(RI)COSTRUIRE LA PACE IN EUROPA

Dopo 1000 giorni di guerra

di Maurizio Cotta

PoliticaInsieme, 25 novembre 2024. Mille giorni di guerra terribile al centro del continente europeo, con centinaia di migliaia di morti e feriti, danni incalcolabili alle strutture civili, milioni di persone in fuga dalle zone di guerra, rendono chiaro quanto distruttivo sia il venire meno della pace e quanto grande sia il bisogno di ricostruirla.  Appunto ricostruirla, perché la pace non basta invocarla bisogna mettere in atto le condizioni che la rendano possibile e non effimera.

La pace non è un semplice cessate il fuoco (anche se questo può essere un primo utile passo). Va inoltre precisato che non ogni pace è uguale: la pace può essere più o meno giusta e l’equilibrio tra benefici e costi per le parti interessate (cioè in definitiva le persone concrete che la vivono) può variare significativamente contribuendo così anche alla sua maggiore o minore accettabilità. Poiché ogni serio discorso sulla pace richiede una riflessione sulle condizioni che la rendono possibile e stabile conviene partire dal lungo periodo di pace del quale ha prevalentemente goduto l’Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale fino all’aggressione russa all’ Ucraina del febbraio 2022 (senza dimenticare però che nell’area post-jugoslava ci sono stati periodi drammatici di guerra interetnica e che nelle zone di confine tra Russia e Ucraina già dal 2014 c’è stata una guerra strisciante).

A essere precisi, e per imparare meglio dalla storia di un’epoca di pace oggi messa in discussione, questo lungo periodo va suddiviso in due periodi caratterizzati da assetti di pace diversi. Il primo dall’inizio della guerra fredda nel 1947 al crollo dell’Unione Sovietica nel 1989-1991, il secondo da quel momento alla aggressione russa del 2022. La pace per l’Europa nel primo periodo è stata assicurata essenzialmente dall’equilibrio militare basato su deterrenza atomica e convenzionale tra i due blocchi guidati dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica. Le due parti dell’Europa divisa hanno goduto in maniera molto diversa dei benefici della pace. I paesi dell’Europa occidentale hanno potuto

che ha nella forza militare la sua principale risorsa e non esita ad usarla per raggiungere i suoi fini. A questo si deve aggiungere il nuovo Presidente americano le cui intenzioni verso l’Europa sono altamente incerte.

In questo contesto e sulla base di un esame realistico delle condizioni createsi sul campo e delle prospettive che lasciano intravedere (anche se possono non piacerci), occorre mettere a fuoco quali siano gli interessi primari da salvaguardare negli scenari di chiusura della guerra che oggi sono forse raggiungibili. Il primo è quello di garantire la sopravvivenza dell’Ucraina come paese libero e indipendente e con prospettive di futuro, il secondo è quello di assicurare che anche i paesi dell’Unione Europea (in particolare quelli orientali) siano protetti da minacce russe

alla loro sicurezza. Questo richiede innanzitutto che l’Ucraina, con la continuazione degli aiuti militari americani ed europei, sia messa nelle condizioni di contenere il tentativo di Putin di una ulteriore avanzata che metta rischio le grandi città di Kharchiv, Dnipro e Odessa e che quindi fallisca il tentativo russo di assoggettare il paese. Un esito diverso getterebbe su tutta l’Europa un’ombra gravissima di incertezza. Da questo risultato dovrebbe partire l’azione diplomatica per arrestare stabilmente la guerra.

Poiché sembra oggi altamente improbabile che la guerra sia chiusa da un trattato di pace che definisca giuridicamente la situazione (e che sancirebbe la legittimità dell’annessione di ampi territori ucraini), una soluzione armistiziale che congeli la situazione sul campo e rinvii a tempi migliori una pacifica soluzione dei confini tra Russia e Ucraina è oggi l’alternativa più realistica da perseguire. Il non piccolo prezzo di questa soluzione per il paese aggredito è quello di dover rinunciare a recuperare i territori illegalmente sottrattigli; questo prezzo dovrebbe essere compensato dalla prospettiva per la popolazione ucraina di un futuro pacifico e dedicato alla ricostruzione (non diversamente da quello di cui hanno goduto ai loro tempi la Germania occidentale e la Corea del Sud).

Naturalmente, la chiave di questa soluzione sono garanzie a tutta prova che un’aggressione russa non si ripeta. A questo fine sembra difficile immaginare una soluzione che non preveda anche la presenza di consistenti truppe (europee) sul territorio ucraino (con un mandato ONU?). Va inoltre aggiunta un’integrazione accelerata con l’Unione Europea per la ricostruzione dell’Ucraina. Una soluzione del genere potrebbe forse far guadagnare il tempo necessario perché in Russia maturi una riflessione sul terribile disastro che l’operazione speciale di Putin ha rappresentato (sul piano economico, geopolitico e ancor più delle perdite umane) per il Paese stesso e si possa riprendere un dialogo di cooperazione tra le due parti del Continente europeo.

Come nelle due fasi precedenti di pace è necessario contare ancora sul ruolo di garanzia degli Stati Uniti, ma il ruolo dei paesi europei integrati nell’Unione dovrebbe raggiungere un livello ancora più alto. Una seria politica estera e di difesa europea non é più procrastinabile.

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