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IL PRIMO COMPITO dei Cattolici

Tornare a pensare in proprio

di Domenico Galbiati

5 novembre 2022

Per quanto possa apparire indecifrabile e contorta, non dobbiamo essere ingenerosi con la politica e con coloro che la interpretano. Bisogna prendere atto che le culture politiche che abbiamo ereditato dal secolo scorso – a loro volta figlie del secolo ancora precedente – sono messe a dura prova dalle trasformazioni che, congiuntamente, attraversano il nostro tempo e mettono in discussione i paradigmi interpretativi fin qui in uso. Il politico – diversamente dall’ uomo di cultura che può concedersi il lusso di una riflessione più ponderata – sbatte la testa direttamente contro le difficoltà più impellenti, momento per momento, eppure non può esimersi dal dare una risposta, talvolta pressoché immediata.

Ne abbiamo avuto una riprova con la pandemia e lo scoppio della guerra in Ucraina. Queste considerazioni valgono anche per i cattolici e per l’irrilevanza, da più parti affermata e, del resto, di palmare evidenza, della loro presenza politica. Come taluni continuano a ritenere, il punto non è la cosiddetta ricomposizione della diaspora. Bensì, nel solco fertile della storia del movimento politico dei cattolici, l’invenzione di un nuovo linguaggio o meglio la fatica di un pensiero che sappia comporre l’enorme ventaglio di innovazioni e di potenzialità che attraversano le nostre vite, così da portarle ad una sintesi sempre incompiuta, ma tendenzialmente via via più avanzata.

I cattolici devono riscoprire il coraggio di tornare a pensare in proprio e, allo stesso tempo, la coscienza d’ essere non per merito proprio, ma per intrinseca virtù della loro visione cristiana, gli accreditati depositari di quell’ umanesimo di impronta personalista che rappresenta l’unica possibile chiave di volta in grado di reggere il peso del passaggio epocale cui ci apprestiamo.

Ha ragione Giancarlo Infante che, in un articolo comparso su queste pagine, sosteneva come

dall’ irrilevanza i cattolici non usciranno mai più se non torneranno a ragionare politicamente, come dicevano Lazzati e Paolo VI. Invece, anche dopo il 25 settembre, molti cattolici si trastullano ancora attorno al letto di Procuste del PD che si strugge in uno psicodramma alla ricerca di una identità impossibile, che non si vede come possa sbocciare se ancora non è fiorita ad almeno tre lustri dalla sua fondazione. Altri, sempre meno numerosi, hanno raggiunto la pace dei sensi nella pancia della destra, peraltro mal sopportati, come fossero indiani confinati in una riserva.

È come se un complesso di inferiorità paralizzasse i credenti e li convincesse o a trattenersi nell’ interiorità della loro coscienza oppure a lasciarsi prendere da un rassegnato abbandono del campo, senza correre il rischio di avventurarsi su un terreno aspro e scosceso. Non avvertono come, al contrario, leggendo bene tra le righe del discorso pubblico, si colgano voci, più numerose di quanto non sembri, che esprimono una qualche nostalgia per la concezione cristiana della storia e c’interpellano con l’ ansia – forse opaca, a tratti oscura, quasi si volesse negarla, eppure evidente – di poter trovare nel cristianesimo quel filo d’Arianna che conduce verso un senso compiuto della vita, della propria personale esistenza, ma anche del concerto di voci che attestano la plurale ricchezza della collettività.

L’autonomia attorno a cui INSIEME è nato – la sua effettiva ragione sociale, si potrebbe dire – ha esattamente questo significato, incarna questa rivendicazione di capacità critica, di facoltà di giudizio originale, non subalterno o ancillare ad altre culture, il rifiuto di una sudditanza. Il che, in nessun modo, a cominciare dal piano dell’azione politica, vuol dire rattrappirsi in una sorta di torre d’avorio, quasi che le collaborazioni o le alleanze, contratte secondo uno spirito di coalizione, fossero la contaminazione di una supposta purezza ideale originaria.

Autonomia che per noi, per essere vera, deve incarnarsi in altri due momenti: la competenza di chi aspira ad un ruolo di classe dirigente e la capacità di introdurre una nuova, giovane generazione di politici.

E adesso il momento, il frangente storico in cui è necessario osare il salto dal piano prepolitico alla politica militante ed attiva, fondata su un impegno di responsabilità personale.

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