UN ANNO DALLA MORTE DELL’ORSA AMARENA
Indagini chiuse, Oipa: «sia fatta giustizia». La Procura ha confermato che l’orsa al momento dello sparo era innocua. L’associazione si costituirà parte civile nel processo
Milano, 30 agosto 2024. Chiuse le indagini a fine giugno, l’uomo che ha sparato all’orsa Amarena dovrà rispondere alle accuse di uccisione di animali aggravata da crudeltà ed esplosioni pericolose in luogo abitato. L’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa), che immediatamente ha presentato denuncia alla Procura per uccisione di animale, a un anno dalla morte violenta del plantigrado commenta: «La giustizia farà il suo corso, anche se non restituirà Amarena ai suoi figli e a questa vita. Ma chi l’ha uccisa deve pagare». L’associazione si costituirà parte civile nel processo.
I fatti. L’orsa Amarena, uno dei simboli del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (Pnalm), è stata uccisa a fucilate un anno fa nella notte del 31 agosto scorso alla periferia di San Benedetto dei Marsi (AQ). L’autore del reato fu subito identificato. Il 5 settembre il Pnalm informò che i due cuccioli di Amarena erano vivi e, dopo essersi divisi per un breve periodo, si erano ricongiunti e sembravano essere in buona forma. Il 3 novembre il Parco annunciò che i due orfani, di circa 10 mesi, stavano bene.
L’avviso di chiusura indagini arriva dopo che il pm Maurizio Maria Cerrato ha esaminato la perizia balistica, che ha confermato come l’indagato abbia sparato per uccidere, non per errore o per spaventare l’animale. La perizia attesta che si è trattato di una fucilata intenzionale ed esplosa da una distanza ravvicinata. L’orsa Amarena è stata raggiunta da un colpo di carabina con un proiettile calibro 12 che l’ha colpita a un fianco perforandole il polmone.
«La Procura ha confermato che l’orsa al momento dello sparo era innocua», sottolinea l’Oipa. «Amarena è l’ennesima vittima non solo della pericolosità sociale d’individui, cui pure si concede il porto d’armi, ma anche del clima d’odio nei confronti dei grandi carnivori fomentato in Italia da alcuni esponenti politici. Auspichiamo che si arrivi a una condanna esemplare nei confronti dell’inquisito. Noi saremo parte civile nel processo».
Immagine diffusa dal Pnalm