DOPPIO APPUNTAMENTO SULLE STRADE VENETE

La ciclista pescarese Giulia Giuliani concluderà il mese di luglio sulle strade del veneto

Pescara, 26 luglio 2024. Il K2 Women Team si prepara ad affrontare un fine settimana ricco di appuntamenti. La formazione del team manager Massimo Ruffilli sarà impegnata sulle strade del veneto che chiuderanno il mese di luglio.

Si parte con la quarantesima edizione del GP Ciclisti di Arcade in provincia di Treviso in programma sabato 27 luglio. Si tratta di una competizione di 112 km, perfetta per le passiste della squadra chiamate ad entrare in azione soprattutto nella parte finale della gara. Invece domenica il K2 Women Team sarà ai nastri di partenza per il 10° Trofeo Prealpi in rosa che si correrà su un circuito di 34 km da ripetere tre volte.

Il K2 Women Team si presenta al via del doppio appuntamento in provincia di Treviso con sette ragazze, di cui 6 della categoria elite e un’atleta Junior. La pescarese Giulia Giuliani sta affrontando un periodo di forma incredibile ed è pronta a regalare una vittoria al K2 Women Team, con lei ci saranno anche l’ucraina Viktoriia Melnychuk, alla seconda gara con la formazione piemontese, la friulana Alice Papo, la romana Sara Pellegrini, la toscana Rebekka Pigolotti, la novarese Vittoria Ruffilli e Giada la Cioppa, unica atleta Junior del tema.

La formazione completa del K2 Women Team per il Gp Ciclisti di Arcade e 10° Trofeo Prealpi

–       Giulia Giuliani

–       Viktoriia Melnychuk

–       Alice Papo

–       Sara Pellegrini

–       Rebekka Pigolotti

–       Vittoria Ruffilli

–       Giada la Cioppa (Junior)




AISLA SI TRASFORMA IN APS

Annuncia la XVII Giornata Nazionale Sla sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e dell’Anci

Roma, 26 luglio 2024. AISLA, l’Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, annuncia la sua ufficiale trasformazione da Onlus ad Associazione di Promozione Sociale (APS). Già riconosciuta dal Ministero della Salute nel 1999, con l’iscrizione al RUNTS, l’Associazione amplia la sua portata e l’azione di tutela e sostegno a favore delle oltre 6.000 persone che nel nostro Paese convivono con la Sla, sclerosi laterale amiotrofica.

L’annuncio lancia anche il prossimo importante appuntamento nazionale in programma dopo la pausa estiva. Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il Patrocinio di ANCI Associazione Nazionale Comuni Italiani, fervono i preparativi per la XVII Giornata Nazionale Sla.

Le celebrazioni iniziano con la magica notte della vigilia. Sabato 14 settembre, al calar del sole, centinaia di “Comuni Illuminati” aderiranno all’iniziativa “Coloriamo l’Italia di Verde”. Questo gesto simbolico, a impatto ambientale zero, verrà realizzato utilizzando gelatine o veline verdi per illuminare le luci già esistenti.

L’iniziativa, nata nel 2018 con circa 80 adesioni, è cresciuta in modo esponenziale. Coinvolgendo oltre 200 comuni e monumenti colorati di verde, solo nel 2023  ha illuminato dalla Fontana del Tritone della Capitale, ai più noti simboli italiani come il Teatro Massimo di Palermo, la Reggia di Caserta, le Porte Antiche di Firenze, la Loggia di Brescia, la Lanterna di Genova, lo Sferisterio di Macerata, il Tempio di Atena a Paestum, la Mole Antonelliana di Torino, la Torre della Città di Bari, il Palazzo Cà Loredan di Venezia, la Fontana del Nettuno a Trento e il Palazzo Comunale di Point Saint Martin in Valle d’Aosta. Questa serata speciale di vigilia, sotto il colore verde simbolo della speranza e dell’Associazione stessa, è un coro silenzioso che, ogni anno, abbraccia l’intera comunità delle famiglie con Sla.

Domenica 15 settembre, in oltre 300 piazze italiane, si terrà la campagna “Un contributo versato con gusto”. I banchetti saranno allestiti per raccogliere fondi preziosi per l’assistenza alle persone con SLA e alle loro famiglie. Quest’anno sono ben 18 le cantine astigiane selezionate per la loro pregiata Barbera d’Asti DOCG e DOCG Superiore e che hanno ottenuto un punteggio superiore agli 89 punti dalla commissione di esperti degustatori. Tra queste, per deliziare i palati più attenti, saranno presentate annate diverse e anche quattro etichette biologiche.

Fulvia Massimelli, presidente nazionale AISLA, dichiara: “AISLA è nata per essere un punto di riferimento per la comunità delle persone con SLA e per tutti coloro che desiderano contribuire a una società più inclusiva e attenta alle esigenze di chi vive con questa patologia. La Giornata Nazionale Sla è un evento che va al di là delle parole, è un’occasione per dimostrare che insieme possiamo fare la differenza e offrire supporto concreto a chi ne ha bisogno.”

Questa giornata è stata ideata per commemorare l’evento storico del 2006, quando centinaia di malati di SLA si sono riuniti in un sit-in in Piazza Bocca della Verità a Roma. Da quel momento, ogni anno, AISLA si impegna a promuovere e organizzare questo evento. La Giornata Nazionale Sla rappresenta un’importante occasione in cui volontari, familiari e malati si uniscono per mantenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica e delle autorità politiche, sanitarie e socioassistenziali sui bisogni urgenti di cura e assistenza.

Questo evento rappresenta un momento di riflessione e azione, in cui l’intera nazione si stringe attorno a chi soffre, dimostrando che nessuno è solo nella sua battaglia. La XVII Giornata Nazionale SLA è un’occasione unica per partecipare e contribuire perché tutti insieme è possibile fare la differenza.




IL PESCARA FLUTE FESTIVAL

Torna  da lunedì all’Aurum. Appuntamenti dal 29 luglio al 3 agosto

Pescara, 26 luglio 2024. Anche quest’anno l’Associazione Culturale “Il Canto del Vento” di Pescara, organizza il Pescara Flute Festival, manifestazione – alla quinta edizione – nata nel 2020 ed interamente dedicata allo strumento musicale più antico della storia, il flauto. Una full immersion nel mondo di questo antichissimo strumento, con lezioni, masterclass, workshop, esposizioni di strumenti, presentazioni di libri e concerti, che vedrà la partecipazione di solisti, musicologi e didatti di profilo internazionale.

Il Festival è organizzato in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Pescara, con il patrocinio del Conservatorio “Luisa D’Annunzio” di Pescara e della Presidenza del Consiglio Regionale Abruzzo, sotto la direzione artistica del Maestro Marco Felicioni, concertista, musicologo e docente di accreditata esperienza. La rassegna inizierà lunedì 29 luglio, all’Aurum e si concluderà il 3 agosto. Lo annunciano Maria Rita Carota, assessore alla Cultura e vicesindaco, e Marco Felicioni.

“Questo Festival, dice Carota, è riuscito ad attrarre molti giovani, visto che racchiude in sé, oltre alle performance per il pubblico, anche importanti momenti formativi e straordinarie mostre, e tra gli aspetti da evidenziare c’è la promozione di borse di studio. Non posso che dare il benvenuto a questa nuova edizione, augurandomi che anche questa volta l’attenzione del pubblico sia massima, dimostrando che il fascino di questo antico strumento non si è andato perdendo anche grazie a eventi come il Pescara Flute Festival”.

Felicioni spiega che l’intento “è quello di offrire eventi musicali con repertori ed organici di svariati generi (antico, classico, popolare, jazz, contemporaneo), con presentazioni di nuove pubblicazioni, oltre a workshop e convegni curati da rinomati esperti del settore”. Il Festival, prosegue, “offrirà ai partecipanti la possibilità di avvicinarsi in maniera più consapevole e partecipativa ai vari repertori storici musicali, con eventi finalizzati ad apprezzare al meglio autori e performance e per compiere insieme un affascinante viaggio nel patrimonio musicale”.

Saranno presenti gli esponenti più rappresentativi del panorama musicale flautisti nazionale ed internazionale, spiega sempre il direttore artistico: ci saranno docenti dei conservatori italiani, oltre alle prime parti delle orchestre italiane e straniere, e ancora ricercatori, solisti e didatti di indiscussa fama.

Per questa edizione, si segnalano le presenze tra i più importanti solisti e personaggi della didattica musicale internazionale, come Janos Balint, Francesco Loi, Geoff Warren, che si esibiranno insieme alla “Pescara Flute Orchestra” fondata dallo stesso Felicioni, diretta dal M° Alessandro Mazzocchetti e composta da studenti e professionisti provenienti da tutta Italia. Importanti eventi in programma, come la presentazione delle opere riscoperte di Luigi Hugues e la prima esecuzione assoluta di “Forest” di Stefano Taglietti, conclude Felicioni.

L’Associazione “Il Canto del Vento” e la Fondazione “Pescarabruzzo” metteranno a disposizione delle borse di studio intitolate al Maestro Angelo Persichilli, riservate ai giovani più meritevoli. Inoltre, buoni offerti dalle Edizioni Musicali Vigormusic e dalle Edizioni Musicali Raiteri, e partecipazioni speciali riservate a studenti con particolari situazioni economiche familiari.




UNA CONTESSA UNA FONTE

Evento dedicato a Isabella d’Acquaviva

Castelvecchio Subequo, 26 luglio 2024. Sabato 3 agosto p. v. dalle 17:30 si svolgerà a Gagliano Aterno una manifestazione dal titolo “Una Contessa, una fonte” dedicata a Isabella d’Acquaviva, nobildonna di Celano che con la sua sapiente attenzione mostrata per il paese ha realizzato dal 1328 al 1344 il pregevole e attuale assetto urbanistico e storico-artistico con l’ampliamento del castello, la costruzione della fontana e della chiesa parrocchiale di S. Martino Vescovo.

Promossa dal Comune in collaborazione con l’Associazione “Civitas Superequani”, l’iniziativa prevede l’intitolazione della fontana all’illustre concittadina e un atteso pomeriggio di studi intitolato “Intorno alla figura di Isabella”.

Dopo la cerimonia di svelamento della targa toponomastica da parte del Sindaco Dott. Luca Santilli, prenderà la parola l’Assessore alla Cultura Dott.ssa Maria Di Felice che coordinerà gli interventi di autorevoli studiosi quali la Prof.ssa Flavia De Rubeis, la Prof.ssa Andrea Di Giovanni, la Prof.ssa Veneranda Rubeo, l’Ins. Massimo Santilli e il Dott. Marco Espositi.

A conclusione del convegno, è prevista la visita guidata “I luoghi di Isabella” curata da Flavia De Rubeis. Si avrà inoltre la possibilità di visitare le parti al momento accessibili del Monastero di S. Chiara con l’illustrazione del complesso religioso da parte di Massimo Santilli e di Marco Espositi.  




LE RADICI STORICHE DELLA PANARDA ABRUZZESE

[Pubblicazione di Franco Cercone Radici Storiche della Panarda Abruzzese, Ed. Qualevita, Torre dei Nolfi (AQ) 2006.]

di Franco Cercone

Una necessaria premessa

Nel 1976 apparve un volume di Alfonso Di Nola dedicato ad alcuni importanti aspetti di una “cultura subalterna italiana”, nella fattispecie quella abruzzese, destinato a influenzare in seguito   notevolmente gli studiosi che si interessano soprattutto di religiosità popolare[1].

Nella primavera del 1974 avemmo la fortuna di conoscere “in anteprima” il Di Nola presso la Biblioteca Comunale di Sulmona e di scambiare con lui alcune opinioni sui “rituali di S. Antonio Abate” in Abruzzo, uno degli argomenti trattati poi dal compianto studioso nel citato volume e sul quale egli richiese la nostra collaborazione da concretizzarsi con un’indagine sulle sopravvivenze del culto antoniano nei vari paesi dell’area della Maiella e dell’Alto Sangro. [ndr: “Testi inediti sul culto di S. Antonio Abate” pubblicati al n. 9 archivio digitale bibliografico]

Durante gli anni 1974 – 75 vi fu con il Di Nola un intenso carteggio che conserviamo gelosamente, perché oltre allo scambio di notizie ed opinioni sulle inchieste che andavamo effettuando sul campo, le lettere contengono giudizi – talvolta non lusinghieri – su alcuni personaggi della cultura regionale e pertanto riteniamo opportuno che trascorra del tempo prima che esse siano portate a conoscenza degli studiosi abruzzesi.

Tornando ora al volume del Di Nola, va ricordato opportunamente che la prima parte è dedicata al culto di San Domenico di Cocullo e la seconda alle Mitologie e rituali di Sant’Antonio Abate, con una Appendice contenente i Testi Inediti sul culto di Sant’Antonio in Abruzzo da noi raccolti in diverse località durante le ricerche[2].

Dopo la pubblicazione del volume, che raccolse subito – come dimostra la seconda edizione – vasti consensi in Italia ed in Europa, si assistette tuttavia ad uno sterile quanto sorprendente fenomeno imitativo e si può affermare che non vi fu periodico abruzzese in cui non comparissero aspetti del culto di S. Antonio, come canti di questua, fuochi, rituali di benedizioni di animali ecc., che non avevano tuttavia nulla di nuovo da proporre e né erano in grado di modificare – fatta eccezione per i contributi di A. Melchiorre ed E. Giancristofaro[3] – il quadro storico-antropologico delineato dal Di Nola anche per quanto riguarda la Panarda, cioè il banchetto votivo offerto a Villavallelonga la sera del 16 gennaio, vigilia della festa di Sant’Antonio Abate.

Ora proprio sulla Panarda, tema che avemmo la possibilità di dibattere insieme ad E. Giancristofaro nel corso di un convegno tenutosi nell’ormai lontano 1994 presso l’Istituto Alberghiero di Villa S. Maria, sono apparsi di recente due saggi che reclamano alcune precisazioni soprattutto sotto il profilo storico[4]. Ed è ciò che evidenzieremo in seguito nel corso della trattazione dell’argomento, sottolineando fin da ora che malgrado ogni ricerca il termine panarda appare sotto il profilo linguistico di origine incerta, anche se su di esso l’Istituto di Glottologia dell’Università di Chieti sta effettuando opportune ricerche e raffronti.

La “panarda” in Abruzzo

Va subito detto che con l’opera Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Alfonso Di Nola ha reinserito nella langue abruzzese una parole, “panarda” appunto, che era svanita dal patrimonio della tradizione orale abruzzese e sopravviveva soltanto in alcuni ambienti marsi, soprattutto a Villavallelonga e Luco dei Marsi.

La prima edizione del volume risale come è noto al 1976 e pertanto devono essere accettate con beneficio d’inventario tutte le successive testimonianze apparse nei più svariati periodici o in Guide regionali di carattere turistico. In una di queste pubblicazioni, dal titolo Abruzzo, edita nel 1993 per i tipi della De Agostini[5], si legge a proposito della gastronomia aquilana quanto segue:

<<Un ristorante, Le Tre Marie, è vincolato dai Beni Ambientali, unico in Abruzzo a essere stato dichiarato monumento nazionale. Il rito: la cucina aquilana ovviamente. Parlavamo della “panarda”, pantagruelica abbuffata nella quale i partecipanti non godono del diritto di rifiuto; raccontarla non è facile ma Paolo Scipioni, finissimo gastronomo, proprietario delle Tre Marie, ci è riuscito brillantemente in un quaderno sulla gastronomia locale che, non tenendo conto in particolar modo delle ricette affronta il tema dal punto di vista sociale : la panarda come momento di aggregazione, come motivo folcloristico da tramandare, come passerella dei cento (o 99 ?) piatti aquilani, quelli storici nati da una cucina povera ma non rozza, rustica ma non grossolana; la panarda,infine, come signorile  scusa per accomunare alla festa anche chi direttamente non partecipa: Quando in paese si organizzavano le Panarde – scrive Scipioni – anche i poveri avevano il loro tornaconto. Approfitteremo di questa particolare panarda raccontata da Paolo Scipioni per fare una panoramica sulla cucina aquilana.

Il banchetto prende le mosse dalla preparazione del paniccio di Sant’ Antonio Abate, detto in loco Sant’Antonio deju porcu, festeggiato il 17 gennaio. In questa data in molti paesi dell’Aquilano viene offerta a tutti gli abitanti ed ai viandanti una scodella di paniccio, che è una sorta di polenta fatta con la farina del miglio insaporita facendovi liquefare intere forme di pecorino e di ricotta. Per l’occasione il padrone di casa che organizza il paniccio invita gli amici alla panarda:

Antipasto di magro con sardine, acciughe, anguille marinate, lattarini, cipolline e capperi.

Poi l’aringa affumicata addolcita con il latte secondo un’antica ricetta aquilana.

Baccalà in umido, rotelle, gamberi di fiume in terracotta.

Fritto di magro: cavolfiori, baccalà, alici e mele.

Fagioli bianchi di Paganica col tonno.

Frittata con aglio, prezzemolo, peperoncino e patate.

Sottaceti e funghetti per assestare lo stomaco.

Bolliti: muscoletto e neretti di manzo, gallina e zampitti di maiale, cavolfiori in insalata.

Altra carne: manzo al ragù, larghe fette coperte di salsa rossa e saporita.

Broccoletti soffocati, raccolti sotto la neve come insegna l’esperienza contadina e cucinati in un tegame di rame soffocandoli con un coperchio reso ermetico dai più disparati pesi.

Frittura di animelle e di cervello; coratella insaporita con sottaceti.

Arrosto di vitello con cipolle sane. Costolette di maiale, salsicce e panonta (fette di pane unte con il grasso di cottura del maiale e insaporite con il peperoncino).

Lenticchie di Santo Stefano di Sessanio, brune, minute e tenerissime.

Capretto incaporchiato con patate arrosto.

Formaggi: scamorze di Rivisondoli, ricottine di Bazzano, caciocavallo e, per finire in bellezza, il rustico marcetto.

Dolci: ferratelle, mostaccioli, ravioli di ricotta, sfogliatelle, tocchetti di cioccolato e alla crema.

Tre liquorini: il nocino, la ratafià e la genziana. La panarda è finita>>.

Abbiamo riportato l’intero brano per dare innanzitutto un’idea del numero delle vivande che possono comporre una normale “panarda”, la quale nell’esempio addotto è costituita da circa 50 prodotti cucinati o già pronti come contorno, mentre in altri casi essa supera anche il numero di cento portate.

Ma ciò che va sottolineato è che la panarda, lungi dall’essere un “motivo folcloristico” – come afferma l’incauto e anonimo giornalista – rappresenta un rituale socio-culturale e devozionale ancora pregno di arcaici significati e legato alla figura mitica di S. Antonio Abate, protettore degli animali da cortile e soprattutto del maiale, definito ancora oggi la grascia della casa contadina.

La morte del maiale, un tempo dovuta soprattutto alla peste suina, rappresentava anche “la morte” della famiglia rurale, che veniva ad essere privata non solo della carne, ancora difficile da acquistare nel periodo compreso fra le due guerre mondiali, ma anche dello strutto in sostituzione del costoso olio d’oliva e spesso inesistente nei paesi di montagna. Una inchiesta condotta dall’Università di Arezzo ha accertato circa venti anni fa che in molti paesi dell’area della Maiella la carne di vitello era pressoché sconosciuta nei primi decenni del ‘900, mentre a Pescocostanzo  per indicare che una famiglia fosse  benestante si diceva che essa “aveva la pila”, ma ci si riferiva alla “pila dell’olio”, che troneggiava in un angolo del fondaco come un Santo nella propria nicchia, mentre in seguito l’espressione è passata ad indicare una persona benestante o che ha molti soldi.

Le fonti storico-letterarie ed i primi documenti.

E’ significativa la circostanza che il termine panarda, indicante come si è visto un banchetto composto da numerose portate, non si rinvenga nei noti vocabolari dialettali del Finamore e del Pansa[6], pubblicati nella seconda metà dell’800, e come esso sia altrettanto sconosciuto al De Nino, di cui si cita spesso il primo volume degli Usi Abruzzesi (1879) che contiene argomenti come: Una cucina innanzi la chiesa, oppure Altra pappata innanzi la chiesa, a proposito dei quali lo studioso sulmonese non usa mai il termine  panarda.

Nel tentativo di ristabilire un poco d’ordine, soprattutto sotto il profilo cronologico, va rilevato che la prima citazione del termine panarda, tuttora di origine incerta, si deve allo storico di Scanno Giuseppe Tanturri, autore come è noto delle monografie di Villalago e di Scanno apparse nel 1853 sul periodico Il Regno delle due Sicilie descritto ed illustrato, diretto da F. Cirelli.

Nel trattare le parole ormai in disuso e che egli chiama Vocaboli corrotti, il Tanturri dice che con il termine panarda si indicava anticamente a Villalago “il pranzo matrimoniale[7].

All’epoca in cui il Tanturri scriveva (1853) solo le persone anziane avevano forse la possibilità di comprendere a Villalago il significato del termine panarda, di cui comunque il Tanturri nessun cenno fa nella Monografia di Scanno, cittadina in cui era nato e viveva, e ciò è decisamente significativo, poiché evidentemente il termine panarda era sconosciuto al dialetto scannese.[8]

Pertanto attribuire, come ha fatto qualche studioso locale, anche a Scanno la tradizione della panarda, significa compiere una mistificazione storica, tanto più che il termine non si rinviene nemmeno nel poemetto di Romualdo Parente, “Zu matremonie a z’uso”, scritto in dialetto scannese epubblicato come è noto per la prima volta a Napoli nel 1765.       

A far conoscere la tradizione della panarda anche fuori l’area marsicana è stato dunque A. Di Nola. L’illustre studioso ne ha parlato per primo nella “Festa di Sant’Antonio Abate nella Marsica”[9],  allorché descrive con dovizie di particolari il banchetto pantagruelico del 16 gennaio, vigilia della festa di S. Antonio, che si svolge a Villavallelonga (Aq.), a proposito del quale sottolinea quanto segue:

“Si tratta, come in altre occasioni festive (il corsivo è nostro), di una celebrazione alimentare della cultura contadina povera che rompe la regola della dura frugalità annuale con il consumo di beni considerati rari e preziosi o che tali erano considerati fino ad epoca recente”. [op. cit. p. 205].

 Questa “distruzione orgiastica” di cibo, una sorta di crapula votiva da parte di ceti che ancora un secolo fa venivano spesso minacciati ed annientati dalla fame e dalle malattie, era legata di più a ricorrenze del ciclo dell’anno che non a quello dell’uomo, soprattutto alle fondamentali “feste” rurali e cioè  a quella per l’uccisione del maiale (definito  come si è detto “la grascia” della casa contadina), della trebbiatura e della vendemmia, nonché ad alcune ricorrenze festive religiose fra le quali vanno annoverati in special modo i pellegrinaggi.

A proposito della crapula votiva che avveniva in occasione di pellegrinaggi, il d’Annunzio ci ha lasciato una straordinaria pagina nel Trionfo della morte, allorché il poeta descrive la folla di pellegrini che da ogni parte d’Abruzzo accorreva al Santuario della Madonna di Casalbordino nel giorno di festa della Vergine (10 e 11 giugno). Nello spazio antistante alla chiesa, scrive il d’Annunzio, “si esercitava la voracità di coloro che avevano penosamente ammassato i piccoli risparmi fino a quel giorno per sciogliere il voto sacro e per appagare un desiderio di crapula, enorme, covato a lungo tra gli scarsi pasti e le dure fatiche[10].

Angelo Melchiorre ci ha fatto conoscere la panarda in uso a Luco dei Marsi fin dal 1479, un rituale tuttavia che risulta diverso rispetto a quello che si svolge oggi in occasione della festa di Pentecoste per l’ingresso di un nuovo adepto in una sorta di confraternita denominata Signori dello Spirito Santo. Infatti la panarda era in questo caso una cena composta da numerose portate ed offerta come scrive il Melchiorre ai sacerdoti forestieri che venivano a Luco dei Marsi nella ricorrenza della Pentecoste per celebrare le Messe solenni e predicare ai devoti.

Ad E. Giancristofaro dobbiamo la conoscenza di altre “panarde”,che si svolgevano un tempo in quasi tutte le località della Marsica, mentre oggi esse hanno luogo oltre che a Villavallelonga e Luco dei Marsi anche in altre località non marsicane, come Orsogna, Paganica e Navelli.

Di grande rilievo è la cosiddetta panarda a fuoco che – riferisce il Giancristofaro – consiste nella “distribuzione delle fave lesse (la favata) nel paese di Villavallelonga, la mattina del 17 gennaio”[11].

Per un’analisi approfondita di questi temi si fa rimando alle opere e scritti citati.

Tuttavia ci sembra opportuno sottolineare che il rito della lessatura in enormi caldai  di legumi (soprattutto fave) insieme alle sagne, che si svolge in determinati giorni dell’anno – come nel 6 e 13 dicembre, ricorrenze di San Nicola e Santa Lucia, nel 17 e 20 gennaio, ricorrenza di sant’Antonio Abate e San Sebastiano, ecc. – si configura di più come una consumazione rituale di cibi votivi e di prodotti della terra di cui il mondo rurale viveva, che non come panarda, la quale è caratterizzata da un lungo elenco di pietanze, distribuite dall’antipasto fino al dolce, in un interminabile menù villereccio.

È appunto quello che avviene nella panarda del 16 gennaio a Villavallelonga e di più nel pranzo di nozze di cui parla il Tanturri, in cui fino agli anni ’60 del secolo scorso (lo sa bene chi è vissuto come noi in un piccolo paese) il numero delle portate costituiva il vanto delle famiglie dei due sposi, una vera occasione in cui i convitati assaggiavano forse per la prima volta nella loro vita la carne di vitello, di norma sconosciuta al mondo rurale.

Conveniamo con la Nicolai quando scrive che “la panarda, attualmente, per quanto riguarda la qualità del cibo, non differisce da un pranzo nuziale” [op. cit. p. 52], ma proprio per tal motivo appare del tutto improprio attribuire il termine “panarda” alla distribuzione votiva di legumi, lessati in occasione di alcune significative ricorrenze del ciclo dell’anno.

Un “falso” letterario: la presunta partecipazione del d’Annunzio ad una panarda

Vanno relegate al mondo delle amene curiosità alcune affermazioni circa la presunta partecipazione del d’Annunzio e dello Scarfoglio ad una panarda che si sarebbe svolta la prima a Paganica e l’altra a Luco dei Marsi, partecipazione suffragata non da documenti storici ma da vaghe espressioni, non vagliate attentamente nemmeno dalla Nicolai, quali “si ha notizia” oppure “si racconta” e simili.

Dal saggio autobiografico di Edoardo Scarfoglio, Il libro di Don Chisciotte[12], risulta infatti che il d’Annunzio non si è recato mai a Paganica e tale circostanza ci viene confermata da G. Papponetti, profondo studioso della vita e delle opere del Vate.

Lo stesso dicasi della partecipazione del d’Annunzio ad un’altra panarda che si sarebbe svolta a Luco dei Marsi presso il palazzo del marchese Francesco Ercole e descritta da F. Vittore Nardelli nell’opera “L’Arcangelo. Vita e miracoli di G. D’Annunzio”, Roma 1931.

A ragione pertanto sia il Di Nola che il Palozzi[13] non citano affatto nelle rispettive bibliografie l’opera del Nardelli, la quale presenta tuttavia un ulteriore “mistero”, cioè una presunta lettera di ringraziamento del d’Annunzio a “Don Ercole”, che noi riproduciamo “per dovere di cronaca”, lettera ritenuta non solo apocrifa da G. Papponetti, I. Di Iorio ed altri studiosi dannunziani al vaglio dei quali l’abbiamo sottoposta [cfr. Fig.1], ma addirittura un pessimo tentativo di imitare la grafia del Vate[14].

Tra l’altro è stato sottolineato dai citati studiosi che il d’Annunzio era del tutto astemio e per nulla disposto a partecipare a qualsiasi crapula, da cui si teneva notoriamente lontano. La storiella della partecipazione del Vate alle suddette “panarde” si è ampliata purtroppo come cerchi nell’acqua e senza essere sottoposta ad un opportuno vaglio critico. Tuttavia nel caso in cui fossero addotti in futuro documenti inoppugnabili al riguardo, saremmo certamente i primi a rallegrarci.

Lo stesso dicasi anche a proposito della mitica figura del Guardiano della panarda, o Panardere, una sorta di antico simposiarca armato di fucile ed addetto alla sorveglianza – come narrano – dei partecipanti al banchetto. A questi infelici (risum tenere!) non era permesso di abbandonare la tavola e fuggire; essi erano obbligati invece, come si apprende da tali storielle, a mangiare tutte le portate servite, ognuna delle quali, al suo ingresso nella sala dei convitati, “veniva salutata con una salva di cannone!” [A. Stanziani, op. cit. p. 10]

Non è facile immaginare un cannone che spara colpi assordanti fra una portata e l’altra durante un pranzo di nozze o durante lo svolgimento di una panarda allestita alla vigilia di S. Antonio Abate.

La scena viene tuttora riproposta in forma ludica in molte “panarde” organizzate in occasione di determinate ricorrenze o manifestazioni cittadine da parte di Borghi e Sestieri – come quello di Porta Manaresca a Sulmona in occasione dell’antica Giostra cittadina – e persino da istituzioni scolastiche. L’8 novembre del 1988 è stata allestita per esempio a Torino in occasione del “Salone del gusto” La grande panarda abruzzese, che presentava come si legge in una brochure pubblicata per l’occasione “oltre 120 proposte culinarie preparate dai grandi cuochi della Regione Abruzzo”. In tale opuscolo celebrativo non manca il solito e colorito richiamo al “fucile” oppure al “cannone”, secondo un cliché ormai ripetitivo in ogni scritto sulla panarda, come sottolinea appunto A. Stanziani: “Un tempo era lo schioppo a tracolla del Guardiano della panarda a impedire defezioni degli ospiti durante il banchetto, mentre un colpo di cannone annunciava agli esclusi l’arrivo in tavola di ciascuna pietanza”.

Panarda e “Pranzi di San Giuseppe”

Questi aspetti ludici e simpatici del banchetto pantagruelico si presentano decisamente grotteschi e se appaiono anche pregni di non senso ciò è dovuto al fatto che essi sono in realtà tasselli appartenenti ad un mosaico di diversa origine e dalla più complessa funzione, costituito nella fattispecie dai Conviti (o “pranzi devozionali”) di San Giuseppe, non del tutto scomparsi dall’orizzonte culturale abruzzese[15] ma ancora presenti in altre realtà, geograficamente non lontane da noi. Il Convito è tuttora assai vivo in Molise ed a tale importante “istituzione” Enzo Nocera ha dedicato un saggio dal quale si apprende che questa sorta di Agape, nota anche con altre designazioni quali La Tavola di San Giuseppe oppure Devozione o Mensa Fraterna, si svolge il 19 marzo nella ricorrenza di San Giuseppe ed in tale occasione, come scrive G. Mascia nella prefazione, “molte famiglie, in generale di contadini, per atto di carità o per voto preparano un desinare per i poveri”[16].

In breve, vengono scelti in ogni paese tre personaggi che “interpretano” San Giuseppe, la Madonna ed il Bambino, i quali vengono invitati ad un abbondante pranzo “di magro” formato da 13 o 19 portate, un numero che è in relazione rispettivamente a “Gesù ed i 12 Apostoli” oppure alla festa di San Giuseppe, che cade appunto il 19 marzo.

Una volta, scrive il Nocera, il 19 marzo “era il giorno dell’abbondanza per molti poveri del paese”, mentre oggi il banchetto – composto rigorosamente da cibi di magro senza formaggio e carne – rappresenta “un’occasione di ritrovata comunione: chi vive altrove, ritorna” e pertanto la ricorrenza costituisce l’occasione per rinsaldare i comuni vincoli, funge cioè da “funzione socializzante ed aggregante”.

Si tratta dunque di qualcosa di più di un fenomeno “nativistico”, indagato com’è noto dal Lanternari[17],  ma di una particolare occasione in cui mentre mancava il pater familias, per lo più pastore transumante, veniva riaffermato il valore della famiglia e delle proprie radici.

In molti paesi molisani si prepara per la festa di San Giuseppe la cosiddetta pezzenta, composta da vari legumi prima lessati a parte e poi riuniti, la quale ci ricorda le virtù teramane oppure le totemaje del primo maggio in Abruzzo. Il termine pezzenta indica probabilmente a quali ceti sociali fossero un tempo riservati tali legumi, offerti tra l’altro in un particolare periodo, l’inizio di primavera, quando in Molise come ovunque le scorte alimentari erano sul punto di esaurirsi, creando angoscia nella casa contadina[18]. Ben diversi appaiono i banchetti o Cene di San Giuseppe in Calabria e Sicilia. A Salemi, scrive il Nocera, le portate che si preparano devotamente per la Sacra Famiglia assommano addirittura a 101 ed a differenza dell’Agape molisana, in Sicilia tali orge alimentari comprendono anche piatti a base di carne e diversi tipi di formaggio.

Di questi banchetti pantagruelici si era interessato anche il Pitrè, il quale scrive che mentre la padrona di casa sovrintende alle numerose portate da servirsi ai tre membri della  Sacra Famiglia (detti I Santi), il marito “sta innanzi la porta con lo schioppo in mano, sparando un colpo ad ogni piattello che ai Santi  viene servito […] E poiché questo voto del banchetto è molto comune e si ripete in un gran numero di famiglie, così tanti padroni ripetono questa storia della schioppettata quanti banchetti si fanno, e tante sono le schioppettate quanti i piatti recati in tavola. I colpi si contano e chi più ne tira, più è tenuto in considerazione di uomo splendido, ricco, generoso”[19].

Siamo arrivati così alla conclusione di queste brevi note sulla panarda che sembrano aver individuato il sentiero da percorrere per giungere all’individuazione delle origini e delle funzioni di una istituzione, come appunto la panarda, che reclama la presenza di ricchi e poveri, protagonisti di modelli comportamentali ancora evidenti nella società abruzzese nella prima metà dell’800.

Certo è che nel 1853 il termine panarda indicava a Villalago il “pranzo matrimoniale”, ma come sottolinea il Tanturri, era ormai “un vocabolo corrotto” e dunque in disuso come tante altre parole di cui lo storico di Scanno compila un accurato elenco.

Con ogni probabilità la voce panarda non era connessa solo al pranzo di nozze ma ad ogni banchetto che per numero di portate era considerato eccezionale o al di fuori della norma, e che veniva allestito in determinate ricorrenze del ciclo dell’anno e della vita con una vera e propria distruzione di cibo a scopo votivo e forse propiziatorio, come nelle panarde organizzate nella ricorrenza di Sant’Antonio Abate.

Nel banchetto di san Giuseppe emerge tuttavia un aspetto già evidenziato dal Di Nola in merito al complesso mosaico delle “culture di colpa”, perché dalle fonti più antiche, specie molisane, risulta che i “Conviti” erano allestiti dalle famiglie benestanti di ogni località ed offerti ai poveri che impersonavano in questa sorta di “sacra rappresentazione” i membri della Santa Famiglia.

Sicché, scrive il Cavalcanti, “i cibi e le bevande accomunano ed affratellano nell’ambito di uno spreco reale che è comunque limitato e contingente”[20], perché il giorno dopo l’abbuffata la pancia ricominciava nel mondo dei poveri a reclamare i suoi diritti. Il fondamentale principio evangelico del “quod superest date pauperibus” non è sentito infatti dai ceti benestanti come costante comportamento etico-religioso, ma come “rituale” posto in essere solo in determinate occasioni del ciclo dell’anno, che  nasconde in verità “il dovere istituzionalizzato dell’elemosina” ed il rimorso della “colpa classista”.

Allo stato attuale delle fonti documentarie in nostro possesso si può affermare pertanto che pur nell’incertezza dell’etimo, il termine panarda indicasse ancora nel corso del XVIII secolo, come precisa appunto il Tanturri nella citata monografia storica di Villalago, un interminabile pranzo di nozze, in cui veniva consumato un eccezionale ed inusuale numero di vivande, alcune delle quali – come per esempio la carne di vitello – assaggiate forse per la prima volta dai commensali nel corso della propria esistenza.

In seguito il termine è passato a designare qualsiasi “conviviale” offerta  dai possidenti alla fine di lavori stagionali (soprattutto dopo la trebbiatura del grano e la raccolta delle olive, come ci informa nel 1853 Pietro Destephanis nella monografia storica di Pettorano sul Gizio), oppure alla fine del ciclo allevatorio, che nel mondo rurale – data la vitale importanza che i suini rivestivano nell’economia della casa contadina – coincideva con l’uccisione del maiale, la grascia della famiglia rurale affidata pertanto alla protezione di Sant’Antonio, in onore del quale, quasi per grazia ricevuta, si allestisce in vari centri della Marsica la panarda. 

Il termine infine è stato usato per indicare qualsiasi offerta votiva di cereali in occasione di determinate ricorrenze religiose nel corso del ciclo dell’anno.

Resta da accertare se anche i banchetti funebri, noti in Abruzzo con vari termini dialettali quali cùnsele, recùnsele, cuònsele ecc., che sono preparati per lo più per antica tradizione dalla famiglia con cui si è in rapporto di comparatico (lu San Giuànne), possano essere considerati come una particolare panarda, chiamata in alcuni centri del medio corso del Sangro bivacco.

A Pizzoferrato, scrive per esempio il Toccafondi, “sopravvive il consuòlo, cioè il pranzo che a turno i parenti offrono alla famiglia dell’estinto dopo la tumulazione del cadavere. Peraltro questi pranzi di consolazione, che si protraggono per circa una settimana, a mezzogiorno e alla sera, constano di un menù…non molto diverso da quello di un pranzo nuziale! Dopo le nenie e le cantilene rievocanti le virtù della persona scomparsa, cominciava il bivacco: mangiare e bere. Quindi vino, vino, vino…fino a perdere ogni ricordo della luttuosa circostanza”.[21]

Anche in tali tristi circostanze la morte costituiva, come scrive il d’Annunzio, un evento in cui si esaudiva un desiderio di crapula, enorme, covato a lungo tra gli scarsi pasti e le dure fatiche!  

È significativa la circostanza che in alcuni paesi dell’area della Maiella, come per esempio a Cansano, i maccheroni vengano ancora oggi chiamati “la pasta delle nozze”, perché si mangiavano solo negli sposalizi oppure   in occasione dell’uccisione del maiale e della trebbiatura del grano.

 Era una società, quella rurale meridionale, afflitta perennemente dal morso della fame ed in particolar modo durante la cosiddetta costa di maggio, periodo in cui nella casa contadina si erano esaurite le scorte alimentari dell’annata precedente e sui campi, all’incirca nella prima decade di maggio, non ancora apparivano i primi prodotti del nuovo ciclo coltivatorio (soprattutto fave e piselli), specie se il mese di aprile era stato particolarmente freddo. Quando poi questa crisi ciclica annuale veniva a coincidere con frequenti e terribili carestie, l’elenco dei “morti per fame” risultava terrificante, come scrive appunto Gabriele De Rosa che ha avuto modo di consultare il Liber Mortuorum conservato nella chiesa parrocchiale di Melfi, in cui sono riportate alcune annotazioni del vicario curato Giuseppe Ruggieri a proposito della carestia del mese di maggio del 1816, fra cui la seguente:

“Per molti mesi mancò il pane e perciò i poveri si rinvenivano morti per le strade, nelle case e nelle piazze, sicché si contarono 167 morti, di cui 71 bambini”.[22]

Non va dimenticato a tal riguardo che nel periodo 1863-66 la mortalità infantile in Italia è causata, come risulta da un’indagine di C. Felice, da malattie e denutrizione e raggiunge con il 75% l’indice più alto proprio in Abruzzo e Molise.[23]

Se si tiene conto delle misere condizioni in cui versavano i ceti rurali, descritte nella famosa Statistica Murattiana del 1811 e dunque in tempi non molto lontani dal nostro, si comprende come in alcune ricorrenze del ciclo  dell’uomo e dell’anno esplodesse il “desiderio d’orgia alimentare” oppure – se si preferisce – un “desiderio di panarda” dettato dall’esigenza di vivere  per alcuni giorni non come sudditi del Paese della fame, ma come cittadini della mitica contrada di Bengodi descritta dal Boccaccio, in cui le montagne di parmigiano,  ravioli e maccheroni, nonché le vigne che  si legano con le salsicce, riescono a dare corpo ai sogni di coloro che sono perennemente afflitti dal morso della fame.

È tutto qui racchiuso il senso recondito della “panarda”, come sembrano indicare i documenti storici in precedenza riportati. Il termine, collegato inizialmente al pranzo di nozze, occasione festiva in cui avveniva un consumo inusuale di beni alimentari  rispetto alla forzata frugalità di tutti i giorni, è passato ad indicare in seguito  momenti importanti  del ciclo allevatorio e coltivatorio, caratterizzati da  un consumo orgiastico di derrate alimentari che avevano una funzione liberatoria rispetto agli stati angosciosi che precedono le fasi produttive ed il giorno riservato alla rituale uccisione del maiale, definito ancora alcuni decenni fa la grascia della casa contadina.

Appendice

Come si è detto, non esistono documenti che attestino nella cultura tradizionale abruzzese l’indicazione di “piatti specifici” che compongono la panarda. Anche il loro numero varia a seconda delle circostanze, legate soprattutto alla data calendariale ed alla ricorrenza di determinate ricorrenze festive. Il numero assume dunque un valore devozionale e talvolta una funzione apotropaica nei confronti dei commensali.

A fini meramente indicativi riportiamo come esempio la  panarda svoltasi in occasioni diverse.

PANARDA DI SAN GIUSEPPE o DI PRIMAVERA

Numero delle portate: 19 (Festa di San Giuseppe), 21 (Inizio della primavera)
Affettato di salumi e prosciutto, con sottaceti

Baccalà e cavolfiori impastati, fritti in olio d’oliva

Coste di sedano al marcetto

Zuppa di ceci al rosmarino e peperoncino

Fagioli e “cascigni” in umido

Chitarrina al ragù di castrato

Maccheroni” alla puttanesca”

Lasagne al forno

Penne” all’arrabbiata”

Coniglio alla “cacciatora”

Asparagi di campo al prosciutto

Agnello alla brace

Patate al forno

Spezzatino di maiale al coccio

Peperoni arrostiti

Melanzane ripiene al forno

Salsicce alla brace                                       

Pizza di granturco al coppo                                       

Cavoli “strascinati” in padella al peperoncino                                      

Pizzelle al forno                                       

Cellucci alla marmellata d’uva                                    

(Frutta di stagione: aranci e meloni invernali)

Per l’allestimento di panarde composte da più di 19 o 21 piatti (a tal riguardo notevole è la panarda preparata dal Sestiere di Porta Manaresca a Sulmona nel giorno 24 giugno, festa di San Giovanni Battista e solstizio d’estate, e perciò composta da 24 portate) si rimanda alle seguenti opere:

  1. Enzo Nocera, Il Convito e la devozione di San Giuseppe nella tradizione molisana; Edizioni ENNE, Campobasso 1998.
  2. Antonio Stanziani, L’Abruzzo a Tavola. I menù e le ricette epocali della cucina abruzzese; Polla Ed., Cerchio (Aq.) 1999.
  3. Antonio Stanziani, La Panarda. Rivisitazione di un antico modo di banchettare; Qualevita Ed., Torre dei Nolfi (Aq.) 2001.

Non resta che concludere con l’auspicio rivolto nel 1705 dal cuoco gesuita Francesco Gaudentio ad alcuni commensali: “vivete felici!”

Franco Cercone

                                                                                 


[1] A. Di Nola, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Torino, Boringhieri, 1976; seconda edizione aggiornata Torino 2001, Introduzione a cura di F. Pompeo.

[2] Gli altri temi trattati nel volume riguardano La gara del solco diritto ed i rituali sul Bue aratore nell’Italia centrale.

[3] Cfr. A. Melchiorre, Tradizioni popolari della Marsica, Edizioni dell’Urbe, Roma 1985; E. Giancristofaro, La Panarda; in “Rivista Abruzzese” n. 2, Lanciano 1993; id., I Compari dello Spirito Santo, in Tradizioni popolari d’Abruzzo, p. 84 sgg., Roma, Newton Compton, 1995.

[4] Cfr. M. Concetta Nicolai, La Panarda, Ed. Menabò, Ortona 1996; A. Stanziani, La Panarda. Rivisitazione di un antico modo di banchettare, Ediz. Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq.) 2001.

[5] Cfr. Abruzzo, a cura dell’Assessorato al Turismo, p. 143; De Agostani, Novara 1993.

[6] Cfr. G. Finamore, Vocabolario dell’uso abruzzese, Città di Castello 1893; G. Pansa, Saggio di uno studio sul dialetto abruzzese; Lanciano 1885.

[7] Cfr. G. Tanturri, Il Regno delle due Sicilie descritto ed illustrato, vol. XVI, Fasc. I, p. 135, Napoli 1853.

[8] Vedasi A. Colarossi- Mancini, Storia di Scanno e Guida della Valle del Sagittario, L’Aquila 1921. Anche questo Autore ignora del tutto il termine “panarda”.

[9] Cfr. A. Di Nola, op. cit., p.187 sgg.

[10] G. d’Annunzio, Trionfo della morte, p. 269; Milano, Mondatori, 1977; a cura di G. Ferrata.

[11] Cfr. E. Giancristofaro, Storie del silenzio. Cronache di vita popolare abruzzese. La panarda, in “Rivista Abruzzese”, n.2, 1993, p.123 sgg. Sull’importanza delle fave nell’alimentazione dei ceti rurali vedasi il nostro saggio: La sacralità delle fave nell’agiografia popolare abruzzese, in “Rivista Abruzzese”, n.3, Lanciano 1996.

[12] Firenze, A. Quattrini Ed., 1911.

[13] Cfr. L. Palozzi, Storia di Villavallelonga, Ed. Dell’Urbe, Roma 1982.

[14] Devo copia della lettera al prof. Alvaro Salvi di Avezzano, che ringraziamo vivamente.

[15] Il “pranzo di San Giuseppe” è ancora in uso ad Atessa, Monteferrante ed altri centri del Vastese.

[16] Cfr. E. Nocera, Il Convito e la Devozione di San Giuseppe nella tradizione molisana, p. 35, Edizioni Enne, Campobasso 1998.

[17] Cfr. V. Lanternari, Folklore e dinamica culturale, p. 101 sgg., Liguori Ed., Napoli 1966.

[18] Per le tradizioni molisane della festa di San Giuseppe cfr. soprattutto: E. Nocera, Memorie del gusto, vol. I, p. 75 sgg., Campobasso 2001; E. D’Ascenzo, Mangiare molisano, p. 47 sgg., Campobasso 2003; M. Natilli, La cucina dei giorni di festa, p.40 sgg., Campobasso 2005; A. Maria Lombardi- R. Mastropaolo, Cucina molisana, Campobasso 1995.

[19] G. Pitrè, Feste patronali in Sicilia, p. 443; a cura di A. Rigoli, Palermo 1978.

[20] O. Cavalcanti, Cibo dei vivi, cibo dei morti, cibo di Dio, p.84 sgg., Rubbettino Ed., Soveria Mannelli (Catanzaro) 1995.

[21] Cfr. F. Toccafondi, Pizzoferrato, p. 18 sgg., Sulmona, Tip. Labor,1956.

[22] Cfr. G. De Rosa, Rituali della morte e cronaca nei libri parrocchiali del Mezzogiorno tra XVIII e XIX secolo; in Studium, Nov.-Dic. 1981, p. 662.

[23] C. Felice, Rivista Abruzzese, n° 4, Lanciano 1987.




SWING SOTTO LE STELLE

Musica, storia e magia nella notte di San Lorenzo

Trasacco, 26 luglio 2024. IgersAbruzzo e IgersL’Aquila di nuovo partner dell’evento “Swing sotto le stelle“. Quest’anno, il festival giunge alla sua quarta edizione e si terrà a Trasacco il 9 e 10 agosto, offrendo un’esperienza indimenticabile per celebrare la notte di San Lorenzo.

Trasacco, uno dei borghi più suggestivi e antichi della Marsica (AQ), sarà il cuore pulsante di questo festival. Per l’occasione, abbiamo deciso di valorizzare alcuni dei suoi gioielli storici: la Basilica di San Cesidio e Rufino e la Torre Febonio. Questi due monumenti emblematici saranno aperti fino alle 24:00 e l’ingresso sarà gratuito per tutti. Inoltre, saranno organizzate visite guidate gratuite per permettere ai visitatori di scoprire la ricchezza storica e culturale di questi luoghi straordinari: ore 17:00 visita alla Basilica di San Cesidio e Rufino e ore 19:30 visita guidata alla Torre Febonio.

L’intero evento Swing sotto le Stelle, organizzato dall’Associazione Erebor, si svolgerà nel centro storico di Trasacco e sarà animato da una straordinaria selezione di musica swing. La serata del 9 agosto inizierà alle 21:00 con le esibizioni della Max Pirone Big Fat Band, Roberta Vaudo & The Whistles e Paola Ronci & The Reefer Men, e verrà chiusa dal dj set di The Gentleman Thief e da una spettacolare performance burlesque di Edith Von Hammer.

Il 10 agosto, il festival continuerà con le esibizioni di Rockin’Angie & The Shakers, Greasers e Orfanelli Swing Quartet. Il dj set di Miss Yaya Pin Up chiuderà la serata. Entrambe le giornate vedranno anche lezioni gratuite di ballo swing a cura di Emanuele Margiotta e Ludovica Aresu della SwingHaus, e, come novità di questa edizione, lezioni di ballo rock’n’roll con Lily Moore della scuola “TuttiFrutti Rock’N’Roll”.

Durante i due giorni di festival, il pubblico potrà anche godere di mostre curate da artisti locali e di una esposizione di auto vintage, aggiungendo un tocco di fascino retrò all’evento. Inoltre, contemporaneamente al festival, si svolgerà la Notte Bianca organizzata dal Comune di Trasacco, rendendo l’atmosfera ancora più magica e festosa.




LA SFIDA DEL CATTOLICESIMO POLITICO tra gnosticismo e populismo

Formiche.net, 26 luglio 2024. “Le ideologie – come ricorda il Papa – seducono, ma portano ad annegare”. L’ignoranza e la mancanza di formazione sembrano soffiare nel flauto che attira i cattolici di ogni Paese, conducendo conduce pastori e laici sul carro del vincitore, di destra o di sinistra che sia, nella convinzione che la conquista del potere sia indispensabile per la sopravvivenza economica e culturale della Chiesa cattolica. La riflessione di D’Ambrosio

Mi ha lasciato un po’ perplesso l’analisi di Riccardo Cristiano sull’uscita di scena di Biden e la fine del cattolicesimo conciliare. Per quanto ricca e argomentata, la sua analisi andrebbe collocata in un quadro storico più ampio e più generale. Negli Stati Uniti, come in diversi Paesi con una significativa presenza cattolica (Italia inclusa), troviamo un cattolicesimo conciliare – serio, maturo, accogliente e solidale verso gli ultimi, impegnato civicamente e politicamente, non fanatico e rispettoso della laicità dello Stato e delle sue istituzioni – ma anche uno (pseudo) cattolicesimo reazionario, bigotto, fanatico, ideologico, interessato al potere, spesso asservito a logiche utilitaristiche, razziste, omofobe e chiuse.

Il confronto, spesso scontro, tra queste due visioni genera, negli Stati Uniti e in altri Paesi, un disagio ecclesiale, culturale e politico costante, su cui i pastori hanno il dovere di intervenire per insegnare e formare, perché l’ignoranza e la malafede sono origine di mali peggiori.

Provo a fare una sintesi. Seguendo Eric Voegelin si può dire che i vari populisti sulla scena (Trump, Putin, Netanyahu, Orban, Le Pen, Salvini, Meloni e diversi altri), pur nella diversità di storie, formazione, sensibilità e collocazione politica, siano accomunati da un uso strumentale della religione (che prescinde dal loro essere credenti o meno; elemento che appartiene alla sfera intima della coscienza e non può mai essere oggetto di analisi e giudizio).

Non l’intimità va giudicata ma alcune caratteristiche che si ripetono in spazi e tempi diversi. Questi leader professano:

1. l’insoddisfazione per lo status quo e per tutta la storia che li ha preceduti, senza assumere mai nettamente le distanze da quella storia orribilmente antidemocratica e totalitaria (fascista, nazista o comunista sovietica che sia).

2. La convinzione che le difficoltà presenti si devono attribuire alla struttura intrinsecamente deficiente di questo mondo, su cui solo altri hanno responsabilità e non essi.

3. La convinzione che è possibile salvarsi dal male di questo mondo purché ci si affidi totalmente al nuovo capo o premier o presidente che dir si voglia.

4. L’emergere, nel processo storico, di un mondo buono da uno cattivo, da realizzare basandosi su promesse vane e nessuna visione strategica.

5. Il richiamo costante a un “popolo” generalmente preso, ma mai individuato nelle sue forme istituzionali di rappresentanza;

6. Il dovere del politico di cercare le soluzioni per determinare tale mutamento, in genere senza rispetto delle regole costituzionali e delle prassi politiche e istituzionali vigenti.

7. La religione ridotta a ideologia funzionale al progetto politico, poco rispettosa della Rivelazione, della sua trascendenza e capacità di illuminare menti e cuori di tutti. Anzi questi populisti hanno la pretesa di essere gli unici interpreti della volontà divina, che praticamente coincide con la loro: si pensi al “Dio” che scende in guerra dalla “nostra parte”, che ci “salva” dal male che minaccia il mondo, che “decreta” l’inferiorità di stranieri, etnie specifiche, donne, poveri, Lgbt e via discorrendo).

Questi sintetici elementi sono gli ingredienti principali dello gnosticismo politico; tentazione, e a volte realtà, mai scomparsa nella storia cattolica. Andrebbero approfondite anche le forme di gnosticismo politico, ideologico e fondamentalista, presenti nelle altre religioni.

Se è difficile comprendere cosa sia oggi lo gnosticismo politico, ancor più lo è comprendere la reazione cattolica, specie di preti, vescovi, cardinali e fedeli laici impegnati.

Soprattutto fanno riflettere quei cattolici che, sbandierando rosari o posizioni contro aborto ed eutanasia, si autoiscrivono a tradizioni culturali e religiose da cui sono lontani miglia. Ci sono anche i cattolici, pastori e laici, che corrompono e si fanno corrompere, che imprecano contro i migranti, trascurano giustizia e pace, vanno a braccetto con i potentati economici, specie quelli generosi con pingui offerte per diocesi, parrocchie e gruppi vari.

Semplicemente dovremmo dire che non sono cattolici, piuttosto sono figli e nipoti degli “atei devoti” (descritti da Beniamino Andreatta) e che trattano la fede come un’ideologia. Ma le ideologie, ha ricordato il Papa, “sono seduttrici. Qualcuno le comparava a quello che a Hamelin suonava il flauto; seducono, ma ti portano ad annegare”. L’ignoranza e la mancanza di formazione sembrano soffiare molto nel flauto che attira i cattolici di ogni Paese.

Non sorprende, inoltre, che la carenza di cultura solida e formazione costante porti molti pastori e fedeli laici a salire sul carro del vincitore, di destra o di sinistra che sia, perché si crede che la conquista del potere sia indispensabile per la sopravvivenza economica e culturale della Chiesa cattolica.

Il rischio è sempre lo stesso: quello descritto da Ilario di Poitiers nel IV secolo. “Noi non abbiamo più un imperatore anticristiano che ci perseguita, ma dobbiamo lottare contro un persecutore ancora più insidioso, un nemico che lusinga; non ci flagella la schiena ma ci accarezza il ventre; non ci confisca i beni (dandoci così la vita), ma ci arricchisce per darci la morte; non ci spinge verso la libertà mettendoci in carcere, ma verso la schiavitù invitandoci e onorandoci nel palazzo; non ci colpisce il corpo, ma prende possesso del cuore; non ci taglia la testa con la spada, ma ci uccide l’anima con il denaro, il potere, il successo, i primi posti nella nostra società”.

Don Rocco D’Ambrosio

https://formiche.net/2024/07/cattolicesimo-alla-prova-delle-derive-gnostiche-e-populiste/#content



USCIAMO DAL LIMBO

di Domenico Galbiati

PoliticaInsieme.com, 26 luglio 2024. Il limbo in cui aleggiano i cattolici, Giuseppe De Rita lo descrive così: “Il mondo cattolico italiano si è autoinflitto, nell’ultimo trentennio, una duplice avvilente illusione: quella di poter essere il lievito che entra nella pasta dei vari partiti per condizionarne almeno in parte i programmi; e quella di poter esercitare con successo il potere come influenza, prescindendo dal potere come potenza. Davvero pie illusioni.”

Commenta Mons. Vincenzo Paglia: È necessaria una nuova creatività almeno sul piano della cultura politica. È di qui che possiamo poi auspicare formazioni partitiche.”

È quel POI che non torna ed imbroglia le carte. Richiama una concezione logica e cronologica in due tempi del loro impegno in virtù della quale i cattolici, come sostiene puntualmente De Rita, da trent’anni a questa parte si avvitano su sé stessi senza contare più nulla. Indubbiamente è necessaria, a monte, una visione della vita e, direi, una speranza, non una aleatoria attesa di cose belle, ma piuttosto l’attitudine ad ordinarle secondo un fondamento ed un’istanza di valori.

Non a caso parliamo, per quanto ci riguarda, di ispirazione cristiana. Eppure, nessuna cultura politica nasce a tavolino, né discende bella e fatta, pronta all’uso dalle sfere celesti degli ideali.

Si forma nel vivo dell’azione e del confronto. In quell’esercizio di una responsabilità personale, non mediata da altra autorità che interroga e forma la coscienza, nella misura in cui sa che i gesti della politica ricadono sulla vita delle persone, non si esauriscono lì per lì. Ed è questa dimensione induttiva che consente alla politica di essere accessibile a tutti e, dunque, di potersi, doversi declinare in termini democratici e popolari.

Se una cultura politica fosse qualcosa di dottrinale ed intellettualistico sarebbe privilegio di pochi e non, come dev’essere, frutto di un vasto concorso di esperienze.

Chi fa politica sa quante cose si apprendono dall’ascolto delle persone più umili piuttosto che dai tomi dei politologi. Presa sul serio, la politica è una straordinaria scuola di umanità e di umiltà. Mostra come la realtà, le domande e le sofferenze che l’accompagnano eccedano sempre le griglie dottrinali che non sanno contenerle.

Anche la formazione delle coscienze, così giustamente invocata, almeno per quanto concerne l’azione politica, non è un antecedente, bensì una dimensione che cresce intessuta dentro lo sviluppo dell’esperienza in campo aperto.

Qualunque cosa sia, è tempo di lasciarci alle spalle le ambasce del cosiddetto pre-politico per uscire dal limbo di un categoria mal definita ed attraversare il Rubicone di una piena ed originale assunzione di responsabilità da parte di cattolici. Prima che certe decisive finestre temporali si chiudano irrevocabilmente.




RADICI E RITORNI

Quattro serate 22-23-24-25 agosto 2024.  Torna il John Fante Festival “Il dio di mio padre”

Torricella Peligna, 26 luglio 2024. Torna il John Fante Festival “Il dio di mio padre”, diretto da Giovanna Di Lello e giunto alla sua XIX edizione. Tema di quest’anno è Radici e ritorni.

La manifestazione, fin dalla prima edizione, è organizzata dal Comune di Torricella Peligna per ricordare e omaggiare lo scrittore americano John Fante (1909-1983), il cui padre Nicola era un muratore originario proprio di questo piccolo paese abruzzese.

Tra gli ospiti di questa edizione: i figli del grande scrittore Victoria e Jim Fante, che apriranno il Festival, lo scrittore italoargentino Mempo Giardinelli, l’antropologo Vito Teti, lo scrittore finalista al Premio Strega 2024 Dario Voltolini, lo scrittore uruguaiano Felipe Polleri, la giornalista Maria Latella, il giornalista Peter Gomez, il giornalista e scrittore Lucio Luca, la scrittrice Dacia Maraini, alla quale va il Premio John Fante alla carriera Vini Contesa 2024, il giornalista Carlo Paris, l’attore Domenico Galasso, il cantautore Setak (Targa Tenco 2024 per il miglior album in dialetto), il critico musicale Paolo Talanca e la cantautrice Andrea Mirò, lo scrittore Alessio Romano, lo scrittore e giornalista Daniele Astolfi, la dialettologa Daniela D’Alimonte, il contastorie Marcello Sacerdote, la scrittrice Valentina Di Cesare.

Una delle serate sarà dedicata, come sempre, all’annuncio e alla premiazione del vincitore del Premio John Fante Opera Prima. I tre romanzi finalisti di questa edizione selezionati dalla giuria dei letterati del Premio – presieduta da Maria Ida Gaeta e composta da Mario Cimini, Masolino D’Amico, Claudia Durastanti, Maria Rosaria La Morgia e Nadia Terranova – sono: “Uvaspina” di Monica Acito (Bompiani), “Tangerinn” di Emanuela Anechoum (Edizioni e/o) e “Il cognome delle donne” di Aurora Tamigio (Feltrinelli).

Per il secondo anno sarà attribuito, in collaborazione con la casa di produzione Superotto Film Production, il Premio John Fante Opera Prima Cinema a un romanzo d’esordio opzionabile per il grande schermo. La giuria – presieduta dal regista e produttore  Stefano Odoardi e composta dallo studioso di cinema Matteo Cacco, dallo scrittore e sceneggiatore Peppe Millanta, dalla giornalista RAI Roberta Sibona, dalla storica del cinema e scrittrice Matilde Tortora, dalla regista e docente di creazione audiovisiva per le scienze sociali all’Università di Ginevra Morena La Barba e dalla direttrice del John Fante Festival Giovanna Di Lello – ha scelto il romanzo “Il nostro grande niente” di Emanuele Aldrovandi (Einaudi, 2024). 

Per il Premio John Fante Opera Prima sezione Abruzzo la menzione speciale della giuria universitaria va a Francesco Prosdocimi per il libro “Io e Gio” pubblicato dalla casa editrice abruzzese Neo nel 2023.

La scrittrice Dacia Maraini è la vincitrice del Premio John Fante alla carriera Vini Contesa 2024. La Giuria del Premio – composta dal Sindaco di Torricella Peligna, dalla Direttrice del John Fante Festival, da membri della Giuria tecnica del Premio John Fante Opera Prima, dal Presidente della Cantina Contesa -, l’ha eletta con la seguente motivazione: “Per la sua straordinaria capacità di farsi interprete delle voci marginalizzate e delle questioni sociali più urgenti. Attraverso le sue opere letterarie, Dacia Maraini ha esplorato con profondità e sensibilità temi come l’emancipazione delle donne, la violenza di genere, l’ingiustizia sociale promuovendo una comprensione interculturale che la rende una figura di spicco nella letteratura contemporanea internazionale. La sua scrittura potente e coinvolgente ha influenzato generazioni di scrittori e scrittrici e affascinato lettori e lettrici di tutto il mondo, lasciando un’impronta indelebile nel panorama culturale italiano e internazionale”. La scrittrice e la sua opera saranno presentate dalle giurate del Premio Maria Rosaria La Morgia e Maria Ida Gaeta.

Sarà premiato il vincitore o la vincitrice del Premio Italia Radici nel Mondo – Toto Holding, alla sua prima edizione, nato dalla sinergia tra il John Fante Festival “Il dio di mio padre” e il Piccolo Festival delle Spartenze. Migrazioni e Cultura, con la partnership di Toto Holding, concorso di racconti inediti rivolto agli italiani e alle italiane residenti all’estero e agli/alle italodiscendenti. Il tema dell’edizione 2024 è “Le mie radici plurime”. La giuria è composta da Vito Teti (presidente), Giovanna Di Lello, Giuseppe Sommario, Toni Ricciardi, Angela Bubba, Matteo Cacco, Alessandra De Nicola, Alessio Romano, Giovanna Chiarilli, Mariel Pitton Straface, Roberto Alfatti Appetiti. Il Premio, che si svolge nell’ambito delle iniziative del MAECI “2024 – Anno delle radici italiane nel mondo”, si avvale anche della collaborazione della fondazione PescarAbruzzo.

In programma anche la mostra “Verso Patria” del fotografo italoamericano Ken Marchionno, in collaborazione con la rivista TNZ – Tnèmmz’ngundatt e il comune di Colledimezzo.

Tutti gli appuntamenti sono ad ingresso gratuito, fino a esaurimento posti. Non è necessaria la prenotazione.




TINTARELLA DI LUNA

Domenica 28 luglio un tuffo nei favolosi anni ’50 e ’60

Notaresco, 26 luglio 2024. Un tuffo nei favolosi anni ’50 e ’60: gonne a ruota, pois, giacche di pelle e acconciature vintage. Questo sarà il dress code dell’evento “Tintarella di Luna”, che domenica 28 luglio dalle 17:00 alle 24:00 animerà il borgo di Notaresco, con un ricco programma di attività e spettacoli.

L’evento, curato dall’Associazione Baule della Nonna con il contributo dell’Amministrazione Comunale, promette di trasportare il borgo indietro nel tempo, per rivivere l’atmosfera retrò di quegli anni con balli, musica dal vivo, sfilate di moda e una parata di auto e moto d’epoca.

Il programma della giornata prevede:

Dalle 17:00 alle 19:30: Iscrizioni gratuite e informazioni sulle auto e moto d’epoca in Piazza del Mercato.

Ore 18:00: Celebrazione dei cento anni dell’ACI di Teramo con un incontro sulla sicurezza stradale e la mobilità sostenibile presso la sala consiliare del Comune di Notaresco. L’incontro, con ingresso libero, vedrà i saluti di Patrizia Taddei, Presidente dell’Associazione Nel Baule della Nonna, l’introduzione di Carmine Cellinese, Presidente dell’Automobile Club Teramo, l’intervento di Silvano Di Salvo, Comandante della polizia locale di Notaresco, e sarà moderato da Alex De Palo, giornalista de “Il Centro”.

Ore 20:00: Partenza della parata da Piazza del Mercato, percorrendo le vie principali del borgo e concludendosi nuovamente in Piazza del Mercato.

Ore 20:30: Esibizione della Scuola di ballo “Sotto un cielo a pois” nel centro storico.

Dalle 21:00 alle 22:15: Sfilata di Moda Vintage Anni ’50 e ’60 in Piazza San Pietro.

Dalle 22:15 alle 24:00: Concerto live delle “Le Rimmel”, un gruppo tutto al femminile che proporrà rock’n’roll anni ’50 e ’60, sempre in Piazza San Pietro.

Dalle 24:00 in poi: DJ Set in Piazza San Pietro per continuare a ballare fino a tarda notte.

Durante tutta la manifestazione, nel centro storico saranno esposte auto e moto d’epoca, offrendo ai visitatori una mostra unica e affascinante.

L’evento è stato promosso anche grazie ad un video professionale che, con migliaia di visualizzazioni, funge da promozione per lo splendido borgo di Notaresco. L’evento, Patrocinato dall’Aci Teramo e dal Comune di Notaresco, è stato presentato alla stampa il giorno Martedì 23 luglio alle ore 10:00 nella Sala della Provincia di Teramo alla presenza degli organizzatori e degli attori Ottavio Palumbo, Maria Teresa di Gregorio, Pompea D’Andrea e Valentina Faga.

Non perdete l’occasione di partecipare a questo viaggio nel tempo! Ingresso libero. Per informazioni: 347.7212143. Vi aspettiamo numerosi per rivivere insieme i meravigliosi anni ’50 e ’60!




TI PRESENTO UN CLASSICO

La lezione su Flaubert di Paolo Di Paolo. Lo scrittore è stato a Francavilla a giugno per SquiLibri come finalista dello Strega

Francavilla al Mare, 26 luglio 2024. Il quinto appuntamento di “Ti presento un classico” a Francavilla al Mare (Ch) è previsto per sabato 27 luglio alle ore 19.00 presso la Libreria Mondadori di Francavilla. Dopo la scorsa lezione di giugno con Remo Rapino e L’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, si prosegue con lo scrittore Paolo Di Paolo, finalista della LXXVIII edizione del Premio Strega con Romanzo senza umani (Feltrinelli) e ospite del Festival SquiLibri lo scorso 21 giugno per la tappa abruzzese dello Strega Tour.

L’autore parlerà del capolavoro di Gustave Flaubert, “Educazione sentimentale”; le letture saranno a cura di Lorenza Sorino di Unaltroteatro.

“Ti presento un classico” fa parte di “Libridine” (finanziato dal Cepell) e collaborano a questo progetto al fianco dello stesso Comune guidato dal Sindaco Luisa Russo con il grande supporto dell’Assessore alla Cultura Cristina Rapino, Fonderie Ars e Identità Musicali ed inoltre la Scuola Macondo; la direzione artistica è dello scrittore abruzzese Peppe Millanta, Direttore artistico altresì di SquiLibri – Festival delle

Narrazioni.

“Nel testo scelto da Di Paolo, le azioni di ogni personaggio sono motivati da una ricerca dell’amore che sembra tanto inutile quanto necessaria per la sopravvivenza e la felicità; il tono di Flaubert è satirico, la società descritta è spesso insulsa, deludente ed è proprio questo a rendere complessa la ricerca, come accade oggi in cui è difficile distinguere anche la realtà dalla finzione”- spiega Millanta.

Moreau, il protagonista dell’Educazione sentimentale (1869), è un giovane dalle vaghe ambizioni artistiche e sociali che trascina indolente la sua esistenza fra delusioni e fallimenti. È una lenta usura, la sua, che non risparmia nemmeno l’amore tenero e profondo per Madame Arnoux, la donna per la quale proverà per tutta la vita una passione destinata a rimanere inappagata. Considerato il capolavoro di Flaubert, il romanzo è molto più che il racconto di una iniziazione. Col suo susseguirsi di occasioni mancate, slanci mortificati, progetti abortiti, narrati con uno stile apparentemente oggettivo, L’educazione sentimentale è l’affresco di un’epoca segnata dal trionfo di una borghesia gretta e prosaica che ha smesso di coltivare illusioni e ideali e ha fatto del denaro e della falsità il cardine dei rapporti umani. Ed è anche lo specchio di una generazione che, incapace di riconoscersi appieno nei valori dominanti, non sa trovare antidoti al sentimento disperante della propria impotenza e mediocrità.

Gustave Flaubert, nato a Rouen nel 1821, è considerato l’iniziatore del Naturalismo nella letteratura francese ed è conosciuto soprattutto per essere l’autore del romanzo Madame Bovary e per l’accusa di immoralità che questa opera gli procurò.

Secondogenito dei tre figli del chirurgo primario di Rouen, Flaubert mostrò precocissimo talento per la scrittura, nella cui pratica cominciò a cimentarsi fin dall’adolescenza ma la sua vita non fu facile a causa dei numerosi lutti e di una malattia nervosa che dopo molti viaggi lo riportò a Rouen.
Proprio nel 1836, mentre passeggiava sulla spiaggia di Trouville, conobbe Élisa Foucault, una donna sposata che sarà oggetto della mai soddisfatta passione della sua vita, ispirandogli uno dei suoi romanzi più famosi, appunto, L’educazione sentimentale.

Paolo Di Paolo è nato nel 1983 a Roma. Ha pubblicato i romanzi Raccontami la notte in cui sono nato (2008), Dove eravate tutti (2011 Premio Mondello e Super Premio Vittorini), Mandami tanta vita (2013 finalista Premio Strega), Una storia quasi solo d’amore (2016), Lontano dagli occhi (2019 Premio Viareggio-Rèpaci), tutti nel catalogo Feltrinelli e tradotti in diverse lingue europee. Molti suoi libri sono nati da dialoghi: con Antonio Debenedetti, Dacia Maraini, Raffaele La Capria, Antonio Tabucchi, di cui ha curato Viaggi e altri viaggi (Feltrinelli 2010), e Nanni Moretti. È autore di testi per bambini, fra cui La mucca volante (2014 finalista Premio Strega Ragazze e Ragazzi) e I Classici compagni di scuola (Feltrinelli 2021), e per il teatro. Scrive per «la Repubblica» e per «L’Espresso».

News e appuntamenti sono sulla pagina social della @scuolamacondo. Per info la mail è scuolamacondo@gmail.com.

L’appuntamento con Paolo Di Paolo è gratuito ed aperto a tutti. Si ricorda che “Libridine” è promosso dal Centro Per il Libro e la Lettura (CEPELL), istituto del Ministero della Cultura; le associazioni partecipanti al fianco del Comune di Francavilla al Mare sono l’Aps Macondo, Fonderie Ars, l’Associazione Alphaville – nonsolocinema, la Neo edizioni, Sophia Aps e l’Associazione Identità Musicali che a loro volta coinvolgeranno location strategiche, culturali, turistiche del territorio, oltre alla Mondadori di Francavilla e all’Azienda di Trasporti Abruzzese TUA.




COMETE – SCIE D’ABRUZZO

La presentazione domenica prossima

Opi, 26 luglio 2024. Domenica 28 luglio alle ore 17.00 presso la Sala Consiliare del Comune di Opi (Aq), verrà presentato il progetto “Comete – Scie d’Abruzzo” del Direttore di collana Peppe Millanta e la casa editrice Ianieri edizioni: per l’evento, organizzato dalla Pro Loco Opi – Aps con il Comune, verranno illustrate la collana dedicata alla letteratura di viaggio identificata con il colore blu e la collana dedicata dedicata all’Abruzzo immateriale identificata con il colore fucsia ed i relativi volumi già in commercio.

Dialogheranno l’Ufficio stampa del progetto, la giornalista pescarese Alessandra Renzetti e l’editore Mario Ianieri. A sostegno di “Comete – Scie d’Abruzzo” ci sono: I Borghi più belli d’Italia, I Parchi Letterari, il Parco Nazionale della Maiella e Borghi Autentici.

La serie dedicata ai viaggiatori in Abruzzo ha l’intento di raccogliere in un’unica collana la migliore letteratura odeporica che riguarda la regione: una letteratura ricca con personaggi inaspettati e viaggi incredibili, basti pensare ad Alexandre Dumas incuriosito dal prosciugamento del Fucino o al giornalista Ugo Ojetti giunto in Abruzzo, carte alla mano, per osservarne le meraviglie e farne dei veri servizi giornalistici; per questo motivo ogni volume è arricchito da itinerari tematici curati dalla Dott.ssa Serena D’Orazio per scoprire le bellezze inaspettate della regione Abruzzo che hanno destato l’interesse di grandi personaggi.

Il progetto dedicato ai narrativa di viaggio, per la scelta dei testi e le traduzioni, si avvale del lavoro certosino di un comitato scientifico di docenti dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti – Pescara, Dipartimento di Lingue e Letterature Moderne con il Direttore, il Professore Ugo Perolino.

Contestualmente sarà presentata anche la serie fucsia che vuole raccontare l’immaterialità dell’Abruzzo, in una terra che grazie al proprio isolamento si è mantenuta per secoli intatta e che in poco tempo rischia di vedere scomparire il proprio passato sotto la frenesia del nuovo: si tratta di un’indagine che però non vuole essere nostalgica ma promuovere la trasmissione di questo patrimonio culturale immateriale alle future generazioni divenendo materiale vivo come accade per “Parole d’Abruzzo” di Daniela D’Alimonte in cui viene preservato il dialetto abruzzese o “Ricette d’Abruzzo” del giornalista Luigi Braccili, tramandato con “Comete” dal figlio Umberto Braccili.




I TALENTI DELLA FISARMONICA

24° Premio Internazionale “Stefano Bizzarri”

Morro D’Oro, 26 luglio 2024. Oggi e domani, Morro D’Oro ospita la 24° edizione del Premio Internazionale per Fisarmonica “Stefano Bizzarri”, il concorso nato nel 1992 per ricordare la figura umana e professionale del musicista morrese, scomparso prematuramente nel 1984.

Fortemente voluto dall’amministrazione comunale con la collaborazione dell’associazione “Stefano Bizzarri” presieduta da Valentino Valentini, il premio si avvale del patrocinio di Provincia e Regione. Le audizioni oggi e domani si terranno nella chiesa monumentale di San Salvatore. Alle 20.00 in piazza Impero, nel centro storico, si terranno le premiazioni dei vincitori.

In giuria ci sono compositori e docenti di conservatorio: Renzo Ruggieri, Gianluca Pica, Pietro Rofi, Luca Mancini, e Adriano Ranieri.

“Il territorio si è messo in cammino nel solco della sua storia” dice il sindaco di Morro D’Oro Romina Sulpizii, “e questa manifestazione fa parte di questo percorso, un’occasione speciale per riunire la comunità, condividere momenti di gioia e rafforzare legami che ci uniscono.  La competizione artistica con musicisti provenienti da numerosi paesi, europei ed extraeuropei, rappresenta un segnale di accoglienza e collaborazione tra Paesi che alimenta uno spiccato senso di reciprocità”.

Direttore artistico del Concorso è il giovane musicista Antonio Mancini che dopo aver partecipato come concorrente in tante edizioni e aver vinto il prestigioso premio, oggi è tra gli organizzatori della manifestazione. “Per molti anni il Premio Stefano Bizzarri è stato uno dei maggiori appuntamenti per fisarmonica a livello mondiale”, dice Mancini, “il nostro sogno è di farlo tornare ai fasti di un tempo portando tanti bravi fisarmonicisti a Morro D’Oro”.

I giovani concorrenti si cimenteranno nelle due sezioni: Classica e Varietè, entrambe con le categorie suddivise per fasce di età.

Per la sezione Classica è prevista inoltre la categoria “Premio” senza vincolo di età, mentre la sezione Varietè prevede una novità, il premio intitolato a “Gervasio Marcosignori”, il grande fisarmonicista italiano, che nel 1959 vinse il prestigioso “Oscar Mondiale della Fisarmonica”, e che per tanti anni ha presieduto la Giuria del Concorso a Morro D’Oro.




MALACERA. APERITIVO CON L’AUTORE

Presentazione romanzo di Irma Alleva  

Gessopalena, 26 luglio 2024. Sabato 27 luglio alle ore 18 presso la Caffetteria Tiberini verrà presentato il nuovo romanzo di Irma Alleva, Malacera, edito da Nuova Gutemberg.

L’evento sarà moderato da Domenico Turchi, il quale percorrerà insieme all’autrice passi emblematici del libro. Ad impreziosire la presentazione ci sarà il Coro Mastro Davide di Gessopalena che ne curerà gli intermezzi musicali.

IL ROMANZO

 Francesco Giuseppe Avella, ultimo di nove figli, nasce a Fara san martino nel 1871, in una famiglia agiata, una di quelle che contano e che riversano sulla prole, notevoli aspettative.

Ma Giuseppe non è incline alle regole né tantomeno alle imposizioni di una realtà, quella del suo tempo, aggrovigliata tra mille convenzioni. Tant’è che si innamora della nipote della domestica, Anna, ricambiato nel suo sentimento. Un affronto per sua madre, Donna Rosalinda, la quale contrasterà non poco il suddetto legame, ritenendo Anna non all’altezza del figlio.

Dinanzi alla negazione della propria libertà di scelta, Giuseppe decide di andare via. E così, lontano dalle sue radici, comincerà un viaggio attraverso L’Abruzzo che si rivelerà foriero di incontri e sorprese. Sarà un viaggio di conoscenza, di scoperta ma pure di crescita e di un profondo cambiamento di vita.




NEW BRAGA LANGUAGES

Presso il Manakara Beach Club una serata con il rinomato Renzo Ruggieri Quartet. Il Conservatorio Gaetano Braga annuncia il terzo concerto della sua serie estiva

Teramo, 26 luglio 2024. L’evento si terrà martedì, 30 luglio, alle ore 21:00, presentando un quartetto di musicisti altamente esperti, rinomati per le loro estese attività concertistiche e discografiche, sia come leader che come sideman. Il repertorio del gruppo è raffinato, con una speciale predilezione per l’italianità, oscillando tra standard e composizioni originali del leader, coinvolgendo ed emozionando il pubblico.

Il Renzo Ruggieri Quartet, formato da musicisti di grande talento e fama internazionale:

•             Renzo Ruggieri (fisarmonica),

•             Toni Fidanza (pianoforte),

•             Davide Ciarallo (batteria),

•             Edmondo Di Giovannantonio (contrabbasso)

 è conosciuto per il suo approccio innovativo e sperimentale, che combina jazz, musica contemporanea e tradizioni popolari per creare un sound unico e affascinante.

Unitevi a noi per una serata indimenticabile di musica raffinata eseguita da alcuni dei migliori musicisti della scena jazz contemporanea.

Questo concerto promette di essere un momento saliente della nostra serie estiva presso il Manakara Beach Club di Tortoreto, serie di concerti ( ogni martedì, fino al 20 agosto) che fa parte dell’importantissimo progetto “Braga per il sociale” curato dalla Prof.ssa Tatjana Vratonjic, vicedirettore del Conservatorio.