INTRODUZIONE ALLA RICERCA DI UN VITIGNO SCOMPARSO
[Introduzione/Appendice di Franco Cercone, autore del volume La Lacrima di Tollo e la Viticoltura del ‘700 nella provincia di Chieti, Casa Ed Aterno, Pescara, per edizioni Qualevita Aq. 2004.]
di Franco Cercone
Chi percorre l’Autostrada A-14 in direzione sud, nel tratto Pescara Ovest-Val di Sangro, resta affascinato dal verde manto dei vigneti che si perdono a vista d’occhio fino alle pendici della Maiella Madre. Interrotti ogni tanto da appezzamenti di uliveti fino alle altitudini in cui prospera l’albero sacro a Pallade, i vigneti conferiscono al territorio un aspetto esotico che raggiunge la sua massima intensità nella fascia compresa tra Francavilla ed il corso del Sangro, da K.Craven paragonata ai garden grounds inglesi nelle sue note Escursioni del 1837 in Abruzzo[1].
Il contributo che la viticoltura ha dato a quest’area nella salvaguardia dell’ambiente non è stato finora sufficientemente valutato, dato che essa è esercitata fino a livelli che raggiungono all’incirca, e talvolta li supera, i 600 metri di altitudine.
A ben osservare, questa sorta di paradiso terrestre è frutto di mutamenti scaturiti dalla crisi della pastorizia transumante e ben evidenziati dallo storico napoletano Giuseppe Del Re, che nel 1820 scriveva: “Decaduti i greggi ed aboliti i dazj, gli abitanti del Chetino rivolsero incontinente le loro cure all’agricoltura. Dissodando nuove terre, seminando nuovi campi, e piantando nuovi ulivi e nuove viti, divennero agricoli nel decorso di pochi anni; e sempre più progredendo nei varj rami d’industrie agrarie, sono giunti oggidì a spedire per mare e per terra grani, granoni, olj, vini e aceti”[2].
Una vera rivoluzione ampelografica si verifica in questo territorio, costituente la parte settentrionale dell’Abruzzo Citeriore, con l’introduzione del Montepulciano, anche se la prima notizia storica circa la presenza di tale vitigno in Abruzzo – e specificamente nella conca di Sulmona – risale al 1792, grazie ad una segnalazione fatta da Michele Torcia, bibliotecario di Ferdinando IV di Borbone, nell’opera dal titolo Saggio Itinerario Nazionale pel Paese de’ Peligni fatto nel 1792 (Napoli 1793).
Fungevano da corona al Montepulciano, quando nella seconda metà dell’800 tale uva si rinviene sufficientemente diffusa dall’Ortonese fino al Sangro e su tutte le “Colline Teatine”, alcuni vitigni già attestati nel corso del XVIII secolo nell’Abruzzo Citeriore, soprattutto il trebbiano, il greco, la moscadella, la malvagìa, e l’alegatico.[3]
Sempre nel corso del Settecento regnava tuttavia nell’agro di Tollo un’uva a bacca rossa, chiamata dai viticoltori locali “volgarmente” lagrima, da cui si otteneva un rosso rubino che in base alletestimonianze storico-letterarie dell’epoca potremmo definire energia degli spazi sideralitramutata in liquido.
Di tale vitigno si perdono misteriosamente le tracce verso la metà dell’800, anche se il vino di identico nome che da esso si ricavava era ritenuto di gran lunga superiore ai vini di Montepulciano, quei vini poliziani cioè tanto celebrati in Europa ed in Italia dagli amanti della buona tavola.
Riportiamo solo un esempio, finora sconosciuto[4], con l’invito rivolto ai plagiari (sempre più numerosi nel campo storico – enologico) di citare l’Autore della presente scoperta. Si tratta del Viaggio in Italia dello scrittore francese Charles de Brosses, il quale nel 1739 sottolineava quanto segue: “Dopo aver
lasciato a destra Montepulciano, famosa per i suoi buoni vini, arrivammo a notte fonda a Radicofani, brutto villaggio accampato sulla più alta cima degli Appennini”[5].
Va rilevato, se ce ne fosse ancora bisogno, che il de Brosses non parla di un vino Montepulciano, del tutto inesistente fino alla metà del secolo scorso, bensì di una località famosa per i suoi buoni vini.
L’Autore che celebra la lagrima di Tollo è, come vedremo in seguito, fra’ Bernardo Valera, il quale proclama questo vino, chiamato anche Rubino, il miglior rosso dell’Italia centrale e di gran lunga superiore rispetto ai celebrati vini di Montepulciano. Da dove provenisse questo vitigno e quali siano state le circostanze che ne hanno determinato la scomparsa dall’agro di Tollo alla metà dell’800, è ciò che cercheremo di scoprire nei paragrafi che seguono.
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Appendice
Il ritorno del “Figliuol Prodigo”
L’episodio biblico del “figliuol prodigo” può essere utilizzato per auspicare il ritorno della lagrima nella sua Terra Eletta di Tollo, se non altro perché ovunque in Abruzzo vanno effettuandosi impianti con vitigni addirittura estranei alla cultura ampelografica regionale.
Le numerose fonti bibliografiche citate nel volume ci dicono che nell’agro di Tollo, la lagrima aveva trovato affinità elettive con le caratteristiche geologiche del territorio, caratteristiche tuttora esistenti.
L’esigenza da parte della famosa azienda Tollo di ripristinare impianti a base di lagrima, diventa pertanto a nostro avviso di urgente priorità.
Non va dimenticato infatti, come leggiamo nel Gattopardo, che affinché tutto resti come prima, occorre che cambi qualcosa.
L’azienda vinicola di Tollo dovrebbe ampliare pertanto la gamma delle sue pur famose “linee”, realizzando impianti di lagrima di Tollo che in un primo momento possono assumere anche un carattere sperimentale, in modo da consentire al vitigno la possibilità di riadattarsi al suo ambiente.
In tal senso l’aiuto che ad una siffatta iniziativa può provenire dall’ARSSA e dalla Enoteca Regionale di Ortona è di grande portata e potrebbe configurarsi come l’operazione ampelografica più importante dell’ultimo mezzo secolo in Abruzzo.
All’Azienda Tollo spetta dunque il compito di intraprendere l’importante iniziativa di recupero del vitigno della lagrima, che più di due secoli fa tanto lustro aveva conferito alla Terra di Tollo.
Franco Cercone.
[1] R. Keppel Craven, Excursions in the Abruzzi and northern Provinces of Naples, London 1837; trad. Italiana con il titolo Escursioni negli Abruzzi, a cura di D. Lepore e R. Cincione, p. 170, Sulmona 1981.
[2] Cfr. G. Del Re, Calendario per l’anno bisestile 1820. Il IV del Regno di Ferdinando I. Con la giunta di copiose notizie su lo stato fisico, storico, politico, amministrativo, su le produzioni, su l’industria e sul commercio delle Tre Province di Abruzzo, p. 142; Napoli, Nella Stamperia del Regno delle Due Sicilie, 1820.
[3] Il barone Giuseppe Durini, famoso enologo di Chieti, in un saggio dal titolo “De’ vini degli Abruzzi” comparso negli Annali del Regno di Napoli (X vol.)1836, sosteneva “la necessità di moltiplicare” in Abruzzo i vini di Montepulciano, la lacrima di Tollo e la Malvasia rossa. Quest’ultimo vitigno largamente diffuso in Abruzzo Citra.
[4] Per la letteratura relativa all’argomento cfr. il nostro saggio La meravigliosa storia del Montepulciano d’Abruzzo, Corfinio 2000.
[5] Cfr. C. de Brosses, Viaggio in Italia; Bari, Laterza, prefazione di C. Levi.