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78° ANNIVERSARIO DELLA FESTA DELLA REPUBBLICA 

di Filippo Paziente

Chieti, 2 giugno 2024. Quando, il 10 giugno 1946, la  Corte di cassazione proclamò il risultato nazionale del referendum, i chietini non festeggiarono la vittoria della Repubblica (con 12.718.641 voti, pari al  54,27%; la Monarchia prese 10.718.502, pari al  45,73%), perché nel Comune di  Chieti avevano stravinto i monarchici, con questo risultato: Monarchia 14.248  78,20%; Repubblica 3.973 21,80%. Avevano stravinto anche in provincia: su  99 comuni, ne conquistarono 73. Hanno votato a favore della Monarchia la Dc, il  Partito Liberale e il partito dell’ Uomo Qualunque (fondato da tre ex fascisti: il  barone Giovanni Zambra, il notaio Giuseppe Moscarini e il professore Luigi Capozucco).  Per la Repubblica hanno votato  il PCI, il PSI, il P. d’Azione e l’Unione Democratica Repubblicana.

Tre sono le principali ragioni di questa clamorosa vittoria nel comune di Chieti (di pochissimo inferiore a quella del comune di Napoli: 79,94%) :

1) La prima:  la costante fedeltà della classe dirigente, nobiliare e altoborghese, proprietaria e conservatrice, alla “gloriosa Dinastia Sabauda”, che non fu tradita nemmeno quando  il sovrano Umberto I  premiò il generale Fiorenzo Bava Beccaris con la concessione della Croce di Grand’Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia, “per il grande servizio reso alle istituzioni e alla civiltà”:  a Milano aveva sparato cannonate sulla folla in rivolta, dal 6 al 9 maggio, per l’aumento del prezzo del pane, massacrando un centinaio di persone, uomini, donne e persino bambini.

2) La seconda: le condizioni economiche, sociali e politiche della città e dell’intera provincia. Per i nove lunghi mesi dell’ occupazione tedesca la popolazione ha sofferto i bombardamenti, le malattie, lo sfollamento, la convivenza con i profughi, le retate degli uomini da inviare al fronte, soprattutto la fame. Dopo la liberazione, a Chieti la Prefettura e l’Amministrazione comunale hanno dovuto fronteggiare una situazione difficilissima. Folle di cittadini, spinte dalla necessità di soddisfare i bisogni primari della quotidiana sopravvivenza, hanno fatto ressa alle porte del municipio, delle chiese, dell’Inps, dell’Ufficio provinciale del lavoro, degli enti assistenziali (Sepral, Postbellica, UNRRA), chiedendo cibo, vestiario, scarpe, case, medicine, sussidi per la disoccupazione. Quando i tre enti, gestiti dalla classe dirigente, sono stati messi sotto accusa per irregolarità commesse nell’opera di assistenza, il 1° e 2 maggio 1945 i ceti popolari hanno dato sfogo a una rabbiosa protesta: hanno invaso la Prefettura e il municipio, incendiando i registri delle tasse.

3) La terza: l’intervento dell’Arcivescovo Giuseppe Venturi, nel Referendum e nell’elezione dell’Assemblea costituente. Era già intervenuto nelle prime elezioni amministrative del 7 aprile 1946, favorendo la vittoria della neonata Democrazia Cristiana, che nella campagna elettorale aveva orientato il voto del popolo, esaltandone il sentimento di riconoscenza  verso l’arcivescovo, “ salvatore della città dallo sfollamento e dalla distruzione”,  e aveva conquistato il Comune eleggendo 28 consiglieri su 40.

La scelta di Venturi  sul problema istituzionale è esposta in una interessante relazione sull’orientamento politico del clero, inviata il 17 maggio dal comandante dei CC. RR. di Chieti al prefetto. Il comandante lo informa che l’arcivescovo si adopera, con una propaganda intensa ma sotterranea, a orientare verso l’istituto monarchico le masse che aderiscono alla DC, e guarda con simpatia anche al fronte dell’ UQ perché si mostra favorevole alla ricostruzione morale e materiale della Patria.

Venturi interviene anche sull’elezione dell’Assemblea costituente. Nel corso di una conferenza regionale tenuta a Chieti, insieme con gli altri presuli firma la “Pastorale”, che contiene suggerimenti e norme sul comportamento degli elettori:  li esorta a non tradire la propria coscienza cristiana dando il voto ai partiti che si ispirano alle ideologie marxiste e liberali, e a eleggere deputati che sappiano difendere, nella Costituzione e nella promulgazione delle leggi dello Stato,  i diritti di Dio e della Chiesa. Il contenuto della “Pastorale” è comunicato ai sacerdoti e fedeli delle rispettive diocesi con un manifesto,  affisso alle porte di tutte le chiese e letto dall’altare in tutte le messe festive.

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