I CATTOLICI E LA RESPONSABILITÀ DEL SALTO

di Domenico Galbiati

PoliticaInsieme.com, 4 dicembre 2024. In un bell’articolo che ha pubblicato ieri su Il Domani d’Italia, Lucio D’Ubaldo ricorda il salto che veniva evocato da Benigno Zaccagnini, al tempo della sua segreteria. Il “salto” che la politica esige, l’entrare a piè pari nel campo della responsabilità personale che il momento storico pretende. Anche oggi i cattolici sono chiamati ad osare un “salto”: dal cosiddetto prepolitico all’impegno politico tout-court.

Noi che, ormai da diversi anni a questa parte, abbiamo dato vita ad Insieme, non a caso, nella forma, per quanto minuscola, di partito politico, siamo d’accordo e compiaciuti se questa consapevolezza viene via via condivisa e diffusa. Siamo nati per questo e, con tutta la modestia del caso e la coscienza dei nostri limiti, ci consideriamo, in qualche modo, una piccola “testa di ponte”, gettata al di là del guado, che, senza pretendere di insegnare niente a nessuno, simbolicamente sta ad indicare come sia necessario entrare in acqua, sfidare la corrente del fiume ed i mulinelli in cui si contorce, pur di spiaggiare, a pieno titolo, nel bel mezzo del discorso pubblico che attraversa, in questo frangente storico, il nostro Paese e l’Europa.

La Settimana Sociale di Trieste sta suscitando un nuovo fervore che evidentemente scoperchia e porta alla luce energie tutt’altro che sopite, riposte e sedimentate nella coscienza e nella memoria storica degli italiani, che, in un certo senso occultate, aspettavano un segnale d’ intesa per uscire allo scoperto, incoraggiandosi a vicenda.

Il significato di questa ripresa d’iniziativa dei cattolici e la misura del suo possibile successo la si potrà evincere solo dal concorso che saprà o meno assicurare alla fatica di sbrogliare la matassa di una stagione difficile, ma sorprendente e del tutto affascinante, nella misura in cui avanza su un crinale scosceso e sottile che forse separa, più di quanto non ne siamo davvero avvertiti, due fasi della vicenda umana.

In altri termini, questo processo di agglutinazione che prende le mosse dal basso, dai territori, dagli amministratori locali, da associazioni e movimenti del mondo ecclesiale, da esperienze differenziate e non sempre immediatamente componibili, è sicuramente di grande interesse, anche perché interviene nella cornice di un pluralismo politico del mondo cattolico, che, per quanto acquisito una volta per tutte, pur viene messo alla prova di una reciproca correzione fraterna e perfino di una possibile ricomposizione.

Nulla a che vedere, per quanto ci riguarda, con la presunzione che si possa dare vita ad un partito di cattolici, tanto meno dei cattolici. Non si tratta in alcun modo – per dirla secondo il linguaggio più frequentemente in uso – di risalire la china della cosiddetta diaspora, come se dovessimo camminare a ritroso lungo l’asse della nostra storia. Ma piuttosto impedire che, nella coralità di voci che si rincorrono e si sovrappongono nel nostro tempo e, tributarie di culture, anzi di antropologie differenti, si riversano nell’alveo tormentato dell’ immediato confronto politico, ne manchi una che si rifaccia ad una concezione cristiana della vita.

Oggi ai cattolici compete non un ruolo di potere, ma piuttosto un compito di verità, la fatica di evocare un’attesa, indicare una speranza ancora possibile, riproporre un ultimo, comune orizzonte delle cose del mondo, degli eventi che irrompono nel tempo nuovo della “post-modernità”, così da offrire alla vita personale di ciascuno nella propria singolarità ed alla vita collettiva, una prospettiva di senso compiuto.

A nostro avviso, tutto ciò  può avvenire solo misurandosi nel vivo della vicenda politica così come si pone e si propone nella quotidianità del divenire sociale. Viviamo il tempo delle transizioni, la stagione, come recita il nostro Manifesto fondativo, di una necessaria trasformazione, al di là della classica cultura riformista.

Non basta più trattenersi su un piano che, in un certo senso, nella misura in cui viene prima, letteralmente precede la politica, per ciò stesso la elude. Se ci si trattiene sulla sponda del fiume, anziché affrontarne la corrente diventa, ad un certo punto, impossibile anche prendere le misure a sé stessi ed al proprio argomentare. Mai come in questa fase, potremmo dire, di accelerazione del tempo che ci è dato, se non si accetta il rischio di un corpo a corpo con l’accadere quotidiano, si rischia di avvitarsi in una sorta di compiacimento di sé e di auto contemplazione che rende inefficace la propria presenza sul piano storico.

Non basta lo spartito che, in questo contesto, sembra essere una sorta di artificio lessicale con il quale si vorrebbe indulgere a quel tanto di idiosincrasia che il mondo cattolico continua a coltivare nei confronti di un impegno politico esplicito e diretto. Del resto, lo spartito non è che la notazione di note che restano mute se non c’è un’orchestra che le assuma nel loro insieme, secondo un’interpretazione ed una sonorità che dia conto del senso nascosto nella loro sequenza.

Detto altrimenti, è giunto il momento di dar vita ad una presenza politica – non importa se grande o piccola – di ispirazione cristiana che, nella misura in cui proponga il primato della persona quale baricentro di un progetto politico-programmatico, aggreghi, attorno a questa ipotesi di umanesimo personalista anche coloro che provengono da altre culture, eppure, in modo forse inaspettato, sembrano guardare con crescente interesse in questa direzione.