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CORRERE PER ESSERE

La corsa degli zingari a Pacentro

di Franco Cercone

[Articolo di Franco Cercone, pubblicato in Rivista “D’Abruzzo”, Anno VII, N 26 Ed. Menabò Ortona – CH 1994]

Pacentro è un pittoresco paese della provincia dell’Aquila, arroccato alle pendici settentrionali del Morrone. Il castello medioevale che sovrasta il centro abitato ci parla del suo illustre passato e delle lotte insorte tra i Cantelmo e i Caldora per assicurarsene il possesso. La poca gente rimasta vive per lo più di agricoltura. I giovani sono occupati nel terziario oppure nelle fabbriche del nucleo industriale di Sulmona. Rilevante è tuttora il numero dei diplomati senza impiego.

L’8 settembre, in occasione dei festeggiamenti in onore della Madonna di Loreto, si svolge una singolare manifestazione che di anno in anno richiama un numero di spettatori sempre più numeroso

sia dall’Abruzzo che dalle regioni vicine.

Va subito chiarito che l’espressione zingari non deve trarre in inganno. Nel dialetto di Pacentro essa indica infatti chi cammina scalzo ed è stata coniata evidentemente in base all’osservazione costante che gli zingari andavano in giro con pochi indumenti addosso e soprattutto a piedi nudi, date le scarse possibilità che essi avevano in passato di poter acquistare delle scarpe.

Coloro che partecipano alla terribile gara sono contadini e operai del paese.

I figli delle persone benestanti e dei professionisti solitamente non si cimentano, anche se una delle ultime edizioni è stata vinta dal figlio del medico del paese che ha interrotto un secolare primato delle classi meno abbienti.

Il numero dei concorrenti non è mai rivelato dalla Confraternita della Madonna di Loreto che gestisce i festeggiamenti e diventa noto solo quando i giovani, verso le cinque del pomeriggio si radunano in località Pietra spaccata, un contrafforte roccioso di Colle Ardinghi, situato di fronte al paese e separato da quest’ultimo da una profonda gola in cui scorre il Vella, un torrente che scende precipitoso dalle falde della Maiella e che è ricordato da Ovidio nel terzo libro degli Amores.

Al primo rintocco di campana della chiesa della Madonna di Loreto gli zingari, a piedi nudi, e in pantaloncini e maglietta (indumenti forniti dalla stessa Confraternita), si gettano a capofitto lungo il ripido pendio del colle, cosparso ovunque di pietre, oltrepassando a valle il torrente Vella e puntando di nuovo a monte, in direzione di Pacentro, attraverso un sentiero che conduce direttamente alla chiesa.

Una folla enorme segue la corsa che si snoda lungo il tratto finale del percorso, lungo tre chilometri

circa. La maggior parte degli spettatori si accalca tuttavia attorno al sagrato di Santa Maria di Loreto, poiché l’altare della chiesa, il cui portale è lasciato aperto, costituisce il traguardo della emozionante gara.

Quando i concorrenti sono in prossimità della meta, gli spettatori (genitori e parenti, ma soprattutto le mamme), seguono passo passo, fino alla meta, gli zingarelli incitandoli a sopportare il dolore, spesso lancinante, dei piedi feriti, e cominciano ad oscillare, invasi da un crescente fermento, mentre

urla di entusiasmo si levano dalla folla allorché da una curva non lontana dalla chiesa si vede sbucare il primo concorrente. Con gli occhi dilatati dal dolore, provocato da un percorso quasi ordalico, il vincitore infila il portale e si inginocchia prima davanti all’altare, dopo di che si accascia stremato, seguito man mano dagli altri concorrenti che ripetono lo stesso cerimoniale.

A corsa ultimata viene chiuso il portale. Solo negli ultimi anni è stato permesso a studiosi e fotografi di restare nell’interno della chiesa e di assistere così ai momenti conclusivi della manifestazione.

La scena che si svolge assume a tratti toni drammatici e non facili da descrivere. Con i piedi cosparsi

di piaghe e sanguinanti, gli zingari giacciono sdraiati sul pavimento e si aiutano a vicenda, mentre il

dolore atroce dai piedi sembra propagarsi tutto sui loro volti. Un medico presta le prime cure alle ferite vistose, ma la sua azione è vanificata spesso dalle richieste di soccorso che si accavallano fra le grida concitate degli organizzatori impegnati ad accertarsi velocemente delle condizioni più o meno

gravi in cui versano gli zingari che hanno concluso la gara.

Sull’angusto piazzale antistante la chiesa la folla attende ansiosa che si riapra il portale e fa commenti sullo svolgimento della gara e sul vincitore.

Questi attimi di pausa ci permettono di aggiungere particolari importanti alla descrizione della manifestazione. La chiesa è dedicata, come si è detto, alla Madonna di Loreto ed un affresco eseguito nel tondo centrale raffigura, con una tecnica di esecuzione che ci ricorda quella degli ex-voto pittorici, la traslazione della Casa santa di Nazareth da Tersatto (Iugoslavia) a Loreto Marche. L’edificio sacro presenta caratteristiche tali da essere ascritto, come conferma un organo portativo coevo, al XVIII secolo e sorge in base a una tipica leggenda di fondazione dei santuari: una misteriosa donna, nella quale i fedeli riconosceranno in seguito la Madonna, si riposa proprio sul posto dove sarà eretta più tardi la chiesa.

La modesta facciata è movimentata da tre tondi a stucco e in quelli laterali sventolano fin dalla mattina della festa due tagli di stoffa avvolti a mo’, di bandiera su un’asta di legno. Tali stoffe sono di diverso colore e sufficienti a confezionare due vestiti da uomo.

Su ognuna di esse gli organizzatori appuntano un santino riproducente l’immagine della Madonna di Loreto. Questi tagli di stoffa costituiscono il cosiddetto palio, il premio cioè assegnato insieme a coppe, targhe ricordo e modeste somme di denaro, ai primi due classificati.

Durante la corsa i deputati alla festa sorvegliano affinché nessuno aiuti con spinte i partecipanti, a meno che per difficoltà sopravvenute durante il terribile percorso qualcuno di essi non dichiari espressamente di rinunciare alla gara. D’altro canto, una sorveglianza per così dire indiretta e reciproca viene effettuata dagli stessi tifosi appartenenti ai rioni in cui abitano i concorrenti, la cui contesa, alimentata da quei sentimenti intrattenibili che affiorano spesso nel blasone popolare, si esaurisce solo nell’ambito di una esperienza vissuta anche a livello ludico. Degna di nota al riguardo è la circostanza che a Pacentro non v’è un santo protettore ufficiale. Metà popolazione festeggia infatti la Madonna del Rosario e l’altra metà San Carlo Borromeo.

I “rosaristi” non fanno di conseguenza offerte per la festa di San Carlo e allo stesso modo si comportano i “carlisti” nella ricorrenza della Madonna del Rosario.

Fra le due fazioni si scatena così una gara per organizzare la festa più bella del paese e ad essa prendono parte, con cospicue rimesse, anche gli emigrati.

In passato, infatti, le rivalità esplodevano in modo violento durante la manifestazione e in una edizione della corsa svoltasi subito dopo la prima guerra mondiale, una persona venne accoltellata per aver aiutato, “con una spinta” nella parte finale della gara, un concorrente del proprio rione.

Ma torniamo, dopo questa necessaria parentesi, alla descrizione della corsa. Dai due tondi della facciata della chiesa vengono ammainati i palii, segno questo che sta per aver inizio la sfilata degli zingari. Si apre il portale. Il clamore crescente degli spettatori sommerge le note della marcia intonata dalla banda, mentre applausi ed espressioni di compiacimento fioccano sui primi due classificati che, seguiti come alfieri dal terzo e dal quarto, ricevono l’onore del trionfo. Portati a spalla da amici e parenti i quattro sfilano in ordine di arrivo lungo le strade principali del paese, preceduti dalla banda. Gli sguardi della folla sono puntati ovviamente sul vincitore della corsa. Sorreggendo l’asta su cui è avvolto il palio, egli viene portato a spalla dai suoi tifosi, seguito allo stesso modo dal secondo classificato. La sfilata termina nella casa del vincitore, dove si offre a tutti il vino attinto dalle caratteristiche conche di rame.

Non poche sono le considerazioni che suscita la corsa degli zingari, che secondo il giudizio dei vecchi del luogo si svolgerebbe da tempo immemorabile.

Come in altri episodi folcloristici, la ricerca delle origini non spiega però le funzioni del rito e l’elemento diacronico risulta il più delle volte sterile.

Per quanto concerne specificatamente l’area abruzzese, manifestazioni simili a quella di Pacentro dovevano svolgersi anche altrove, poiché si apprende da De Nino che: “a Rivisondoli, nelle feste principali, e a Pratola Peligna in San Rocco, è singolare la corsa dei ragazzi, dai sette ai dodici anni,

che nudi vanno a precipizio da un punto all’altro del paese per guadagnare un palio. E il piccolo vincitore poi, nudo, entra nella chiesa a ringraziare il santo”.

Analoga testimonianza è offerta da Tommolini per la festa della Madonna del fuoco nelle campagne di Pescara.

Benché le notizie siano insufficienti a stabilire utili raffronti, tuttavia occorre dire che anche in altre

località, in occasione di determinate ricorrenze religiose, si svolgono corse simili a quella degli zingari. Una notizia piuttosto vaga riguarda la corsa che i giovani eseguono ad Ottaviano di Napoli per la festa di San Sebastiano, o quella non competitiva che si svolge il 4 settembre a Cabras, in provincia di Oristano, nella vigilia della festa di San Salvatore in Sinis, dove i giovani del luogo, in tunica bianca, accompagnano “correndo scalzi” la statua del santo in una chiesetta campestre situata vicina al paese.

In passato partecipare alla corsa per conquistare il palio, cioè un vestito, doveva costituire certamente una motivazione non indifferente per gli zingari di Pacentro, appartenenti ai ceti sociali subalterni. Oggi le cose sono cambiate; questi giovani non camminano scalzi nei loro poderi coltivati con mezzi meccanici che essi stessi, con estrema perizia, guidano nei momenti della seminagione e dell’aratura.

Fra coloro che prendono parte alla competizione vi sono però anche operai che lavorano nel vicino nucleo industriale di Sulmona e che appena si staccano dalla catena di montaggio si riversano di nuovo sui campi per quell’insopprimibile esigenza di contatto con la terra che purifica e rigenera, poiché una tuta e un capannone non sono sufficienti di per sé a trasformare un contadino in operaio.

Altri concorrenti sono invece artigiani o persone che svolgono i più disparati mestieri, anche come emigranti all’estero. È il caso di Mario Raso vincitore negli anni passati di parecchie edizioni della corsa che ogni anno tornava da Berlino e rivelava con grande semplicità di non correre per una particolare forma di devozione verso la Madonna di Loreto, ma per una ragazza del paese di cui era innamorato. Le sue parole richiamano alla memoria il noto passo del Ramo d’oro, in cui Frazer descrive le gare di corsa per la sposa che, in altri tempi, si svolgevano un po’ ovunque in Europa. Si sa però con quanta circospezione vanno fatti tali accostamenti, poiché sotto il profilo antropologico si corre il rischio di assemblare episodi dalle funzioni diverse, sia sul piano sincronico che su quello diacronico.

Comunque, e ciò è veramente straordinario, c’è qualcuno in un angolo sperduto dell’Abruzzo che alle soglie del duemila “corre per amore” ed almeno in un giorno dell’anno offre una dimostrazione di forza e di vitalità nei confronti di altri giovani che non sono in grado, per costituzione fisica o per educazione, di cimentarsi in una incredibile corsa in cui gli zingari di Pacentro riscattano un anno di

anonimato, trascorso nel duro lavoro quotidiano. E ciò che è straordinario è che essi corrono non per avere, ma per essere.

Franco Cercone.

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