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RIAPRE LA SCUOLA, RIAPRE LA VITA …

… se i genitori ci credono

di Domenico Barrilà

Voce del verbo Stare, 10 settembre 2024. È arrivato il giorno più atteso, togliamo il piede dall’acceleratore e impariamo che nella guerra genitori-scuola perderemo tutti, soprattutto i bambini e i ragazzi.

Era la figlia, allora piccola, di un noto politico, quasi quarant’anni fa. Visse sempre nella vana attesa di un abbraccio da parte del padre, che “era a casa, si fa per dire, solo nei fine settimana, ma riceveva i suoi elettori tutto il tempo, poi lunedì ripartiva. Io aspettavo in fondo alle scale, speravo che tra un postulante e l’altro mi vedesse e mi facesse anche soltanto un sorriso, ma non accadeva mai.

Essere colto. Solo questo vuole un figlio. Quando tale magia non scatta, rimangono strascichi che potrebbero ispirare compensazioni errate. Vero che non esistono conseguenze meccaniche, inevitabili, ma la probabilità che la carenza di “stare” influenzi negativamente il dopo è alta.

I figli si accorgono quando stiamo pensando agli affari nostri o, peggio, che siamo troppo impegnati a rendere visibili noi stessi perché ci si avveda dei loro bisogni. Penso al figlio, inquieto e intemperante, di una coppia nota e molto esposta, provo solidarietà, ma temo che a mamma e papà sfugga proprio il particolare. I figli capiscono se i genitori sono diretti concorrenti, rimangono delusi, l’egocentrismo che manifestano ricorda molto i bisogni di attenzione che accompagnano essi stessi, e sentono che il pavimento su cui sono appoggiati è fragile.

È a questo punto che arriva l’angoscia, sostenuta dal sospetto che forse dovranno fare da soli. In questo spazio può accadere di tutto, anche l’irreparabile, perché la rabbia scava pozzi profondissimi, difficili da sigillare con le parole.

La maggioranza delle madri e dei padri svolgono con impegno il proprio mestiere, ma sono soli, sottoposti a uno stress esistenziale terribile, mai conosciuto prima. Nella storia dell’uomo non si era mai verificata una rivoluzione così potente quanto quella digitale, nemmeno quando si era passati dalla civiltà contadina a quella industriale, che pure aveva stravolto i significati esistenziali. Tuttavia, quella transizione si era verificata all’interno di riferimenti tridimensionali, mentre quella odierna è stata sconvolgente, avendo usato come leva l’immateriale.

In questo brodo faticoso, cresce l’individualismo perché ognuno si sente costretto a difendere il proprio interesse, le ragioni del proprio ruolo, dei propri figli.

Una solitudine non governata da chi dovrebbe accompagnarla, ma è incapace anche solo di immaginare da dove si inizia, così si limita a produrre carta che sommerge ulteriormente la scuola e la rende ancora più stanca.

Eppure, in questi giorni, con qualche piccola asimmetria regionale, la scuola riapre, oltre otto milioni di bambini e ragazzi si metteranno in moto, sono loro a tenere in piedi una bottega economica e culturale senza pari, diversi faranno fatica a capire la ragione di quell’impegno, eppure, malgrado tutto, ogni giorno prenderanno posto tra i banchi, anche quando non ne avrebbero tanta voglia. Spetterebbe a noi adulti convincerli che stanno facendo la scelta giusta, che non stanno sprecando il loro tempo, ma prima dovremmo dimostrare che il tempo trascorso con loro non è “tempo perso”, che essere i loro genitori non è un secondo lavoro, ma la ragione stessa della nostra vita.

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