di Domenico Romanelli. Pubblicato in “Fossacesia Estate 2002”, a cura di A. Piccirilli, Fossacesia 2002
Di Franco Cercone
La decisione di ristampare i due volumi (editi tra il 1805 e il l809) del grande storico di Fossacesia è stata assunta dal benemerito Circolo Culturale “Lo Scrigno” di Fossacesia.
Fonte storica di primaria importanza fu considerata da Giovanni Pansa un’opera di Domenico Romanelli dal titolo “Scoverte patrie di Città distrutte e di altre antichità nella regione dei Frentani, oggi Abruzzo Citeriore nel Regno di Napoli”. Essa è nota tuttavia come “Scoverte patrie” e con tale
abbreviazione si rinviene citata presso tutti gli eruditi nel corso dell’800 e nella prima metà del secolo successivo, fino a scomparire – opera ed autore! – nel recente volume “Conosci l’Abruzzo, Almanacco
Abruzzese l995”, Chieti Scalo 1999. Infatti, nel secondo volume di tale Almanacco, dedicato a paesi e città della Provincia di Chieti, vengono del tutto ignorati, sub voce Fossacesia, non solo l’abate Domenico Romanelli, ma anche l’altro figlio illustre di questa splendida Terra, quel Pietro Polidoro, cioè, che qui nacque nel 1687 e del quale il Romanelli rappresenta l’erede ed il continuatore, almeno nel campo delle indagini di carattere storico-archeologico, nell’area frentana.
Nelle intenzioni del Circolo Culturale “Lo Scrigno”, che anima la vita storico-culturale di Fossacesia, va concretizzandosi da qualche tempo l’idea di ristampare le “Scoverte patrie” di Domenico Romanelli, una copia delle quali giace sicuramente nella Biblioteca Provinciale di Pescara, costituitasi com’è noto con l’acquisto della Biblioteca Giovanni Pansa, famoso storico, numismatico, folklorista, nato a Sulmona nel 1865 ed autore di due notissimi volumi dal titolo “Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo”. Per il Pansa le “Scoverte patrie” del Romanelli costituiscono una fonte etnografica di indiscutibile importanza, donde le frequenti citazioni che si rinvengono nei due volumi di “Miti e leggende”.
Così per il Pansa nell’analizzare la formazione del mito del drago di Atessa, diventa di primaria importanza una notizia riportata dal Romanelli nel XI Tomo delle sue “Scoverte patrie”, secondo la quale la famosa costola esistente nella chiesa di S.Leucio ad Atessa non era l’unica appartenente, secondo la tradizione, al mitico drago che infestava l’agro di Ate e Tixa, ma al contrario, “faceva parte d’un cumulo di ossa gigantesche trovate in Atessa in una località denominata “Valdarno”… ed appartenente ad un Elephas pleistocenico”.
Abate, sì, il Romanelli, ma non privo di spirito critico di stampo illuministico.
Non meno importanti sono le notizie riferite dal Romanelli sul monaco Attone, di S. Giovanni in Venere, relative ad un episodio avvenuto nel 1062 ad Aterno, l’odierna Pescara, e di cui il Pansa fa tesoro nel 11° volume di “Miti e leggende”. Ad Aterno infatti alcuni ebrei avevano disegnato su una tavola la figura di Gesù crocifisso e l’avevano introdotta nella sinagoga del luogo, diventata in seguito la chiesa di Santa Gerusalemme, per trasformarla in bersaglio al tiro con l’arco. “Ma con meraviglia e sgomento di tutti – continua il racconto contenuto in un codice del XI secolo e consultato dal Romanelli – da quelle trafitture incominciò a sgorgare tanto sangue che il pavimento ne fu inondato”.
Non di minore importanza è un episodio riferito dal Romanelli sulla base di documenti oggi non più reperibili, relativo ai saccheggi operati dai crociati accampati alla foce del Sangro, prima di imbarcarsi
per la Terra Santa. Alla preziosità delle notizie storico-etnografiche desunte dal Romanelli da codici andati dispersi, non fanno eco i riferimenti archeologici ed epigrafici del Nostro, sui quali gli studiosi dell’epoca successiva, e soprattutto il Mommsen, avanzarono non poche riserve. Il Mommsen in particolare, che nel periodo 1856-57 peregrinò per l’area peligna (soprattutto a Corfinio) e nel medio corso del Sangro alla ricerca di fonti epigrafiche per il suo monumentale “Corpus lscriptionum Latinarum”, parla addirittura di “Romanelli incredibilis socordia” (CIL, IX, 2815) a proposito di una
iscrizione “aufidenate” registrata dal Romanelli e non accolta dal Tedesco.
A scendere in campo per difendere l’opera dell’Abate di Fossacesia fu più tardi lo stesso Giovanni Pansa, con un articolo apparso nel 1919 sulla “Rivista Abruzzese di Scienze, Lettere ed Arti” e dal titolo significativo “I monumenti epigrafici dell’Abruzzo e la malafede critica dei tedeschi”.
In esso il Pansa sottolinea il valido contributo offerto dal Romanelli alla storia d’Abruzzo mediante le sue “Scoverte patrie” ed un’altra opera “Antica topografia dei Marruccini e dei Peligni”, pubblicata a Napoli nel 1919. Sicché nel nome di Giovanni Pansa e Domenico Romanelli, Sulmona e Fossacesia si rinvengono idealmente congiunte dal “mirabile spirito di intenti” che anima le opere dei due studiosi, protési alla ricostruzione di quell’affascinante poema epico che è appunto la storia d’Abruzzo. Ben farebbe quindi la civica amministrazione di Fossacesia a tramandare il nome di Giovanni Pansa, dedicando allo storico di Sulmona una via cittadina a ricordo degli “amorosi sensi” che lo legavano a Domenico Romanelli.
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