IL VERO SIGNIFICATO DELLA VACANZA

Un tempo di silenzio, preghiera e riflessione

di fra Emiliano Antenucci

(Rettore del santuario della Madonna del Silenzio ad Avezzano)

FamigliaCristiana.it 22 agosto 2024. Questa parola richiama l’essere liberi dalle pressioni quotidiane, ma in una società frenetica, il riposo autentico è spesso trascurato. questo periodo estivo dovrebbe essere dedicato al silenzio, alla meditazione, alla preghiera e alla connessione con la natura e le persone care. scopri come vivere le vacanze in maniera cristiana, ritrovando il senso profondo del riposo e della riflessione, e imparando a vedere la bellezza nella vita e nel prossimo

La parola “vacanza” deriva dal latino vacans, che significa essere liberi, dal lavoro, dal rumore, dalla routine quotidiana e da tutto ciò che ci dà pensiero e preoccupazione. Significa fare un po’ di silenzio, essere spensierati, ricaricarsi e fermarsi per fare un bilancio e un rilancio della propria vita. Dobbiamo recuperare il vero senso del riposo, in una società fondata sulla velocità e sullo stress. Dio il settimo giorno si riposa e noi cosa facciamo? La domenica, giorno del Signore, alle volte è dedicata allo shopping compulsivo, al lavoro e a tutto ciò che non ci ricorda di santificare le feste anche con il riposo del corpo e della mente. L’estate è un tempo di vacanza da dedicare alla preghiera, alle passeggiate in mezzo alla natura, alla lettura di un buon libro, all’ascolto di bella musica; un tempo da dedicare di più alla famiglia e agli amici.

C’è una canzone di Jovanotti che dice: «Sento il mare dentro a una conchiglia estate l’eternità è un battito di ciglia», cioè avviene come una dilatazione del tempo, in mare o in montagna, è un tempo di meditazione sulla bellezza della vita. Come possiamo vivere il tempo delle vacanze in maniera cristiana?

1) Dedicando un tempo al silenzio per ascoltare la voce del Signore dentro di noi.

2) Prendere un foglio di carta per fare una verifica delle cose fatte durante l’anno sociale e annotare progetti per il futuro.

3) Leggere bei libri, ascoltare musica, fare passeggiate al mare, in montagna o per i boschi, visitare mostre e musei d’arte.

4) Incontrare amici, senza sparlare degli altri, ma facendo dei bei progetti insieme per Dio e per gli altri. Madre Teresa di Calcutta quando incontrava una persona, gli chiedeva: «Cosa possiamo fare di bello per gli altri?».

5) Dedicare del tempo alla preghiera, alla meditazione cristiana e alla riflessione personale.

L’estate, come diceva don Bosco, è anche «la vendemmia del diavolo», un tempo in cui si può essere più esposti a tentazioni e peccati. Bisogna essere vigilanti, usando il tempo come dono di Dio. Lo psichiatra Vittorino Andreoli scrive: «Osservando il mondo, così rumoroso, inquieto, e così folle, mi viene voglia di silenzio, e di guardare ai monaci, che sono scappati dal mondo per capire il mondo». Il tempo delle vacanze è un tempo per fare silenzio, come canta in C’è tempo Ivano Fossati: dopo il silenzio viene l’esigenza di raccontare le meraviglie che il Signore ha fatto. Troppe lamentele, troppi pettegolezzi anche nella Chiesa, ma bisogna educare lo sguardo per vedere tutto il bello che c’è in ogni persona e in ogni situazione che viviamo. Non è vero che non c’è tempo, il tempo c’è, ecco perché Madre Teresa scrisse: «Trova il tempo di pensare, trova il tempo di pregare, trova il tempo di ridere. È la fonte del potere, è il più grande potere sulla terra, è la musica dell’anima. Trova il tempo per giocare, trova il tempo per amare ed essere amato, trova il tempo di dare. È il segreto dell’eterna giovinezza (…). Trova il tempo di fare la carità. È la chiave del paradiso».

https://www.famigliacristiana.it/articolo/il-vero-significato-della-vacanza-un-tempo-di-silenzio-preghiera-e-riflessione.aspx?fbclid=IwY2xjawEzD-xleHRuA2FlbQIxMQABHfetCXfT1exzbpmNr40KC7wSccUZP9fRDmzEBZF_5dboEc8EETO1Ct33AQ_aem_9Wrv1EssuZO6PiPrRoyV3g




ALLA SCOPERTA DEL REGNO DELLA BIODIVERSITÀ

L’Oasi WWF Riserva Naturale molisana Guardiaregia-Campochiaro, una lunga storia di amore per l’ambiente raccontata in un libro. Appuntamento sabato 24 agosto per la presentazione del volume

Vasto, 22 agosto 2024. Si intitola “Alla scoperta del regno della biodiversità – L’Oasi WWF Riserva Naturale Regionale Guardiaregia-Campochiaro” il libro scritto dalla giornalista Maria Rosaria Grifone che sarà presentato a Vasto sabato 24 agosto alle ore 21 nei Giardini Genova Rulli, in via Anelli, nell’ambito della rassegna “Echi di un grido”. La pubblicazione è nata con l’obiettivo di ripercorrere la storia dell’Oasi molisana, nata oltre un quarto di secolo fa e diventata nel 2010 Riserva Naturale Regionale, che attualmente si colloca per estensione al secondo posto in Italia tra le aree tutelate dal WWF.

In questo lungo lasso di tempo la storica associazione ha svolto numerose attività nell’Oasi, a partire dalla gestione del territorio fino all’educazione ambientale. Uno dei fiori all’occhiello è rappresentato inoltre dall’attività scientifica con la realizzazione di monitoraggi di flora e fauna. Tutto ciò ha fatto emergere il valore di questo ambiente, un vero scrigno di biodiversità: basti pensare alla presenza di oltre quaranta diverse tipologie di orchidee selvatiche e di circa trecento specie di farfalle diurne e notturne. Grazie all’Oasi è stato inoltre possibile il ritorno del cervo sul massiccio del Matese con il progetto dell’Area faunistica localizzata a Campochiaro. La Riserva racchiude anche un ambiente carsico estremamente affascinante per la presenza di alcuni degli abissi più importanti d’Italia, noti anche a livello internazionale.

L’Oasi WWF Riserva Naturale Regionale Guardiaregia-Campochiaro è un territorio incontaminato del Matese che qui si mostra nella sua veste migliore. Dai borghi alla montagna, dalle grotte ai corsi d’acqua, è il luogo ideale per chi ama la natura e vuole realmente staccare la spina per qualche giorno. È un pezzo di Molise che racchiude in sé tanti tesori che ne determinano l’unicità grazie alla presenza di fattori ambientali, paesaggistici, storici, legati alla cultura materiale, all’agricoltura, all’allevamento e all’artigianato che possono essere carte vincenti oggi, proponendo con la mobilità dolce e il turismo lento un modo diverso di visitare e frequentare il territorio.

Il massiccio del Matese, situato tra Molise e Campania, è ricco di luoghi selvaggi popolati da lupi e aquile reali, ma anche di piccoli centri ancora autentici che, con i loro prodotti tipici genuini e saporiti, spiccano per la gentilezza e l’ospitalità degli abitanti. Nella pubblicazione uno spazio è riservato infatti anche alle vicende storiche e agli aspetti caratteristici dei due borghi, Guardiaregia e Campochiaro, che sono parte integrante dell’Oasi. Sarà un piacere inoltrarsi lungo sentieri percorsi dall’uomo fin dall’antichità in compagnia di un’agile guida, arricchita da immagini molto suggestive. Informazioni pratiche sulle strutture create dal WWF all’interno dell’area offrono infine ai lettori la possibilità di conoscere le modalità di visita e di partecipazione a escursioni guidate.

“L’Oasi di Guardiaregia-Campochiaro è tra le più grandi della rete di aree gestite dal WWF. Ho avuto la fortuna di seguirne la nascita, l’avvio e la maturazione, che ha portato a far conoscere questi luoghi oltre i confini regionali, ad accogliere il cervo, a valorizzarne le bellezze. Questo è stato possibile grazie alla volontà e alla passione del WWF del Molise, a quei volontari che dedicano tempo – e non solo – a iniziative che lasciano il segno, che tracciano strade ancora più lunghe di come si erano pensate. Raccontare la storia di questi luoghi, di quello che è oggettivamente un successo, è parte di questa crescita” si legge nella prefazione del libro firmata dal giornalista e scrittore Antonio Canu. Esperto di aree naturali protette, è stato a lungo Presidente di WWF Oasi e attualmente guida WWF Travel.

Insieme all’autrice presenteranno il libro Luigi Cinquina, funzionario della Regione Molise e Presidente della sezione di Vasto del Club Alpino Italiano, Mario Pellegrini,  Direttore della Riserva Naturale Bosco di don Venanzio, e Agnese Catalano, referente provinciale di Chieti dell’associazione Plastic Free Onlus. Atteso anche l’Assessore all’Ambiente del Comune di Vasto Gabriele Barisano.

Molisana doc, Maria Rosaria Grifone da decenni vive a Roma. Dopo la laurea in lettere all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha lavorato in RAI e successivamente ha svolto la sua attività all’interno dell’Ufficio Stampa SIAE. Giornalista, ha scritto per diverse riviste ed è coautrice del libro “I quartieri di Roma” pubblicato dalla casa editrice Newton Compton. Ha lasciato da poco l’attività lavorativa ma collabora ancora con il mensile “Leggere:tutti” e con alcune testate online, oltre a curare un suo blog.




ECCO IL GIOIELLO DEL RITORNO

Un omaggio ai cuori lontani e vicini

Pescara 22 agosto 2024. Domani, al John Fante Festival, il maestro orafo Giuliano Montaldi svela la sua ultima creazione. L’estate italiana brilla di eventi dedicati agli italiani all’estero e ai loro discendenti, unendo radici e tradizioni attraverso l’arte e la cultura. In questo contesto, emerge il “Gioiello del Ritorno”, l’ultima straordinaria creazione del maestro orafo marsicano Giuliano Montaldi.

Questo prezioso charm, concepito in omaggio ai milioni di connazionali che hanno lasciato l’Italia in cerca di una nuova vita, sarà presentato domani, giovedì 22 agosto, alle 17:30, al prestigioso “John Fante Festival – Il dio di mio padre”, che inaugura la sua XIX edizione a Torricella Peligna, in provincia i Chieti.

L’evento si aprirà con un momento speciale: Montaldi donerà il ciondolo ai figli dello scrittore italoamericano John Fante, Victoria e Jim Fante, giunti dall’altra parte dell’oceano per celebrare le loro radici abruzzesi.

Il “Gioiello del Ritorno” rappresenta una piccola valigetta, simbolo dei tanti viaggi intrapresi dagli italiani nel mondo. Realizzato in argento o oro, porta incisi i nomi delle principali città nordamericane, di Deutschland, Sidney ed England che hanno accolto i nostri emigranti. Questo charm fa parte della collezione “I love Abruzzo”, una serie di quaranta pendenti ispirati alle meraviglie e alle tradizioni dell’Abruzzo, come l’orso marsicano, il trabocco, l’arrosticino, il Gran Sasso e molti altri simboli iconici.

“Questi charm, con il loro semplice moschettone, sono pensati per essere versatili e portati con sé in vari modi, non solo sui bracciali ‘I love Abruzzo’. Sono un legame tangibile con la nostra terra, un modo per tenere sempre vicini i valori e le tradizioni che ci caratterizzano, anche quando la vita ci porta lontano”, spiega Montaldi.

Il “Gioiello del Ritorno” è più di un semplice accessorio: è un messaggio di appartenenza e un invito a riscoprire le proprie radici, in perfetta sintonia con l’Anno delle Radici italiane nel Mondo, proclamato dal Ministero degli Esteri per il 2024. Potrà essere acquistato già nei prossimi giorni sul sito www.iloveabruzzo.eu o nella bottega orafa nel maestro Montaldi in via Corradini ad Avezzano.

Domani, al John Fante Festival, questo prezioso simbolo sarà svelato al mondo, un ponte tra passato e futuro, tra Italia e mondo.




TRADIZIONI ABRUZZESI IN MODESTO DELLA PORTA

[Pubblicazione di Franco Cercone, Tradizioni Abruzzesi in Modesto Della Porta, Eurografica s.r.l., Comune di Guardiagrele, 2006.]

Quella che abbiamo sotto gli occhi è la decima edizione di “TA-PU’. Lu trumbone d’accumpagnamente”, curata da Luigi De Giorgio ed apparsa a Lanciano nel 1984 per i tipi della Editrice Itinerari. Non sappiamo se in seguito vi siano state altre ristampe dell’opera e soprattutto se quella consultata dovesse veder la luce ben quattordici anni dopo e dunque nel 1998, in occasione della ricorrenza del sessantesimo anniversario della morte del Poeta di Guardiagrele, ricordato comunque da un saggio di U. Russo [Per ricordare Modesto Della Porta, in “Rivista Abruzzese”, n° 4, 1998.].     

Ci sembrano tuttavia evidenti le motivazioni della decima edizione di “TA-PU”, che ripropone all’attenzione degli studiosi un importante saggio introduttivo di F.P. Giancristofaro[1] ed in appendice ben 26 poesie “inedite”, alcune delle quali – come La Velàngele di San Michele[2] – erano già note perché lette da Modesto Della Porta in varie occasioni, ma non ancora pronte nella loro stesura definitiva a causa delle numerose varianti che il Poeta soleva apportare nelle sue note improvvisazioni declamatorie. Ma non è tutto. Il De Giorgio avverte che la decima ristampa è scaturita dalla inderogabile esigenza di “ripristinare” il testo della quarta edizione di TA-PU’ [Carabba Ed., Lanciano, 1942], poiché “nelle più recenti edizioni si riscontrano molteplici refusi e gravi inesattezze grafiche, che rischiano di alterare profondamente la lezione autentica del componimento poetico”.

L’anno successivo alla decima edizione di TA-PU’ è apparso un fondamentale lavoro di Vito Moretti che costituisce – come sottolinea E. Giancristofaro – “uno dei contributi più rilevanti della critica Dellaportiana”[3]. Il Moretti ci offre infatti un quadro completo della bibliografia del poeta apparsa fino a quell’anno e dalla quale si evince che solo pochi studiosi abruzzesi sono riusciti a restare indifferenti di fronte alla complessa visione della vita di Cicche di Sbrascente”.

Lo studioso correda inoltre il suo volume di cinque componimenti inediti e di altre quattro “poesie già edite ma mai ristampate” ed apparse su vari periodici negli anni 1914-1948, con l’augurio che insieme potessero far parte di una successiva e possibilmente completa ristampa delle poesie di Modesto Della Porta, da considerarsi ormai, come avverte E. Paratore, un “Poeta a livello nazionale” per la originalità e profondità dei temi trattati [E. Paratore, Profilo di una storia della cultura abruzzese, Roma 1965].

Da uno sguardo pur superficiale dato alla grande mole di scritti sul Guardiese, riportati nella citata opera del Moretti, si avverte subito che l’interesse degli studiosi si è cristallizzato intorno agli aspetti dialettologici e letterari dell’Opera del Poeta. È innegabile, infatti, che la profondità dei temi trattati dal “singolare sarto che amava la vocazione del poeta” è tale da conferire – come sottolinea il Moretti – “una indubbia caratterizzazione universale” ai personaggi di TA-PU’, talvolta colti psicologicamente – come è stato più volte osservato – in atteggiamenti che ci ricordano quelli pirandelliani.

La fonte primaria da cui Modesto trae ispirazione è tuttavia la Guardiagrele del primo decennio del Novecento, in cui si riflettono tra l’altro fermenti politici e sociali che agitavano il nostro Paese. La Cittadina natale del Poeta era una comunità rurale ed artigianale di circa diecimila abitanti, con vizi e virtù tipici dei piccoli centri di provincia, di cui sono portatori i personaggi che animano i suoi arguti componimenti.

Modesto è soprattutto un acuto osservatore, talvolta freddo e distaccato, e possiamo immaginarlo quando – ancora giovinetto – comincia ad apprendere il mestiere di sarto.

Come le botteghe dei calzolai e dei barbieri, anche la sartoria è stata nei nostri paesi – e fino a tempi non molto lontani – un particolare termometro sociale che segnalava ricorrenze non solo del ciclo dell’uomo ma anche dell’anno.

Ed il tempo scorreva a Guardiagrele lento, “gni chi li trene de la Sangritane”, nota argutamente Modesto in “N’avetra canzùne”.

Nella sartoria sfilano personaggi appartenenti a tutti i ceti sociali cittadini e del contado, messaggeri di notizie tristi e liete, ma soprattutto di pettegolezzi.

Così la “fuga” di due innamorati diventa nella Cittadina una notizia tanto ghiotta da suscitare sagaci commenti, specie se i due fuggitivi sono una giovane vedova ed uno scapolo abbastanza attempato, efficacemente chiamato da Modesto ciavarre, termine pastorale che nell’area della Maiella indica la pecora che non ha mai avuto agnelli.

A proposito della fuga operata dagli innamorati ed ovunque diffusa nel meridione, soprattutto in Sicilia, il Finamore fa una interessante osservazione:

È ben raro che la donna osi contrariare la volontà dei genitori sul suo collocamento. Ma se il suo cuore fosse preso già da altro affetto, e gli sforzi per rifiutare il partito proposto non riuscissero, in molti luoghi d’Abruzzo, ma specialmente a Lanciano e nei vicini Comuni, la questione viene risolta con la fuga, “nghè lu scappà”. E bisogna pur dire che, alle volte, lo sposo ricorre a lu scappà’ non per rispettare una tradizione, ma semplicemente per risparmiarsi le spese ingenti che si affrontano quando ci si sposa. Insomma, il matrimonio si celebra alla chetichella, senza apparato di scorta, con un bel risparmio di denaro.[4]

Per tacer poi di un ulteriore e significativo “risparmio”. La fuga infatti evita l’acquisto di una costosa camicia, che costituiva un tempo – dice Modesto – il regalo d’obbligo da farsi al mezzano o alla mezzana, il mediatore cioè che aveva condotto a buon fine le trattative per il matrimonio (cfr. “La camisce de lu ruffìane”).

Quando poi facezie ed aneddoti si riferiscono agli abitanti dei paesi vicini, essi tendono a trasformarsi con il trascorrere del tempo in novelle moraleggianti (si pensi ad esempio ai fischi rivolti a Berlino da un fusaro di Pretoro alla Banda del proprio paese!) oppure in blasone popolare.

Rileggiamo Lu miràquele di San Donate e precisamente i versi:

“…, ‘na campane

s’è rutelate da lu campanine

… E a une di Rusciane,

…………………………………

ne j’à lassate manche n’osse sane”.

Modesto, malato soltanto di poesia, aveva qui diverse possibilità di sostituire, rispettando sempre l’esigenza metrica, il toponimo Rusciane con Guriane, Raiane, Canzàne e via dicendo, ma queste località non sono state prese nemmeno in considerazione per esigenze per così dire “semantiche”. Esse sono poste infatti – ed il Poeta ne è cosciente – oltre l’orizzonte dei destinatari immediati dei suoi componimenti, per lo più guardiesi o abitanti delle aree limitrofe, che agiscono in un mondo geograficamente circoscritto e menano comunque una vita dignitosa, accontentandosi, per essere felici, di                               

“nu litre, quattr’amice e ‘na cantate

‘nche n’accumpagnamente d’urganette” (Brìndise)

Il confine di questo “kleine Welt” è ben   delimitato soprattutto a livello psicologico ed è tratteggiato anche dal d’Annunzio nel Trionfo della Morte.

A Giorgio Aurispa, che chiede dove si trovasse il “Messia“, Cola di Sciampagna – la cui dimora è presso l’Eremo di San Vito – risponde indicando “le spiagge remote oltre Ortona” e volge “lo sguardo e il gesto verso la regione lontana”.

Nel contado guardiese la visione della vita è regolata secondo Modesto non tanto da proverbi, cioè da norme comportamentali trasmessesi di generazione in generazione e codificate nelle consuete forme paremiologiche, quanto da wellerismi, più consoni a tramandare l’Erfahrung dei padri e ad eliminare incertezze in tutti gli aspetti della vita quotidiana.

Così in Vujje pijà la mojje”:

M’à ditte Zi Giuvanne di Caròte:

“La mojje s’arsumèjje a nu citròne,

che tutte sta gnà èsce …”

Zi Colasante immèce m’à spiegate:

“La giuvinette quande si marite

è gnì nu solde nove …

Ma dopo a mane a mane si scurisce” [5].

Oppure in “Lu fume”:

Tatòne, immece, m’avè cunzijate:

“Dentr’a la case, niputucce bbelle,

statte dijùne e fa’ nu patimente,

ma pe’ la vie lu sicher appìcciate”,

Ed ancora in La cocce di San Donate”:

Dicè li vicchi antiche: a grande male

cchiù grande lu repare  …..

ed infine in Brìndise”:

Tatòne immèce  .…

dicè: “Fije di hatte sorge pije”.

Nella Guardiagrele di Modesto il tempo è fatto anche di momenti ludici. Dopo il ritorno dai campi e la chiusura delle botteghe artigiane i ceti rurali si ritrovano per abitudine, se non per esigenza, nell’unico “circolo culturale” che all’epoca un paese poteva offrire: la cantina.

In genere tutti posseggono a casa “nu vascelle”, ma il vino se è bevuto in solitudine apporta malinconia, mentre in compagnia di amici mette buonumore ed allegria. Specie se le “buttije” si uniscono al gioco delle carte.

È costante infatti in Modesto un non casuale richiamo al numero “quattro”, indispensabile per una buona partita a scopa, briscola o tressette:

“nu litre, quattr’amice e ‘na cantate”.  (Brìndise),

oppure:

“Scemme da la cantine. Ere notte.

Savàme quattre…”.  (Lu Carusille)

Il patrimonio letterario popolare, che Modesto dimostra di ben conoscere, non si limita soltanto agli aspetti paremiologici, ma si estende anche alle credenze e superstizioni, a racconti e leggende e persino ai romanzi popolari le cui trame affascinavano in modo particolare i ceti agro-pastorali.

Nella poesia dal titolo “39 (Lu ‘mbise)”, Carmenucce de la Strazze – tipico personaggio che possedeva i proverbiali “sette spiriti” dei gatti – si vanta spavaldamente non solo di essere istruito, ma di aver letto molte novelle e romanzi popolari, specie quelli aventi per soggetto Bertoldo, Guerin il Meschino (reso popolare agli inizi del XV secolo da un romanzo di Andrea da Barberino), Genoveffa, le Sette Trombe e soprattutto I Reali di Francia con gli eroi del ciclo carolingio[6] .

Per dare un’idea dell’importante fenomeno letterario giova ricordare ciò che scrive Benedetto Croce a proposito della disavventura capitata ad un pastore di Pescasseroli. Costui, catturato dai briganti di Domenico Fuoco, fu liberato “quando giunse l’imposto riscatto ed ebbe salvi gli orecchi …  sol perché egli seppe entrare nelle grazie delle concubine dei briganti, alle quali leggeva con grande loro diletto, nelle ore di sosta, il Guerin Meschino e i Reali di Francia” [7] .

A tale genere letterario vanno aggiunte alcune favole moraleggianti (si pensi per esempio a Lu ddore de lu casce), aneddoti e racconti popolari tratti forse dalla tradizione orale locale.  Ascritti, secondo alcuni studiosi, al “racconto realistico popolare”[8], essi rivelano tratti comuni al patrimonio favolistico nazionale e lasciano supporre talvolta un fenomeno di discesa dal mondo colto a quello popolare, dal mondo del libro a quello della tradizione orale, custodito da sempre in quella meravigliosa biblioteca ambulante che è appunto la memoria dei nostri vecchi: un vecchio che muore, è una biblioteca incendiata e ridotta in cenere.

La prima “biblioteca” di Modesto è da identificarsi proprio con il camino, che troneggiava in cucina come un santo nella propria nicchia. Non sono poche infatti le sue poesie in cui il focolare (si pensi a ‘Na serata d’immerne, La Novena di Natale, ecc.)  assurge a valore di locus sacer per l’accoglienza riservata agli amici o per ascoltare “le favulette di Za’ Catarine”, termine questo (le favulette) nel quale si coglie lo stesso atteggiamento di bonario scetticismo nutrito da Modesto nei confronti delle manifestazioni di religiosità popolare e che gli hanno valso l’appellativo – come il Poeta stesso dice – di “scriticate”.

Nella propria abitazione, semplice e decorosa, ma che diventa “bella” d’inverno “quande ci sta li lene e lu vascelle”, il Poeta è oggetto nella sua adolescenza di un naturale processo di inculturazione.

Sfilano così davanti ai suoi occhi, evocati dalla indelebile memoria giovanile, i propri familiari intenti a leggere e “spieà lu Barbanere” , a canticchiare “la canzone de la ninna nanne”  (egli  ci  offre  uno  splendido  testo,  dal  titolo  appunto  Ninna nonne, ninna ninne, attinto forse – come suggerisce la metrica –  dalla  tradizione orale locale), a  parlare dei poteri di una potente maga, (la mahòne, che riscuote maggior fiducia rispetto al medico), di “brihande” , del tradizionale dono della palma d’ulivo,benedetta appunto nella Domenica delle Palme e dalle molteplici funzioni. Con lo scambio dei ramoscelli, offerti in segno di pace, si ristabilivano fra due persone, come del resto avviene tuttora in molti paesi abruzzesi, contatti e relazioni in precedenza interrotti:

“Minè lu jurne che se dà le palme

scurdate tutta sorte de rangore”

(La dumeneche de le Palme)

oppure si costituivano le premesse per un particolare rapporto di comparatico, tuttora denominato di San Giovanni, la cui intensità supera persino i vincoli della parentela. Lu cumpare e la cummare costituivano infatti una sorta di alter ego, persone di cui ci si poteva ciecamente fidare e da scegliersi necessariamente al di fuori del cerchio della parentela, con la quale si era spesso in attrito soprattutto per la suddivisione dell’asse ereditario.

La palme benedette” è ovunque conservata. Nel mondo rurale viene bruciata al fuoco per scongiurare in particolar modo le assai temute tempeste di grandine oppure, come dice Modesto, perché “fa scappà vente e sajette”. Infine, dal modo in cui reagiscono le foglie a contatto con il fuoco, si ricavano responsi di varia natura.

Vi sono poi tante tradizioni legate al ciclo dell’anno di Guardiagrele, come la preparazione – nella festa di San Giovanni – di una mongolfiera così grande da richiamare la curiosità di tutta la gente del contado. Di conseguenza – come vuole il blasone popolare – per tale ricorrenza

“a Ursugne nen ci à da ì ‘nu cane” [9].

Seguono poi come “quadri viventi” impressi nella memoria del Poeta il suono delle zampogne e ciaramelle a Natale, i cibi rituali nello stesso periodo, la fuga degli innamorati che si conclude poi con le nozze ed il singolare patronato di san Michele Arcangelo,

“che prutegge li ladre e li brihante”,

epiteti affibbiati da Modesto ai commercianti, specie quelli che per il loro mestiere…lavorano con la bilancia e perciò sono ritenuti ladri e disonesti (“Brihante”).

Ed è proprio la poesia La Velàngele di San Michele”, annoverata dai critici letterari “fra le più significative di Modesto della Porta”, che ci offre il destro per evidenziare la capacità del Poeta di sintetizzare e saper dipingere i momenti più significativi delle ricorrenze religiose nei nostri paesi:

“congreghe, ‘ntorce, vergenelle, bbande,

………………………………………

conche de grane, li stannarde avante”,

in una impressionante successione di scene rievocate con le medesime immagini anche ne La cocce di san Donate”:

“Stannarde avante … bbande di Lanciane…

appresse, ‘ntorce … conche de lu grane …

Cungrèhe e virginelle a ‘st àtru late…”

Le due ricorrenze, quelle di San Michele e San Donato, sono così importanti nella cultura popolare abruzzese che meritano decisamente un pur breve commento.

Chissà quante volte Modesto, pensoso, ha rivolto gli occhi al bellissimo San Michele che troneggia a Guardiagrele sul portale trecentesco di palazzo Marini. Secondo una tradizione popolare, assai diffusa in Abruzzo e ben nota al Poeta, la protezione accordata da San Michele ai commercianti, accusati da sempre di non vendere merci a peso giusto o “a buona misura”, si spiega per via della bilancia che il “Santo longobardo” ha in mano e con cui è stato spesso raffigurato.

In alcune aree abruzzesi, come per esempio quella peligna, San Michele è particolarmente venerato ed al suo culto sono collegate antiche consuetudini di carattere agrario, tuttora assai vive. Il granturco, per esempio, si semina di norma nel Sulmonese l’8 maggio, festa appunto di San Michele Arcangelo, protettore di Roccacasale, mentre a Pescocostanzo, nei cui pressi sorge un’antica chiesetta rupestre dedicata al Santo, avviene in tale giorno la recinzione dei prati pascolativi che saranno falciati nel mese di luglio per l’approvvigionamento del fieno.

La protezione nei confronti dei commercianti costituisce tuttavia, nell’immaginario collettivo, una acquisizione per così dire recente, poiché la funzione antica di San Michele, come ci mostra l’affresco di Santa Maria in Piano a Loreto Aprutino, era quella di “pesare” con la sua bilancia le anime e, una volta separate quelle buone dalle cattive, di far precipitare quest’ultime in un fiume di lava che conduceva all’Inferno ed alla perdizione eterna.

Più importante appare tuttavia nella religiosità popolare abruzzese il culto per San Donato, protettore di molti paesi, fra cui anche Guardiagrele. Il Santo Vescovo di Arezzo protegge com’è noto dall’epilessia, nota appunto come il terribile “Male di San Donato”.

Sulla diffusione del culto in Abruzzo esistono esaurienti indagini condotte dal Pansa, dal Lupinetti, da E. Giancristofaro e da altri studiosi [10] . Sulla “Rivista Abruzzese” (n° 1, 1982) è apparso anche un nostro contributo sull’argomento e precisamente una “Orazione di San Donato”, registrata a Cansano (AQ.), che contiene alcune significative varianti rispetto ai testi raccolti e pubblicati dal Lupinetti. [vedi link n.38 Bibliografia]

Ricordato che l’imprecazione “te pozz’acchiappà le male de Sande Denate” è annoverata fra quelle più temute in Abruzzo ed altrove, va sottolineato come l’epilessia – al di là delle riserve espresse da molti studiosi a tal riguardo – costituisca storicamente in Abruzzo una conseguenza ereditaria legata principalmente all’eccessivo consumo di vino, unica sostanza zuccherina e perciò energetica di cui in passato i ceti rurali potessero facilmente disporre durante i faticosi lavori sui campi [11].

Fra le varie terapie empiriche e magico religiose predominava nei secoli scorsi – e Modesto ne doveva ben essere al corrente – quella nota come il tocco della medaglia di San Donato, medaglia appunto in cui il Santo era raffigurato insieme alla ranocchia ed alla falce di luna[12].

Questo estremo tentativo, definito “superstizioso e contrario ai principi della Santa religione cattolica”, veniva fortemente osteggiato dalla gerarchia ecclesiastica ma non era in uso solo nei ceti agro-pastorali e nel mondo degli umili.

Panfilo Serafini nella sua Monografia storica di Sulmona” [op. cit., Napoli 1853] , scrive infatti che ai suoi tempi (prima metà dell’800) persisteva ancora l’eco di un memorabile processo intentato alla fine del ‘700 dall’arcidiacono della Cattedrale di San Panfilo di Sulmona, Giacinto Sardi[13], contro un medico di Anversa degli Abruzzi, il quale  aveva tentato di curare un epilettico con la “medaglia di San Donato”, dopo che erano risultati ormai inutili tutti i mezzi a disposizione della medicina ufficiale dell’epoca e persino l’uso magico degli “anelli di Gige”.

Nota nel mondo rurale con il nome di “ranocchiella”, questa “medaglia di San Donato” fa bella mostra di sé anche nelle carte dotali del passato e ne abbiamo rinvenuto alcune descritte nei rogiti del notaio Tommaso Genovesi di Atessa, conservati presso l’Archivio di Stato di Lanciano. In particolare in quello del 27 novembre 1799 si parla di “una ranocchia d’argento” effigiata in una “medaglia di San Donato” ed avente maggiori poteri contro l’epilessia, a differenza di quelle coniate in ferro o in ottone!

In diversi componimenti Cicche di Sbrascente” ci informa inoltre di aver suonato spesso con la banda nei paesi in cui si festeggiava il 19 marzo San Giuseppe.

Questa devozione ha perso oggi il suo significato originario ed ha relegato al mondo dei ricordi anche alcune significative consuetudini, come il pranzo offerto dalle famiglie benestanti del paese a tre poveri raffiguranti i personaggi della Sacra Famiglia. Specie nel periodo successivo all’Unità d’Italia, in cui si accentua il fenomeno migratorio verso le Americhe, la figura di San Giuseppe diventa sostitutiva del padre assente ed il suo culto viene a sovrapporsi in tal senso a quello più antico di San Nicola di Bari, in concomitanza con il declino dell’attività transumante.

Modesto tuttavia non mostra alcun segno di comprensione per il pantheon devozionale dei ceti rurali, colto soltanto nei suoi aspetti umoristici. Refrattario com’è a tutto ciò che è mistero, non comprende l’importanza che per il devoto riveste il contatto fisico con la divinità, degradata a livello di semplice statua. Sicché l’asta condotta “a diece lire … A quìnice … A quaranta” per aggiudicare il trasporto delle varie statue dei santi durante la processione, si risolve – come scrive L. Sciascia a proposito delle Feste Religiose in Sicilia – in un “modo assolutamente irreligioso di intendere e professare una religione”.

C’è da chiedersi allora quale influsso o condizionamento abbia esercitato la “cultura” dei ceti meno abbienti nell’opera del Poeta guardiese, ceti che per il periodo storico di riferimento possiamo definire subalterni secondo il noto pensiero di Gramsci.

Non va dimenticato infatti che circa dieci anni prima della morte di Modesto, il filosofo marxista aveva dato nei suoi Quaderni dal carcere una definizione rivoluzionaria di “folklore” come “cultura delle classi subalterne”, che eserciterà sugli studiosi contemporanei e successivi un influsso notevole.

 Infatti “il  dubbio  che  le definizioni egemonico e subalterno abbiano superato la  soglia del logoramento e richiedono una verifica storica”[14] rappresenta un ripensamento solo recente da parte dell’indagine demologia ed in particolare della religiosità popolare, mentre all’epoca di Modesto i due termini indicavano una dicotomia quasi insanabile nella società italiana, composta per il 52 % da ceti rurali i cui bisogni protettivi ed angoscianti, per nulla compresi dal d’Annunzio, erano assicurati dal culto verso determinati santi, garanti contro il pericolo della loro disgregazione psichica e del non esserci nella storia.

L’aspetto singolare che è dato cogliere in molti componimenti è che Modesto, pur traendo spunti dalle vicende quotidiane di questo strato sociale, si pone infine su un piano psicologicamente distante dalle realtà rappresentate.

“Ma a me, Francì, nen m’empurtave niente”, afferma il Poeta nella “Velàngele di San Michele” a proposito delle manifestazioni di religiosità popolare, osservabili qui come altrove in occasione dei pellegrinaggi; ed indifferente ad ogni nesso tra miseria ed esigenza collettiva di protezione, egli coglie solo gli aspetti esteriori ed umoristici di comportamenti che reclamavano invece comprensione e pietà.

Siamo così in un mondo assai lontano sia da quello descritto da C. Levi, il quale coglie felicemente l’alterità della cultura contadina, che da quello dei pellegrini al Santuario di Casalbordino descritto dal d’Annunzio nel Trionfo della morte, in cui una umanità dolente viene trasformata in una bolgia di dannati.

V’è più di un motivo per ritenere che molti dei quadri che compongono La Velàngele di San Michele (fra cui lo struscio penitenziale e mortificante della lingua per terra al santuario del Gargano, che il Poeta guardiese fa proprio ma solo per esigenze metriche) siano stati “fotografati” da Modesto in un santuario abruzzese e forse proprio in quello della veneratissima Madonna di Casalbordino, per la quale egli deve aver nutrito non poco timore riverenziale.

È singolare, infatti, la circostanza che mentre i Santi siano circonfusi in TA-PU’ di incomparabile ma non irriverente humour e siano collocati in cieli così lontani da non poter ascoltare non solo le preci ma neanche le imprecazioni dei fedeli:

“… ca ti fì  ‘na bbiastemate?

Si quante ie n’importe a San Giuvanne” (“Lu Pallune”),

e che inoltre la figura di Dio (Lu Criatore) si riduca per Modesto a

” quattre sagne, ‘na custate” (“Lu timore de Ddie”)

(e proprio per questa sua devianza gli è stato affibbiato l’appellativo di scriticàte, cioè miscredente), invece nessun cenno si rinviene – pur a livello di religiosità popolare – in merito al culto della Madonna, anche se la Madre di tutte le madri appare adombrata, a nostro avviso, negli ultimi tre versi della poesia Serenate a mamma, che si configurano come vera e commossa preghiera.

Al pari dei Santi, per nulla ausiliatori, anche l’aristocratico Poeta guardiese si pone distante dall’angusto mondo del Contado, in cui fra vizi e virtù agiscono molti personaggi dei suoi componimenti. Talvolta essi ci ricordano sotto certi aspetti, gli “idolatri” dannunziani delle Novelle della Pescara e vengono chiamati cafoni in diverse occasioni (cfr. La cocce di San Donate; Lu miràquele di San Donate, ecc.) ma solo per evidenziare una dicotomia “culturale” avvertita ormai da Modesto come irreversibile.

Il Poeta guardiese, in sostanza, non si identifica più – il che è paradossale – con il ceto sociale cui comunque egli appartiene e che considera refrattario ad ogni mutamento e senza afflato di riscatto.

Se la nostra analisi è esatta, essa ci indica allora anche la distanza che separa i suoi “cafoni” da quelli marsicani descritti da Ignazio Silone e colti in atteggiamenti religiosi o in sincretismi magico-religiosi che hanno nel pensiero dello scrittore di Pescina una funzione precisa, quella di alleviare, come scrive il Prandi nell’opera citata, “una situazione di dipendenza economica e di scarsità di beni che opprime le popolazioni marsicane”.

La freddezza con cui Modesto tratta alcuni temi folklorici locali, a riprova di come la sua sensibilità sia estranea a questa cultura subalterna, si avverte anche nelle poesie ispirate alla religiosità popolare ed al mondo magico rurale.

Infatti, mentre da un lato la sfiducia nella medicina ufficiale viene ribadita in più di una occasione (cfr. per esempio Lu secrete di professione), dall’altro le considerazioni del Poeta per il mahone o la mahona sono improntate a piacevole ironia, non priva di scettica bonarietà.

Sicché in questa pessimistica Weltanschauung, in cui non esiste alcuna àncora di salvezza se non la propria coscienza, naufragano i concetti di giustizia sociale (La Velàngele di San Michele) e di solidarietà umana, poiché “se nen ‘ti cinque lire nen ze magne” (Cfr. Gna va st’affare?).

Ma naufraga in questa visione della vita anche il concetto di destino, che non può essere mutato – specie per uno scriticàte come Modesto – né con preci (e dunque nemmeno con il soccorso della fede) e né con il ricorso a sincretismi magico religiosi. Il destino degli uomini resta dunque per il Poeta guardiese un “mistero“.

Va tuttavia rilevato che questa concezione di Modesto non è sempre lineare e coerente. Il tema della solidarietà umana, la cui esistenza è negata in“Gna va st’affare?”, è riaffermato invece nel componimento dal titolo Brindise”, in cui si esalta con tono appassionato il senso d’ospitalità e di solidarietà degli

“abruzzise, genta paisàne” che ha

“… nu core, che ‘mmezz’a lu pane

le pu magnà ……… ” .

La contrapposizione concettuale fra i due componimenti è così stridente da far insorgere il sospetto che ci troviamo di fronte non solo a due stati d’animo diversi, pur avvertiti dal Poeta in differenti momenti psicologici, ma addirittura a due poeti diversi, con concezioni della vita e dell’uomo completamente opposte.

Questa sorta di dicotomia si avverte anche nel dialetto usato e mal si concilia con quanto scrive il compianto A. Di Giorgio, secondo cui “solo Modesto Della Porta fu e rimase artista guardiese, non tanto perché la sua opera è scritta in un dialetto autentico, […] ma perché è tutta pensata in dialetto, interamente ispirata dal minuscolo ma essenziale cosmo vernacolo del suo paese”[A. Di Giorgio, Ragionamenti e altre prose, Lanciano 1982].

Al destino pregno di “mistero“, si aggiunge dunque quest’altro mistero, sul quale forse indagheranno in seguito altri studiosi.  

La raccolta delle poesie finora conosciute (non sono poche, infatti, quelle di cui si son perse le tracce) è dominata dalla figura di Cicche di Sbrascente e del suo notissimo trumbone d’accumpagnamente,che fa forse la sua prima apparizione in “Serenate a mamma”, composta nel 1929. Essa è annoverata a giusto titolo fra i componimenti più riusciti di Modesto Della Porta per la freschezza delle immagini e per il tono lirico, pregno di così intensa devozione da ingenerare il dubbio, come abbiamo in precedenza ipotizzato, che la parte finale della poesia celi in realtà un frammento di prece alla Vergine.

Ma non è questo il solo caso. La medesima freschezza si avverte infatti nella bella “Ninna nonne, ninna ninne”, in cui anche la cadenza del verso ottonario sembra indicare la derivazione di questo “canto di culla” dal patrimonio letterario guardiese, tramandatosi oralmente di generazione in generazione.

È l’unico aspetto della cultura del mondo rurale dalla quale Modesto si sente naturalmente attratto. Tuttavia, la raccolta completa dei suoi componimenti, contenuta come sembra nella decima edizione di TA-PU’, ci offre ulteriori esempi al riguardo. Pensiamo a “Lu prime sangue”, poesia ricca di senso patriottico e scaturita dalla visione di alpini abruzzesi in convalescenza, perché feriti sul fronte durante la Prima guerra mondiale.

Essa è strutturata in modo che uno stornello – e dunque un verso quinario contenente l’invocazione ad un particolare “fiore”, seguìto da due endecasillabi – funge per così dire da introduzione al componimento, certamente originale:

” Fiure de vite!

Ugnune ce té  ‘ngore aretrattate

‘na piume, nu suldate e na ferite:

fiure de vite!”.

L’originalità poi, anche se non mancano modelli simili nei canti lirico-monostrofici, è accentuata dalla ripetizione del quinario che chiude i due endecasillabi iniziali, i quali a loro volta diventano tre nell’ultima parte del componimento:

“Fiure de mundagne!

La mamma vustre preghe ma nen piagne,

dendra lu core chiuse té nu pegne,

perciò se sta cùjete e nen ‘nze lagne.

Fiure de mundagne!”.

Ma è tempo di tornare, dopo questa necessaria digressione, a Cicche di Sbrascente, al suo trumbone ed alle vicissitudini del povero suonatore in mezzo ad una banda, la quale in fondo, nota acutamente F.P. Giancristofaro, rappresenta “lo specchio della società dove si ripetono le sperequazioni: i compensi sono diversi, secondo lo strumento che si suona”.

Sono note le complicazioni psicologiche che emergono nelle varie ricorrenze festive e che si trasformano per un bandista come Cicche in un vero e proprio inferno.

Ad episodi tragicomici (come l’accompagnamento simultaneo dell’Internazionale e della Marcia Reale) si alternano esperienze amare e mortificanti, al punto che Cicche è costretto in una occasione a recitare la parte del suonatore di clarino, strumento che non conosce e che deve imbracciare per la prima volta, in quanto gli viene imposto il compito umiliante di fungere da “comparsa” nella banda.

Il mestiere o meglio la professione del bandista si diffonde in Abruzzo in modo particolare nell’ultimo ventennio dell’800 e costituiva un capitolo poco conosciuto della nostra cultura popolare fino a quando non è apparsa, circa venti anni fa, una fondamentale monografia di E. Leone e S. Masciarelli dal titolo Una vita per la banda. Ricordi di un musicante abruzzese” [Lanciano 1981], in cui i due Autori ripropongono all’attenzione dei lettori il secondo componimento di TA-PU’, quello che inizia appunto con il verso: “Che vite! Mo a la stalle, mo a le stelle”, che essi dedicano a Giuseppe Leone, notissimo musicante e maestro di banda.

Modesto si rivela un appassionato e profondo conoscitore delle bande abruzzesi e soprattutto delle loro fortunate tournée in Europa  e  persino in America, dopo che  Alessandro  Vessella,  geniale  musicista  ed  arrangiatore  di  Piedimonte  d’Alife,  aveva creato agli inizi del Novecento una strumentazione del tutto innovativa che permise a questi complessi (assai noti erano quelli di Spoltore e Lanciano) di includere nei loro repertori opere liriche e sinfoniche di fondamentale importanza per la storia della musica.

Il Poeta guardiese dimostra di conoscere bene l’azione riformatrice di questo musicista, dato che Cicche di Sbrascente sottolinea nel componimento in precedenza citato che quando una banda eseguiva               

“… ‘na marcia sgargiante di Vesselle

la ggente si cacciave lu cappelle”.

Ma chi erano i bandisti? Risponde il Masciarelli: si trattava di “laboriosi e tenaci artigiani, i quali, animati da una grande passione per la musica e musicalmente dotati, si ritrovavano dopo il normale lavoro quotidiano a dar fiato ai nuovi strumenti … Appartenevano a generazioni di esclusi quando i teatri, in Abruzzo e nelle altre regioni emarginate sul piano culturale e sociale, erano un lusso per pochi privilegiati”.

E toccò proprio a questi “esclusi” il compito di avvicinare i ceti subalterni alla cultura musicale.

La banda, infatti, si spostava utilizzando normalmente traballanti autocarri, che venivano considerati “di lusso” solo se erano dotati di un normale telone atto a proteggere strumenti e bandisti dal vento e dalla pioggia. Pochi paesi, infatti, erano raggiungibili con il treno, malgrado che la rete ferroviaria regionale avesse raggiunto agli inizi del Novecento l’attuale sviluppo.

Sicché i viaggi su strade strette e polverose risultavano così faticosi ed irti di pericoli da causare continui incidenti e sciagure. Il 30 Agosto del 1922, per esempio, l’autocarro che trasportava la banda di Silvi fu travolto da un treno in un passaggio incustodito presso Chieti Scalo e ben 11 bandisti persero la vita.

La tragedia commosse a tal punto l’opinione pubblica da indurre Achille Beltrame a riprodurre in una tavola della “Domenica del Corriere” il luttuoso evento.

A causa del suo continuo peregrinare da un paese all’altro, il bandista si trasforma in uno straordinario calendario ambulante che memorizza non solo le ricorrenze delle feste patronali nei nostri paesi, ma anche – come si evince dai componimenti di Modesto Della Porta – particolari temi ed aspetti di religiosità popolare legati al culto di un determinato Santo.

Così nella monografia Una vita per la banda, uno dei due Autori, Errico Leone, è proprio un vecchio bandista che attraverso i suoi ricordi ricostruisce un affascinante mosaico etnografico composto da tasselli di grande importanza e talvolta ignoti ai nostri grandi folkloristi.

Apprendiamo per esempio da E. Leone che a Bugnara, nella ricorrenza della festa della Madonna della Neve, vigeva la seguente tradizione che ci ricorda in parte quella della Mastra nelle feste della Madonna della Libera a Pratola Peligna.

La banda, preceduta dai “deputati”, si recava all’abitazione di una donna del paese, chiamata la parende de lu sande, per condurla davanti al sagrato della chiesa, dove l’attendeva il sacerdote officiante. Ad un cenno del capo-deputazione otto uomini, divisi in due gruppi, deponevano sulla parende de lu sande una fascina di rami di quercia così pesante da “piegare la groppa di un asino”. Quindi con il suo enorme fardello sulle spalle, la donna faceva ingresso in chiesa a suon di banda e vi restava così per tutta la durata della funzione religiosa.

Non meno interessanti – ma tanti altri esempi potrebbero essere ancora addotti – risultano alcuni particolari della festa di San Pantaleone a Miglianico, dove com’è noto affluivano in gran numero i sofferenti di ernia, che veneravano il Santo come taumaturgo [15].

Il D’Annunzio non parla nelle Novelle della Pescara di tale patronato, sul quale tace anche il De Nino [16] .

Sicché San Pantaleone, grazie ai ricordi del vecchio bandista, si affianca al culto della Madonna del Lago di Scanno, dove si recavano da ogni luogo d’Abruzzo gli erniosi per sottoporsi al rito del “querciolo spaccato”.[17]

Con immagini nitide e scorrevoli, Modesto lascia intravedere nella figura del bandista il depositario e nello stesso tempo il diffusore degli aspetti caratteristici delle manifestazioni folkloriche regionali, specie quelle legate ai santi protettori, memorizzate nel corso di una lunga attività:

“Trent’anne e forse cchiù, che vajje ‘n gire

…………………………………………

Quanta ricurde …………………

N’àjje sunate feste …… a San Dunate,

a San Giuvanne, a Sante Casimire ……”.

Modesto traccia così un sicuro sentiero da imboccare per le ricerche demologiche, individuando nel bandista la figura attendibile dell’informatore, il quale è diventato per mestiere un “calendario ambulante” che ha registrato nella sua memoria le date più importanti per una comunità nel corso del ciclo dell’anno. Il “bandista” dunque, pur intento professionalmente, come rileva il Masciarelli, “nella gioia artigianale del suo far musica”, riesce sempre a fotografare il paese colto “nel fascino immutato del suo folklore”.

Vorremmo concludere queste nostre riflessioni ricordando che l’amore – se non la passione – di Modesto per la banda, “dispensatrice di gioia per la bella musica”, brilla in tanti componimenti di TA-PU’. Tuttavia, la circostanza che ben nove di essi (fra cui Serenate a mamma) siano stati musicati di recente ed adattati allo stile dei cantanti pop, ci lascia alquanto perplessi.

Il pensiero, infatti, che componimenti pregni di soavi stati d’animo siano offuscati dal suono di stridenti chitarre elettriche e finiscano sulle bancarelle di fiere e mercati, potrebbe indurre Modesto Della Porta a riflettere sulla inutilità della sua opera ed a declamare ancora i suoi versi:   

“Tu vidi che destine ruffiane!

Dope che une à fatte nu favòre,

sa da’ vedè cagnà le carte ‘mmane

e, pe’ di cchiù, mazzate e disunure”

Franco Cercone


[1] – Cfr. F.P. Giancristofaro, Contributo alla interpretazione di TA-PU’, in “Itinerari”, n° 12, Lanciano 1963.

[2] – La “ricostruzione” mnemonica dei versi della “Velàngele di San Michele”, che mancavano nel testo originario, risale al 1953 e si deve all’appassionato impegno di Gabriele Sartorelli.

[3] – V. Moretti, Saggi di lettura e di bibliografia Dellaportiana. Con alcuni inediti, 14° Quaderno della “Rivista Abruzzese”, Lanciano 1985.

[4] – Cfr. G. Finamore, Tradizioni popolari abruzzesi, in “Curiosità popolari tradizionali”, a cura di G. Pitrè, vol. XIII, Palermo 1885-89.

[5] – Va notato a proposito del verso La giuvinette quande si marite…” (reminiscenza forse del periodo trascorso dal Poeta a Roma?) che esso richiama quello di un noto canto popolare ciociaro che suona in modo analogo: E quanno la Ciociara se marita …. pare un soldo novo, tutto d’oro”.

[6] – Il fenomeno letterario è stato ben descritto da G. Pansa nel saggio L’Epopea carolingia in Abruzzo, in “Rassegna Abruzzese di Storia ed Arte”, n° 8, Casalbordino 1899. A proposito delle Sette Trombe, P. Serafini scrive nella sua Monografia Storica di Sulmona, pubblicata ne “Il Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato” (1853), che “pei contadini, uno che giungeva a saper leggere il Libro delle Sette Trombe si aveva il nome di scolaro per eccellenza”. Come è noto del Libro delle Sette Trombe parla San Giovanni nell’Apocalisse: “I sette angeli che avevano le sette trombe si accinsero a suonarle”. Ad ogni suono di tromba, secondo l’Apocalisse, si rovesceranno sui peccatori tremendi castighi divini e la “settima tromba” in particolare decreterà la fine del mondo.

[7] – Cfr. B. Croce, Storia del Regno di Napoli, p. 339, ristampa, Bari 1972.

[8] – G. Profeta, Letteratura popolare e Letteratura dialettale. Con un saggio sulla poesia di M. Della Porta e sui canti nuziali abruzzesi, p. 391, Teramo 1962.

[9] – Per avere un’idea di come fossero mordaci i motteggi fra le due cittadine, basta ricordare che i Guardiesi dicevano al cantiniere: Pùrteme ‘na Ursignise” (=”Portami una Orsognese”) quando occorreva uno straccio per pulire il tavolo da giuoco in cantina o in trattoria. Gli abitanti di Guardiagrele venivano chiamati invece “ciociari” per via delle “ciocie”.

[10] – Cfr.: G. Lùtzenkirchen – G. Chiari – F. Troncarelli – M.P. Saci – L. Albano, Mal di Luna, con Saggio introduttivo di A. Di Nola, Roma 1981. Il volume è corredato di notevoli documenti fotografici che si riferiscono a chiese e santuari d’Abruzzo e Molise dedicati al santo Vescovo di Arezzo ed ai rituali che vi si svolgono in funzione protettiva, fra cui quello di donare al Santo, come per es. a Celenza sul Trigno, una quantità di grano pari al peso corporeo dell’offerente.

[11] – Cfr. M. Gozzano, Trattato delle malattie nervose, p. 967 sgg., Milano 1968.

[12] -Cfr. al riguardo G. Pansa, Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo, vol. II, p. 100 sgg., Sulmona 1927.

[13] – Giacinto Sardi fu eletto in seguito Vescovo della Diocesi di Aquino e Pontecorvo.

[14] – C. Prandi, Religione e classi subalterne, p. 23, Roma 1977.

[15] – Cfr. Il libro magico di San Pantaleone, prefazione di A. Di Nola, Napoli 1991.

[16] – Per il Chietino il rituale magico è ricordato dal Finamore e dal Bruni. A Lanciano gli erniosi venivano condotti per essere guariti alla Chiesa del Purgatorio (cfr. D. Priori, Folklore abruzzese. Torino di Sangro, Lanciano 1964). Sul rituale dei “quercioli spaccati” è fondamentale il saggio di A. Di Nola dal titolo L’arco di rovo. Impotenza e aggressività in due rituali del Sud, Torino 1983.

[17] – Cfr. G. Tanturri, Monografia storica di Scanno: ne “Il regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato”, diretto da F. Cirelli, Napoli 1853.




COASTAL BEACH SPRINT

A Pescara 400 atleti per i Campionati italiani. Da venerdì a domenica l’evento sportivo promosso dal Circolo canottieri con il supporto dell’assessorato allo sport

Pescara 22 agosto 2024. Sono più di 400 gli iscritti ai Campionati Italiani di Coastal beach sprint che si terranno a Pescara da venerdì a domenica prossimi su iniziativa del Circolo Canottieri La Pescara, presieduto da Umberto Di Bonaventura, nell’ambito delle iniziative per il centenario del Circolo.

Oggi la presentazione in Comune alla presenza del sindaco Carlo Masci, dell’assessore allo Sport Patrizia Martelli, che ha collaborato alla realizzazione dei Campionati, della consigliera nazionale della Federazione Italiana Canottaggio Luciana Reale e di Alessandra Berghella, vicepresidente del Coni.

Tra gli atleti presenti, provenienti da tutta Italia, anche alcuni partecipanti alle recenti Olimpiadi di Parigi. Questa disciplina è entrata tra gli sport olimpici dai prossimi Giochi, in programma a Los Angeles nel 2028. Spiccano, tra chi gareggerà a Pescara, i nomi di Giovanni Ficarra, Lucio Fugazzotto, Maria Lanciano, Vincenzo Abbagnale, ha sottolineato Berghella mettendo in evidenza che sabato, in città, arriverà anche il presidente della Federazione nazionale canottaggio, Giuseppe Abbagnale. “Sarà un appuntamento molto popolato”, ha commentato, “con numeri che parlano già di un successo, grazie al lavoro del Circolo Canottieri e del Comune”.

“Il tricolore di Beach Sprint prenderà vita sulla spiaggia prospiciente l’Arena del Mare e le finali, in programma domenica 24 agosto, saranno trasmesse in diretta su Rai Sport a partire dalle ore 9.15”, ha sottolineato l’assessore Martelli che da mesi sta lavorando a questo appuntamento. “Un grande evento sportivo, ha detto, che si inserisce nel centenario del Circolo, celebrato all’inizio del mese. In questo secolo il Circolo ci ha creduto ed è riuscito a stringere legami forti, rafforzandoli nella pratica sportiva, e ha sempre diffuso quei valori in cui tutti i nostri giovani devono credere”.

“Un evento importantissimo” per Di Bonaventura, soddisfatto di essere riuscito ad organizzare un appuntamento “su cui la Federazione conta” e in attesa di accogliere “tanti atleti, che arriveranno qui da tutte le parti”.

“Una bellissima iniziativa” per il sindaco Carlo Masci, che pensa al “risvolto turistico di questi eventi sportivi“. Il primo cittadino si è augurato che “la sede del Circolo sia pronta presto” e ha ringraziato tutti i rappresentanti “di questa bella realtà per ciò che fanno”.

“Il Circolo è la storia di Pescara”, queste le parole di Berghella, “il Coni sarà presente a queste giornate che saranno seguite dal campionato di vela”.




IL PALIO DELLE CONTRADE

Le frazioni e i quartieri di roseto si sfidano. L’evento sarà aperto da un convegno con i grandi protagonisti dei giochi olimpici

Roseto degli Abruzzi, 22 agosto 2024. Le frazioni e i quartieri di Roseto degli Abruzzi pronti a sfidarsi a suon di giochi nel borgo antico di Montepagano grazie alla prima edizione del “Palio delle Contrade” che, domenica 25 agosto, animerà piazza del Municipio a partire dalle ore 19.

Il Palio sarà aperto il 24 agosto, alle ore 18.00, da un importante convegno sullo sport che vedrà la partecipazione di ospiti d’eccezione come Roberto Cammarelle (pugile italiano medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Pechino 2008) e Pierpaolo Addesi (Commissario Tecnico Paraciclismo settore strada) e che sarà moderato dal noto giornalista sportivo Rai Mario Mattioli.

Entrambe le manifestazioni sono organizzate dall’Asd Polisportiva Montepagano con il supporto dell’Amministrazione Comunale di Roseto degli Abruzzi, del Centro Sportivo Italiano e del progetto ADSU PRO TER.

Il doppio evento è stato presentato questa mattina nel corso di una conferenza stampa che ha visto la partecipazione del Sindaco Mario Nugnes, dell’Assessore al Turismo Annalisa D’Elpidio, dalla Presidente del Consiglio Comunale Gabriella Recchiuti, del Presidente Provinciale del Csi Angelo De Marcellis, di Guido Campana del Csi e dei rappresentanti della Asd Polisportiva Montepagano: il presidente Paolo Tritella, il vicepresidente Davide Di Bonaventura e Giovanni Rosini.

IL CONVEGNO. L’appuntamento del 24 agosto si svolgerà nel suggestivo luogo di “Porta da Piedi”, sul Belvedere di Montepagano. Il convegno, dal titolo “Italia, una Nazione nel segno di Olimpia”, oltre alla partecipazione di Cammarelle e Addesi, ospiti d’eccezione, vedrà il saluto istituzionale del Sindaco di Roseto Mario Nugnes e gli interventi del Presidente Csi Teramo e Direttore dell’Ufficio Sport della Diocesi Angelo De Marcellis e dell’Assessore allo Sport di Roseto Annalisa D’Elpidio. L’evento, ad ingresso libero, è accreditato per il riconoscimento di due ore di aggiornamento e formazione per la qualifica di dirigente sportivo promosso dal Centro Sportivo Italiano.

IL PALIO. Domenica 25 agosto alle ore 19.00 appuntamento con l’atteso “Palio delle Contrade – Roseto Senza Frontiere” in cui, le dodici squadre individuate sulla base dei quartieri e delle frazioni di Roseto, si affronteranno in una serie di giochi coinvolgenti e divertenti per decretare la vincitrice della prima edizione. L’evento, presentato da Luigiaurelio Pomante e Francesca Martinelli, prenderà il via con la presentazione e la sfilata delle squadre che, successivamente, si sfideranno in tre giochi distinti: il Gioco del Cucchiaio, il Gioco del Mattone e il Gioco della Spugna. Al gioco finale (a sorpresa), valido per l’assegnazione del Trofeo “Palio delle Contrade”, si qualificheranno le prime quattro squadre in base alla classifica stilata sui primi tre giochi. Saranno assegnati, inoltre, il Premio Miglior Tifo e il Premio Migliore Sfilata.

Non mancherà il buon cibo con la presenza di stand gastronomici che apriranno a partire dalle ore 18. A disposizione, inoltre, il servizio gratuito di bus navetta che, dalle ore 17.00 in poi, collegherà l’area di sosta di piazza Olimpia con Montepagano e viceversa.

“Tutta l’Amministrazione Comunale ha sposato con convinzione una doppia manifestazione organizzata da persone che amano il nostro territorio che hanno capito la necessità di portare iniziative nuove e vincenti a Roseto e a Montepagano e la necessità di portare nella comunità la cultura dello Sport con la S maiuscola – afferma il Sindaco Mario Nugnes – Per organizzare eventi come il Convegno e il Palio sono necessari interlocutori importanti come il Csi che rappresenta un’eccellenza nel campo dell’aggregazione e dello sport sano”.

“L’Asd Polisportiva Montepagano è mossa dalla voglia di valorizzare il proprio paese e far sì che diventi una realtà di primo piano attraverso lo sport, la festa e l’aggregazione – aggiunge il Presidente Angelo De Marcellis – Le due iniziative fanno parte del Calendario organizzato per l’ottantesimo anniversario della nascita del Csi sul territorio di Teramo e sarà uno dei primissimi eventi del progetto ADSU PRO TER. Invito tutti a prendere parte dal dibattito di sabato sulle Olimpiadi con gli illustri relatori che parleranno delle loro esperienze olimpiche e paralimpiche”.

“L’evento, in un certo senso, è già cominciato grazie alla nascita di uno spirito aggregativo tra le squadre che, già in questi giorni, si incontrano per prepararsi al Palio e alla sfilata – dice Guido Campana – Domenica, quindi, sarà un grande giorno di festa dove raccoglieremo i frutti di questo percorso”.

“Il nostro ringraziamento va all’Amministrazione Comunale e al Csi per il prezioso supporto e agli sponsor che ci permetto di finanziare questo doppio appuntamento – conclude Di Bonaventura a nome della Polisportiva e di Tritella e Rosini – L’idea è nata dalla volontà di rianimare il nostro borgo non solo attraverso la nostra squadra di Calcio a sette ma anche ampliando la nostra azione, coinvolgendo tutto il territorio con il Palio delle Contrade. Riuscire ad unire le frazioni, a unire giovani e meno giovani, per noi rappresenta già una vittoria”.




AL VIA LA FESTA DELLE NARRAZIONI POPOLARI

A Civitaretenga inizia oggi la manifestazione: quattro giornate ricche di storie, libri, editoria indipendente, presentazioni, dibattiti, proiezioni, musica, degustazioni, laboratori e street art. Coinvolti oltre venti artisti, aprono la manifestazione lo chef Davide Nanni e il rapper Piotta. Street Artist all’opera per il “Paese dei Francobolli”

L’Aquila, 22 agosto 2024. Ai nastri di partenza la quattro giorni organizzata dalla rivista TerraNullius in collaborazione con le associazioni del territorio a Civitaretenga (Navelli – AQ), da oggi a domenica 25 agosto: scrittori, editori, artisti, musicisti e performer si ritroveranno al Convento di Sant’Antonio per una manifestazione completamente gratuita incentrata sulle narrazioni popolari.

Aprirà la giornata inaugurale lo scrittore Roberto Mandracchia col suo ultimo romanzo “L’Implosivo”, un viaggio fra grottesco e violenza nel profondo dell’animo umano. Quindi sarà la volta dello chef e scrittore “wild” Davide Nanni, che dialogherà con il Consorzio per la tutela dello Zafferano dell’Aquila DOP a partire dal suo ultimo libro incentrato proprio sulla cucina “A Sentimento”, volta a riscoprire e valorizzare la tradizione abruzzese. Poi toccherà a Tommaso Zanello aka Piotta, musicista e scrittore, che in “Corso Trieste” racconta un quartiere e una generazione. La serata chiuderà in danza con il sound system degli aquilani Dabadub.

In ognuna delle giornate, a partire dalle 17:30, una fiera dell’editoria indipendente e le degustazioni della sommelier e scrittrice Barbara Summa si uniranno ai laboratori per i più piccoli di introduzione alla scrittura, al racconto e all’animazione cinematografica. Per tutta la durata della manifestazione sarà inoltre attivo un punto ristoro allestito grazie alla collaborazione con la Proloco di Navelli che permetterà di assaggiare piatti tipici locali.

La seconda giornata di venerdì 23 concentrerà la sua attenzione sul territorio regionale, grazie alla partecipazione del progetto di racconto orale de Il libraio di notte, “La corriera dei nonni lettori”, ma anche agli interventi dedicati alla riscoperta di due importanti personaggi d’Abruzzo: il poeta e scrittore italo-americano Pascal D’Angelo, cantore di una terra selvaggia e ancestrale e, nel centenario della morte, il maestro e scrittore Umberto Postiglione, educatore appassionato e impegnato. La serata del 23 vedrà quindi uno show case di Rastablanco e Phenom dai Radici nel cemento.

Tutte le attività si svolgeranno nel bellissimo contesto del recentemente ristrutturato convento di Sant’Antonio a Civitarerenga. Attualmente il convento che ospita la manifestazione è gestito dalla cooperativa di comunità Oro Rosso che oltre a mantenere l’ostello ivi presente si occupa della produzione dello zafferano DOP dell’Aquila.

Sabato 24 agosto continueranno ad alternarsi le presentazioni e i talk nel bellissimo chiostro del convento, con Andrea Mattei che con il suo “In cammino per la libertà” ha raccontato i sentieri della lotta partigiana che attraversano l’Abruzzo, Valeria Pica che presenterà in anteprima la “Autobiografia bugiarda” di Pino Zac, fumettista e artista geniale e ribelle. La giornata si concluderà con un concerto della polistrumentista Lavinia Mancusi tratto dal suo ultimo lavoro “Revolucionaria”, con al centro la vita e le lotte di Violeta Parra, Mercedes Sosa e Chavela Vargas.

Durante tutta la durata della manifestazione proseguirà inoltre il progetto “Paese dei francobolli”, che in questa edizione vede impegnati due importanti artisti italiani: Leonardo Crudi e Croma, che realizzeranno due opere murarie seguendo il format del francobollo gigante inaugurato nella passata edizione, opere che verranno poi svelate nell’ultima giornata di domenica durante il trekking narrativo che accompagnerà i partecipanti attraverso le strette vie del Ghetto di Civitaretenga.

La giornata di domenica proporrà poi due proiezioni: verrà presentato il documentario di Angelo Figorilli e Francesco Paolucci “L’uomo più buono del mondo. La leggenda di Carlo Tresca”, agitatore culturale e sindacalista abruzzese emigrato negli Stati Uniti, e a seguire “Una vita all’assalto”, realizzato da Paolo Fazzini e Francesco Principini, che narra la storia della storica band italiana degli Assalti Frontali. A chiudere la serata e la manifestazione ancora musica con un dj set con Ally Ally & Millimoi.

Un’occasione unica, dunque, per tornare a scoprire un territorio bellissimo e la sua comunità attraverso le narrazioni popolari. L’appuntamento è ogni giorno dalle 17:30 presso il Convento di Sant’Antonio di Civitaretenga. L’ingresso è gratuito.




CHIUDE LA BIBLIOTECA DEL RICORDO SENZA PREAVVISO

Tanto tuonò che piovve

Montorio al Vomano, 22 agosto 2024. Si vociferava dello smantellamento della Biblioteca del Ricordo, impegno ultradecennale di Corrado Scipioni, situata all’interno del Palazzetto dello Sport comunale, unico esempio in Italia e forse in Europa e, in pieno Ferragosto, avviene l’impensabile.  Senza trovare una soluzione alternativa, senza condividere alcuna decisione, nella giornata di ieri è iniziato lo smantellamento della biblioteca.

Come circolo locale chiediamo al sindaco di spiegare dove verrà messa a dimora la bellissima e preziosa collezione composta da migliaia e migliaia di libri. Proponiamo l’installazione di un chiosco adiacente il palazzetto dello sport, che possa sopperire momentaneamente ai problemi sopraggiunti al palazzetto e aprire una immediata discussione con la cittadinanza per trovare una soluzione fattibile, coinvolgendo, in prima persona, Corrado Scipioni, vero artefice del progetto.

Ricordiamo al sindaco che questa biblioteca è dedicata a tre ragazzi scomparsi prematuramente, il progetto è nato con lo scopo di creare un legame tra lo sport e la cultura e di  fare in modo che il nome di Federica, Arianna e Lorenzo possano vivere nella gioia dei ragazzi che frequentano il palazzetto.

Sindaco, Montorio non è tua e la biblioteca è dei montoriesi! Fermati, prima di cancellare un altro pezzo della nostra storia.

Circolo PD di Montorio al  Vomano




AVVICINARSI ALLA FEDE A OGNI ETÀ

Sabato 10 agosto, il battesimo dei nuovi fedeli al congresso dei Testimoni di Geova “Annunciamo la buona notizia!”

Roma, 22 agosto 2024. Anche quest’estate, si è svolto presso la Nuova Fiera di Roma da venerdì 9 agosto a domenica 11 agosto il congresso dei Testimoni di Geova, intitolato “Annunciamo la buona notizia!” All’evento hanno partecipato gli oltre 2.000 fedeli e simpatizzanti di Chieti e provincia che si aggiungono ai circa 20 milioni di persone che partecipano allo stesso evento in tutto il mondo.

Sabato è stato uno dei momenti più attesi con il battesimo dei nuovi 76 fedeli per immersione totale in acqua, seguendo il modello descritto nei Vangeli del battesimo di Gesù, che fu immerso nel fiume Giordano. Lo scorso anno i nuovi battezzati in Italia sono stati più di 3.800 e nel mondo oltre 269.000.

Luca Didò, portavoce dei Testimoni di Geova per il Lazio e l’Abruzzo, spiega: “Il battesimo è una scelta personale. A battezzarsi non sono i bambini ma uomini e donne, giovani e anziani. Prima di prendere questa decisione, che comporta anche grandi cambiamenti, hanno studiato la Bibbia sicuramente per molti mesi, spesso per anni”.

L’emozione è stata palpabile anche per le migliaia di presenti che hanno osservato i “nuovi fedeli” immergersi completamente nella piscina per il battesimo.

“Avvicinarsi alla fede oggi è una scelta controcorrente, spesso coraggiosa, e la gioia dei nuovi fedeli che si sono battezzati ha avuto un notevole effetto sugli oltre 10.000 partecipanti”, conclude Luca Didò. “Tutto il programma del congresso Annunciamo la buona notizia!, presentato sotto forma di discorsi, video, interviste e musica, ha dato a tutti noi molti motivi di riflessione”.

Da oltre cento anni i Testimoni di Geova tengono congressi in stadi, arene, centri fieristici e teatri in tutto il mondo.

Per ulteriori informazioni sul programma dell’evento o per trovare altre date e sedi dei congressi (sono ben 70 quelli organizzati in Italia, in altre 15 città oltre a Roma visitate il sito jw.org e navigate nella scheda “Chi siamo”.