Storia e devozione nel gemellaggio tra Chiusa Sclafani (Sicilia) e Manoppello (Abruzzo)
Di Antonio Bini
Manoppello, 6 settembre 2024. Un inedito gemellaggio è intercorso tra il Volto Santo custodito nella chiesa di San Nicola di Chiusa Sclafani e il Volto Santo di Manoppello, dopo un percorso che si è sviluppato nel corso del 2024, iniziato con una visita a Manoppello di un gruppo di appartenenti alla Confraternita SS. Volto, in occasione del rito di Omnis Terra, celebrato il 28 gennaio.
È poi seguita la partecipazione del rettore del Santuario, padre Antonio Gentili, invitato in coincidenza con la festa del Volto Santo, che si celebra annualmente nella cittadina siciliana la prima domenica di maggio. In quell’occasione, è stato sottoscritto l’atto di gemellaggio da mons. Gualtiero Isacchi, arcivescovo di Monreale, dall’arciprete della chiesa di San Nicola di Bari don Bernardo Giglio, dal citato p. Antonio Gentili e da Manuele Ruvolo, presidente della Confraternita SS. Volto di Chiusa Sclafani. L’atto è stato in seguito sottoscritto anche da mons. Bruno Forte, arcivescovo della Diocesi di Chieti-Vasto.
Il documento riepiloga in sintesi le origini storiche del Volto Santo venerato nella cittadina siciliana, che si trova a metà strada tra Palermo e Agrigento, manifestando poi “il desiderio di rafforzare la radice della riparazione esprimendo il desiderio di guardare al Volto Santo di Manoppello” o velo della Veronica. In occasione della festa della trasfigurazione di Gesù, celebrata a Manoppello, si è registrato l’arrivo di numerosi fedeli appartenenti alla Confraternita del SS. Volto di Chiusa Sclafani, fondata nel 1900 e guidata dall’attiva e appassionata opera del presidente Manuele Ruvolo.
Al tramonto, dopo la celebrazione della messa pomeridiana, presieduta da padre Simone Calvare, ministro provinciale dei Cappuccini di Abruzzo, Lazio e Umbria, si è svolta la processione breve, dalla Basilica fino a Fonte Leone, preceduta da don Bernardo Giglio che portava tra le braccia il SS. Volto di Chiusa Sclafani, seguito dal grande stendardo della Confraternita e dai numerosi confrati, disposti in duplice fila, i quali indossavano tutti il caratteristico abitino (o scapolare).
Una partecipazione devota e al tempo stesso gioiosa, di persone che avevano percorso oltre mille chilometri per raggiungere l’Abruzzo. Una testimonianza coinvolgente di un gemellaggio sentito dalla comunità siciliana, che si è mescolata tra i tanti fedeli locali e provenienti anche dall’estero per seguire il solenne rito. La fede è certamente qualcosa di personale, ma di comunitario al tempo stesso. Presente anche padre Anatoly Grytskiv, in rappresentanza della Chiesa Ortodossa.
La processione lascia riflettere, con aspetti che vanno ben oltre l’evento religioso.
È opportuno spiegare brevemente la presenza del Volto Santo nel paese siciliano, che si deve al venerabile fra Innocenzo Caldarera (1557-1631).
Il frate aveva avuto in dono l’effige nell’anno 1623 da Gregorio XV di cui era fidato consigliere. Il papa, per riconoscenza, nella fase terminale della sua vita, propose a fra Innocenzo di scegliere per sé uno degli oggetti presenti nel suo appartamento. Il frate volse la sua attenzione sulla copia del Volto Santo, che a sua volta donò al convento dei frati minori riformati del convento di San Vito in Chiusa Sclafani, suo paese d’origine, con atto notarile del 21 settembre 1623.
La copia risulta eseguita dal canonico Pietro Strozzi nell’anno 1617 e reca l’iscrizione in latino “La santità di Nostro Signore Paolo V pronunciò anatema contro quanti osassero, senza il permesso che deve essere concesso da lui stesso o dai successori, di trarre copia da questa immagine”, e ritrae il volto di Cristo morto. L’opera, che corrisponde alla copia eseguita dallo stesso Strozzi nel 1616 e destinata a Costanza, regina di Polonia, appalesa l’evidente trasformazione dell’iconografia della Veronica (Vera icona), che appariva precedentemente con gli occhi aperti.
La presenza del Volto Santo generò subito la devozione locale e dei paesi vicini.
Riveste particolare interesse storico la documentazione intervenuta dopo il breve pontificio di Urbano VIII del 29 maggio 1628 che, nel ribadire il divieto di riproduzione dell’immagine della Veronica, già disposto da Paolo V, intimava la restituzione delle copie esistenti, pena la scomunica. La disposizione, come venne spiegato dallo stesso papa, non riguardava la riproduzione di una qualsiasi immagine di Cristo – che avrebbe avuto effetti paradossali per la Chiesa – ma solo quelle che “rappresentano la vera S. Immagine del Volto Santo che si osserva qui nella Basilica di San Pietro con macchie e lividi di sangue, di sudore e di percosse”.
La raccolta di tali documenti, pazientemente trascritti, costituisce l’appendice al saggio di Antonio Giuseppe Marchese, “Cristo a Chiusa Sclafani”, edizione fuori commercio del 2009, distribuita a cura dalla Confraternita del Santo Volto di Chiusa Sclafani.
Si può riscontrare che in data 11 luglio 1628, mons. Francesco Traina, vescovo di Girgenti (Agrigento), nella cui diocesi era allora compresa Chiusa Sclafani, ordinò al guardiano dei padri minori di consegnare la copia del Volto Santo entro otto giorni, con minaccia di scomunica papale. Il 13 luglio intervenne Lorenzo Gioeni Gardona, marchese di Giuliana e conte di Chiusa, a difesa del mantenimento dell’icona in paese, facendo presente che la copia era custodita in chiesa e non già da privati, sotto l’autorità pontificia, con riferimento alla donazione di Gregorio XV.
Venne nel frattempo informato a Roma fra Innocenzo Caldarera affinché agisse di conseguenza, a sostegno delle ragioni di Chiusa. Il buon frate evidentemente fece i suoi passi come risulta da una lettera inviata da Roma in data 23 agosto 1628, a firma del cardinale Mellini, diretta al conte di Chiusa, con cui si richiama la gratitudine nei confronti di p. Innocenzo, chiarendo finalmente che l’obbligo di consegna “non comprende la proibizione quelle immagini che si sono avute con l’autorità di questa Santa Sede”.
La copia poteva quindi rimanere a Chiusa Sclafani. Ma doveva evidentemente trattarsi di una interpretazione che si discostava dall’ordine imposto da Urbano VIII, tanto che nella stessa nota il cardinale raccomanda “che si tenga l’immagine secreta al più che si può, a ciò altri valere del suo esempio non fossero causa di fare uscire qualche nuovo ordine in ogni dubbia della grazia già ottenuta, perché Sua Santità va molto stretta in questa materia”. In buona sostanza, viene evitata la riconsegna del Volto Santo e la sua distruzione, ma in compenso viene imposta la secretazione dell’immagine e il silenzio su di essa.
Non appare comprensibile il senso di tali disposizioni, soprattutto dopo che negli anni precedenti era stata cancellata traccia dei “pictores veronicarum”, che sin dal medioevo riproducevano il volto di Cristo a richiesta dei pellegrini.
L’atteggiamento vaticano aiuta a comprendere i timori dei Cappuccini di Manoppello per proteggere il Volto Santo, di cui non a caso avevano evitato qualsiasi forma di culto e divulgazione della sacra immagine, rimasta a lungo murata. Un silenzio ben conservato, considerato che nessuna intimazione risulta presente negli archivi del Convento.
Con la morte di Urbano VIII, avvenuta il 29 luglio 1644, si concluse il suo lungo pontificato, durato 21 anni, e iniziò ad allentarsi la stretta sulle copie della Veronica, anche se le sue disposizioni non risulterebbero annullate. Anche durante il suo pontificato non mancò di concedere ad un nobile siciliano, in coincidenza del Giubileo del 1625, una copia della Veronica (“vera immagine del SS. Sudario”), dipinta su una lastra di rame, che si venera nella chiesa di San Nicolò a Venetico Superiore, in provincia di Messina. L’opera, pure eseguita dallo Strozzi, con il consueto divieto di riproduzione, si distingue dalla copia di Chiusa Sclafani, recando comunque gli occhi chiusi.
Una vicenda complessa e assai ingarbugliata, con atteggiamenti contraddittori e con molti aspetti misteriosi, in un periodo tormentato che mise a rischio la Veronica stessa.
Quando nel corso del Grande Giubileo del 2000 Giovanni Poalo II – il quale conosceva l’evolversi degli studi sul Volto Santo di Manoppello per i suoi frequenti rapporti con il cardinale Fiorenzo Angelini (presidente dell’Istituto Internazionale di Ricerca sul Volto di Cristo) – con un atto eclatante, chiese perdono per i peccati della Chiesa, sostenendo: “non possiamo non riconoscere le infedeltà al Vangelo in cui sono incorsi certi nostri fratelli, specialmente durante il secondo millennio” (punto 4 – omelia pronunciata in San Pietro il 12 marzo 2000), si riferiva quasi certamente anche ai silenzi perpetrati dai suoi predecessori a proposito della Veronica, di cui soltanto nel 2011, durante il papato di Benedetto XVI, venne ammessa la scomparsa in occasione del Sacco di Roma del 1527.
Vale la pena di segnalare che una riflessione sul piano artistico e storico fu sviluppata da p. Heinrich Pfeiffer, invitato, dall’allora arcivescovo di Montereale, mons. Cataldo Naro, a partecipare ad un convegno organizzato a Chiusa Sclafani il 6 novembre 2004, con inevitabili confronti con la Veronica (vera icona), studiata da tanti anni. P. Pfeiffer espresse nell’occasione una approfondita analisi del Volto di Chiusa, pubblicata sul Bollettino Ecclesiastico della Arcidiocesi di Monreale, luglio-dicembre 2004. Anche la figura di p. Pfeiffer è virtualmente da considerare parte del percorso del gemellaggio, ricordando pure che i cardinali di Palermo, Salvatore Pappalardo e Salvatore De Giorgi negli anni scorsi, in tempi diversi, furono pellegrini tra i primi a Manoppello, appena vennero divulgati gli studi del gesuita tedesco sulla Veronica.
Nella preghiera scritta da Benedetto XVI ad un anno di distanza dalla sua visita a Manoppello, il papa parlò di “volto umano di Dio entrato nella storia per svelare gli orizzonti dell’eternità”. E su questi orizzonti si muovono libere e spontanee le vie della fede convergenti sulla persona di Cristo e del suo volto.
12 marzo 2000, Giornata del Perdono | Giovanni Paolo II (vatican.va)
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