UN PERCORSO INESPLORATO        

Con l’amico Antonio De Acetis esperto del suo territorio, ho scoperto i ruderi di una civiltà non tanto lontana, dove gli abitanti vivevano con i prodotti della terra e della pastorizia. L’amico Antonio De Acetis mi ha voluto regalare emozioni, nell’esplorare un territorio solo a lui noto. Il territorio esplorato si trova nella Frazione di San Tommaso del comune di Caramanico Terme, in provincia di Pescara. Non c’è sentiero, né indicazioni, ne ho trovato solo una, SCRITTA A MANO su un pezzo di legno, CON VERNICE BIANCA– VAL SANS RETOUR – VALLE SENZA RITORNO “.

Infatti, c’è la difficoltà del percorso nel bosco”, con rovi e coltivazione incolta. Ho goduto, mentre camminavo, per le tante fioriture di ciclamino e pungitopo, che facevano a gara, come dipingere il prato… VIOLA O ROSSO? Ci incamminiamo su un esteso prato e poi, ci inoltriamo nel bosco. Vedo una roccia a forma di parallelepipedo, alta più di due metri, lunga circa tre metri e larga circa un metro e mezzo. Antonio si arrampica, io lo seguo… c’è una cavità … è un PALMENTO RUPESTRE, (ha origine dal latino pavimentum), che era utilizzata per la pigiatura dell’uva e la fermentazione dei mosti, ma anche per macinare i chicchi di grano, che si riducono in frammenti più o meno fini.

Il suo utilizzo risale al 2500 a.C. La vasca era piena di erba, d’altronde nessuno ha pensato ad arrampicarsi e salirci sopra. I palmenti rupestri erano costruiti in campagna, con rocce impermeabili che ne permettevano lo scavo, vicino ai campi coltivati. Erano forniti di due vasche, comunicanti tramite una fessura e sistemate, su altezze differenti. Nella vasca superiore l’uva veniva pigiata, mentre in quella sottostante si lasciava cadere il mosto, per la fermentazione. Lo scavo veniva fatto con attrezzi, usati in quella epoca. È UN CAPOLAVORO RURALE. CHE SCOPERTA! Camminando su un terreno, sconsigliato per chi ci si avventura per la prima volta, scopro un ricovero basso per soli animali, costruito con ingegno. Poco distante, un’altra costruzione sempre in pietra, ma rotonda, evidentemente più difficoltoso a realizzarla. Stupisce l’architrave, una opera di ingegneria per la sua sistemazione.

Quanto lavoro e passione… Ma non finisce qui, perché arriviamo sulla carrareccia che collegava SAN TOMMASO A MUSELLARO, una frazione del comune di Bolognano, PE. Si distingue una costruzione a più piani, con ingressi semicircolari e un grande forno, oggi quasi ricoperto dalla terra. Era una vecchia contrada e si racconta che molte persone, venivano qui ad acquistare il pane, che doveva essere di una bontà speciale. Essendo questo territorio ricco di fonti e del torrente RIO, prosperava l’agricoltura e l’allevamento di bestiame. Lo confermano i terrazzamenti. Il torrente RIO ha origine nelle vicinanze di Fonte D’Acero, si sviluppa per circa 4 chilometri e si immette nel fiume ORTA, a monte del ponte Luco. Si può notare nel video realizzato da Antonio de Acetis, la grande portata di acqua di questo ruscello. Ora, con il cambiamento climatico, i fiumi e i torrenti, hanno poca acqua e le fonti sono quasi asciutte.

Alla fine di questa escursione, ho visitato la chiesa in stile romanica, che in origine era dedicata a San Thomas Becket, l’arcivescovo di Canterbury assassinato nel 1170, mentre celebrava una funzione religiosa nella sua cattedrale. Anche la chiesa è situata nella Frazione di San Tommaso, dove precedentemente c’era un antico tempio dedicato ad Ercole Curino, divinità molto venerata dai popoli italici, considerato protettore di pastori e viandanti ed invocato per garantire la fertilità dei terreni. Di particolare interesse è la cripta, (vano ricavato al di sotto del pavimento della chiesa), dove è presente un pozzo d’acqua sorgiva, necessario allo svolgimento degli antichi rituali rivolti al dio e che testimonia, la presenza di un tempio pagano. All’interno della chiesa, ci sono colonne massicce a pianta quadrata, che sorreggono la copertura della chiesa, ma a contrasto, c’è un’esile colonnina con un bel capitello, con la base di proporzioni ampie e scomposte. È LA COLONNA SANTA. La leggenda popolare racconta che questa colonna, è chiamata “santa”, perché è stata portata in loco da un angelo ed i fedeli, ancora oggi, ne lodano le sue proprietà taumaturgiche e curative, (Litoterapia).

La testimonianza è l’assottigliamento della parte inferiore, dovuta allo strofinamento dei fedeli e all’asportazione di alcuni frammenti. Per evitare ulteriore consumo, questa colonna è stata protetta da pannelli di vetro. La copertura della chiesa a capriate è stata realizzata in legno. Nel 1902, la chiesa è stata dichiarata monumento nazionale.

Concludendo, sono emozionato per quello che ho visto e venuto a conoscenza: storia, cultura, tradizione, leggende, ambiente.

Luciano Pellegrini




TORINO CAPITALE DELL’APNEA PARALIMPICA

I soliti noti trionfano ancora: record del mondo per Colanero e Cianfoni. Exploit made in Sardegna: 4 titoli italiani

Torino, 21 aprile 2024. Solo buone notizie dai Campionati Italiani Paralimpici di Apnea Indoor: due record del mondo CMAS (Confederazione Mondiale Attività Subacquee) e diversi record italiani all’appuntamento organizzato dalla FIPSAS (Federazione Italiana Pesca Sportiva Attività Subacquee e Nuoto Pinnato), in collaborazione con la ASD La Salle Eridano, nella vasca da 50 m dell’impianto sportivo Trecate di Torino. Due i nuovi record del mondo firmati dalla lancianese Ilenia Colanero che nuota con i colori dell’Apnea Team Abruzzo: primato CMAS sia in dinamica con pinne con 115,60 m che in dinamica senza attrezzi con 62,25 m. “Una emozione splendida – ha detto – perché trovare conferme in acqua non è mai scontato. Sono riuscita a dimostrare a me stessa che i limiti sono solo mentali”.

Le ha fatto seguito Alessandro Cianfoni, atleta di Velletri. Anche lui, nella dinamica senza attrezzi, si è superato arrivando alla barriera dei 100 m. A questo primato mondiale CMAS è riuscito ad aggiungerne un secondo, stavolta italiano e nella “statica”: ben 5’ e 46’’ immerso senza respirare. “Ogni volta – ha spiegato il portacolori della USS Dario Gonzatti Genova – sono sensazioni avvolgenti, meravigliose. E replicarle non è la normale quotidianità”.

La piscina di Torino è stata comunque lo scenario di altre emozionanti performance, come quelle di due apneisti sardi, che nell’Isola sono riusciti a portare ben quattro titoli italiani: Nicolò D’Atri, del Club Sub Cagliari, ha centrato il nuovo record italiano sia nell’apnea dinamica con pinne con 91,00 m che nell’apnea dinamica senza attrezzi con 61,70 m, mentre Ottavio Demontis, nuorese, in forza alla ASD Passione Apnea, è diventato campione italiano di apnea dinamica con pinne con 105,45 m e campione (e autore del nuovo record) italiano di apnea dinamica senza attrezzi con 69,95 m.

Grandi prestazioni anche per Matteo Bergamin e Nicola Ferri. Il primo, tesserato con la La Salle Eridano di Torino, ha conseguito il titolo (e il record) italiano di apnea dinamica con monopinna con 117,20 m, mentre il secondo, aretino tesserato con Umbriasub, da ipovedente è salito sul gradino più alto del podio nell’apnea dinamica senza attrezzi, coprendo la distanza di 80,75 m.




CROSSFIT: GIOVANE PRODIGIO

Enzo Di Simone protagonista al Picenum Throwdown 2024

Pratola Peligna, 21 aprile 2024. Enzo Di Simone, un giovanissimo atleta di soli 13 anni di Pratola Peligna, è stato protagonista al Picenum Throwdown 2024, uno degli eventi nazionali più prestigiosi nel mondo del CrossFit. La manifestazione si è tenuta sabato 20 aprile nel palazzetto dello sport Ezio Galosi di Ascoli Piceno, che è stato il palcoscenico di uno spettacolo straordinario di forza, resistenza e determinazione con centinaia di atleti in gara.

Nonostante la sua giovane età, Enzo ha dimostrato un talento straordinario e una determinazione senza pari nel competere già con persone adulte in questa disciplina che combina esercizi di ginnastica, pesistica ed endurance e che sta guadagnando sempre più popolarità negli ultimi anni grazie alla sua capacità di sfidare e trasformare i suoi praticanti.

Enzo Di Simone ha sviluppato la passione per il CrossFit nella palestra Box 300 di Sulmona, dove si allena da circa tre anni. Grazie al supporto e alla guida del suo allenatore Giulio Perpetuo, Enzo ha affinato le sue abilità e ha superato ogni ostacolo sulla sua strada verso il successo.

Nel Picenum Throwdown ogni atleta ha dato il meglio di sé in una serie di prove che hanno interessato tutti gli aspetti del fitness. La giovane promessa pratolana ha affrontato la gara con coraggio e determinazione, ispirando gli spettatori presenti nell’arena rimasti affascinati nel vedere come anche in tenera età si possa avere una passione tale per uno sport così estremo.

Dopo la gara, Enzo Di Simone si è lasciato andare in un abbraccio liberatorio con la mamma Stella ed il papà Tonino esprimendo al tempo stesso la sua gratitudine per il loro affetto ed il supporto costante che ha sempre ricevuto. Enzo ha inoltre sottolineato l’importanza di sfidare se stessi e superare i propri limiti, indipendentemente dall’età, con ammirazione per gli altri atleti che lo hanno ispirato durante la competizione.

Un ruolo di fondamentale importanza è stato rivestito da Giulio Perpetuo. Un allenatore esperto che grazie alla sua dedizione ha aiutato Enzo a prepararsi al meglio per la competizione e a superare questa sfida con determinazione e coraggio.

Nonostante non sia stato ufficialmente classificato per la sua giovane età rispetto a tutti gli altri atleti, Enzo si è distinto come un vero talento nel mondo del CrossFit, dimostrando che la passione, la determinazione e il coraggio possono superare qualsiasi ostacolo.

Il successo di Enzo Di Simone è un’esemplificazione dell’attrattiva e dell’impatto crescenti del CrossFit come disciplina sportiva che trasforma vite e ispira le persone a raggiungere il loro massimo potenziale attraverso il fitness.




BENEFICI DELLA MUSICOTERAPIA

Laureanda focalizza la sua attenzione su uno studio di due musicoterapeuti teramani: Nancy Fazzini e Luciano Di Gennaro

Teramo, 21 aprile 2024. Grazie alla curiosità di Anna Laura Nunziata, una laureanda magistrale in Filologia moderna presso l’Università degli studi di Napoli Federico II e alla lungimiranza del Professor Marco Bizzarini, docente di Storia della musica presso la medesima università, si è portato avanti un lavoro di ricerca  concentrato sull’importanza della musica e del suono nella vita di ogni individuo, riconoscendo le sue potenzialità sul cervello umano.

È stata condotta un’intervista alla dr.ssa Fazzini, riportata all’interno del secondo capitolo dell’elaborato, che si propone di osservare la musicoterapia attraverso il suo sguardo vigile, le sue idee, le sue prospettive nonché desideri e obiettivi futuri. Per comprendere appieno i numerosi benefici della musicoterapia, la laureanda ha focalizzato la sua attenzione su uno studio di due musicoterapeuti teramani: Nancy Fazzini e Luciano Di Gennaro che utilizzano il metodo Tomatis per la cura e il benessere dei pazienti attraverso stimoli uditivi, utili per migliorare le capacità di ascolto e di comunicazione di ogni paziente. 

Questo approccio sembra essere particolarmente utile per coloro che presentano difficoltà di apprendimento, comunicazione o di sviluppo, che riguardi i Disturbi Specifici dell’Apprendimento o i Disturbi dello Spettro Autistico e più in generale i Disturbi del Neurosviluppo.

I due esperti teramani, che hanno alle spalle una lunga esperienza nel campo della musicoterapia, forti dei numerosi riconoscimenti per il loro lavoro, hanno dimostrato l’efficacia del metodo Tomatis in diverse occasioni. Grazie alla loro competenza e alla loro passione per la musica e la cura delle persone, sono diventati punti di riferimento nel panorama di settore.

La scelta di intraprendere un percorso che ha come pilastro portante il Metodo Tomatis da parte dell’Università di Napoli è sicuramente un riconoscimento, un merito, una consapevolezza che si sta man mano acquisendo della validità del loro lavoro e della metodologia che utilizzano.

Si tratta di un importante passo avanti nella promozione della musicoterapia come disciplina scientifica e nell’apertura di nuove prospettive di ricerca e di cura per i pazienti. È un’occasione unica per arricchire il proprio bagaglio formativo e professionale per contribuire alla diffusione di pratiche terapeutiche innovative ed efficaci.

In conclusione, la scelta dell’Università di Napoli di analizzare lo studio di due famosi musicoterapeuti teramani, con particolare riguardo al pensiero e le idee della Fazzini, nella direzione di una tesi di laurea magistrale è un segnale di apertura e di interesse nei confronti della musicoterapia e delle sue potenzialità terapeutiche. Un’iniziativa che potrà portare benefici non solo agli studenti coinvolti, ma anche alle persone che potranno beneficiare delle nuove conoscenze e competenze acquisite…




PREMI INTERNAZIONALI FLAIANO

51 edizione. 25° Festival internazionale Scrittura e immagine Cinema S. Andrea18-20 aprile 2024

Pescara, 21 aprile 2024. Tra i corti vince “Prova d’amore”, diretto da Denis Nazzari, interpretato da Alessandro Haber e Nadia Bengala e con le musiche del Premio Oscar Nicola Piovani

Si è tenuta al cinema S. Andrea di Pescara dal 18 al 20 aprile la 25ª edizione del Festival internazionale Scrittura e immagine, che premia i migliori cortometraggi all’interno della 51ª edizione dei Premi Internazionali Flaiano, fondati nel 1973 da Edoardo Tiboni per onorare Ennio Flaiano e riproporre costantemente lo studio della sua opera. Sono quasi 2mila i cortometraggi arrivati da tutto il mondo, in particolare da Iran, Italia, USA, Spagna, Francia, India, Brasile, Russia, Inghilterra, Turchia per partecipare al Festival internazionale Scrittura e immagine, che ha premiato i migliori corti suddivisi per le 5 sezioni del Premio: Scrittura e Immagine, Animacorto, Spazio Abuzzo, Cortoambiente e Cortoscuola.

Due le giurie chiamate a premiare i lavori. Una formata da esperti del settore quali: Carla Tiboni, presidente Premi Flaiano e presidente di giuria; Davide Campolieti, ideatore, 25 anni fa, del Concorso di cortometraggi ed esperto di cinema; Paolo Smoglica, giornalista e critico cinematografica, già responsabile della pagina culturale del quotidiano Il Centro; Romina Remigio, fotogiornalista del National Geographic; la videomaker Cristiana Mantenuto e Martina Corongiu, esperta di cinema e responsabile della sezione cinema Associazione culturale Flaiano. Una seconda giuria, formata da studenti delle scuole medie superiori, ha giudicato i corti delle sezioni Cortoambiente e Cortoscuola. La serata di premiazione del 20 aprile è stata presentata da Martina Riva, con la Presidente Carla Tiboni sul palco del festival.

Per la sezione “Scrittura e Immagine”, riservata a cortometraggi italiani e stranieri a tema libero, appartenenti al genere fiction o documentaristico, e con premio in denaro di 1000 euro, vince il corto italiano “Prova d’amore”, diretto da Denis Nazzari, interpretato da Alessandro Haber e Nadia Bengala, e con le musiche del Premio Oscar Nicola Piovani, che racconta di Gigi, un uomo maturo e innamorato della moglie, mentre le prepara la colazione. La motivazione del premio recita: “Per aver saputo mostrare come un amore profondo e totalizzante possa essere dimostrato in ogni più piccolo gesto quotidiano. È la prova d’amore di un sentimento che supera ogni barriera, fino a sconfinare nell’essenza più alta dell’empatia”. È stata anche assegnata una Menzione speciale assegnata al corto italiano “My name is Aseman”, diretto a quattro mani da Ali Asgari e Gianluca Mangiasciutti, su una ragazza afghana che, quando le verrà data l’opportunità di mostrarsi al mondo,dovrà decidere quanto svelare di sé stessa. La motivazione del premio: “Con una premessa narrativa e un finale giornalistico, il corto, grazie al coraggio della protagonista di ‘svelare’ e denunciare la sua condizione, conduce lo spettatore a riflettere”.

Per la sezione “Animacorto”, riservata a cortometraggi realizzati con diverse tecniche d’animazione con premio in denaro di 500 euro, vince il messicano “Nube”, diretto da Diego Alonso Sánchez de la Barquera, che racconta di Noma, nuvola bianca e gonfia, che si rende conto che sua figlia, nuvola oscura e tempestosa, rischia di piovere prematuramente. La motivazione del premio recita: “Nube è l’incontro di due narrazioni, la protezione verso la piccola nuvola e il racconto semplice di un evento che segue il suo naturale decorso. Ed è qui che troviamo la congiunzione: per quanto si possa prevedere e proteggere ciò che più si ha a cuore, accadrà sempre qualcosa che darà seguito al suo naturale cammino per poi fiorire”.

Per la sezione “Spazio Abruzzo”, riservata a cortometraggi realizzati e/o ambientati in Abruzzo e/o di registi abruzzesi, con premio in denaro di 500 euro, vince “Ciao Ma’”, diretto da Carlo Montanari, con la seguente motivazione: “È la dimostrazione di quanto un dolore riesca a essere tangibile, tanto forte da estraniarti e farti vivere una realtà altra fatta di reali percezioni e vivide presenze”.

Quattro i corti finalisti – provenienti da Italia, Ucraina, Turchia e Spagna – della sezione “Cortoambiente – La tua città e l’ambiente”, riservata a lavori che abbiano come argomento l’ambiente e la sua salvaguardia, l’eco-sostenibilità e l’inquinamento, con premio in denaro di 500 euro. La giuria, composta da 50 studenti delle scuole medie superiori, ha premiato “Plastic Ville” diretto a quattro mani da Ilaria Brandolese e Mara Piazzalunga, con la seguente motivazione: “Per aver saputo spiegare, attraverso l’originale punto di vista di una bottiglietta di plastica, l’importanza del riciclo in un mondo in cui l’inquinamento è sempre più dilagante. Divertente e comprensibile sia dagli adulti che dai bambini, il corto dimostra come un piccolo sacrificio possa realmente fare la differenza”.

Sempre quattro i corti in finale nella sezione “Cortoscuola” riservata a lavori prodotti dalle scuole dell’infanzia, primaria, secondaria di I grado e secondaria di II grado, ad argomento libero e con premio in denaro di 200 euro e pubblicazione cinematografica. La giuria, composta da 50 studenti dell’Istituto tecnico statale Aterno-Manthoné e del Liceo Maior. Ha premiato “La Terra siamo noi” diretto da Giuseppe Peronace e realizzato dalla V A dell’Istituto Comprensivo VIA NICOLAI MARIA NICOLAI di Roma, con la seguente motivazione: “Perché ha un significato chiaro, che arriva diretto. Il fatto che sia recitato da bambini rende la visione ancora più piacevole, attraverso loro e le azioni della protagonista, riusciamo a capire che l’ambiente è fondamentale e se salviamo la Terra possiamo salvare anche noi. Giuseppe Peronace è collegato con noi…”

I Premi Internazionali Flaiano continuano quindi il loro percorso il 10 e l’ 11 maggio con la seconda edizione del Festival di Fotografia “Flaiano fO”, mentre il 22 giugno, il Premio Internazionale Flaiano di Poesia. Quindi, il Premio Internazionale Flaiano di Narrativa e Italianistica, che si tiene il 30 giugno e il Flaiano Film Festival, diretto da Riccardo Milani, dal 1 al 6 luglio. La kermesse si chiude il 7 luglio al Teatro d’Annunzio di Pescara con il Premio Flaiano di cinema, teatro, televisione e giornalismo.




LA PARTITA PERFETTA!

L’adriatica Press supera Marsala 3-0

Teramo, 21 aprile 2024. L’Adriatica Press gioca  una delle migliori gare della stagione e supera nettamente, con un secco 3-0, Marsala formazione impegnata nella lotta Play-Off. È stata la partita perfetta delle ragazze di coach Collavini e del Presidente Roberto Mazzagatti.

Gioco, grinta, determinazione e cuore hanno permesso alla squadra biancorossa di conquistare l’intera posta in palio, ingredienti che hanno condito il pomeriggio domenicale del Palascapriano. Un successo importante per la Futura che permette di aggiungere tre punti in più in classifica, in vista delle tre restanti gare da giocare.

Il monologo è stato tutto teramano sin dalle prime battute con Costantini e compagne a dettare i ritmi del gioco e chiudendo a proprio favore, in 25 minuti il primo parziale 25-21. Ci si attendeva la reazione delle siciliane, ma l’Adriatica Press è stata brava a non concedere diritto di replica alle ospiti.

Il secondo set è scivolato senza problemi, con le teramane pronte a giocare con grinta su ogni pallone. Il 25-12 in 21 minuti, parla chiaro. Un piccolo accenno di tentativo di rimonta Marsala lo prova nella terza frazione, ma Teramo scappa ancora fino a portarsi sul 21-13, 24-15, 25-17 finale in 23 minuti.

Brave tutte, tre punti in più in classifica e partita perfetta!!

Adriatica Press Futura Teramo  3:  Vendramini, Ragnoli 11, Poli 16, Di Diego, La Brecciosa, Costantini 11, Patriarca, Mazzagatti 10, Fanelli, Capulli, Ventura, Lestini 13. All. Collavini.

Gesancom Marsala  0 : Varaldo 3, Caserta 6, Modena 2, Bergese, Norgini, Gasparroni 4, Sturniolo 1, Grippo 2, Galiero 3, Silotto 3, Morciano 4. All. Campisi.

ARBITRI: Mastronicola (Bitonto) e Rutigliano (Terlizzi)

PARZIALI: 25-21 (25′); 25-12 (21′); 25-17 (23′).




SERATA DI GALA CLASSE 2006

Torna la festa dei diciottenni dell’Avis di Luco dei Marsi

Luco dei Marsi, 21 aprile 2024. Nella giornata di sabato 20 aprile 2024, come ormai tradizione dal 1991, l’Associazione Volontari Donatori Sangue del Comune di Luco dei Marsi è tornata ad organizzare l’evento di debutto in società per i diciottenni luchesi. La “festa dei diciottenni” segna una vera e propria tappa all’interno del percorso di crescita dei giovani luchesi, che anche quest’anno si sono dimostrati entusiasti di prendere parte all’evento. Protagonisti di questa edizione sono stati le ragazze e i ragazzi della classe 2006. L’evento, nato nell’ormai lontano 1991, nasce con lo scopo di sensibilizzare i giovani sull’importante tema della donazione di sangue. I festeggiamenti, come da tradizione, sono iniziati nel primo pomeriggio presso il Municipio, dove la Sindaca dottoressa Marivera De Rosa ha omaggiato i festeggiati con una copia della Carta costituzionale.

In municipio sono intervenuti anche il Presidente dell’Avis Regionale Abruzzo ingegner Guerrino Fosca, il Consigliere dell’Avis Provinciale dell’Aquila Roberto Cambise e il Presidente dell’Avis di Luco dei Marsi Fabrizio Salvati. A seguire, si è tenuta la celebrazione liturgica con la benedizione del parroco Don Giuseppe Ermili, presso la chiesa di San Giovanni Battista.

La serata si è poi conclusa con i festeggiamenti presso il Ristorante “Angizia”, dove a causa del meteo avverso si è tenuta la sfilata inizialmente programmata in Piazza Umberto I e dove i festeggiati hanno potuto celebrare il loro giorno speciale con un menù che ha valorizzato gli eccellenti prodotti locali del nostro territorio. “Ringrazio tutto il direttivo, in particolare nelle figure del tesoriere Mariano Tribuiani e del segretario Roberto Cambise per l’impegno dedicato per la realizzazione di questo evento”, commenta il Presidente, Fabrizio Salvati.

“A nome del direttivo tutto, ringraziamo l’amministrazione comunale e la Sindaca Marivera De Rosa per la sempre presente collaborazione e per aver omaggiato i festeggiati di un simbolo così importante come la nostra Costituzione. Un ringraziamento anche al Presidente Regionale Avis Abruzzo Guerrino Fosca per la sua presenza e per le belle parole spese a favore della manifestazione e del nostro paese. Infine”, aggiunge Salvati, “ringraziamo il Ristorante Angizia per la professionalità e il supporto dimostratici, come ormai da anni, dai preparativi fino alla conclusione dell’evento. Come ricordavo anche nel discorso di apertura della serata: donatori non si nasce, si diventa. Ci auguriamo di vedere tanti di questi ragazzi come donatori e cittadini attivi in un domani”.

Rinnoviamo ancora i nostri auguri a: Angelucci Lucia, Baldassarre Simone, Belmaggio Francesca, Carattoli Giulia, Coccia Dante Francesco, Conti Antonio, Crocenzi Cristiano, Crocenzi Mattia, De Amicis Francesco Pio, De Sillo Sara, Di Felice Sofia, Di Giampietro Daniele, Di Gianfilippo Matteo, Di Paolo Gabriele, Di Paolo Letizia, Gargaro Leandro, Lamiri Amin, Lucci Carmine, Marchi Francesco, Martini Franco, Martini Simone, Marziale Domenico, Palma Enrico, Palma Melissa, Paris Luigi, Paris Sara, Petricca Mariagiovanna, Salvati Cesidio, Saturnini Mario, Venditti Cristian.




BRIGANTI D’ABRUZZO

[Pubblicato in: AA. VV. “L’Abruzzo nell’Ottocento”, Istituto Nazionale Di Studi Crociani; Ediars, Chieti 1996]

di Franco Cercone

«Non è stato mai assalito li giù dai briganti? Questa fu la prima domanda – lo posso documentare con scrupolosità – che mi fu rivolta allorché raccontai di aver intrapreso un viaggio in Abruzzo».

Così inizia il capitolo dal titolo Drei Wochen in den Abruzzen inserito nel libro di viaggio di Alfred Steinitzer, “Aus dem unbekannten Italien” (L’Italia sconosciuta), pubblicato nel 1911, un viaggio compiuto tuttavia nella primavera del 1907 e finanziato interamente dal Deutschen Alpenklub[i].

Presso la sede di Monaco di Baviera lo Steinitzer svolse nel maggio del 1908 un dettagliato resoconto sugli aspetti storico-geografici della nostra regione e sull’ascensione del Gran Sasso da lui compiuta assieme ad una nota guida di Assergi. Si coglie dunque nel passo in precedenza riportato l’eco della persistenza, oltralpe di una psicosi legata al fenomeno del brigantaggio postunitario che ebbe modo di manifestarsi in tutti i territori dell’ex Regno di Napoli ed in particolar modo in Abruzzo, principalmente “in quella vasta terra di nessuno che da sempre è stata la montagna di frontiera tra il Regno di Napoli e lo stato ecclesiastico”[ii] .

Tuttavia, osserva il Monnier, il brigantaggio non fu storicamente una piaga esclusiva del tormentato decennio postunitario, poiché “in queste contrade vi furono sempre briganti. Aprite le istorie, e ne troverete sotto tutti i regni sotto tutte le dinastie, dai Saraceni e dai Normanni fino ai nostri giorni”[iii]  Con la presa di Roma e la fine dello Stato della Chiesa, il fenomeno imboccò tuttavia ed inesorabilmente il suo Sunset Boulevard, anche se non sono pochi gli storici che vedono in certi tipi di azioni banditesche dei nostri giorni modalità esecutive che furono proprie del brigantaggio «non politico››.

Senza fissare lo sguardo in epoche lontane da noi, va ricordato che nell’ ultimo trentennio del XVII secolo la recrudescenza del brigantaggio fu così intensa da costringere nel 1764 il viceré d’Astorga ad inviare in Abruzzo ben cinque compagnie di fanteria spagnola, senza ottenere tuttavia vistosi risultati. La situazione migliorò alcuni anni dopo grazie anche alle incessanti pressioni degli armentari regnicoli e dello Stato della Chiesa, le cui greggi erano costantemente depredate dalle bande di briganti che infestavano l’aspro territorio dell’Appennino.

“Il viceré marchese del Carpio e papa Innocenzo XI – scrive il Colarossi Mancini – spedirono fanti, cavalleggeri e cannoni sotto il comando dello spagnolo Alonzo Torresano, che dié loro addosso e li cacciò da ogni luogo, finché i briganti si dettero a servire Venezia, che li adibì al recupero di Castelnuovo, della Morea e della Dalmazia. Così il regno, infestato dai banditi per 14 anni, ebbe pace e i locati abruzzesi, a titolo di riconoscenza, presentarono al viceré sei castrati carichi di quattromila ducati”.[iv]

Il passaggio di queste bande al servizio della Serenissima, specie quella capeggiata nel Teramano da Santuccio di Froscia, fu certamente frutto di accordi e perciò di scelte politiche ben precise. Tanto più che il citato episodio non costituisce a ben osservare un caso isolato, ma trova invece in Marco Sciarra un precedente per così dire illustre. Nel 1593 il famoso brigante, nativo secondo il Palma di Castiglione Messer Raimondo (Te), perì miseramente – dopo essere stato padrone incontrastato della Valle del Vomano ed aver esercitato terrore specie nell’Appennino centrale – per mano di uno dei suoi seguaci.[v]  La masnada capeggiata dal re della campagna [vi] sembra che fosse costituita da circa 800 briganti, sicché è lecito supporre come da più parti si tentasse di legare al proprio servizio una tale massa di uomini in armi.

Scegliere una bandiera significava però crearsi automaticamente dei nemici, poiché, sottolinea il Monnier, “quando le bande erano troppo numerose e minacciavano di prendere una bandiera, il governo si risolveva a combatterle” [op. cit.].

Le incursioni dello Sciarra fino alle Puglie sono molto significative e lo qualificano, se ci è concessa l’espressione, come brigante transumante, nel senso che la sua attività era diretta di preferenza contro i ricchi proprietari di armenti, i quali, come classe egemone, potevano contare sull’aiuto degli apparati statuali o di potenti famiglie, radicate – come puntualizza il Colapietra – in “zone in sostanza anche giuridicamente sottratte all’autorità di Napoli” [Abruzzo… ecc, op. cit.].

Nella Weltanschauung popolare il brigante costituisce una figura idealizzata, sottratta con fantasia allo scenario economico e politico in cui egli agisce. In questa visione, cristallizzatasi fin da tempi remoti, il brigante si trasforma in difensore della giustizia sociale e degli umili, esigenza mai sopita presso i ceti rurali, e non di rado diventa un galantuomo dotato di spirito cavalleresco, che nutre particolare rispetto per artisti e letterati. “In Abruzzo – scriverà più tardi in epoca romantica Carl L. Frommel – il Popolo ammira il brigante ed odia il ladro”. [Pittoresksen Italien, Leipzig 1840]. Significativo è anche ciò che a S. Razzi raccontano e che puntualmente egli registra nel suo Viaggio in Abruzzo, [L’Aquila 1968]. A Chieuti, in prov. di Foggia, agiva “un certo famoso bandito, Colle di Caserta nominato, il quale assaliva chiunque passava, togliendo a chi avea di superfluo… e dando a chi non avea a sufficienza, e facea tenere un libro dell’entrata, et uno dell’uscita”.

Un brigante ragioniere, dunque, e pieno di spirito caritatevole che non a caso attrae l’attenzione di fra’ Serafino Razzi.

Nemmeno Marco Sciarra si sottrae a tale visione, che ha influenzato persino letterati come G. B. Manso a proposito del preteso incontro fra il re della campagna e Torquato Tasso, incontro che prima il Solerti e recentemente il Morelli hanno dimostrato, alla luce di documenti, frutto di immaginazione [vii].

La circostanza che figure possenti di briganti appaiano in declino nel corso di buona parte del XVIII secolo è senza dubbio sorprendente e lascia sorgere fondati interrogativi. Si ha l’impressione infatti che il fenomeno sia in relazione con il lento ma inesorabile declino dell’attività armentizia transumante, che secondo il Colarossi-Mancini inizia a verificarsi già dal 1712 con la cosiddetta professazione forzosa, cioè “l’obbligo di rivelare il numero degli animali posseduto da ciascun locato” [op. cit.], mentre in realtà, puntualizza il Colapietra, tale attività “viene sovvertita dalle grandi usurpazioni dell’individualismo agrario, dalla privatizzazione delle montagne e dei pascoli, dall’ingigantirsi delle aziende, risultati di una trasformazione sociale e di un movimento di cultura illuministico che nell’Abruzzo trova un terreno particolarmente fecondo” [Abruzzo…ecc. cit.]. Questa maggior attenzione verso l’agricoltura a danno dell’economia pastorale conduce poi nel 1806, ad opera di G. Bonaparte, all’affrancamento del Tavoliere pugliese, gradualmente sottoposto a coltura[viii].

La grande nemica degli stomaci vuoti, la regina Fame che alberga costantemente nei ceti umili, compare spesso nel XVIII secolo con l’abito da lei preferito: la carestia. E proprio a queste masse rurali e fameliche, a questi «Eredi» in senso Patiniano, molti dei quali – è da presumersi – viventi in uno status perenne di brigante per “furti in pubblico cammino”[ix] ed altri comuni reati, che si rivolge Ferdinando IV nel dicembre del 1798, mentre si accinge a lasciare Roma per rifugiarsi in Sicilia, incalzato dai tragici avvenimenti collegati all’invasione francese.

“Ricordatevi, miei cari Abruzzesi – si legge nel proclama di Ferdinando IV – che siete Sanniti ed avete sempre dato chiare riprove del vostro valore e della vostra fedeltà”. La strumentalizzazione dei ceti umili abruzzesi, di cui il monarca borbonico si ricorda solo nei momenti di pericolo, traluce in pieno in questo demagogico proclama, tanto più che ad organizzare le masse sanfediste contro la “borghesia intellettuale e proprietaria giacobina” provvede la classe armentaria ed aristocratica abruzzese, ben conscia dei pericoli cui andava incontro [R. Colapietra, Abruzzo… ecc, cit.].

D’altro canto, sottolinea il Monnier, “in tempi di crisi politiche il brigantaggio aumentava a dismisura, accogliendo la feccia delle popolazioni delle prigioni dischiuse, i vagabondi e i malfattori in gran quantità. E si vide quasi sempre il partito vinto servirsi di questi banditi a difesa della propria causa” [op. cit.].

Questo passo del Monnier, il quale dimentica che l’adesione alla causa borbonica costituiva comunque una scelta politica e l’occasione – anche per molti detenuti politici – di riacquistare una identità riscattando uno status di illegalità, meriterebbe molti commenti che ci porterebbero però oltre il quadro sintetico che ci siamo preposti di raffigurare.

Certo è comunque che strati sociali cui Ferdinando IV si rivolge con il famoso Proclama e considerati come patrioti, sono qualificati dai Francesi, prima sotto il regno di G. Bonaparte e dopo sotto quello del Murat, non come difensori della monarchia borbonica, ma come briganti. Basti riflettere a ciò che scrive Rémy D’Hauteroche, giovane ufficiale in servizio nel 1806 nel forte di Pescara: “Vers la fin du mois de septembre – si legge appunto nelle sue Memorie – toujours en l’année 1806, la tranquillité de la garnison de Pescara fut troublée. On apprit que les montagnes des environs étaient infestées d’insurgés, auxquels nous donnions le nom de brigands, nom d’ailleur très mérité”[x] . Non a caso la municipalità e dunque la classe egemone di Vasto conferisce nel 1810 a C. A. Manhés, generale di G. Murat, la cittadinanza onoraria per i suoi meriti di «distruttore di briganti». Ce lo ricorda una lapide affissa sulla facciata della chiesa di San Giuseppe, che sorge nel centro storico di questa bella città abruzzese.

Tuttavia, scrive la Macdonell, “né Manhés, né altri nella sua posizione, avrebbero potuto estirpare il brigantaggio per lungo tempo, in quanto esso era il sintomo di una malattia profonda e radicata che nessuna chirurgia militare avrebbe potuto curare”[xi]. Se, infatti, la repressione ottenne sensibili risultati nell’area frentana e nel Vastese, non altrettanto si può dire del Teramano, “devastato per tutto il decennio francese da un brigantaggio ininterrotto ed endemico, che sembra riprodurre le proporzioni del secondo Seicento, e che sostanzialmente dalla montagna minaccia ed assedia la grande proprietà liberale che è al controllo della Cosa Pubblica” [R. Colapietra, Abruzzo…, cit.].

Noi non sappiamo quanti di quei briganti al seguito del Cardinale Ruffo, liberati dalle carceri dove languivano per reati comuni assieme a uomini politici, abbiano continuato a percorrere la strada del banditismo dopo la fine dell’impero napoleonico e il ritorno dei Borboni a Napoli. È probabile tuttavia che molti di essi, scampati alle persecuzioni durante i regni di G. Bonaparte e G. Murat, si siano ritrovati ancora ai ceppi – perché ormai non più considerati «prodi Sanniti» – insieme a giacobini e liberali, verso i quali si scatenò la repressione dell’amministrazione borbonica.

Circa mezzo secolo dopo Francesco II, chiuso nella fortezza di Gaeta, era costretto a ricorrere ad un proclama non dissimile, in quanto a strumentalizzazione, da quello emanato dal suo bisnonno Ferdinando IV ed in cui faceva leva soprattutto sulla necessità di difendere, contro gli usurpatori, la famiglia e la religione.

La fine di un regno era tuttavia imminente e ad essa avrebbero fatto seguito tragici avvenimenti. La circostanza che ad accogliere Vittorio Emanuele II sul ponte del fiume Tronto fosse Pasquale De Virgilii, capo riconosciuto dei liberali teramani ed in seguito nominato «prodittatore» della prov. di Teramo, non deve trarre in inganno. L’area montuosa di questo territorio restava infatti realista e la fortezza di Civitella era ancora in mano dei borbonici. Riaffiorava pur nel mutato quadro socio-politico del momento l’antico dissidio, ricco di contrastanti interessi, fra montagna e pianura, fra ceti armentizi e latifondo, fra pastorizia ed agricoltura; e l’antica nobiltà, che aveva fondato la propria ricchezza sull’attività allevatoria, era stata sostituita dai nuovi ceti emergenti, costituiti da famiglie economicamente potenti e di stampo liberale.

Non staremo qui a ricordare i tentativi di noti personaggi quali Lagrange e Giorgi (di quest’ultimo si occupò anche A. Dumas nelle sue Impressions de voyage), operati al fine di sollevare nel dicembre del 1860 le province abruzzesi con una forza di circa 15.000 uomini, composta da soldati sbandati borbonici, contadini, preti e persino reparti di zuavi del Papa, arricchita da bande di briganti che operavano ancora nelle zone impervie dell’Appennino ed ingrossate da gruppi formati da detenuti liberati dalle carceri delle località messe a sacco, soprattutto nella Marsica e nel Cicolano.

Su scala ridotta si è verificato in Abruzzo, subito dopo il mese di settembre del 1860, ciò che era avvenuto – durante la marcia di Garibaldi verso Napoli – nelle Province Meridionali dell’ex regno: lì “le prigioni al suo passaggio erano state aperte; i detenuti avevano indossato la camicia rossa e proclamato il trionfatore” [M. Monnier, cit.]; qui i detenuti si trasformavano in «realisti» appena liberati dalle carceri messe a sacco. E non pochi erano quelli che attendevano la loro assoluzione ed un reinserimento nella legalità attraverso l’adesione ad una delle parti contendenti.

L’insurrezione realista scoppiò come è noto qualche giorno prima del Plebiscito del 21 ottobre 1860, con cui fu sancita l’adesione delle Province napoletane al Regno d’Italia. Quasi ad un segno prestabilito “i montanari di tutta la linea degli Appennini, che separano il Teramano dalla provincia di L’Aquila, si precipitarono nelle pianure” [M. Monnier, cit.], ma in realtà la reazione divampò fin dal 1° settembre in tutto l’Abruzzo e specie lungo la valle del Sangro.

Dalla deposizione del Sindaco di Castel di Sangro, Raffaele Grilli, sui fatti accaduti in questa cittadina fra il 1° ed il 4 settembre 1860 si apprende che, al canto del ritornello Jam ‘a spass’ a spass’/ Viva ru Re e ru popole bass’, “la reazione scoppiò d’improvviso e fu generale sorpresa, poiché la pubblica opinione qua riteneva come impossibile che il popolo di Castel di Sangro fosse reazionario…”[xii] .

La cospirazione borbonica, organizzata a Roma con la benedizione del Soglio di Pietro, è ben consapevole dell’importanza dell’area abruzzese-molisana. Qui, meglio che altrove, i tentativi insurrezionali potevano registrare maggiori successi grazie alla vicinanza con Roma e ad una labile linea di frontiera determinata da condizioni orografiche note solo a bande brigantesche.

Attrarre quest’ultime alla causa di Francesco II fu in un primo momento un compito demandato dagli esuli filo-borbonici a personaggi di spicco della fazione realista, come per es. i già ricordati Giorgi e Lagrange oppure quel famoso Borjès catturato a Tagliacozzo nel dicembre del 1861 ed ivi fucilato mentre tentava con i suoi di guadagnare la frontiera pontificia [xiii].

Una attenta lettura degli avvenimenti che vanno dall’autunno del 1860 fino all’anno seguente alimenta il sospetto che in tale periodo l’azione del clero realista e dei ceti socio-economici, che avevano perso

nel passaggio dal vecchio al nuovo regno molta parte della loro autorità e del loro potere politico, non ebbe pieno successo nel politicizzare le varie bande operanti nel territorio abruzzese. Un contributo per così dire indiretto ma decisivo scaturì dall’estensione della legislazione piemontese.

Soprattutto l’introduzione di nuove tasse e della leva obbligatoria furono fattori che crearono un “diffuso malcontento che diventa aperta e violenta ribellione” specialmente nei ceti rurali delle antiche province napoletane[xiv]. Sono quest’ultimi che vanno ad ingrossare – insieme a gruppi eterogenei formati anche da militari sbandati – le bande brigantesche, ormai legittimate nelle loro rapine. Come scrive il Monnier, costoro “non erano più ladri, ma partigiani” [op. cit.]. Insomma, come sottolinea il Colapietra, “l’Abruzzo è naturalmente la regione in cui le due componenti principali del brigantaggio, quella politica legittimista borbonica e quella sociale contadina autonoma, si intersecano più strettamente, almeno all’ indomani dell’Unità” [Abruzzo… cit.].

Certamente non intendiamo considerare esaustive poche pagine dedicate ad un problema di vasta complessità come quello del brigantaggio post-unitario, nel trattare il quale abbiamo taciuto sugli altrettanto complessi atteggiamenti dei liberali, del clero (vi erano non pochi preti «carbonari» e fondatori di vendite) e dei letterati. Significativo è il manifesto di A. De Nino affisso in data 1° ottobre 1860 a Sulmona e nel quale lo storico peligno inneggia a Vittorio Emanuele ed al dittatore Garibaldi.

Ciò che appare interessante è invece la dislocazione delle bande brigantesche sia nello scacchiere di confine con lo Stato della Chiesa che sul resto del territorio regionale.

Nell’area orientale della Maiella operano le bande di Angelo Camillo Colafella (che si definiva Generale Comandante delle truppe di S. M. Francesco II) e di Nunziato Mecola. Il Colafella, all’inizio della sua carriera per nulla fervente realista, si era distinto nei saccheggi di Caramanico, Salle, Musellaro e Sant’Eufemia, operati nell’ottobre del 1860 durante lo svolgimento del Plebiscito. Dalla deposizione resa in data 17 gennaio 1862 nelle carceri di Chieti e quindi dopo la sua cattura, emergono interessanti particolari sui contatti avuti da lui con Francesco II, prima a Gaeta e dopo a Roma[xv].

Mecola invece agisce a capo di masse di contadini nell’entroterra dell’area ortonese ed occupa al grido di Viva Francesco II Ari, Arielli, Canosa, Miglianico, Orsogna, Tollo ed altri centri. Catturato dopo uno scontro con reparti piemontesi e della Guardia Nazionale, finirà i suoi giorni nel bagno penale di Castelluccio (Genova) nel 1876. [Brigantaggio Ottocentesco, cit.].Prima della cattura il Mecola aveva abbandonato la sua area operativa per far parte del battaglione comandato dal Lagrange che agiva nel territorio di Nola.

Uno dei luogotenenti più risoluti della banda Mecola è Salvatore Scenna di Orsogna, che agisce spesso per veloci incursioni e saccheggi insieme ad un’altra nota banda, capeggiata da Domenico Di Sciascio di Guardiagrele. Non v’è praticamente un centro del basso corso del Sangro e dei territori posti sia a nord che a sud dell’area fluviale che non sia stato messo a sacco da queste bande, le quali colpivano per primi, e quindi di preferenza, gli archivi comunali (come ad Altino, Guardiagrele, Orsogna, Fossacesia, Guilmi ecc.) simboli odiati della monarchia sabauda. Vanno segnalati a tal riguardo altri episodi che appaiono significativi. Le bande di Pasquale Mancini e Luca Pastore avevano assalito il carcere di San Valentino e liberato i detenuti che seguirono i briganti sulla Maiella,

rifugio sicuro di molte bande brigantesche. Dopo aver messo a sacco Roccacaramanico, Luca Pastore trattenne per sé il boccone più prelibato; ed al grido di «Viva Francesco II» incendiò la Cancelleria di questo centro situato alle falde del Morrone, perché vi erano conservati, a suo giudizio, “molti documenti di debiti contro la povera gente”. In seguito il Pastore fu catturato dai bersaglieri a Peschio Canale sul Liri, mentre tentava di raggiungere il confine pontificio, e fucilato il 30 ottobre 1862 senza – come sembra – un regolare processo, che si concludeva in molti casi con pena tramutata in lavori forzati. È interessante notare come un compagno del Pastore, avendo “promesso di fare rilevazioni”, ebbe salva la vita [Brigantaggio Ottocentesco, cit.]. Un caso questo da ascrivere in sostanza al fenomeno odierno del pentitismo, tanto più che le varie Commissioni Provinciali istituite per la repressione del brigantaggio avevano cura di affiggere manifesti nei quali si promettevano somme di denaro “a chiunque procuri o faciliti l’arresto di briganti, loro complici e somministratori di viveri”.

Fra i «somministratori di viveri» vanno inclusi non solo parenti dei briganti e la vasta gamma di manutengoli, per lo più nobili e borghesi legittimisti, ma anche i contadini, che si recano quotidianamente ai campi spesso lontani dai centri abitati, e soprattutto i pastori. Quest’ultimi infatti sono direttamente esposti in alta montagna alle minacce dei briganti e si comprende pertanto come fra loro sorgessero per così dire dei patti taciti di non aggressione. I pastori infatti non sono proprietari delle gregge ed i briganti trovano in essi degli ottimi informatori sugli spostamenti delle forze di repressione ed altrettanto ottimi messaggeri che trasmettono agli armentari l’entità del ricatto. «Specialisti» in tale attività risultano altri due famosi briganti, Domenico Valerio, un contadino di Casoli soprannominato Cannone, e Croce di Tola, alias Crucitto, di Roccaraso.

Si può dire che Cannone, dopo una spettacolare fuga dal carcere, riesce ad organizzare una numerosa banda che terrorizza dal 1862 tutti i centri del Chietino fino al Trigno. Secondo alcune fonti egli esordisce come spietato esecutore di ordini nella banda di Strillo, alias Antonio Fauci, mugnaio di Lanciano, che dirige l’assalto alla «strada ferrata» il 17 e 18 luglio 1862 nei pressi di Fossacesia, dove fervevano i lavori di costruzione. Non si sa se dopo la cattura e fucilazione di Strillo, avvenuta mesi

dopo, Cannone assumesse il comando della numerosa banda, la quale poteva contare sull’appoggio di “manutengoli appartenenti alla nobiltà lancianese”. L’attacco alla ferrovia è molto significativo, perché questa costituiva un simbolo odiato della monarchia sabauda ed un mezzo veloce per lo spostamento delle forze di repressione piemontesi nelle province dell’ex regno di Napoli.

Sembra invece che i briganti non conoscessero l’importanza del telegrafo, “destinato a ridurre il servizio dei corrieri e delle guide”, la cui linea si iniziò ad estendere nell’Alto Sangro nel 1867 ad opera di un ufficiale piemontese del genio [U. D’Andrea, Il Brigantaggio dopo l’Unità, cit.].

Sul brigante Cannone sono sorti molti aneddoti, probabilmente arricchiti dalla letteratura popolare e dalla tradizione orale. Egli infatti non fu mai catturato e si diffusero solo voci sulla sua presunta morte, che sarebbe avvenuta nel 1868 a seguito di uno scontro a fuoco con reparti della Guardia Nazionale nei pressi della frontiera pontificia[xvi].

Sul Piano delle Cinque Miglia e nell’Alto Sangro agivano di preferenza le bande di Croce Tola e Nunzio Tamburrini, entrambi di Roccaraso[xvii], le quali non di rado si riunivano con altri gruppi operanti nel territorio di Agnone o di Forca d’Acero, che collega la Val Comino (e quindi la Ciociaria) con l’Alto Sangro. In questi due notissimi briganti, alla luce della deposizione fatta dal Di Tola subito dopo la sua cattura, sembra assente ogni componente politica nelle loro azioni delittuose, fra le quali primeggiano i ricatti nei confronti dei ricchi proprietari di greggi[xviii]. Va sottolineato a tal riguardo che “parlare di industria armentizia in riferimento al 1860-1870 significa alludere ai principali elementi che attraevano i briganti: ricchezza da emungere mediante ricatti, amicizia di pastori dalla quale derivavano ottime informazioni, trovarsi in posti alti per spiare i movimenti dei reparti antibrigantaggio e spostarsi al momento opportuno” [U. D’Andrea, Il Brigantaggio…ecc, cit.].

Questo spiega come lo scenario d’azione delle bande Tamburrino e Croce di Tola, spesso congiunte con altre operanti in aree limitrofe (come la banda Cannone), fosse costituito da quel vasto ed impervio territorio compreso fra il Circondario di Sulmona, l’Alto Sangro ed i monti Marsicani, dove d’estate i ceti armentari trasferivano le loro greggi per il pascolo.

Al fine di costituire una valida difesa contro questo brigantaggio transumante furono costruiti a partire all’incirca dal 1865 diversi blockhaus, cioè fortini in muratura o in legno per controllare meglio gli spostamenti delle bande.

Uno di questi, in località «Chiarano» presso il Piano delle Cinque Miglia, fu incendiato da Croce di Tola nel 1871, pochi mesi prima della sua cattura avvenuta nel luglio dello stesso anno (ad opera del leggendario brigadiere dei Carabinieri Chiaffredo Bergia) sul monte Pallottieri, che segna il confine fra i territori di Barrea e Castel di Sangro.

A riprova dell’interesse delle bande per le greggi che pascolavano d’estate sui rilievi montuosi, va sottolineato che il brigante Chiavone, il quale operava con la sua banda anche a Forca d’Acero per controllare i movimenti tra la Val Comino e l’Alto Sangro, venne in forte contrasto con Nunzio Tamburrino allorché tentò di trasferire la propria masnada sul Piano delle Cinque Miglia, considerato da quest’ultimo territorio di propria esclusiva competenza [U. D’Andrea, Il Brigantaggio…ecc, cit.].

Si deve probabilmente a tale circostanza che Chiavone, al secolo Luigi Alonzi di Veroli (Fr.), fosse costretto ad emigrare in un’altra area per le sue operazioni, quella posta fra Villavallelonga ed il medio corso del Liri, lungo la Valle Roveto, dove assorbì e mise al proprio servizio le bande di Vincenzo Mattei e di “Capoccia” che qui operavano preminentemente con grassazioni e ricatti contro famiglie

Armentarie. [L. PALOZZI, Storia di Villavallelonga, Roma 1982]

Non sappiamo se i tre siano venuti a contatto con la singolare figura di un altro brigante, Berardo Viola, il cui teatro d’azione era costituito dalla Marsica e dal Cicolano. Il Viola, pur appartenente alla Guardia Nazionale, imboccò come sembra la strada del brigantaggio dopo aver partecipato ad un’azione di repressione contro gli abitanti di Fiamignano, oggi in prov. di Rieti, che si erano ribellati

per le tristi condizioni economiche in cui versavano[xix] . Arrestato nel 1865, il Viola, pur condannato a morte, ebbe salva la vita per aver collaborato con le forze dell’ordine, e di lui ci parla anche I. Silone nel romanzo Fontamara.

Particolarmente grave si presenta dopo il settembre del 1860 la situazione nel teramano, specie nella Valle Castellana, anche dopo la resa della fortezza di Civitella del Tronto. Si tratta di un’area, sottolinea il Braccili, “i cui abitanti avevano una fede addirittura fanatica per i Borboni”, ma dove le cause del fenomeno del brigantaggio, puntualizza il Colapietra, “a parte le crescenti degenerazioni criminali, si debbono cercare in larga parte autonomamente rispetto alla restaurazione politica” [Abruzzo…, cit.]. La restaurazione appare dunque anche un pretesto per molti che commettono rapine ed omicidi e restano in attesa di amnistie e condoni; in essi, come scrive efficacemente il D’Andrea, “è forte la speranza nel bottino unita al guadagno del perdono”.

Ci limiteremo, secondo la linea fin qui seguita, a ricordare solo alcuni fra i più noti briganti che operarono nell’area intera del Gran Sasso e delle cui gesta ci parla anche Fedele Romani nel suo libro di ricordi “Da Colledara a Firenze” [Firenze 1915, pubblicazione postuma]. Va menzionato per primo quel Giovanni Piccioni che, scrive il Braccili, “aveva tutte le caratteristiche del capo e soprattutto era dotato di un grande spirito di organizzazione”. Le rapine, specie nei confronti dei proprietari d’armenti, e le feroci esecuzioni del Piccioni a danno di esponenti della Guardia Nazionale, si registrano già sul finire del 1860. Le sue incursioni suscitano terrore al pari degli attacchi fulminei e violenti condotti da un altro brigante, Berardo Stramenga, autore del tristemente famoso «Sacco di Campli» messo in atto nell’ottobre del 1860.

L’aspetto preminentemente filo-borbonico, che caratterizza le azioni delle bande brigantesche negli anni immediatamente seguenti al Plebiscito del 1860, svanisce, secondo alcuni Autori già dal 1863, in un orizzonte caratterizzato da mancanza di prospettive politiche.

Quando tale orizzonte non si colora di “diffuso malcontento che diventa aperta e violenta ribellione nel mondo contadino”[xx], esso rappresenta storicamente, come sottolinea il Colapietra, solo il proscenio di “crescenti degenerazioni criminali”.

Una zona particolarmente rischiosa per i viandanti era costituita dal Passo delle Capannelle, teatro delle azioni di briganti quali Andrea Andreani e Giuseppe Palombieri vere primule rosse che si spostavano con celerità nell’agro di Campotosto e nel Cicolano, quest’ultimo un territorio cuscinetto senza dubbio strategico, perché permetteva in breve tempo di sconfinare nello Stato della Chiesa. L’Andreani, ci informa ancora il Braccili, fu catturato a Campotosto l’8 novembre del 1867 dal vice brigadiere Chiaffredo Bergia e stessa sorte subì il Palombieri nel gennaio dell’anno dopo. La fama del valoroso carabiniere è legata come è noto alla cattura del brigante Croce di Tola, avvenuta il 29 luglio del 1871 sul monte Pallottieri. Si tratta di un episodio che merita, a mo’ di chiusura, qualche riflessione. ll Molfese infatti scrive nella sua nota Storia del brigantaggio [Milano 1964.]che “nel gennaio del 1870 vennero soppresse le zone militari nelle province meridionali, segnando così la fine ufficiale della repressione militare del brigantaggio”.

In realtà il fenomeno, come dimostra l’episodio della cattura di Croce di Tola, persiste per tutto il 1871 nelle aree montuose soggette al pascolo estivo e rappresentanti una preoccupazione costante per le Autorità. Una lettera del Prefetto di Chieti, datata 17 agosto 1871, chiarisce bene questo clima gettando non poche luci sugli ultimi episodi del brigantaggio non politico. Scrive infatti il Regio Prefetto: “Sebbene dopo l’arresto del capobanda Croce di Tola parrebbe che fosse cessato il bisogno di mantenere in Palena un nucleo di forza, pure quel Sindaco fa premure… che i carabinieri rimangano almeno fino alla metà del prossimo ottobre, epoca in cui in quei luoghi vanno via gli armenti e così pure i malviventi” [V. Orsini, Campo di Giove, Sulmona 1970].

Gli ultimi bagliori del brigantaggio vengono così a spegnersi proprio sui monti d’Abruzzo in coincidenza con il declino della pastorizia. Ma ciò rappresenta forse solo la cornice di un vasto e complesso fenomeno che, a nostro avviso, attende ancora importanti pagine di storia finora non scritte.


[i]Il capitolodell’opera, Drei Wochen in den Abruzzen (“Tre settimane in Abruzzo”) è stato da me tradotto e pubblicato a Sulmona nel 1977 per i tipi della casa ed. La Moderna.

[ii] R. COLAPIETRA, introduzione al volume di G. Morelli, Il brigante Giulio Pezzolla del Borghetto e il suo «Memoriale» (1598-1673), Roma 1982.

[iii]M. MONNIER, Notizie storiche documentate sul brigantaggio nelle province napoletane dai tempi di fra’ Diavolo sino ai giorni nostri, ristampa anastatica dell’Ediz. di Firenze, 1862, a cura di A. Polla Editore, Cerchio 1986.

[iv]A. COLAROSSI-MANCINI, Storia di Scanno e guida nella valle del Sagittario, L’Aquila 1921; N. PALMA, Storia ecclesiastica e civile della Regione più settentrionale del Regno di Napoli ecc., vol. III, Teramo 1833.

[v]La bibliografia su Marco Sciarra è molto folta. Oltre all’opera citata di N. Palma, vol. III, vedasi anche G. CELIDONIO, Marco di Sciarra nelle contrade peligne, in «Bullettino della R. Deputazione Abruzzese di Storia Patria», 1905; R. COLAPIETRA, Abruzzo. Un profilo storico, Lanciano 1977; L. BRACCILI, Briganti d’Abruzzo, Roma 1988; G. MORELLI, Contributi ad una storia del brigantaggio durante il vicereame spagnolo, in «Archivio Storico per le Province Napoletane», an. 1968-69,1971.

[vi]Tale appellativo sarà in seguito appannaggio di un altro famoso brigante, Basso Torneo o Basso Tomeo (il nome è riportato nei due modi dal Monnier), particolarmente attivo con la sua banda durante il regno di G. Bonaparte e G. Murat nell’area del Trigno. Vedasi al riguardo anche A. MACDONELL, Negli Abruzzi, traduzione dell’edizione inglese (Londra 1908), a cura di G. Taurisani, Sulmona 1991.

[vii] Cfr. G. B. MANSO, Vita di Torquato Tasso, Venezia 1621; A. SOLERTI, Vita del Tasso, Roma 1895; C. GUASTI, Lettere di Torquato Tasso. Disposte per ordine di tempo ed illustrate, Napoli 1857; G. MORELLI, Contributi ad una storia del brigantaggio, cit.; A. MACDONELL, Negli Abruzzi, cit.

[viii]In seguito vi furono petizioni inviate a Napoli ed intese ad ottenere lo smembramento dei tratturi in appezzamenti da assegnare ai nuclei familiari indigenti. Cfr. F. CERCONE, Agricoltura e pastorizia a Pettorano sul Gizio in un documento del 1859, «Rivista Abruzzese», N. 1, Lanciano 1985.

[ix]U. D’ANDREA, Gli avvenimenti dal 1791 al 1806 nelle Valli dell’Alto Sangro e del Sagittario ed in alcune zone della Marsica e della Conca peligna, Casamari 1974.

[x] R. D’HAUTEROCHE, La vie militaire en Italie sous le Premier Empire (1806-1809), opera pubblicata postuma. Il brano è riportato in «Atti del Terzo Convegno Viaggiatori Europei negli Abruzzi e Molise», Teramo 1976.

[xi]A. MACDONELL, cít. Nel decennio francese fu sistemata a Chieti, fuori Porta Napoli, una ghigliottina che continuò a funzionare fino al 7 aprile 1853, data in cui salì al patibolo il brigante Antonio Salvatore di Lanciano. Cfr. M. T. PICCIOLI OBLETTER, Le vicende storiche della ghigliottina di Chieti, “Rivista Abruzzese” N.1, Lanciano 1986.

[xii]Cfr. Abruzzo, Montagne e briganti, a cura di M. DI CESARE e S. FERRARI, Ari 1994; Archivio di Stato, L’Aquila, Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali; V. BALZANO, La vita di un Comune del reame. Castel di Sangro, Pescara 1942; U. D’ANDREA, Il brigantaggio dopo l’Unità nell’Alta valle del Sangro e nell’Alto Volturno (1860-1871), Casamari 1992.

[xiii]Cfr. A. ALBONICO, La mobilitazione legittimista contro il Regno d’Italia, Milano 1979. Del notissimo Diario di José Borjès siamo riusciti a consultare una edizione completa dal titolo La mia vita tra i briganti, Lacaita Ed., Manduria 1964. T. Pedio, che ne è il curatore, mette in risalto le inesattezze che si riscontrano in quegli appunti di Marc Monnier, pubblicati per la prima volta nella loro traduzione italiana con il titolo Notizie storiche documentate sul Brigantaggio nelle Provincie napoletane dai tempi di fra’ Diavolo sino ai nostri giorni, editi in Firenze nel 1862, per i tipi dell’Ed. Barbera.

[xiv]. Cfr. Brigantaggio ottocentesco in Abruzzo, Presentazione di C. VIGGIANI, Ari 1985, a cura dell’Archivio di Stato, Chieti; cfr. anche Abruzzo. Montagne e briganti, cit.

[xv]Cfr. Brigantaggio ottocentesco, op. cit.; L. BRACCILI, Briganti d’Abruzzo, Roma 1988.

[xvi]Cfr. Brigantaggio Ottocentesco, cit.; L. BRACCILI, Briganti d’Abruzzo, cit. La «Guardia Nazionale Mobile» fu istituita il 14 dicembre 1860 per la tutela dell’ordine pubblico e la lotta al brigantaggio.

[xvii]Nunzio Tamburrini, nei documenti processuali riportato come Tamburrino o Tamborrino, va distinto dall’ altro brigante di Introdacqua Giuseppe Tamburrini. Cfr. G. SUSI, Introdacqua nella storia e nella tradizione, Sulmona 1970. Il Braccili parla di un altro brigante di Roccaraso, Vincenzo Tamburini, di cui non siamo riusciti a reperire notizie. Cfr. L. BRACCILI, op. cit.

[xviii]Cfr. Abruzzo. Montagne e briganti, cit. Particolarmente colpita dalle estorsioni di Croce di Tola, che sapeva scrivere, fu la famiglia Patini di Castel di Sangro, proprietaria di molti capi d’ovini.

[xix]L’istituzione della prov. di Rieti, avvenuta nel 1927 con l’assorbimento di molti centri dell’Aquilano, ha indotto in errori di distrazione non pochi studiosi di Abruzzesistica. Ritenevamo per es., in una nota apposta al citato volume della Macdonell da noi curato, che Rocca di Corno non fosse una località dell’Abruzzo, come scrive appunto l’Autrice inglese. Si tratta invece di un paese che prima del 1927 e quindi anche all’epoca in cui l’Autrice scriveva (1907) faceva parte dell’Abruzzo.

[xx]Cfr. Brigantaggio Ottocentesco, cit. Il problema appare pertanto più complesso rispetto alle tesi di Bianco di Saint-Joroz che divide, forse troppo rigidamente, il fenomeno in due periodi, nel primo del quale avrebbe prevalso il movente politico e nel secondo la delinquenza comune. Cfr. A. BLANCO DI SAINT-JOROZ, Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863, Milano 1864.




IL COMBATTIMENTO ESCATOLOGICO ALLA FINE DEI TEMPI

di Don Marcello Stanzione e Lorenzo Ventrudo – Recensione

IlNuovoAregario.com, 21 aprile 2024. “Il combattimento escatologico alla fine dei tempi”, di Don Marcello Stanzione e Lorenzo Ventrudo (edito da Segno) è il compimento della trilogia sulla tematica escatologica. Gli altri due testi erano: “666. Il numero della bestia” e “L’Anticristo della fine dei tempi sta per arrivare?”, sempre editi da Segno di Udine.  Scopo di questo terzo libro, “Il combattimento escatologico alla fine dei tempi”, non è quello di trattare sul ruolo generico della Madonna, degli angeli, dei demoni e degli uomini ma del loro impegno nel combattimento finale degli ultimi tempi. La finalità, pertanto, non è quella di una trattazione generica e sistematica dell’argomento, ma quella di offrire ai fedeli delle informazioni pastorali, con supporto teologico, utili al loro impegno nel lottare consapevolmente contro le insidie anticristiche.

Nel contesto dell’imminente persecuzione anticristiana già teorizzata dal potere diabolico per mezzo dell’abbinamento del Falso Profeta e dell’Anticristo (Ap 13), i veri cristiani devono essere edotti sui segni del loro tempo, per impegnare adeguate strategie pastorali difensive della sana dottrina cristiana e cattolica e in particolare per salvare quanto più anime possibili.

Verrà un giorno in cui il nostro mondo terminerà. Sarà questo il giorno di Dio, il giorno della Sua giustizia, del Suo trionfo. Dio deve avere l’ultima parola e mostrare ch’Egli è il Padrone onnipotente, il sovrano Giudice. Occorre anche che di fronte all’universo, la virtù sia ricompensata, il vizio punito ed umiliato! San Michele avrà un grande ruolo da compiere negli eventi che allora si compiranno. In un modo spettacolare, egli apparirà come il soldato di Dio, il vendicatore dei suoi diritti. Il beato cardinale Schuster in un’omelia sull’arcangelo del 1950 dichiarò: “L’importanza attribuita nella liturgia al culto di S. Michele si comprenderà facilmente quando si porrà mente alla parte principale e all’ufficio attribuito all’Arcangelo nella lotta contro Satana. La battaglia, impegnatasi già in cielo subito dopo la prima ribellione di Lucifero, non è che un episodio staccato d’una guerra lunga ed immane che continua attraverso i secoli, e che costituisce la storia stessa della creazione. Il Verbo di Dio discende in terra, quale fortissimo armato, a rivendicare l’onore sprezzato del Padre Suo, e a porsi i Suoi nemici quale sgabello sotto i Suoi piedi. In questa lotta tra il bene ed il male, dove nessuna creatura può essere neutrale, Egli ha per alleati Michele e gli angeli Suoi, la Chiesa e i santi, i quali combattono sotto i suoi stendardi al grido: “Quis ut Deus?”. Dalla parte opposta stanno Lucifero e gli angeli suoi con tutti i loro ausiliari, soprattutto le moderne società segrete, le quali tentano di compiere in terra quello che l’Apostolo chiama “mistero d’iniquità” che va maturando, e che raggiungerà il colmo verso la fine del mondo, prima della parusia finale del Cristo.

Lo svolgimento però di questo piano diabolico d’iniquità, al dir di S. Paolo, adesso viene alquanto ritardato e trattenuto, affinché Dio possa intanto svolgere il piano suo di salvezza e di amore. Secondo l’Apostolo, quella che trattiene adesso e ritarda i passeggeri trionfi di Satana, è una potenza personale, che perciò i teologi identificano con S. Michele, o con la Chiesa Cattolica.

Il demonio, mentre pur si prepara alla lotta decisiva e suprema che intraprenderà contro Cristo alla fine dei secoli, per il momento tuttavia non può fare ciò che vuole: la Chiesa è protetta dall’invisibile assistenza di Michele e degli angeli suoi. Si domanda perché in questa lotta contro il demonio Iddio ci abbia commesso alla difesa degli angeli. La ragione è facilmente comprensibile. Il demonio è uno spirito che nulla ha perduto della nobiltà della sua natura. Perché dunque la lotta non sia sproporzionata, Iddio ha posto a nostro fianco dei difensori della stessa natura di Lucifero, cioè dei puri spiriti, ma che sono assai più forti e potenti di lui”.

La Chiesa chiama temibile quel giorno del giudizio. Beati quelli che, durante la loro vita, avranno chiesto a san Michele aiuto e protezione per non perire in quel giorno di spavento.

Di fronte all’apostasia generale, una luce di speranza è la Madonna.

Siamo in un’epoca di prevaricazione che abbraccia tutti i popoli, le culture più diverse e persino la stessa religione, il che rende imperativo pensare che la missione di Elia debba essere rinnovata con urgenza e zelo raddoppiati. Al tempo di quest’uomo provvidenziale, l’intero Israele correva dietro a falsi dei; oggi, però, si palesa una situazione ancora peggiore. Secoli dopo la Redenzione operata da Gesù, la Civiltà Cristiana viene travolta da un torrente di apostasia che trascina grandi moltitudini. D’altra parte, la crisi radicale negli ambienti cattolici ha raggiunto proporzioni tali che si vede stabilito nel luogo santo “l’abominio della desolazione” (Mt 24,15).

Di fronte a questa cupa prospettiva, c’è solo una via d’uscita: la Vergine dell’Apocalisse, rivestita di fulgente splendore, con la Luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle (cfr. Ap. 12,1). A Lei l’Altissimo ha affidato la missione di Elia per i giorni che viviamo, missione questa incalcolabilmente più eroica e grandiosa di quella del profeta igneo.

La Vergine, che nella pienezza dei tempi è stata la risposta di Dio alla disobbedienza di Eva, sarà in questi ultimi tempi la sua più sublime vendetta contro il peccato di coloro che calpestano il Sangue Preziosissimo di Cristo. Attraverso i suoi figli fedeli, Ella abbatterà gli idoli di oggi e libererà la Santa Chiesa dalla prigione oscura e purulenta in cui i suoi nemici intendono tenerla, come un muro vivente, visto che non possono distruggerla in virtù della promessa di immortalità che la sostiene (cfr. Mt 16,18).

Dalle purissime labbra di Maria si udiranno esortazioni al coraggio nel santo combattimento della Fede, simili a quelle che si trovano nell’Apocalisse di San Giovanni: “Vidi un altro angelo discendere dal cielo con grande potere e la terra fu illuminata dal suo splendore. Gridò a gran voce: E’ caduta, è caduta Babilonia la grande ed è diventata covo di demoni, carcere di ogni spirito immondo, carcere di ogni uccello impuro e aborrito e carcere di ogni bestia immonda e aborrita. Perché tutte le nazioni hanno bevuto del vino della sua sfrenata prostituzione, i re della terra si sono prostituiti con essa e i mercanti della terra si sono arricchiti del suo lusso sfrenato. Poi udii un’altra voce dal cielo: Uscite, popolo mio, da Babilonia per non associarvi i suoi peccati e non ricevere parte dei suoi flagelli. Perché i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato delle sue iniquità. Pagatela con la sua stessa moneta, retribuitele il doppio dei suoi misfatti. Versatele doppia misura nella coppa con cui mesceva. Tutto ciò che ha speso per la sua gloria e il suo lusso, restituiteglielo in tanto tormento e afflizione. Poiché diceva in cuor suo: Io seggo regina, vedova non sono e lutto non vedrò; per questo, in un solo giorno, verranno su di lei questi flagelli: morte, lutto e fame; sarà bruciata dal fuoco, poiché potente Signore è Dio che l’ha condannata” (18,1-8).

Maria Santissima, simboleggiata dalla nuvoletta che annunciò a Elia la prossimità della pioggia, risplenderà sulla cima del Monte Carmelo, incoraggiando le schiere del bene e disperdendo i nemici di Dio, al fine di istaurare il Regno di Cristo sulla terra, come annunciò a Fatima: “Alla fine, il mio Cuore Immacolato trionferà”. Con gli occhi fissi sulla Madonna, sforziamoci con fedeltà e zelo di combattere per la causa di Dio, certi della vittoria. Il giorno della santa vendetta non tarderà, rallegriamoci ed esultiamo, perché la nostra liberazione è vicina. Quando apparirà l’Anticristo, verrà il momento in cui Nostro Signore Gesù Cristo stesso, con un soffio della sua bocca, lo sterminerà. Ma questo momento non sarà affrettato dalla Madonna? Ella dirà: “Ecco, gli ultimi buoni che restano, gridano e chiedano che Tu venga! Vieni, per favore, Tua Madre te lo chiede”. E con il soffio delle labbra di Nostro Signore, la Storia avrà fine. Comprendiamo, allora, la direzione “intercedente” della Storia. Dio dirige tutto, ma la Madonna compie la volontà del Signore ottenendo la modifica dei suoi piani. Così Ella dirige la Storia verso la salvezza degli eletti e la sconfitta totale dell’Anticristo e dei suoi collaboratori.




DRAGHI E L’EUROPA: IL FUTURO È OGGI

di Guido Puccio

PoliticaInsiemw.com, 21 aprile 2024. Formidabile intervento di Mario Draghi a Bruxelles. Anticipando con una conferenza un lavoro, lungo e silenzioso, sullo stato dell’Unione europea e sulla competitività, l’ex presidente della BCE è entrato come l’elefante in cristalleria: nessuna critica alla Commissione ma un severo richiamo ai Paesi membri.

È inutile-ha detto sostanzialmente-continuare nella contesa tra i membri dell’Unione, magari compiacendosi se il PIL di un Paese cresce del due per cento rispetto allo zero virgola di un altro. Come è inutile sottrarsi quote di mercato l’un l’altro; ridurre i costi a scapito del welfare; scaricare le tensioni dei bilanci sui salari o utilizzare la leva fiscale, magari a termine. Ed ancora: non ha più senso il confronto tra le “operose formiche” dei Paesi del nord Europa e le “cicale” di quelli del sud.

Il mondo è cambiato con due guerre sulla porta dell’uscio di casa, la grande crisi energetica, le raffiche dell’inflazione. Il mondo di ieri non c’è più e quello di domani sarà sempre più influenzato dal peso delle grandi potenze, Stati Uniti e Cina, dove tutto ciò che avviene condiziona il resto del mondo.

L’Europa deve tenerne conto se vuole avere ancora un ruolo ed essere competitiva. Il mercato unico deve essere completato, così come l’unione bancaria, una difesa integrata, politica estera e finanziaria comuni. Le sfide aperte riguardano tutti: dalla crescita dei settori innovativi alle nuove tecnologie digitali; dalla fine dello sfruttamento dei territori alle conseguenze delle mutazioni climatiche. Gli altri ci sono già.

Ecco allora la proposta: una strategia comune che superi i sovranismi, ormai insignificanti e polverosi, basata su grandi investimenti pubblici e privati a dimensione continentale. Solo così l’Europa potrà essere competitiva e fare la sua parte nel mondo.

Non hanno più senso gli affannosi tentativi dei tedeschi per mantenere il mercato cinese; il piano Mattei per l’Africa in capo solo all’Italia; le ambizioni francesi per superare tutti nell‘automotive, nella grande distribuzione e nel lusso; l’ambizione della Spagna impegnata per valutare la sua crescita maggiore rispetto a quella di altri. Come non hanno più senso le superbie dei Paesi cosiddetti frugali per opporsi al debito comune; la solitudine degli ungheresi nel considerare i rapporti con Putin allo stesso livello di quelli con l’occidente; la fiscalità olandese per attrarre da sola investimenti privati.

I primi commenti all’intervento di Draghi si sprecano. Apprezzato dalla grande stampa economica, da qualche autorevole personaggio e da autorevoli leader del continente, l’intervento ha sollevato le solite perplessità in patria, dove nella cronaca politica prevalgono le baruffe pugliesi o gli scandali dei voltagabbana. Significativo il primo commento della presidente Meloni: “È filosofia” ha detto pur apprezzando l’intervento. Come dire: appartiene al mondo dei sogni. No, signora Meloni appartiene al mondo di oggi.

Dedichiamo alla nostra presidente quanto diceva Eleonora Roosevelt, in anni difficili per tutti: ”il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”.

Guido Puccio




CENTO METRI DI CATENE

Appuntamento ad Avezzano con il Presidente Odg Abruzzo Pallotta e lo storico Patricelli

Avezzano, 21 aprile 2024. Martedì 23 aprile alle ore 17:30, ci sarà la prima presentazione ufficiale del volume edito da Ianieri Edizioni “Cento metri di catene”di Pietrantonio Palladini con il figlio Pietrantonio Lanzi Palladini, presso la libreria Mondadori di Avezzano (Aq), via Monsignor Bagnoli 86. Interverranno inoltre Stefano Pallotta, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti d’Abruzzo che ne ha scritto la prefazione, lo storico Marco Patricelli; modera la giornalista pescarese Alessandra Renzetti.

Nato a Pescina il 7 maggio 1898, Pietrantonio Palladini è deceduto nel 1981, era un avvocato e socialista, attivo sin da giovane nelle Leghe contadine, dopo la Prima guerra mondiale, alla quale partecipò da volontario, riprese l’attività politica. Palladini, che aveva ospitato ad Avezzano la vedova Matteotti, dopo l’uccisione del martire socialista respinse le provocazioni dei fascisti locali, ma nel 1927 fu arrestato e radiato dall’Albo degli avvocati. Da allora fu un susseguirsi di arresti e soggiorni al confino sino a quando, dopo l’armistizio, l’avvocato socialista partecipò attivamente alla lotta contro i tedeschi, riuscendo, tra l’altro, a salvare dalla deportazione in Germania una trentina di patrioti.

Dopo la Liberazione guidò le lotte per la riforma agraria nel Fucino. Eletto consigliere provinciale, Palladini presiedette il locale comitato contro la guerra nel Vietnam. È stato anche presidente regionale dell’ANPPIA. Sulle lotte dei contadini abruzzesi ha lasciato il libro Cento metri di catene in cui è  presente la lotta della classe lavoratrice contro la violenza fascista asservita alla dominazione feudale e agraria; violenza della prima ora che Palladini definisce “confusa, caotica azione squadrista che divampò improvvisa sotto la spinta di facili istinti, ed armò la mano di sparuti gruppi senza arte né parte”.

Come spiega il Presidente Pallotta è una lotta che ha avuto, secondo l’autore, “una tale intensità di valori umani ed un così autentico richiamo alla giustizia sociale da ispirare, nella realtà e nelle origini ideali, il romanzo Fontamara di Ignazio Silone il quale pur riproducendo la triste condizione dei contadini, ha inteso denunziare l’inumana ed intollerabile ingiustizia che volevasi imporre con tutti i mezzi”.

Una lotta di classe che è scritta con il colore del sangue versato a Trasacco, a Pescina, a Cerchio, ad Aielli e a Celano perfino all’indomani della Repubblica. Epopea di persone umili, di contadini, braccianti, donne, socialisti, anarchici, comunisti, cattolici del partito popolare e di tre marsicani che avrebbero influenzato il pensiero nazionale, Ignazio Silone, Camillo Corradini e Benedetto Croce.




GIULIANOVA NEL SOLE

L’incontro su comunità energetiche e modernizzazione degli impianti è in programma per martedì 23 aprile alle 18 all’ hotel Europa. 

Giulianova, 21 aprile 2024. Si parlerà di transizione energetica, risparmio in bolletta, solidarietà e sensibilità ambientale nel corso dell’incontro “Giulianova nel Sole”  organizzato per martedì 23 aprile, nella sala conferenze dell’ Hotel Europa, dalla Comunità Energetica di Giulianova, da Obiettivo Famiglia/Federcasalinghe, Anta, Domina e Casa del Consumatore. L’iniziativa, patrocinata dal Comune di Giulianova, sarà utile ad illustrare gli enormi vantaggi, ambientali ed economici, provenienti dalla creazione di comunità energetiche. Saranno non a caso presenti al convegno esperti del settore delle  rinnovabili e delle economie connesse.

“Sono grandi opportunità offerte dalle politiche nazionali ed europee – spiega l’assessore Marco Di Carlo – che possono essere colte da imprenditori, commercianti, operatori turistici, scuole, diocesi”.

“ L’incontro – puntualizza l’assessore Paolo Giorgini – metterà a confronto cittadini e associazioni con esperti del settore. La nuova frontiera per combattere la povertà energetica e tutelare l’ambiente è proprio quella del fare comunità. Aggiornarsi e capire è dunque fondamentale” 

“Siamo orgogliose – sottolinea la Presidente Nazionale di Obiettivo Famiglia/ Federcasalinghe Federica Rossi Gasbarrini – di poter offrire ai cittadini e alle imprese del territorio proposte interessanti e condivisibili, che aiuteranno le famiglie ad avere case green e sicure con  meno costi in bolletta”.




ARTINVITA 2024

Lunedì la conferenza presso l’Università ‘G. d’Annunzio’ di Chieti – Pescara

Chieti, 21 aprile 2024. Dal 26 aprile al 12 maggio 2024 torna per la settima edizione Artinvita, il Festival Internazionale degli Abruzzi, un progetto nato nel 2018 dalla collaborazione tra l’Associazione abruzzese Insensi, Direttore artistico Marco Cicolini e il Théâtre de Léthé à Paris – Collectif 2 plus, Direttrice artistica Amahì Camilla Saraceni: si tratta di un percorso condiviso tra Francia e Abruzzo, con un piede saldo nel presente e l’altro che fa un passo verso il futuro.

Nuova è la collaborazione con l’Università G. d’Annunzio di Chieti – Pescara (e in particolare con il Coro di Ateneo UdA InCanto) e che ospiterà la conferenza stampa del Festival lunedì 22 aprile alle ore 11.00 presso l’Aula multimediale del Rettorato in via Dei Vestini 31, Chieti.

Interverranno: il Magnifico Rettore, Prof. Liborio Stuppia, l’Assessore regionale Roberto Santangelo ed i due direttori artistici. 

Teatro, musica, cinema, danza, circo, installazioni, workshop, scuole: Artinvita è un progetto multiculturale, trasversale e internazionale che, facendosi portavoce della diversità, produce ed accoglie le nuove forme artistiche in uno spirito d’apertura e di originalità in rapporto diretto con la vitalità della produzione contemporanea.

Un Festival che apre le porte ad artisti emergenti, performer, autori contemporanei con lo scopo di avvicinare l’arte alla vita, creare ponti tra culture e tra generazioni, promuovendo al tempo stesso la bellezza dei luoghi d’Abruzzo animando, in primavera, una fetta di territorio che si estende dalle pendici della Maiella al Mare Adriatico.

Le location, diverse, dislocate lungo l’asse territoriale coinvolta accolgono gli artisti e le loro opere offrendo l’opportunità di dedicare un tempo alla creazione artistica condivisa e dunque anche nel 2024 la rete di Artinvita sarà partecipata dai Comuni teatini di: Guardiagrele con l’Ente Mostra dell’Artigianato Artistico Abruzzese e la nuova collaborazione con /f urbä/, di Simone Marsibilio, Orsogna, luogo di nascita del Festival con il Teatro Comunale C. De Nardis grazie alla consolidata collaborazione con la gestione di Zenone Benedetto; Arielli, dove si trovano la Chiesa Sconsacrata di San Rocco e una delle principali strutture di residenza artistica, Dentro La Terra. Si prosegue con Crecchio e l’Auditorium Santa Maria da Piedi, per poi arrivare al mare e dunque Ortona con il Cinema Auditorium Zambra gestito da Unaltroteatro e lo spazio culturale ZooArt.

Si rinnovano le preziose collaborazioni con la storica azienda vitivinicola Masciarelli che ospiterà un artista con il suo progetto nell’incantevole Castello di Semivicoli a Casacanditella; con lo Spazio Matta di Pescara e con lo storico Teatro Marrucino a Chieti dove prosegue l’intenzione di lavorare sulle nuove tendenze performative che uniscono i linguaggi del teatro con quelli della musica contemporanea. In ognuno di questi luoghi il Festival trova dei partner e delle persone con cui si creano scambi costruttivi.

Artinvita è un Festival Multidisciplinare finanziato dal Ministero della Cultura (MIC) attraverso il Fondo Nazionale dello Spettacolo dal Vivo (ex FUS), dalla Regione Abruzzo e dalla Fondazione Nuovi Mecenati – Fondazione franco-italiana di sostegno alla creazione contemporanea e in collaborazione con l’Institut Français. Presenta i seguenti patrocini: Ambassade de France en Italie, Ambasciata Argentina, Buenos Aires Ciudad, Comune di Guardiagrele, Comune di Orsogna, Comune di Arielli, Comune di Crecchio.




PROSPETTIVA PERSONA

Salotto culturale e la raccolta poetica di E. Mazzarella

Teramo, 21 aprile 2024. Il prossimo 24 Aprile 2024  alle ore 18,15 il Salotto culturale di Prospettiva persona (Patrocinio MIC e Fondazione Tercas) Via N. Palma, 31,  presenta la  raccolta poetica di E. Mazzarella, Cerimoniale, Crocetti Editore, Milano 2023. Ne discuteranno, sotto la presidenza e il coordinamento di Enrica Lisciani Petrini, Adriano Ardovino e Vincenzo Lisciani Petrini

Vi aspettiamo numerosi sia in presenza che in streaming: manderemo link

Approfondimenti:

Cerimoniale, Poesia di “visioni”, che si accendono a farsi parola, “sopra pensiero”, nella “cosa che pensa” – “che dubita, che concepisce, che afferma, che nega, che vuole, che non vuole, che immagina anche, e che sente”.  La poesia di M. guarda il sorgere e il perire delle cose, il loro andare per il mondo che va via, a cominciare dagli occhi di chi guarda;  trascrive il dettato del “Golgota delle cose” che la coscienza ha voluto vedere scalando le mura del “giardino della natura”, per vedere fuori.  Fuori – dalla fisica, dalla natura – trova solo la fisica che muore, cioè noi, l’unica metafisica conosciuta. E tuttavia un’illusione – “che l’anima potesse essere casa/ presidio di qualcosa” – in cui tenere campo con dignità in un “cerimoniale” di presenza, “perché nella vita/ il posto è/ dove trovi posto”. Cerimoniale   chiude Opera sesta, silloge che considera “il grande Sistema del Silenzio” davanti alla Sapienza – il Poemetto di chiusura – che perdona.

Eugenio Mazzarella è professore emerito di Filosofia Teoretica all’Università Federico II di Napoli, dove è stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia. È stato parlamentare nella XVI Legislatura. Tra i maggiori interpreti di Heidegger e Nietzsche, cui ha dedicato studi considerati classici, ha sviluppato una riflessione antropologica il cui focus filosofico è un programma di “tenuta” dell’umano conosciuto: Vie d’uscita. L’identità umana come programma stazionario metafisico (il Melangolo, Genova 2004); L’uomo che deve rimanere. La smoralizzazione del mondo (Quodlibet, Macerata/Roma 2017). Ha trattato il nesso poesia-ontologia in Perché i poeti. La parola necessaria (Neri Pozza, Milano/Vicenza 2020). Ha pubblicato quattro raccolte di poesia: Il singolare tenace (I Quaderni del Battello Ebbro, Alto Reno Terme (Bo) 1993), Un mondo ordinato (Palomar, Milano 1999), Opera media (il Melangolo, Genova 2004) e Anima Madre (Artstudio Paparo, Napoli 2015).

Enrica Lisciai Petrini, professore ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università degli studi di Salerno, è membro della Direzione scientifica della rivista “Il Pensiero” e del Comitato di direzione della rivista “Filosofia Politica”. Ha dato particolare attenzione alle riflessioni di autori come Heidegger, Bergson, Jankélévitch, Merleau-Ponty e Deleuze; tra essi ricordiamo L’apparenza e le forme. Filosofia e musica in V. Jankélévitch, Nuove Edizioni Tempi Moderni, Napoli 1991; Il suono incrinato. Musica e filosofia nel primo Novecento, Einaudi, Torino 2001;  La passione del mondo. Saggio su Merleau-Ponty, ESI, Napoli 2002;   Risonanze. Ascolto Corpo Mondo, Mimesis, Milano 2007;   Charis. Saggio su Jankélévitch, Mimesis, Milano 2012; Vita quotidiana. Dall’esperienza artistica al pensiero in atto, Bollati Boringhieri, Torino 2015




BELLISSIMA GIORNATA DI IMPEGNO CIVILE

La pulizia della discarica Colle di Croce

Montorio al Vomano, 21 aprile 2024. Una bellissima pagina di impegno civile è stata scritta ieri mattina a Montorio al Vomano con la pulizia della microdiscarica di Colle di Croce che ha visto partecipazione e voglia di dare il proprio contributo per liberare il sito dai rifiuti abbandonati e sensibilizzare su questo grave problema che affligge alcune zone periferiche del territorio. Le Associazioni Rifiuti Zero Abruzzo e Fiab Teramo, gli operatori della Team, liberi cittadini e soprattutto i ragazzi del Gruppo Parrocchiale Dreamers – accorsi in tantissimi per supportare questa buona causa – hanno liberato il sito sotto il ponticello letteralmente seppellito di immondizia di ogni genere.

Muniti di guanti anche il vicepresidente Team Gianni Falconi e signora, e il giornalista Gianfranco Falconi che hanno dato una grande mano facendo un vero e proprio tiro alla fune per recuperare quintali di immondizia che gli impavidi Cristian Di Pietro, Roberto Di Luigi, Giovanni Di Francesco, Aldo De Dominicis e i giovanissimi Dreamers raccoglievano stoicamente sotto la scarpata. Materassi, sacchi enormi pieni di strisce di erba sistetica, sanitari, secchi di vernice, pezzi di motociclette, piccoli elettrodomestici, vasetti e bottiglie di vetro, scarpe, abiti, stoviglie e tanto altro sono stati, purtroppo, il ricco bottino della raccolta. Catia Di Luigi, Katia Nori, Luciana Del Grande e Angese Testa insieme ad alcuni ragazzi del gruppo parrocchiale Dreamers hanno raccolto e differenziato i materiali che potevano essere avviati a riciclo mentre alcuni operatori della TEAM provvedevano a liberare la strada dai tanti sacchi di rifiuti recuperati.

Presente la vice sindaca Mariangela Cortellini in rappresentanza del Comune di Montorio al Vomano che ha patrocinato e supportato l’evento e che provvederà ad intensificare i controlli per disincentivare l’abbandono dei rifiuti e punire i responsabili. La giornata si è conclusa con una passeggiata da Colle di Croce fino a Montorio in cui abbiamo potuto ammirare le bellezze naturalistiche che ci circondano. Si ringraziano gli organizzatori e tutti coloro che hanno partecipato dando prova di grande attenzione e sensibilità verso l’ambiente in cui viviamo. Una menzione speciale agli abitanti del luogo – che hanno ringraziato i partecipanti all’azione di pulizia offrendo una ricca colazione e un buonissimo caffè – e ai ragazzi del gruppo parrocchiale Dreamers, che hanno contribuito alla pulizia del sito in modo encomiabile.

In particolare, grazie ad Aldo De Dominicis che ha saputo aggregare un gruppo di giovani particolarmente sensibile ai temi ambientali. La nostra speranza è che in un futuro non molto lontano non ci sia bisogno di giornate ecologiche per raccogliere rifiuti abbandonati. Noi intanto non abbassiamo la guardia e abbiamo attenzionato altre microdiscariche.

Vi diamo appuntamento al prossimo incontro con PULIAMO MONTORIO, sempre più numerosi.

Luciana Del Grande, Presidente Rifiuti Zero Abruzzo