Sezioni

Novembre 2022
L M M G V S D
 123456
78910111213
14151617181920
21222324252627
282930  

22 Novembre 2024 home

Abruzzo Popolare

Sito di informazione quotidiana: politica, cronaca, economia, ambiente, sport, piccoli Comuni, editoriali e rubriche

IL GOVERNO DELLA DESTRA: qualche contrattempo …

… Inesperienza o problemi più profondi?

di Maurizio Cotta

15 novembre 2022

Non è privo di interesse vedere come il primo governo italiano guidato dalla destra dopo il secondo dopoguerra si destreggia con i problemi degli anni 2020. Aggiungo che, anche per chi non ha una particolare attrazione per la destra, in una situazione in cui la sinistra o meglio le sinistre non sembrano in grado di offrire una alternativa credibile, il governo attuale è quello che per il momento “passa il convento” e chi ha a cuore il bene del Paese non può non sperare che faccia qualcosa di positivo per risolvere o quantomeno attenuare i problemi dell’Italia.

Il punto vero è capire che cosa possa veramente voler dire una politica di destra oggi per ’Italia. E siccome questa destra non è caduta dal cielo all’improvviso, se guardiamo al suo passato possiamo identificare in negativo e in positivo quali sono i suoi punti di partenza.

Certamente non è una destra liberista e ispirata ai principi del mercato concorrenziale, o antistatalista. Si tratta piuttosto di una destra “sovranista”, cioè incline a declinare la difesa dell’interesse nazionale in senso critico rispetto alle spinte federaliste europee (prospettando invece una “Europa delle nazioni”), orientata a difendere il ruolo dello stato nell’economia, bilanciandolo magari con una certa difesa corporativa degli interessi dell’economia di taglia

media e piccola nei confronti del peso del fisco e della burocrazia. Dunque, statalista in un certo senso ma anche antistatalista in altri.

Poi, c’è la difesa dei cosiddetti “valori tradizionali”, ma senza una eccessiva adesione ad altri aspetti della Dottrina sociale della Chiesa. E infine una propensione a esprimere un pugno duro sull’ordine pubblico e sull’immigrazione contro il lassismo vero o presunto delle altre forze politiche.

La domanda che ci si pone è quali soluzioni questo amalgama valoriale possa offrire ai problemi odierni del paese. In particolare, alla necessità di rinvigorire la crescita economica in modo tale da offrire più spazio all’occupazione giovanile, di rafforzare tutto il sistema scolastico per ridurre il grave deficit di formazione delle nuove generazioni, di riformare le amministrazioni pubbliche per renderle più efficienti nel realizzare gli scopi a loro assegnati, di riorientare e riqualificare la spesa pubblica verso gli impieghi più strategicamente utili, di sfruttare al massimo le potenzialità che derivano per un paese di media taglia (e con non poche debolezze) dalla partecipazione all’Unione Europea, al suo grande mercato concorrenziale e ai suoi strumenti di solidarietà.

Le caratteristiche tradizionali della destra italiana, qui brevemente riassunte, non sembrano offrire basi di partenza molto adeguate a dare risposte efficaci a quei problemi. Non si può escludere naturalmente la volontà di una leader giovane, vigorosa e ambiziosa, che ha davanti a sé un’occasione politica fino a poco fa insperata, di non sentirsi troppo vincolata dalle radici del proprio mondo politico quando queste sono di intralcio, non all’altezza delle sfide di

governo. Rimane l’interrogativo su quali basi culturali si ridefinirebbe l’identità di questa destra e la sua azione di governo.

Anche se è un po’ presto per giudicare il nuovo governo, i primi passi rivelano sia il tentativo di Meloni di “crescere” andando anche oltre il passato di questa destra (soprattutto nel discorso programmatico del governo), sia le difficoltà che si incontrano in questo processo (si vedano le mal formulate norme sui “rave parties” che appaiono un segno della vecchia propensione al “pugno duro” in materia di ordine pubblico). Ma ben più rilevanti sono altre questioni, come quella dell’immigrazione, che mettono in gioco il delicato rapporto con l’Unione Europea.

Qui il test è cruciale per un governo che pur affermando di voler far sentire più forte la voce dell’Italia in Europa (cosa più che legittima) ha anche riaffermato la sua fedeltà all’Europa e dunque sembra volersi scrollare di dosso una

tradizionale immagine troppo sovranista ed euroscettica. L’incidente con la Francia ha però mostrato come questa operazione presenti maggiori complessità di quello che la dirigenza politica di questo governo sembra immaginare e che “battere i pugni sul tavolo” come qualcuno auspica non sia così semplice e produttivo.

L’incidente con la Francia (che è tutt’altro che immune da colpe in questo campo) ha mostrato con tutta chiarezza come questioni di questo genere vedano intrecciarsi in ogni paese questioni di politica interna e di politica europea. Se ci si muove senza tenerne conto la solidarietà europea è quindi facilmente vulnerabile dalle reazioni interne. E allora se in un paese (l’Italia) fare il viso duro sull’immigrazione (e chiedere la solidarietà europea) può piacere all’opinione pubblica e quindi al governo, in un altro paese (la Francia) mostrarsi accomodante verso le esigenze dell’Italia può suscitare reazioni sfavorevoli nell’opinione pubblica e mettere in difficoltà il suo governo pressato in senso contrario proprio dai partiti che hanno rapporti di amicizia con quelli al governo in Italia. Ma in un settore dove i poteri propri dell’Unione sono assai limitati gestire in maniera solidale il problema immigrazione richiede la cooperazione di tutti i paesi e allora la capacità di costruire larghe coalizioni diventa cruciale.

Dunque, vale la pena entrare in conflitto con la Francia magari anche per sollevare questioni non infondate, se poi questo rende difficile operare insieme su questo come su altri fronti oggi rilevanti (come la riforma del patto di stabilità)? Alla fine, questa (piccola) tempesta potrebbe anche essere utile se chi guida questo governo ne saprà trarre qualche lezione su come si conducono positivamente le battaglie europee, tenendo anche presente il fatto che nella costruzione di coalizioni europee non servono molto i legami europei del suo partito (e della Lega) con partiti che sia quando sono al governo che quando sono all’opposizione non tifano per una Unione più solidale come desidera l’Italia.

image_pdfimage_print

About Post Author