a Roma che ciò avvenisse nell’ultimo giorno dei Parentales, il 21 febbraio, chiamato feralia. Tale termine secondo Varrone deriva da Inferi e ferre, perché durante tali feste vigeva l’usanza di portare vivande alle tombe degli avi, ai quali erano dovuti appunto i sacrifici funebri per placare le loro anime.

Le cerimonie per pacificare quest’ultime avvenivano però anche nel mese di maggio, e precisamente nei giorni 9, 11 e 13 maggio, tre giorni non consecutivi e dispari dice Ovidio, intercalati da altri non festivi: Sono queste, dunque, le tre feste del mese né sono congiunte tra loro da giorno alcuno[13].

Le modalità con cui si svolgevano nei suddetti giorni di maggio i rituali in onore delle Lémures, o ombre dei morti, ci sono state tramandate da Ovidio in un passo dei Fasti [V, vv. 429-44] che riportiamo nella versione di G. Mincione. “Appena è mezzanotte e col silenzio si concilia il sonno, e voi, cani e variopinti uccelli, avete taciuto, chi è memore dell’antico rito ed è timorato degli dèi si leva dal letto, senza avere calzari ai piedi, e dà segnali con le dita congiunte, cioè tenendo uniti il pollice
e il medio, perché un’ombra leggera non venga incontro a lui se non fa rumore. E quando ha lavato e purificato le mani nell’acqua di fonte, si gira e prima mette in bocca delle fave nere e stando voltato le getta e dice: Io getto queste fave e con esse redimo me ed i miei. Dice ciò nove volte senza girarsi a guardare: si crede che l’ombra le raccolga e segna lui alle spalle senza che nessuno la veda. Di nuovo si bagna nell’acqua e fa risuonare i bronzi di Témesa e prega che l’ombra esca dalla sua casa.
Quando egli ha detto nove volte: ‘oh paterni mani, uscite!’, si volta a guardare e crede che il rito sia compiuto con purezza”[14].

Abbiamo riportato in corsivo le parole fave nere e nove volte contenute nei versi dei Fasti perché in un altro passo dell’opera [II, 576] Ovidio ci parla di una vecchia maga che mette in bocca sette fave nere
mentre compie sacrifici a Tacita, dea del Silenzio. Il nero, per dirla brevemente con il Beitl, “è il colore dei dèmoni, degli spettri sotto forma di animali (orso nero, gatto nero ecc.) e del diavolo”[15] nonché di molti oggetti che entrano a far parte di rituali magico-satanici.

Sicché da simbolo della morte il color nero diventa la morte stessa e nel nostro caso “le fabae sembrano rappresentare i Lémures stessi”[16].

Rilevante appare inoltre la circostanza che il pater familias, cioè colui che compie il rito nel passo Ovidiano, ripeta nove volte la formula libero me ed i miei avi con queste fave, segno questo, nota G. Mincione, che egli metteva in bocca nove fave per il masticamento rituale e le estraeva una alla volta nel ripetere la formula con le spalle voltate rispetto alla tomba dell’avo[17].

Ma, come si è detto in precedenza, Ovidio ci informa che i giorni dedicati nel mese di maggio ai riti in onore dei Lémures erano tre, e precisamente il 9, 11 e il 13 maggio. Poiché, secondo Plinio, il ciclo di fioritura delle fave si esaurisce il 9 maggio[18], si può dedurre a ragione, come ha sottolineato la Chirassi, “che il 9 maggio fosse anche il giorno centrale dei Lemuria, la nota festa del ritorno delle anime dei morti”[19] e pertanto il numero 9 viene a costituire l’elemento centrale ed unificatore dei terrificanti rituali.

Un legume ambiguo.

II periodo più antico del culto dei morti, connesso ad un terrore ancestrale[20], era denominato dunque Lemuria, spiriti insoddisfatti detti anche Lèmuri o Larve ed assai temibili, che tornavano sulla terra per
tormentare i vivi e perciò venivano pacificati nei giorni 9, 11 e 13 del mese.

Il momento culminante e misterioso del rituale, che aveva luogo a mezzanotte, era costituito come si è visto dalla masticazione di fave nere da parte del celebrante che, restando con le spalle voltate rispetto alla tomba dell’avo, ripeteva per nove volte la frase: “Io getto queste fave e con esse redimo me ed i miei avi”. Ed ogni volta gettava una fava masticata.

I motivi della masticazione appaiono evidenti. Le fave infatti (e qui bisogna intendere quelle secche), infuse nell’acqua, tingono quest’ultima di rosso rendendola simile al sangue, fenomeno dunque attivato anche dalla saliva. È da ritenersi pertanto che l’offerente, gettando le fave sulla tomba, era convinto di rigenerare il defunto con il sangue, sicché – come sottolinea la Chirassi – le fabae sembravano rappresentare i Lémures stessi[21].

Accanto alle notizie che testimoniano la centralità del legume nei rituali dei Parentales, e dei Lemuria, emergono tuttavia altre informazioni dal mondo classico che mal si conciliano con la visione inferica delle fave e del loro rapporto con il culto dei morti.

V’è innanzitutto un aspetto di carattere sanitario, se non igienico, che non sappiamo quanto abbia influito sulla negatività del legume sotto il profilo cultuale e religioso. È probabile, infatti, che sul divieto di cibarsi di fave, condensato nell’imperativo pitagorico “Astieniti dalle fave”, abbiano esercitato un decisivo influsso esigenze alimentari ben precise, in quanto la fava, mangiata fresca ed in grande quantità, fermenta nell’apparato digerente provocando seri disturbi allo stomaco, patologia
questa nota appunto come favismo. Inoltre, ci dice Plinto, le fave sono causa di offuscamento delle capacità sensoriali, di insonnia o di sogni cattivi[22], per cui Cicerone sottolinea che quo in somnis certiora videamus… faba Pytagorei utique abstinere, quasi vero eo cibo mens non venter infletur[23].

Vi sono inoltre ulteriori informazioni agronomiche contenute nei trattati De re rustica (Varrone, Columella, ecc.) le quali attestano che le fave erano particolarmente apprezzate dai ceti umili per il loro potere nutritivo, per cui Cicerone poteva affermare al riguardo che in rationem necessitas versa est. Questa “ambiguità” di cui è portatore il legume nel mondo romano rappresenta la proiezione di una duplice Weltanschauung, ciascuna delle quali appartiene a due strati sociali contrapposti, e riassumibile nei precetti a) Astieniti dalle fave e b) inter legumina faba, con accentuata valenza paremiologica. Sicché mentre per gli ambienti colti e letterari la fava costituisce un elemento fondamentale per i rituali chtonii o nella celebrazione dei Lemuria, per i ceti rurali e umili essa, come sostiene Plinio [Storia Naturale, XVIII, 119], “rappresenta un elemento più rustico, riservato ad una economia più
povera, specie quando erano in uso altri cereali”.

Ebbene, questa dicotomia, almeno alla luce dei documenti in nostro possesso, non si rinviene più nelle fonti storico-letterarie altomedievali ed alla sua eliminazione deve aver contribuito – non sappiamo in quale misura – anche la graduale diffusione del Cristianesimo, che ha cancellato ogni traccia di “inferico” nel legume, sovvertendo così completamente la concezione classica. Anzi, nelle prime comunità monastiche, le fave sono ritenute non solo di grande importanza per l’alimentazione, ma acquistano una patina di sacralità come se si trattasse di un dono elargito dal cielo.

Il rituale della “benedictio fabarum novarum”.

“I legumi – scrive il Montanari – costituivano fin dall’alto medioevo un fattore essenziale del regime alimentare di tutti gli strati sociali. Si trattava di fagioli, piselli, ceci, lenticchie, ma soprattutto della fava, di gran lunga il più diffuso e consumato, specialmente (ma non solo) fra i ceti popolari”[24].

In particolare, le fave secche venivano macinate e con la farina si confezionava appunto il “pane di fava”.

“La fava – sottolinea il Montanari – rappresentava un valore alimentare fondamentale, oggi totalmente perduto. Basti rilevare nei testi monastici… la centralità anche rituale di un avvenimento come la benedizione delle fave nuove[25]. Sia le Consuetudines Fructuarienses[26] che le Consuetudini di Ulrico, entrambe modellate all’esperienza cluniacense, ci offrono infatti un modello di ritualità legato al consumo delle fave che inizia dal momento della raccolta delle fabae novae benedicendo.

Dopo la raccolta e bollitura delle fave, il monaco “le benedice stando su un gradino davanti alla mensa, con il libro in mano e la stola al collo. Data la benedizione, il medesimo depone il libro in fondo alla tavola e prende in mano la scutella; facendo il giro del refettorio, porge ad ogni fratello presente un pugno di fave. Ricevendolo, ciascuno bacia la mano del sacerdote sicut ad hostias[27].

Le fave costituivano dunque l’elemento nutritivo di molte comunità monastiche, elargito anche ai pauperes che attendevano fuori il refettorio oppure ai pellegrini oltre il muro di cinta del convento.

Le Consuetudinì di Ulrico forniscono nell’XI secolo minuziose indicazioni sulla cottura delle fave in convento e sugli “utensili che non devono mai mancare in cucina”. Fra questi sono annoverati il caldarium per le fave, la cuppa per conservarle quando sono semicotte ed il cucchiaio ad fabas.

Era considerato quasi un sacrilegio l’uso di tali utensili per la cottura di altri cibi. Inoltre, le Antiquiores Consuetudines Cluniacensis Monasterii di Ulrico “non omettono di precisare che esclusivamente la cottura delle fave e quella degli ortaggi sono affidate personalmente ai monaci. Tutto il resto – anche gli altri legumi ed anche le fave stesse, quando sono fresche – non viene cucinato dai fratelli in
coquina regulari,
ma dai servi in alia coquina[28].

La preziosità e la ritualità cui si ricollega non concerne qui la fava fresca, facilmente reperibile durante il periodo di tempo della sua maturazione sui campi, bensì la fava secca, che religiosamente conservata
rappresentava nell’alimentazione monastica alto-medievale e soprattutto nei mesi invernali l’alimento base di molti pulmentaria, di quei piatti unici cioè a base di fave (o di altri legumi) ed altre sostanze.

Come ha evidenziato il Duby, vi è una continuità “pratica” fra le scelte alimentari della Regola Benedettina e l’alimentazione povera delle aree di tradizione romana, che coincidono essenzialmente con la regione mediterranea, la quale si aspettava innanzitutto dalla terra “cereali panificabili, vino e fave, e infine olio”[29].

Tuttavia, come “alimentazione dei poveri”, l’umile ma sostanziosa faba proietta la sua importanza oltre i confini del medioevo e si conferma vitale mezzo di sostentamento grazie al quale gruppi sociali pur diversificati vengono sottratti in periodi di guerra, carestia ed altre calamità naturali, alla morte per fame.

La faba dopo il medioevo e nella narrativa popolare

L’importanza della fava nell’alimentazione è attestata dopo il periodo medievale anche da fonti letterarie. “Io cenerò poche cose – scrive per es. il Machiavelli – ma tutte sustanzevole. In prima una insalata di cipolle cotte; di poi una mistura di fave e spezierie”[30]. Tuttavia è nella narrativa popolare in cui sono depositate le testimonianze più significative sul nostro legume, preposto, se non destinato, a lenire il morso della fame che da sempre ha attanagliato lo stomaco della povera gente.

È significativo in special modo un aneddoto popolare assai noto a Vasto e dintorni, riferitomi da un informatore residente in questa bella città adriatica. Si narra che un contadino sia accorso al Palazzo
Davalos per informare il suo Signore che alcuni miseri viandanti erano penetrati in uno dei terreni del marchese, coltivato a fave, ed avidamente si cibavano del fresco legume. Al che il Davalos (non sappiamo chi dell’illustre casato) rispose di “lasciar stare”, perché evidentemente essi erano molto affamati. Più tardi il contadino accorse di nuovo al palazzo, per riferire al suo Signore che gli stessi viandanti continuavano a mangiar fave ma senza le bucce. Il Davalos allora ordinò che fossero cacciati dal proprio terreno perché ormai erano sazi[31].

Collegati al culto di San Camillo de Lellis risultano interessanti sia un racconto popolare, assai noto a Bucchianico, che un miracolo contenuto negli atti del processo di beatificazione del Santo, pubblicati a Roma nel 1681[32]. Si narra che a Bucchianico, durante un periodo di carestia, la gente del luogo stremata dalla fame chiese aiuto a San Camillo, appena tornato da Roma. Il Santo invitò pertanto la popolazione (lu’ pòpele) a recarsi a mangiar fave in un terreno di sua proprietà che, a causa del gran numero delle persone accorse, fu in breve tempo devastato. Il mezzadro corse subito da “Padre Camillo” riferendo che le fave erano ormai finite e la gente, nel penetrare impetuosa nel podere, aveva devastato anche il recinto (la fratte) eretto con perizia dal mezzadro stesso. Al che San Camillo, preoccupato solo della gran fame dei nativi del luogo, disse al suo mezzadro: “Sai cosa devi fare? Il recinto sfascialo tutto!”. Nel processo di beatificazione di San Camillo, un teste, tal Geronimo Roncio di Bucchianico, dichiara quanto segue: “Nell’anno 1612, di marzo, io seminai nella vigna delli Padri di questa Terra… tre coppe in circa di queste fave… e perché nel mese di maggio seguente fu una gran carestia di grano, e li poveri di questo luogo pativano estremamente, occorse che il Padre Camillo venne qua, e vedendo tanta miseria e bisogno… diede a tutti licenzia, che andassero a mangiare le fave alla vigna delli suoi Padri a San Biaso. E perché molti di quelli erano molestati dal gabellotto per fargli pagare la pena per il danno che facevano alla detta vigna in cogliere le dette fave, il detto Padre Camillo, sapendo questo, mandò me a chiamare detto gabellotto… (al quale ordinò) che non molestasse i poveri che andavano a cogliere le dette fave…”. Il teste racconta poi che malgrado i poveri avessero mangiato tante fave, dal terreno si raccolsero 14 tomoli di fave secche, miracolo questo che da tutti fu attribuito a San Camillo.

Pan di fava e pan di frumento.

Nei periodi caratterizzati da abbondanza e migliori condizioni economiche, la fava assurge a simbolo di differenziazione sociale o di contrasto fra la popolazione del contado e quella di città.

Ce ne offre un esempio l’opera di G. C. Croce, dal titolo appunto Contrasto del pane di formento e quello di fava per la precedenza, pubblicata a Bologna nel 1617 per i tipi di Bartolomeo Cochi. Afferma infatti il pane di formento:

“Che sei venuto a fare in questo sito,

o pan di fava, ché fra i contadini

non vai, u’ sei amato e riverito?

Non ti vergogni a stare in ‘sti confini,

dove non sei gradito né prezzato,

come cibo contrario ai cittadini?

E però io ti torno a replicare
che tu torni di fuora tra i villani,
perché in luogo civil non sei da stare”[33].

Nel contrasto fra i due pani è adombrata, nota il Camporesi, “l’alterigia del cittadino nelle relazioni con il villano, resa ancor più acre e pungente dalla carestia che la città addebitava alla malizia delle genti
del contado; e l’entrata in città del pane di fava significava anche l’intrusione del contado e la dipendenza dell’economia cittadina dall’economia rurale: la degradazione del primato urbano vista e sentita attraverso l’impoverimento della tavola”[34]. Il mondo rurale ha rintuzzato tuttavia queste accuse in vari modi e soprattutto facendo ricorso alla paremiologia. Proverbi come farsi beffa delle fave, oppure – come scrive il Parabosco – il cielo manda le fave a chi non ha denti[35],  stanno a significare che “l’intrusione” del pan di fava in città è stata provvidenziale, perché nei periodi di carestia l’umile legume ha costituito un’ancora di salvezza per tutti i ceti sociali.

La fava nell’economia abruzzese.

La fava dunque, sia bollita per minestre che macinata per confezionare pani, ha rappresentato fino a tempi tutto sommato recenti non solo una grande risorsa per le “genti del contado”, ma anche un surrogato del frumento nei periodi di carestia, come appunto quella del 1764, a seguito della quale, scrive il Palma, “si propagò tra i nostri contadini l’uso di seminar il gran turco”[36] e la polenta di mais diventa così in Abruzzo – alquanto in ritardo rispetto ad altre regioni settentrionali – “l’alimento fondamentale e quasi esclusivo, che subentra a quello tradizionale assicurato in precedenza da altri cereali minori”[37], dato che la patata, dopo aver superato numerose diffidenze, si diffonderà in
Abruzzo a partire dal primo decennio dell’800, come dimostrano sia la statistica murattiana che un opuscolo a stampa del 1817 pubblicato a cura della “Reale Società Economica di Aquila”, di cui ci occuperemo prossimamente nella Rivista Abruzzese[38]. Tali diffidenze erano collegate non solo a difficoltà coltivatorie, dipendenti in collina e media montagna soprattutto dalla pioggia, ma scaturivano anche dalla diffusa convinzione che le fave possedessero proprietà nutritive eccellenti e superiori alle patate ed al granturco. Il consumo del mais, infatti, fenomeno osservato anche dal Goethe nel suo Italienische Reise, sarà accompagnato sottolinea E. Sereni [ivi, p. 233], “fin quasi ai tempi nostri da
quel terribile morbo quale è la pellagra”.

Non a caso osserva al riguardo il De Nino (siamo nel 1879): “Quando l’alimentazione delle nostre popolazioni era anche a base di fave, si aveva più salute e si campava di più. Ma a’ dì d’oggi, le fave sono pei carcerati! Sono per la povera gente”[39].

Ma se le fave costituivano uno degli alimenti base della “povera gente”, come precisa appunto il De Nino, a quanto ammontava in media la produzione annua di tale legume in Abruzzo? Una significativa indicazione ci viene offerta da Giuseppe Del Re nella prefazione ad un volumetto dal titolo “Calendario per l’anno bisestile 1820. Il IV del Regno di Ferdinando I”[40]. Nel redigere il quadro statistico della produzione agricola nelle Tre Provincia d’Abruzzo, il Del Re specifica [p. 133] che “alla stagione più o meno piovosa si raccolgono nei Tre Abruzzi: 280.000 tomola di fava; 24.000 tomola di ceci; 6.000 tomola di lenticchie; 50.000 tomola di fagiuoli”.

Si tratta di dati, dunque, che non reclamano alcun commento e confermano che le fave, in conseguenza del loro ampio uso nell’alimentazione quotidiana dei ceti rurali, occupavano il primo posto nella produzione dei legumi m Abruzzo. Premesso che la situazione non doveva essere, come riteniamo, diversa di molto nelle altre Province del regno di Napoli, ci sembra opportuno precisare che i dati riportati per l’Abruzzo daDel Re si riferiscono a varietà di fagioli diffusesi dopo la scoperta
dell’America, in quanto fino alla line del XV secolo “il vecchio mondo non aveva conosciuto che il fagiolo dell’occhio, del genere Dolichos”[41] .

La Costa di maggio e le ‘virtù’.

Il teste di Bucchianico ascoltato nel processo di beatificazione di San Camillo de Lellis riferisce, come si è visto, che nel mese di maggio del 1612 si verificò “una gran carestia di grano”, sicché il Santo diede ordine che i poveri del luogo si sfamassero con le fave seminate in un terreno vignato di proprietà dei Camilliani[42]. Anche se non esplicitamente chiarito nel verbale, il teste intendeva dire che erano finite le scorte di grano dell’anno precedente, al pari degli altri legumi, ed a causa delle forti gelate registratesi nella la primavera del 1612 i raccolti di verdure ed ortaggi andarono largamente distrutti.

Si trattava comunque di crisi cicliche causate dal gran freddo o dall’assenza di piogge nel periodo primaverile. Scrive per es. il Di Pietro che “se furono infauste a Solmona i rammentati anni 1647 e 1648, il seguente non fu men terribile; quasi nell’intiero Abruzzo soffrivasi un intiera, ed estrema carestia, onde il grano vendevasi fino a carlini trenta la coppa, ed in altri luoghi a maggior prezzo; i patimenti, che recarono siffatte penurie produssero in detta Città, e ne’convicini Paesi, una fierissima mortalità…”[43].

Le carestie esplodevano per lo più in tempo primaverile, rendendo drammatica l’esistenza dei contadini, un ceto sociale che cosi viene descritto dal Longano: “Generalmente i contadini sono fittuari annuali ed
è in arbitrio de’ proprietari di espellerli dà loro territorio… A molti manca la terra, o la sementa, o gli instromenti, o la salute, o lo stesso vitto”[44].

Al contadino, dunque, a questo “Erede” in senso Patiniano, si prospettava il problema dell’alimentazione nel primo periodo di maggio, caratterizzato dal quasi letale esaurimento delle scorte dell’annata agricola precedente e dall’assenza sui campi dei prodotti del nuovo ciclo coltivatorio. Questo periodo, angosciante, era tristemente noto nel mondo rurale come “costa di maggio”, il cui ricordo incute ancora oggi timore ai nostri vecchi per i numerosi decessi che causava.

Nel consultare il Liber Mortuorum conservato nella parrocchia di Collelongo, il Cianciusi riporta un elenco di persone morte in questa località della Marsica durante la carestia del 1764 ed i cui nominativi
sono preceduti dalla lugubre annotazione del parroco: fame interfectus, fame repente confecta ecc. Commenta l’A. al riguardo: “Morti di fame, sembra impossibile. E tutti alla costa di maggio!”[45].

Si trattava di una crisi ciclica determinata da una particolare condizione climatica che si manifesta tuttora nella fascia abruzzese-molisana ad aprile, un mese spesso assai freddo e caratterizzato anche a basse quote da abbondanti precipitazioni nevose e gelate. Tale situazione è riassunta da molti proverbi popolari abruzzesi, di cui riportiamo alcuni esempi in lingua: a) Chi non ha la legna d’aprile, fa una brutta fine; b) D’aprile, chi ebbe il fuoco campò, chi ebbe il pane morì. Essi sono sintetizzati efficacemente dal Longano allorché l’abate illuminista afferma che in Molise “Lo foco è in aprile più importante de lo pane”, mentre per l’area abruzzese il Fiordigigli sottolinea che il noto detto “Prima di Natale nè freddo, né fame; dopo Natale, freddo e fame” è scaturito dall’intenso freddo che si registra da sempre ad aprile nelle nostre contrade[46]. E proprio per salutare l’arrivo del primo mese caldo, era assai diffusa in Abruzzo l’usanza di cantare il maggio dietro le porte il primo del mese, atteso – come ci ricorda il Goethe nel famoso sonetto Komm, lieber Mai – con ansia e trepidazione[47].

Avviene dunque di frequente, fenomeno ancora oggi riscontrabile in Abruzzo, che a causa delle primavere assai fredde i legumi presentano un ritardo stagionale assai notevole per quanto concerne la loro maturazione e che comunque il primo di essi a fare la sua comparsa sui campi, anche perché più resistente alle intemperie, sia proprio l’umile fava, il primo dono della terra elargito agli uomini, un modo di manifestarsi della Provvidenza nella natura, donde la Benedictio fabarum novarum codificata nei rituali liturgici monastici e l’offerta di fave ai ceti più umili, particolarmente colpiti dalle carestie e costantemente minacciati dalla costa di maggio. Come ha notato efficacemente G. Di Menna, “se come si suol dire i fagioli sono la carne dei poveri, nelle colline abruzzesi le fave secche e fresche sono i legumi che salvano dalle carestie e dalla fame. Le stagioni propizie erano l’estate e l’autunno, in cui abbondavano la frutta e i raccolti, mentre decisamente infausti l’inverno e la primavera; ancora oggi nella tradizione orale contadina la costa di maggio – nel senso di difficoltà – è metafora di crisi alimentare, scarseggiando in questo mese le provviste e i prodotti dei campi”[48].

All’approssimarsi della costa di maggio ben poche manciate di granaglie e legumi giacevano infatti nel fondo dei sacchi afflosciati, immagine plastica di uno stato d’animo sull’orlo della disperazione. Per la
preparazione delle minestre costituenti l’unico pasto per la numerosa famiglia, venivano utilizzate necessariamente diverse qualità di legumi superstiti, bolliti e conditi con strutto. Granaglie e legumi, designati genericamente in Abruzzo granati e totemàje, venivano chiamati a Cittaducale e dintorni vertuti[49] e con il termine virtù sono sopravvissuti per indicare oggi un tipico piatto di legumi misti preparati per la ricorrenza del 1° maggio non solo nel Teramano ma anche in altre aree abruzzesi, soprattutto nella Valle dell’Aventino. Non mancano tuttavia testimonianze al riguardo in altre regioni meridionali[50].

Dell’antico e drammatico significato collegato al periodo di crisi della costa di maggio, le virtù hanno perso ogni traccia e soprattutto nel Teramano le allegre conviviali del 1° maggio, evidentemente non solo a base di legumi, acquistano il valore di aggregazione sociale e di celebrazione della Festa del Lavoro. Va segnalata una informazione del Prof. Italo Merlino, di Taranta Peligna, il quale ci ha riferito che in questo centro della Valle dell’Aventino le virtù, preparate dalle famiglie benestanti del luogo, venivano offerte ai poveri, a conferma della stessa usanza vigente a Torricella Peligna e di cui ci ha lasciato una precisa testimonianza il Finamore, con la differenza tuttavia che qui i legumi assumevano la designazione di granati.

Fave, Santi e Madonne

Non è un qualsiasi legume, dunque, che recita un ruolo importante nei racconti agiografici popolari, non i fagioli, le cicerchie, i ceci oppure le gustose lenticchie, per un piatto delle quali Esaù rinunciò al diritto di primogenitura, bensì è la fava, il legume benedetto dai Santi e dalla Madonna.

Il modello che predomina nei racconti popolari e nelle sacre leggende di cui sono protagonisti alcuni Santi che operano una fioritura precoce e perciò miracolosa delle fave, sembra scaturito nell’area abruzzese-molisana da un episodio registrato dal De Nino e relativo alla Madonna.

La Vergine, scrive il folklorista peligno, essendo inseguita dai Farisei, decide d’accordo con San Giuseppe di abbandonare le vie maestre, ormai insicure, e di fuggire per le campagne. Dopo aver maledetto un campo di lupini (“Non possiate mai saziare nessuno!”) perché secchi, rumorosi al passaggio della Sacra Famiglia e pertanto capaci di indicarne la direzione della fuga, la Madonna e San Giuseppe “entrarono in un campo dove si seminavano le fave. La Madonna benedisse il campo e andò via. I Farisei passarono vicino ai termini di quel campo, e domandarono ai contadini: – Fosse passata una donna col bambino e anche un vecchierello? – Risposero: – Ci son passati, sissignore. – E
quando? – Quando seminavamo queste fave. I Farisei, vedendo che le fave erano fiorite, tornarono indietro”[51]

Questa sacra leggenda si rinviene anche nella struttura narrativa di altri racconti popolari, di natura agiografica, relativi ad alcuni Santi.

San Domenico di Cocullo, narra uno di tali racconti, era inseguito dai cacciatori di un “paesello alpestre”, decisi ad ucciderlo. Nel fuggire egli passò per Prato Cardoso, località situata tra Cocullo e Villalago, mentre un contadino seminava nei pressi le fave. “Se chiedono di me – disse il santo monaco al contadino – rispondi che mi hai visto passare al momento della semina delle fave”. E così avvenne, ma il buon uomo non si era accorto, nell’informare i malvagi cacciatori, che le fave erano cresciute come per incanto”[52].

Significativo è anche l’intervento di alcuni santi in favore di contadini, sia se a costoro siano state rubate le fave (come nell’episodio registrato dalDe Nino in una non precisata località abruzzese)[53], sia se l’intervento stesso è finalizzato alla crescita delle fave fuori stagione.

Una contadina di Roccascalegna (Ch), sede di un antico santuario eretto a San Pancrazio[54], ci ha riferito la seguente leggenda. Un uomo di Roccascalegna doveva recarsi alla grande fiera del Primo Maggio che ha luogo a Casoli. Nel passare davanti al Santuario di San Pancrazio, egli incontrò un frate che gli consigliò di non andare alla fiera, ma di seminare le fave, perché grande era la penuria di cibo in quel momento.

Il pio contadino, pur restando meravigliato per il singolare consiglio, decise di non andare alla fiera e si recò invece a seminare le fave in un suo piccolo podere, ben consapevole che il legume era prossimo
alla maturazione, a giudicare almeno dai pochi campi in cui la semina aveva dato i suoi frutti.

La sua incredulità ebbe tuttavia breve durata, perché in pochi giorni le fave fiorirono e ad onore di quell’ umile frate che non era altro se non San Pancrazio, il quale in tal  modo assicurò la grascia per tutto l’anno alla famiglia del devoto contadino.

L’offerta devozionale delle fave

La sacralità conferisce alla fava anche un valore apotropaico, allorché il legume viene offerto e mangiato in particolari festività che cadenzano il ciclo dell’anno, come quelle di San Nicola di Bari (6 dicembre) e Sant’Antonio Abate (17 gennaio), con valenza simile a quella dei pani votivi.

Il rito della lessatura e distribuzione delle fave si svolge con particolare solennità a Pollutri nella ricorrenza di San Nicola ed ha costituito l’argomento di una delle più interessanti puntate televisive delle Storie del Silenzio, curate per l’emittente TVQ da Emiliano Giancristofaro. Allo stesso studioso si devono inoltre decisivi contribuii apparsi sull’argomento nella “Rivista Abruzzese”[55].

Un’area abruzzese caratterizzata dall’intenso culto per Sant’Antonio Abate è costituita com’è noto dalla Marsica. In occasione della ricorrenza del 17 gennaio a Luco dei Marsi viene distribuita una minestra di fave, consuetudine questa – come ci informa A. Melchiorre – che risale al 1652[56].

A Villavallelonga la cottura delle fave avviene nella vigilia della festa, cioè il 16 gennaio. I legumi (la favata) vengono fatti bollire come a Pollutri in grossi caldai di rame e distribuiti il giorno dopo
per devozione agli abitami del paese. In una nota inchiesta, E. Giancristofaro ha evidenziato come in questo centro della Marsica si confezionino caratteristiche corone di fave che, benedette in chiesa,
vengono poi infilate al collo dei bambini in chiara funzione protettiva. La corona di fave, che simboleggia “la crascia”, si conservava a Villavallelonga in casa per passarla – come ha dichiarato un contadino del luogo intervistato dal Giancristofaro – sulla mucca e sull’asino quando stavano male”, cioè quando tali animali “avevano il mal di pancia”[57]. L’usanza fa parte di un quadro comportamentale che potremmo definire codificato, per cui nelle società rurali ogni rituale preposto a propiziare salute e benessere delle persone si proietta anche verso gli animali che svolgono una funzione importante per l’economia del luogo.

Il ritorno dei Lémures

Vi sono – e non solo in Abruzzo – alcune costumanze, anche di carattere alimentare, che lasciano supporre come alcuni rituali chtonii o legati al culto dei morti nel mondo classico, non siano mai caduti in disuso e siano invece pervenuti fino a noi filtrati soprattutto dai mutamenti operati dal calendario liturgico chiesastico, i quali hanno proiettato al 2 novembre alcuni aspetti legati al culto dei Lémures nel mese di maggio.

Dal Dizionario etimologico dei termini dialettali di Atessa, redatto nel 1815 dal sacerdote Tommaso Bartoletti e per quanto ci risulta ancora allo stato di manoscritto, si apprende che in questa località vigeva l’usanza di “darsi la fava nel dì due novembre, giorno della Commemorazione dei defunti”[58].

In molte regioni si confezionano ancora oggi per tale ricorrenza dei tipici dolci chiamati Fave dei morti, mentre confetti a forma di fava, ottenuti con pasta di mandorla colorata, erano prodotti a Sulmona dalle aziende del settore ancora all’indomani del secondo conflitto mondiale.

Poiché sono ancora vive oggi nei nostri paesi, come ad Anversa degli Abruzzi ed a Raiano, le credenze relative al ritorno dei morti ed alla processione che, come si ritiene, i defunti svolgerebbero nella notte del 2 novembre, v’è da supporre che la coltura e la distribuzione delle fave come “cibo dei morti” fosse assai diffusa in tale ricorrenza, anche se al di fuori di alcune notizie contenute negli “Usi e Costumi Abruzzesi” del De Nino non ci sono state tramandate precise testimonianze al riguardo.

Certamente quest’ultimo aspetto merita di essere approfondito dagli studiosi in possesso di ulteriori notizie al riguardo, anche se esse non esauriscono la complessa tematica della sacralità del legume.

Non è stato analizzato per es. in tale sede l’uso delle fave (perché non altri legumi?) nelle deliberazioni comunali soprattutto nel periodo rinascimentale (fava nera per l’assenso e bianca per il dissenso) e che
trova la sua massima espressione nell’istituto della “Balia delle 6 fave”, mediante la quale la Signoria di Firenze aveva facoltà di prendere alcune decisioni con l’approvazione dei soli due terzi del Collegio, cioè 6 voti e dunque 6 fave. Inoltre alcuni documenti del XVIII secolo ci parlano dell’usanza, soprattutto da parte dei parroci dei piccoli paesi, di servirsi per il conteggio dei giorni e dei mesi di una zucca essiccata e riempita di tante fave quanti erano i giorni dell’anno e non di normali almanacchi o lunari, da essi considerati “opera del diavolo”, circostanza questa che era all’origine di clamorosi errori di calcolo e di cui parleremo in uno dei prossimi numeri della “Rivista Abruzzese”.

Ritornando ora alla sacralità delle fave nell’agiografia popolare abruzzese, va detto che seppure non esaustivi, le testimonianze ed i documenti analizzati ci permettono di affermare, nel concludere il nostro singolare argomento, che l’umile fava ha saputo riscattare la negatività cui il mondo classico l’aveva condannata, sottraendo alla morte per fame – per essere il primo legume stagionale – non pochi diseredati durante le carestie o quel terribile e ciclico periodo noto tristemente come costa di maggio. In tal modo la fava perde la sua naturale qualità di semplice legume per diventare, anche a livello sovrastrutturale, un dono della Provvidenza elargito agli uomini e benedetto da Santi e Madonne.


[1] B. russel, Storia della filosofia occidentale, vol. I, p. 60, Bologna 1971. Scrive la Chirassi che “il luogo di origine della coltivazione delle fave sembra essere stato il Nord Africa o la zona caspica…, nella varietà nota come vicia faba. Cfr. Ida
chirassi, Elementi di culture precereali nei miti e riti greci,p. 39, Roma 1968.

[2] R. beitl, Handwörterbuch der deutschen Volkskunde, s.v., Bohne, Stoccarda, 1974

[3] R. beitl., ivi.

[4] G. lydo, De Mensibus, IV. 41, a cura di F. Semi, Venezia 1965.

[5] I. CHIRASSI, ivi, p. 42.

[6] plutarco, Moralia, 635.

[7] G. LYDO, ivi.

[8] Cfr. G. mincione, Un antico rito magico nei Fasti di Ovidio. in “Ricerche e studi su Ovidio”, p. 75 sgg., Penne 1983.

[9] “Februm Sabini purgamentum et id in sacris nostris verbum”. Cfr. T. varrone, De lingua latina, a cura di F. Semi, VI, 13, Venezia 1965.

[10] A. pastorino, La religione romana, p. 86, Torino 1973.

[11] R. bloch, La religione romana, in “Storia delle Religioni”, a cura di Henri – Charles Pulch, vol. III, p. 187, Bari 1976.

[12] Fasti, II, vv. 553-554; traduzione a cura di F. Bernini, Bologna 1968.

[13] Fasti, V. vv. 491-92. Trad. a cura di F. Bernini, Bologna 1968. Secondo Plinio i numeri dispari “sono in tutto e per tutto più efficaci”. Cfr. Storia Naturale, XXVIII, 23, vol. IV, Ediz. Einaudi, Torino 1986.

[14] G. mincione, op. cit., p. 85.

[15] R. beitl, op. cit., s. v. Schvarz.

[16] I. chirassi, op. cit., p. 43.

[17] G. mincione, ivi,p. 93.

[18] plinio, Storia Naturale, XVIII, 53.

[19] I. chirassi, op. cit., p. 53.

[20] G. mincione, ivi. p. 83.

[21] I. chirassi, op. cit., p. 43 sgg.

[22] Storia Naturale, XVIII, 118.

[23] cicerone, De divinatione, II, 58, 119.

[24] M. montanari, Alimentazione e cultura nel medio evo, p. 83, Bari 1988.

[25] M. montanari, ivi, p. 83.

[26] Cfr. G. penco, Le “Consuetudines Fructuarienses” in “Monasteri in Alta Italia dopo le invasioni saracene e magiare (sec. X-XII)”, p. 139 sgg., Torino 1966.

[27] M. montanari, ivi, p. 83.

[28] M. MONTANARI, ivi, p. 85.

[29] Cfr. M. duby, Le origini dell’economia europea. Guerrieri e contadini nel Medioevo, p. 23 sgg., Bari 1975.

[30] N. machiavelli, Lettere, p. 212, Milano 1961.

[31] Sig. Paolo Del Casale, commerciante di Vasto, che in tale sede ringrazio vivamente. Tale aneddoto ci ricorda un altro episodio. Al porto di Vasto, Fra’ Serafino Razzi poté osservare che in un grande battello commerciale un gruppo di mozzi “sedendo a una bassa tavola, con silenzio mangiarono biscotto con fave col guscio in più piatti… e come la maggior parte di loro haveano i mestolini di legno per meglio raccorre dette fave…”. Cfr. S. razzi, Viaggi in Abruzzo, p. 241, L’Aquila 1968, a cura di B. Carderi.

[32] Cfr. G. DI Menna-S. Sulpizio, Le feste contadine. Eredità storica e continuità a Bucchianico, p. 68 sgg., Francavilla al Mare 1988.

[33] P. camporesi, Il Paese della fame, p. 192, Bologna 1985.

[34] P. camporesi, ivi, p. 192.

[35] G. parabosco, I diporti, V, 20, Venezia 1550; ristampa anastatica Venezia 1982.

[36] N. palma, Storia ecclesiastica e civile della Regione più settentrionale del Regno di Napoli ecc., oggi Città di Teramo e Diocesi aprutina, vol. III, p. 221, Teramo 1833. Nell’area peligna la coltivazione del granturco risale addirittura al primo decennio dell’800. Panfilo Serafini scriveva infatti nella nota Monografia di Sulmona apparsa nel 1853 ne “II Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato”, che “il grano turco si coltiva da un 40 anni a questa parte”. Cfr. anche G. coppola, Il mais in Lombardia, p. 146, Bologna 1979.

[37] E. sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, p. 231, Bari 1989.

[38] Va notato tuttavia che il giurista Pasquale Liberatore fin dal 1806 auspicava per la prov. di Chieti la coltivazione “de’ tartufi americani, detti volgarmente patate”, invece del granturco, che nel chietino, secondo l’A., aveva sostituito altri cereali da “70 anni”. A conti fatti, dunque, dagli anni 1736-1737. Si tratta senz’altro di una notizia sorprendente che non siamo stati in grado di verificare ed in forte contrasto con quanto affermato dal Palma e dal Serafini (cfr. nota 12). Cfr. P. liberatore, Pensieri civili, economici, sul miglioramento della Provincia di Chieti, ecc., vol I. p. 18, Napoli 1806.

[39] A. de nino, Usi abruzzesi, vol. I, p. 118. Firenze 1879.

[40] Stampato a Napoli nel 1820, con una cartina degli Abruzzi.

[41] E. sereni, ivi, p 230 sgg.

[42] Le vigne coltivate anche a fave rispondevano alla necessità di arricchire il terreno di azoto, contenuto nel legume.

[43] I. Di pietro, Memorie Istoriche della Città di Solmona, p. 347, Napoli 1804.

[44] F. longano, Viaggio per lo Contado del Molise, Napoli 1788, p. 60 della ristampa a cura di R. Lalli, Isernia 1980.

[45] W. cianciusi, Collelongo. Abruzzo Ulteriore II, p. 151, Teramo 1972, Per una diversa interpretazione dell’espressione costa di maggio, da ricollegarsi alle “giornate più lunghe” ed alla “maggior fatica annuale” cui era sottoposto all’inizio di maggio il mondo rurale per i lavori sui campi, cfr. E. giancristofaro, Totemajje. Viaggio nella
cultura popolare abruzzese,
p. 222. Lanciano 1978.

[46] G. fiordigigli, Dal Gran Sasso alla Maiella, p. 47, Teramo 1989.

[47] Cfr. A. de NINO, Usi Abruzzesi, vol. 1, op. cit., p. 171. E. giancri.stofaro, La Pagliaretta di Atessa, in “Rivista Abruzzese”, n. 4, 1989, p. 289 sgg.

[48] G. Di menna, Le abitudini alimentari alla fine del ‘500, in AA, VV., “Cucina d’Abruzzo. Appunti per una storia della cultura alimentare”, p. 14, Bucchianico 1995, Id., A. de cecco, Cultura alimentare tra Settecento e Ottocento nell’Abruzzo Collinare, p. 19 sgg. Alle carestie si aggiungevano spesso calamità naturali. Nel Teramano, nel maggio del 1547, le piogge continue e violente – scrive l’Antinori – travolsero tutti i mulini e non potendosi macinare, “si patì di pane molti giorni, ed alcuni ebbero necessità di ricorrere a minestre di fave fresche o secche…”, cfr. A. L. antinori, Annali d’Abruzzo, ed. anast., vol. XIX, p. 284, Bologna 1972. T. ashby ricorda che nella festa di San Domenico di Cocullo (1909) poche serpi potettero essere gettate sulla statua poiché nei primi giorni di maggio in paese e nei dintorni c’erano stati 30 cm. di neve.

[49] Cfr. M. javicoli, Tradizioni popolari abruzzesi. Cibi di rito, in “L’Abruzzo”, n. 2. 1929. A Torino di Sangro, ci informa il Priori, nove tipi di legumi e granaglie venivano cotti in un recipiente di coccio chiamato “la pignate de lu prime de magge”. Cfr. D. priori, Folklore abruzzese (Torino di Sangro), p. 101, Lanciano 1964. Questi tipici piatti composti da diversi legumi vengono preparati in Abruzzo anche in occasione della festa di S. Antonio Abate ed assumono la denominazione di granati o cecigranati con funzione apotropaica e propiziatoria.

[50] In molti centri del Cilento. “il primo maggio si cucina nelle famiglie legate alla tradizione la cuccia, costituita da ogni sorta di legumi e granaglie bollite, la quale viene distribuita anche ai poveri per assicurare un buon raccolto… Inoltre, si crede che questo cibo protegga dagli assalti dei moscerini d’estate… A Buonabitacolo la preparazione avviene per strada, davanti a un grosso fuoco, con grano e legumi raccolti in tutte le case e poi distribuita al paese, con la raccomandazione di mangiarne perché difendeva dai noiosi insetti. … A Casalbuono, quando è pronta la cuccia, si radunano i bambini in cerchio e la donna più anziana del vicinato, prima di distribuirla ai presenti, ne lancia qualche mestolo in aria, facendo un segno di croce”. Cfr. A. tortorella, A l’us andicu. Le tradizioni nel vallo di Diano, p. 211, Salerno 1982. L’autore ci informa che “la cuccia” si prepara in molti paesi della Calabria il 6 dicembre per la lesta di San Nicola di Bari.

[51] A. De NINO, Usi e costumi abruzzesi. vol. IV, p. 36 sgg., Firenze 1887. Sulla maledizione dei lupini vedasi anche G. Finamore, Quando Cristo andava per il mondo, in “Archivio per lo studio delle tradizioni popolari”, vol. IV, p. 472, Palermo 1885. Queste leggende popolari del Finamore su Cristo, Apostoli e Santi sono state di recente ripubblicate a cura di M. C. Nicolai per i tipi dell’Ed. Polla, Cerchio 1992.

[52] Cfr. A. D’ANTONIO, Villalago, Storia, leggenda, usi, costumi, p. 139, Pescara 1976. G. CELIDONIO, Monistero di S. Pietro in lago, p. 6. Casalbordino 1910. Circa il “paesello alpestre” precisa il Celidonio (ivi) che “gli scrittori non lo nominano, ma era Castrovalva. i cui abitanti anche oggi si bollano col nomignolo di persèguitasanti”.

[53] Cfr. A. DE NINO, Tradizioni popolari abruzzesi. Scritti inediti e rari.  a cura di B. Mosca, vol. I, pp. 308-309. L’Aquila 1970.

[54] Sig.ra Cianci Maria, contadina, di anni 50. Di questa sacra leggenda e dell’esistenza di un Santuario dedicato a San Pancrazio siamo venuti a conoscenza dopo la pubblicazione del nostro lavoro dal titolo Il culto di S. Pancrazio a Carapelle, in “Homines de Carapellae. Storia e Archeologia della Baronia di Carapelle”, Bullettino DASP, Studi e Testi, n. 10, p. 125 sgg., L’Aquila 1988.

[55] Ricordiamo soprattutto, di E. GIANCRISTOFARO, Le tavolette devozionali, in “Rivista Abruzzese”, n. 2, 1991, p. 115 sgg., contenente una ricca bibliografia sull’argomento.

[56] Cfr. A. MELCHIORRE, Tradizioni popolari della Marsica, p. 6.5 sgg., Roma 1984.

[57] E. GIANCRISTOFARO, La Panarda in “Rivista Abruzzese”, n. 2, 1993, p. 125. Vedasi al riguardo anche A. DI NOLA, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, p. 187 sgg., ‘Torino 1976; L. palozzi, Storia di Villavallelonga, p. 211 sgg., Roma 1982.

[58] Cfr. E. GIANCRISTOFARO, Ancora  tracce del verde Giorgio in Abruzzo, in “Rivista Abruzzese”, n. 4, 1989, p. 292.




DOMANI SI VOTA

Dopo la Sardegna tocca all’Abruzzo. Si vota domani dalle 7 alle 23. Due sono i candidati: Marco Marsilio e Luciano D’Amico

Torrevecchia Teatina, 9 marzo 2024. Come si vota?  Munirsi di tessera elettorale e documento di riconoscimento. L’Ufficio elettorale del Comune è sempre aperto per eventuali smarrimenti. Recarsi presso il proprio seggio; vi sarà consegnata una sola scheda, di colore verde, con una matita copiativa.

Non è consentito il voto disgiunto, quindi l’elettore ha tre possibilità di voto:

  1. votare un candidato presidente, e il voto non si estende alle liste a esso collegate
  2. votare una lista, e il voto si estende anche al candidato presidente a essa collegato
  3. votare un candidato presidente e una delle liste collegate

Attenzione: la scheda verrà considerata nulla esprimendo un voto per un candidato presidente e uno per una lista diversa da quelle a lui collegate

L’elettore può esprimere uno o due voti di preferenza per i candidati consigliere di una sola lista prescelta, scrivendo il cognome o il nome e cognome in caso di omonimia.

Se si esprimono due voti di preferenza, è obbligatorio che siano di genere diverso: una donna e un uomo, o viceversa, purché della stessa lista. In caso contrario la seconda preferenza espressa è considerata nulla e resta valida solo la prima.

Espresso il voto, la scheda deve essere ripiegata correttamente e depositata nell’urna, insieme alla matita copiativa.




LE MOLESTIE SUL LAVORO

Sette donne su dieci le subiscono

Politicainsieme.com, 9 marzo 2024. La Fondazione Libellula ha condotto un’indagine (L.E.I. – Lavoro, Equità, Inclusione) su oltre 11 mila donne sulla violenza di genere e le discriminazioni registrate nei luoghi di lavoro in Italia dal quale emerge che circa 7 su 10 si sono dichiarate vittime di molestie.

Il 70% del campione ha dichiarato di aver ascoltato battute sessiste o volgari, e la cosa ha riguardato soprattutto le lavoratrici che non hanno un partner stabile o che lavorano nelle piccole aziende.

Il rapporto prosegue registrando che il 43% delle donne intervistate ha dichiarato di aver dovuto subire avance esplicite indesiderate, che il 27% ha segnalato richieste e comportamenti di natura sessuale non graditi o non sollecitati e il 40% ha subito contatti fisici indesiderati.




LUCE D’ABRUZZO

Concorso fotografico

Roseto degli Abruzzi, 9 marzo 2024. Il Lions Club ‘Roseto degli Abruzzi Valle del Vomano’ promuove  la terza edizione del concorso fotografico dal titolo  “Luce D’Abruzzo”, 

la Giuria, presieduta da Piero Del Governatore – fotografo e composta da Elio Torlontano, Console regionale del Touring Club Italiano per l’Abruzzo e Coordinatore del Club di territorio di Pescara, Riccardo Celommi, pittore; Elvira Grilli regista; Vincenzo Arangiaro, architetto; Mirella Lelli giornalista, premierà lo scatto che saprà cogliere e interpretare la luce migliore per enfatizzare il soggetto scelto, che sia un paesaggio o un monumento della nostra terra.

Il concorso si avvale del patrocinio del Touring Club Italiano – Club di territorio di Pescara.

Si può partecipare con scatti realizzati con fotocamere professionali, con le compatte ma anche con lo smartphone, l’importante è scattare una foto che parli al cuore e che sappia interpretare la passione per la terra d’Abruzzo.

Ogni concorrente potrà partecipare con una sola foto, a colori o in bianco e nero, non sono ammesse foto con margini. Il materiale fotografico partecipante al concorso deve essere inedito.

La quota di iscrizione di 10 euro deve essere versata tramite bonifico bancario sull’IBAN IT20U0708677020000000016543 intestato al Club Lions organizzatore, indicando la causale “Quota di partecipazione Concorso Fotografico” – oltre al nome e cognome.

Una copia del versamento e la foto in formato JPG – risoluzione minima 300 dpi –

Le foto vanno spedite  entro le 23.59 del 31 maggio 2024  a questo indirizzo e-mail:  gst@lcrosetovalledelvomano.it

Nell’oggetto della mail dovrà essere indicato il titolo del concorso “Luce D’Abruzzo”; nel testo della mail si dovrà scrivere nome e cognome dell’autore, titolo della foto, il luogo dove è stata scattata la foto e un breve commento.

Al primo classificato andrà un premio in denaro di 300 euro, al secondo e al terzo classificati una targa, nonché attestati di merito per i primi dieci classificati.

REGOLAMENTO

1. Il concorso è aperto a tutti. Unico requisito la maggiore età.

2. Ciascun partecipante potrà presentare solo UNA Fotografia, in formato jpeg, a colori o in bianco e nero.

3. La fotografia deve avere una risoluzione minima di 300  dpi.

4. Non verranno ammessi fotomontaggi.

5. Saranno altresì escluse le fotografie con contenuti offensivi della pubblica morale o inneggianti alla violenza, o comunque offensive rispetto a qualsiasi creatura vivente. Saranno altresì escluse le fotografie che ritraggano figure umane riconoscibili.

6. La quota di partecipazione è di euro 10,00 e dovrà essere versata a mezzo bonifico bancario Conto corrente intestato a: Lions Club Roseto degli Abruzzi Valle del Vomano, Iban: IT 20 U 07086 77020 00000 0016543, indicando nella causale: “Quota Partecipazione Concorso Fotografico, Nome Cognome” e copia della relativa ricevuta di versamento dovrà essere allegata all’e-mail.

7. La fotografia e la copia della ricevuta del versamento dovranno pervenire con una unica e-mail all’indirizzo  :  gst@lcrosetovalledelvomano.it  entro e non oltre le ore 23:59 del 31 maggio 2024; la quota versata e il materiale inviato non saranno restituiti in alcun caso.

Nell’oggetto dell’e-mail dovrà essere indicato il Titolo del concorso “Luce D’Abruzzo”.

Nel testo dell’e-mail dovrà essere indicato:

a. Nome e Cognome dell’autore;

b. Titolo dell’opera;

c. Luogo dove è stata scattata la foto;

d. Un breve commento.

Alla e-mail dovrà essere allegato:

a. File della foto in bianco e nero o a colori in formato jpeg;

b. Ricevuta di pagamento del contributo di partecipazione di euro 10,00.

8. Il materiale inviato e la fotografia vincitrice saranno valutati in completo anonimato (ad ogni fotografia verrà attribuito un numero, e il nominativo dell’autore sarà svelato solo a scelta avvenuta) e a giudizio inappellabile della Giuria citata nel bando.

9. Il materiale inviato non sarà restituito e, con l’invio, l’autore ne cederà tutti i diritti al LC Roseto degli Abruzzi Valle del Vomano autorizzando, a titolo gratuito, il Lions Club Roseto degli Abruzzi Valle del Vomano, e quanti ad esso collegati, a pubblicare le immagini/fotografie inviate nell’ambito del concorso fotografico “Tra le nuvole”, ad utilizzarle nella mostra fotografica legata al concorso, nonché in altre eventuali pubblicazioni sia cartacee sia elettroniche.

10. Il materiale fotografico partecipante al concorso deve essere inedito e non deve violare in alcun modo i diritti di terzi, le leggi e i regolamenti esistenti e il partecipante si assume ogni responsabilità relativa al contenuto, sollevando sin d’ora gli organizzatori da qualsiasi responsabilità inerente alla pubblicazione dello stesso.

La partecipazione al concorso comporta l’integrale accettazione del presente Regolamento.